domenica 1 ottobre 2017

Avanti Sellerio! - 01 ottobre 2017

Non voglio certo ripercorrere grida antiche, ma approfitto di questa ottobrata per tributare un doveroso omaggio ad una casa editrice che, anche quando pubblica gialli (che non sono nelle sue corde) è sempre un passo avanti. Certo, lotta facile con un giallo che non è un giallo, uscito dalla fucina comense di Vitali &C, che tuttavia segnalo per alcune chicche matematiche da dedicare al mio amico Renato.
Marco Malvaldi “La battaglia navale” Sellerio euro 13 (in realtà, scontato a 5,85 euro)
[A: 26/04/2016 – I: 21/04/2017 – T: 22/04/2017] - &&& e ¾  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 179; anno 2016]
C’è poco da dire ancora ed ancora: Malvaldi a me piace, e piace di più quando torna in Pineta, quando torna dai detective anzianotti “sui generis”, al “BarLume”. Insomma, quando si parla di tutto ciò, libro comprato a scatola chiusa. Sempre. Dicendo per inciso che, comunque, anche l’ultimo senza il buon Massimo non era male (d’altra parte se si parla di un altro mio “mito” come il poeta Ragazzoni, non ci sono ma e se che tengono), devo dire che quest’ultimo romanzo è un filo sotto le mie aspettative. Niente da dire sull’atmosfera. Niente da dire sulle divagazioni, costanti ed esilaranti. Niente da dire anche sulla trama “poliziesca” che ha un suo bel svolgimento ed una interessante e non scontata conclusione. Però, messo tutto insieme, non raggiunge l’effetto deflagrante de “La briscola in cinque”, tanto per citare qualcosa. Credo (purtroppo) che qualcosa vada anche imputato al piccolo ma sicuro successo della serie televisiva che ne è stata tratta (per i disattenti “I Delitti del BarLume” su SkyCinema1 con Filippo Timi nel ruolo del protagonista). Come se l’attenzione a future sceneggiature abbia imbrigliato la fantasia del nostro Marco. Ecco, se devo dire quello che più mi è mancato, è l’aspetto di soliloquio che Massimo aveva sviluppato all’ennesima potenza nei precedenti episodi, quando ripensava alle cose (accadute, da accadere, fatte, da fare), e noi insieme a lui potevamo giocare ai detective. L’altro aspetto, certo molto minore, è il decadere un po’ della tensione investigativa dei nostri arzilli vecchietti. Forse perché anche loro vanno avanti con l’età, forse perché c’è anche il vice questore Alice Martelli che è meglio deputato a svolgere il suo ruolo istituzionale, oltre ad aver instaurato una relazione semi-stabile con il nostro. Certo loro qualcosa fanno, coinvolgendo anche un personaggio impagabile, il compagno “duro e puro” Armando Maria Mastrapasqua. Andando con ordine, c’è il corpo di una donna che viene trovato in acqua. Viene anche riconosciuto da tutte le badanti di Pineta come quello di Olga. Olga badante ucraina di bell’aspetto della mamma del signor Marino. Sembra tutto filare liscio, ma con tante voci ad abbaiare comincia qualcosa a stonare. Vengono deturpate con scritte strane tutte le ville della zona, meno quella dell’avvocato Rossi. Per cavare qualche ragno dal buco, viene mandato in missione tra le badanti, appunto il compagno Mastrapasqua, tessera del PCI da sempre, vissuto a lungo in Russia, e che parla ucraino (abbastanza) correntemente. Tra un frizzo ed un lazzo, tra una battuta ed una mangiata (e qualche partita di biliardo solo accennata), esce fuori che c’è anche una ragazza australiana scomparsa. Ma non vi preoccupate, Ampelio e Pilade daranno delle dritte, e Massimo (qui sì con qualche ragionamento), arriverà insieme ad Alice alla soluzione. Ai rapporti tra Rossi jr., il figlio minore dell’avvocato con la bella ucraina (la quale sapeva anche districarsi tra integrali ed equazioni differenziali). Ai rapporti tra il figlio maggiore dell’avvocato e l’australiana. Per arrivare alla morte della donna trovata in acqua, morta non per annegamento ma per shock allergico al lattosio. E come detto all’inizio, uno svolgimento ed un finale che non erano affatto scontati. Rimane qualche riga per parlare ancora dei nostri “eroi”. Che si vanno riducendo, visto che solo Ampelio e Pilade rimangono in pianta stabile. Ed il Remediotti si deve riprendere da una brutta operazione alla laringe. Poi c’è il ristorante che affianca ormai le attività del Bar. C’è sempre Tiziana, l’unica (forse) con la testa sulle spalle, anche se Massimo (ed anche noi) non riesce a capire il suo affezionamento (amore?) verso il buon Marchino. Buono sì, ma solo a fare dei cocktail sbagliati. Ovvio che c’è sempre più in pianta stabile Alice. E non dispiace il suo rapporto con Massimo. D’altra parte si deve crescere, e Malvaldi sembra aver capito la direzione verso cui far evolvere i suoi personaggi (o almeno alcuni). Malvaldi poi rimane sempre coerente nella critica, magari toscana a fil di bocca, senza purtroppo risvolti operativi, alle storture del mondo, alle stupidaggini della politica. Ed ai comportamenti assurdi di tanta gente, specialmente turisti in vacanza. Cercando (e riuscendo) di non cadere nelle facili equazioni: uomo violento – colpevole, donna provocante – poco di buono. Ed altre piccole zeppe che infarciscono la nostra vita. Delizioso il decrittaggio delle scritte oltraggiose sulle ville. Scritte in arabo, quindi terroriste. Poi vengono tradotte e sono ricette di cucina. Per gli amanti del calcio segnalo la chicca del tratto comune di Vieri, Simeone e Ronaldo (non quello facile di aver giocato nell’Inter, ovvio). Per i patiti dei numeri segnalo il capitolo intitolato “logaritmo in base due di 16” (e se sapete che è il quarto capitolo, vi promuovo). Quindi, piacevole e leggevole (neologismo per leggibile e scorrevole).
“Credo che il Portogallo sia il paese dove si fanno le colazioni più buone dell’universo … c’è questo monastero, Belém, dove fanno dei pasticcini che si trovano solo lì. Pastéis de Belém. Me ne mangerei un vagone. Se andassi due mesi a Lisbona, partirei Michelle Hunziker e tornerei Platinette.” (27)
Alessandro Robecchi “Dove sei stanotte” Sellerio euro 14
[A: 01/09/2015 – I: 14/05/2017 – T: 16/05/2017] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 345; anno 2015]
Seconda puntata delle improbabili avventure di Carlo Monterossi, raccontate con il solito piglio spigliato (se mi si consente il gioco di parole) da parte del crozziano Robecchi. Non ha più l’impatto novità del primo, eppur tuttavia riesce alla fine a coinvolgere un pochino, quanto meno in alcune situazioni, di cui vi narrerò più avanti. Intanto, il fatto che Robecchi sia aduso alla scrittura (anche se in altri contesti) ed all’impatto che questa ha sul pubblico (sia in vivo sia in lettura) si vede da alcune costanti che mette nel suo secondo scritto. Tanto per farci vedere che, in fondo, è sempre lui ed è sempre lo stesso filone. Prima costante, il titolo. Nel primo romanzo veniva da una canzone ironicamente citata di John Lydon, che seguiva tutto l’assunto del testo, dove il nostro Carlo aveva successo cercando di fuggirlo. Ora, visto che Carlo (ed Alessandro, I suppose) è un dylaniano duro e puro, passiamo ad una citazione diretta dall’ultima traccia del disco “Street Legal” del ’78. Uno dei dischi più contestati all’epoca, pieno di arrangiamenti molto pop-rock, e di frasi al limite del maschilismo. Non in questa, che riporto in fondo, ma, ad esempio, nella prima traccia del Lato B “Is Your Love in Vain?” dove Bob canta “Sai cucinare, sai cucire?”. Tuttavia, questa ricerca, da parte di Carlo, della donna che dia un senso alla sua vita, è legata all’incontro con la sudamericana Maria. Con la quale nasce una travolgente storia, ma che, per tutta una serie complicata di motivi, sarà interrotto perché Maria dovrà tornare al paese natio. Carlo finisce aspettandola e noi aspettiamo le prossime puntate per saperne di più. Ma questa è sola una storia su cui torneremo, bella, ma di contorno, ai due rami principali. Secondo costante, la presenza assidua di alcuni personaggi. Oltre a Carlo l’eroe, l’amico risolvo-tutto-io, forse investigatore, Oscar. E come contraltare, il vice sovraintendente Ghezzi, sempre pronto ad agire sotto copertura. Ma sempre altrettanto pronto a non cadere nelle trappole delle facili inchieste. Ed anche pronto a capire che, come al solito, Carlo con il morto c’entra poco. Nonché la Moldava Katrina, donna tuttofare del nostro, colf, portiera e fan sfegata della Madonna di Medjugorje. Peccato manchi Nadia, che aveva fatto una sua buona figura nel primo libro. Ma torniamo alla trama, ed ai suoi due filoni principali. Questa volta, le vicende di Carlo come scrittore di programmi TV trash è solo di fondo, che in primo piano vengono modi ed atteggiamenti della Milano “da bere” in vista degli eventi dell’Expò ’15. Nonché, secondo filone, la Milano degli immigrati, quella di Corvetto intorno a Corso Lodi. La prima è quella dello spunto “giallo”. Un giapponese, sosia di un’archistar nipponica, viene prima malmenato e poi, incidentalmente ucciso da qualcuno, tal Matteo, che cercava di recuperare dati sensibili relativi a tangenti di grandi ditte. Peccato che Hideki vada a morire proprio dal nostro Carlo, che si vede costretto a darsi alla “macchia”. Dove se no a Corvetto, dietro le dritte dell’amico-socio Oscar, trovandosi per lungo tempo a frequentare la casa di un fuoriuscito cubano, El Papa, uno “che aggiusta”, e della sua donna Carmen. La vicenda nipponica era legata proprio alla somiglianza di Hideki con un famoso architetto. Ed alcuni gruppi di “resistenza urbana” volevano sfruttare la somiglianza per fare una conferenza in cui sputtanare le modalità repressive dell’architettura moderna. Ovviamente proprio in un evento dell’Expò. Mentre Matteo, dopo le vicende che portano alla morte del nippo, si mette in caccia di Carlo, supponendo (ed a ragione) che questi abbia i file incriminati, il nostro eroe sodalizza con El Papa e con Carmen, nonché con tutta la comunità latino-americana senza permesso di soggiorno. Questa è la parte meglio trattata da Robecchi: vita quotidiana dei ricercanti permessi, soprusi che subiscono, impossibilità di ribellione, e via reprimendo. In questa comunità, poi, il nostro “si illumina di immenso” quando conosce, frequenta ed anche qualche cosa in più, la bella Maria. Tralascio tutta una serie di inutili passaggi, che tuttavia Robecchi riesce a vitalizzare con quegli intarsi di battute “alla Crozza” che ci avevano fatto piacere nel primo romanzo. Alla fine, sarà proprio l’astuto Ghezzi che mette fine alla carriera del Matteo, anche se questi era ben coadiuvato dai Servizi Segreti. Che cercano, ed in parte riescono, a coprire alcune scomode verità. Ma una trentina di immigrati avranno il permesso di soggiorno, Carlo ne uscirà bene ed alla grande, Matteo entrerà invece in prigione. Rimane solo il dubbio di che fine faccia un personaggio laterale, di soprannome Manco, come l’eroe di Machu Picchu, che ad un certo punto scompare insalutato ospite. Insomma, non più una sorpresa, ma di certo un riaffermarsi di solide dote di scrittura e di coinvolgimento. Con quelle punte di comicità e di realismo che ne fanno un prodotto attuale e godibile. Vedremo cosa scriverà di altro, che i “serial writer” hanno forse una vita più semplice di altri scrittori, dovendo solo, se riesce, seguire il solco di un successo bene o male avviato. Fino magari ad incappare in un passo falso, come il Bob Dylan della canzone del titolo. Scusate, un inciso finale: dove erano finiti i file nascosti si capiva da subito. Solo Carlo, Ghezzi e Robecchi ci fanno aspettare 300 pagine per capirlo anche loro.
“La capacità di alcuni di vagare in uno spazio sconosciuto con un bicchiere in mano parlando indifferentemente di nulla e di tutto, ascoltando nulla e tutto come se fosse la cosa più naturale del mondo, lo affascina.” (16)
“But without you it just doesn’t seem right / Oh, where are you tonight?” [canzone di Bob Dylan; Ma senza di te tutto questo non ha senso / oh, dove sei stanotte?] (345)
Autori Vari “Viaggiare in giallo” Sellerio s.p. (regalo di Bene & Fra)
[A: 07/05/2017– I: 07/04/2014 – T: 18/05/2017] - &&& e ½
[tit. or.: originale (eccetto quello indicato); ling. or.: italiano (+ spagnolo); pagine: 302; anno 2017]
Continuo, nonostante tutto, a non essere attratto dai racconti, anche se riconosco che, a volte, possono condensare in poche pagine qualcosa che, allungato, probabilmente non ha lo stesso sapore. Tuttavia ho letto con piacere questo libro genetliaco, per una doppia motivazione. Un regalo ricevuto da persone cui voglio bene è sempre un regalo gradito, sia che incontri i miei gusti o meno. La seconda ragione è incontrare, cinque volte su sei, personaggi cui sono aduso da tempo, e cui, con tutti i distinguo che le evoluzioni della scrittura comportano, sono legato da affetto. Tanto che cerco sempre di acquistarne, una volta ricevute notizie di nuove uscite. E qui allora ritroviamo Rocco Schiavone e le sue intemperie, i personaggi di Ringhiera, il “barrista” Massimo ed i vecchietti del BarLume, Carlo Monterossi ed il suo amico Oscar, nonché, dulcis in fundo, Petra ed il suo aiutante Garzon. Il sesto, che non conoscevo, esce dalla penna di uno scrittore che ho visto nelle vetrine Sellerio, ma di cui non ho ancora traccia nelle mie letture. Certo, le rese non sono eclatanti, certo non possiamo dire che narriamo di racconti imperdibili. Tuttavia sono anch’essi frutto, come graziosamente mi hanno dedicato in esergo, di una duplice passione: i viaggi ed i libri gialli. Già questo li fa salire di tono. Anche se poi i viaggi, come vedremo, hanno diverse tonalità. Dal treno di Manzini ai molti mezzi usati da Recami, dalla nave di Malvaldi all’aereo di Savatteri, dall’auto di Robecchi al pullman di Alicia (che chiamo per nome in quanto unica donna e dal cognome complicato). Personalmente, in ogni caso, è una lettura che ho gradito, pur riconoscendone, come altri meglio di me hanno scritto, limiti e svogliatezze. In ogni caso, al cuor non si comanda.
Antonio Manzini “Senza fermate intermedie”
Qui troviamo Rocco che, per sfuggire a tedioso commemorazioni, decide di fare un breve salto nella “sua” Roma, anche se per una riunione condominiale. Non ci perdiamo le colorite uscite del nostro, anche se, nel Frecciarossa, non si fuma. Soprattutto se, da Milano a Roma, non si fanno fermate. Ma Rocco ha modo di trovarsi all’interno di un piccolo furto (o grande, dipende dai gusti). Forse inspiegabile, ma che si ripete spesso, come ripete più volte il personale delle ferrovie. Facendo un rapido confronto con i tabulati delle persone, con i posti delle stesse, e con l’inopinato fuori uso delle toilette (endemico problema dei treni), il caso è presto risolto. Con Rocco che, finalmente, potrà farsi una passeggiata nelle vie della città che mai non dimentica. Veloce ed indolore.
Francesco Recami “Il testimone”
Il divertimento di questo divertente brano è tutto negli occhi del piccolo Enrico, nipote del per me ormai famoso ex-tappezziere ed investigatore privato. Qui, per pura sfortuna, ci troviamo all’episodio successivo rispetto ad alcuni romanzi di Recami, per cui, probabilmente, leggendone avremo sensazioni di dejà vu. Ma lo stupore di Enrico nel Frecciarossa (ancora treni, eh!) che sfreccia a trecento chilometri l’ora, nel lento traghetto, nel motoscafo, nonché (sorprendentemente) nell’elicottero della polizia è trattato con geniale efficacia. Perché poi Enrico faccia questi trasbordi lo lascio alla lettura, come alla lettura lascio il piccolo erotico mistero della morte nella toilette (ancora toilette ed ancora treni…). È una parte in inciso, che toglie poco agli occhi sgranati di Enrico. Impagabili.
Marco Malvaldi “In crociera col Cinghiale”
Qui il mistero è ben poca cosa, anche se congeniato decentemente: rapina nelle ville della Pineta di nostra conoscenza, ai danni di gente in crociera. E non è la prima volta (sembra quasi un replay di Manzini). Appurato quindi che Alice, il commissario che si accompagna con Massimo, non ha l’autorità di indagare su una nave, sarà lo stesso Massimo che si imbarca per una crociera. Il contorno goliardico lo lascio a chi si vuole dilettare degli spunti scurril-toscani di Malvaldi. La soluzione arriverà coniugando gli sforzi e scoprendo che, dell’allegra compagnia, non viene rapinato chi lascia le chiavi sotto il vaso in giardino. Tecnologico al massimo, e non vi dico perché.
Gaetano Savatteri “La segreta alchimia”
Questa è la new entry. Conosciamo Saverio, il “disoccupato d’oro”, la sua corte di svitati siciliani di San Vito lo Capo, la sua dolce metà lontana Suleima. E ci immergiamo in una fantastica escursione nella Praga kafkiana. Con voli Ryanair (stranamente puntuali), signorine di bell’aspetto, segreti industriali. Ma soprattutto Saverio, la sua souplesse, il suo modo di vedere la città cui da tanto ormai si manca, il suo stare con Suleima. Beandoci alle improvvide uscite del suo amico Peppe (l’infradito per Mala Strana è da ricordi ancestrali). L’intrigo qui è veramente poco significativo, se non per qualche risvolto da spionaggio internazionale. Ma il personaggio intriga. Se ne leggerà di più.
Alessandro Robecchi “Killer (La gita in Brianza)”
Questa volta, il nostro Carlo non si immerge in morti ed altre truculenze cui i primi libri mi hanno abituato, ma è coinvolto dall’amico Oscar nella ricerca di un cane nano di nome Killer, rapito ad una bonazza, tipo escort di un grande industriale (o banchiere o simile). La storia si complica solo perché, più che il cane si deve andare alla ricerca del collare dello stesso, un Löwenstein tempestato di diamanti da quasi 200 mila euro. Oscar, al solito, fa presto a scoprire ladro, motivi e proporre soluzione che accontenta tutti. Ma tutte le poche pagine sono solo percorse dall’andar su e giù per la Brianza, tra paesini dai nomi impronunciabili (per noi sudisti), osterie che comunque ci attirano. Giallo poco, mangiato abbastanza. Un rito di passaggio.
Alicia Giménez-Bartlett “Un vero e proprio viaggio” [tit. or. Un auténtico viaje; anno 2017]
Questo invece è forse il più giallo ed il meno viaggiante. Una studentessa torna a casa da Barcellona a Girona, e lì trova nella valigia un cadavere. Alicia è al solito più incisiva degli altri sul versante giallo (questione di passati libri memorabilmente scritti), anche se, da qualche inchiesta in qua, si fa prevedibile. Dalla terza pagina immagino che il padre della ragazza, non so per quale ragione, abbia le mani in pasta. Interrogatori, pedinamenti di un immigrato dell’est misteriosamente scomparso, cocaina che compare. Insomma, tutti gli ingredienti di un giallo. Che però non ha la forza né delle soste in trattoria che il grande Garzon impone alla riluttante Petra, né delle descrizioni dell’evolversi della famiglia allargata di Petra. Anzi, questa, al solito, mi risulta di più divertente approccio, con quella frase finale che riporto e che sottolineo. Andante.
“Il bello di un viaggio non è dove si va ma come lo si fa.” (275)
“Se una persona ragionevole … era capace di dire una sciocchezza pur di non vedermi soffrire, forse non mi restituiva la fiducia nelle mie capacità, ma di sicuro mi dimostrava un amore sincero.” (289)
Andrea Vitali & Massimo Picozzi “La ruga del cretino” Repubblica Noir 7 euro 7,90
[A: 01/09/2015 – I: 20/05/2017 – T: 22/05/2017] - & e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 350; anno 2015]
Dato che ormai sapete quanto mi sia interessato, e quanto abbia letto, del dottore-scrittore di Bellano, non certo susciterà meraviglia il fatto che possa criticare questo libro, uscito un paio di anni fa con tanto clamore. Credo scalò anche le vette delle vendite. Ma credo anche per poco. Che alla fine dei conti risulta essere, nonostante l’aiuto dell’ottimo Picozzi, un libro molto debole e confusionario. Fin dal titolo, che fa obliquo riferimento alla fisiognomica lombrosiana (che in qualche modo potrebbe entrare nel discorso come vedremo più avanti), ma che viene liquidato in un capitolo, con un esempio pratico appunto della stupidità di qualcuno. Stupidità che però, pur presente a vario titolo in vari personaggi, rimane isolata in quel capitolo. Tanto che personalmente, non ho proprio capito perché se ne faccia una sineddoche. Vitali è maestro nell’entrare nel sentimento minuto popolare, nel descrivere le vicende quotidiane del suo borgo e dei suoi abitanti dai nomi sempre improbabili. Non regge però se cerca di allargare troppo il tiro della sua scrittura. Qui con due elementi non consoni alla sua indole, anche se, credo, supportati dalla conoscenza e dalle doti di analista del crimine di Picozzi. Il quale ben aveva fatto, a suo tempo, nel sodalizio con Lucarelli, ma che, innestando le sue idee sulla scrittura di Vitali, se ne esce con un lungo romanzo un po’ sconclusionato. La parte Vitali è del suo semplice: Bellano, paesini intorno al lago, Villa Alba, Lezzeno, il prevosto, gli aiuti di sagrestia, le sempre complicate vicende della vita paesana, tra aiuti e sgarbi. C’è appunto la Serpe, donna che aiuta la canonica, con l’ultima figlia, la Birce, che, oltre ad una voglia bluastra in faccia, ogni tanto si assenta. C’è la signora della Villa, lì confinata in quanto amante di un uomo sposato, e necessitante aiuto domestico, che troverà nella Birce. Anche se questa, con le sue uscite di testa, sarà forse più peso che aiuto. Ci sono le donne di paese che vogliono scalzare la Serpe dal suo ruolo. E tanti piccoli intrighi. Questo è il mondo di Vitali, e questo, seppur con le sue lentezze degli ultimi tempi, si dipana abbastanza gradevolmente. Anche non sfruttando il tempo della vicenda, che si svolge nell’agosto del 1893. Periodi in genere forieri di belle storie nel mondo bellanese. Gli innesti suggeriti dal Picozzi sono in primis la vicenda degli ultimi anni della luminosa carriera di Cesare Lombroso. Il grande criminologo, nell’autunno della sua vita, si mette a percorrere una china difficile, abbindolato dalle magie di spiritisti ed altri alienisti. In particolare della truffaldina Eusapia Palladino, tra l’altro amica della donna di Villa Alba. Ora, la storia di Lombroso, stranamente, è veritiera, e ricalca quanto se ne può ricavare dalle varie biografie sparse qua e là. Compresa la “vicenda Palladino”. Su questa già difficile china, altro elemento spurio è la presenza di una serie di donne uccise senza ragione apparente. E noi sappiamo bene che un serial killer che uccide senza “metodo” è praticamente impossibile da smascherare. Qui, poi, il killer uccide le donne, con uno strano strumento di cui capirà la natura solo l’assistente di Lombroso, solo per dimostrare che per l’appunto il criminologo non ha le doti di preveggenza che vanta di avere. E che anche le sue teorie criminologiche sono “aria fritta”. Così invia un messaggio criptico-matematico, su cui tornerò poi, a Lombroso. E comincia ad uccidere donne casuali, solo perché ne ha l’occasione, lasciando loro in mano una copia dello stesso messaggio. Per una serie di circostanze, tutte fortuite poi, i personaggi convergono su Villa Alba. Eusapia per riposarsi da un tour in Svizzera, un giornalista perché la vuole intervistare, un amico del giornalista perché vuole incontrare Lombroso, Lombroso stesso perché ha bisogno dei consigli di Eusapia su questi strani messaggi, nonché (ma noi lo si capisce ben presto) l’assassino per motivi suoi che non entrano poi nel merito del filone principale del racconto. Con la solita cadenza di brevi capitoli, Vitali cerca di congiungere i vari pezzi, culminando in una seduta spiritica dove la Birce dà sfoggio di poter non razionalizzabili. Ma tutto scorre senza una vera presa sul lettore, che poco partecipa ad ogni cosa. Gli alienisti sembra abbiano qualche freccia al loro arco, e questo va contro il nostro intelletto normale. Lombroso sembra spaesato e senza nerbo, aiutato solo da lontano dalla figlia Gina, l’unica che sembra avere la testa sulle spalle. E l’assassino verrà scoperto e messo in condizioni da non nuocere anche lui in maniera quasi casuale. Ne gioverà, forse, il giornalista con un articolo. Ne gioverà l’amico dottore, che si innamora perdutamente di Birce. Gli altri avranno poco peso e poco spazio. Tutto è molto confuso, questa volta proprio perché i brevi capitoli alla Vitali non riescono a spiegare tutto. Neanche nelle solite fasi finali, in cui l’autore era aduso tirare le fila. Certo, le cose finiscono, ma a noi rimane il gusto di un caffè scaldato male. Ben altri risultati, ad esempio, ottiene Malvaldi quando innesta nelle sue storie personaggi storici, come Pellegrino Artusi o Ernesto Ragazzoni. Sono rimasto molto deluso. Delusione poi colmata nell’equazione finale. Il famoso messaggio criptico, che nessun conoscente o docente amico di Lombroso, riesce a decifrare, è contenuto nella seguente equazione: x’(t)=Ax(t)-Bx(t)y(t). Questa è la prima parte del sistema di equazioni di Lotka-Volterra per descrivere l’interazione preda-predatori; in particolare il termine riportato descrive il tasso di crescita delle prede. Purtroppo la scoperta dei due esimi matematici avviene solo nel 1925, mentre, come detto, il libro si svolge nel 1893. Una svista? Un tentativo di descrivere qualcosa come se fosse già analizzata? Certo Volterra già studiava nel 1893 equazioni differenziali ed integrali, ma se vogliamo dare al messaggio dell’assassino il significato appunto di esser lui un predatore in un mondo dove abbondano le prede, credo che gli autori abbiano commesso qualche errore un po’ troppo marchiano. Un già precario equilibrio di scrittura, precipita quindi vieppiù nel basso per errori formali. La matematica non è una scienza con cui si può scherzare.

PS: Mi scuso infine con Picozzi, cui per mezzo di traverse vie avevo fatto pervenire richiesta di delucidazioni e che tramite il prof. Bischi di Urbino mi ha fatto pervenire le seguenti spiegazioni:
"Mi sono preso la libertà di anticiparla di tre decenni, e di sfruttarla per l'ambito di applicazione predatore-preda. Senza essere troppo originale, abbiamo deciso di creare una figura simile al professor Moriarty da contrapporre a Lombroso (se il Moriarty letterario era un genio della matematica, il Lombroso reale era totalmente negato per la disciplina). Volterra è stato d'ispirazione anche perché nell'anno in cui abbiamo ambientato la storia (1893) era appena passato da Pisa a Torino, sede della cattedra del Lombroso."
Quindi, come mi aspettavo, la soluzione giusta era la seconda: una scelta, discutibile, forse, ma spiegabile come ha ben fatto l’autore.
Come detto, inizio di ottobre, quindi una ripassata alla quindicina di libri letti nel luglio omanita. Illuminati da due belle letture, quella recente di Gary Shteyngart e quella datata ma molto ben costruita di Zora Neale Hurston (due libri che mi sento di consigliere assolutamente). Ed un mese di letture in cui le scelte del Corriere della Sera sulla selezione di gialli anglosassoni continuano a non convincermi.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Ian Rankin
Corpi nella nebbia
Tea
11
3
2
Håkan Nesser
Il caso G
TEA
12
3
3
Gary Shteyngart
Storia d’amore vera e supertriste
Guanda
18,50
4
4
Håkan Nesser
Confessioni di una squartatrice
TEA
10
3
5
Zora Neale Hurston
I loro occhi guardavano Dio
Cargo
17,50
4
6
Clive Cussler & Jack Du Brul
Miraggio
TEA
9,90
2
7
Darwin & Hildegarde Teilhet
Il dardo piumato
Corriere della Sera Gialli
6,90
1
8
Chiara Gamberale
Per dieci minuti
Feltrinelli
9,90
3
9
Massimo Carlotto
La banda degli amanti
E/O
9,50
3
10
Edgar Wallace
Maschera Bianca
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
11
Clive Cussler & Graham Brown
Terremoto
TEA
9
2
12
Marco Vichi
Fantasmi del passato
TEA
10
3
13
Horatio Winslow & Leslie Quirk
Svanito nel nulla
Corriere della Sera Gialli
6,90
1
14
Hunter S. Thompson
Paura e disgusto a Las Vegas
Bompiani
9,90
2
15
Andrea Camilleri
L’altro capo del filo
Sellerio
14
2

Per nostra fortuna, anche se non cantiamo vittoria anzi tempo, sembrano i problemi materni evolversi verso momenti positivi, mentre le vicende zio-nonnesche forse aspettano la luna piena. Allora ci si dedica a tutti i viaggi, avventurosi o meno, che si pensa di fare e di organizzare nei prossimi mesi. Sperando sempre io nel vostro aiuto.

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