domenica 7 gennaio 2018

Giovane anno, giovane lettura - 07 gennaio 2018

Dopo tanto tempo e tante altre letture, ecco che anche questa esimia collana di Repubblica giunge al suo termine di lettura. Una cinquina che inizia in sordina, con un compito “scolastico” dell’altrimenti interessante Pasqualotto. Poi comincia a salire, non a caso con due autori di calibro come Grisham e Pullman. Poi, prima di finire con una chicca del giovane James Bond di Higson, raggiunge un livello veramente interessante con la scrittura di Sergio Rossi. Un inizio di anno (quindi giovane) dedicato a letture per giovani (ma sempre interessanti).
Mario Pasqualotto “L’estate delle falene” Repubblica Noir Junior 4 euro 6,90
[A: 01/09/2015 – I: 18/05/2016 – T: 20/05/2016] - && --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 203; anno 2011]
Siamo subito tornati ad una scrittura poco avvincente, sia per adulti che per adolescenti. Sarà un vizio legato alla professione primaria dell’autore (che è psicolinguista) ma viene troppo suonata la corda del “romanzo a tesi”, per non risultare un po’ stonata (tanto per rimanere in metafora). Non è che la storia in sé non abbia dei passaggi interessanti, ma nel complesso risulta troppo scontata. Le tre tesi principali che Pasqualotto porta avanti sono: la crescita (in particolare la paura di crescere che può attanagliare gli adolescenti, dato che i protagonisti qui hanno sui 14 anni), il rapporto tra i sessi (ovviamente con le schermaglie dei primi amorini), il diverso (che si incentra sul cinesino Ken, e quindi sul rapporto immigrati – stanziali). Ma sono appunto tre tesi, cioè tre compiti scolastici che non si legano in maniera particolare con il tessuto della storia. Che si svolge in Umbria (in un dintorno boschivo di Gualdo Tadino), e ci riporta a passeggiate nei boschi (ma anche alle ischemie paterne). Dove abbiamo gli “eroi” del romanzo: Marco (il punto centrale), Giulia (l’amica di sempre, ma si sta crescendo) e Tommaso (il fratellino di Giulia). Cui si aggiungerà presto il cinesino Ken, immigrato disadattato che vorrebbe tornare in patria. L’attacco del romanzo, e le corde che suonano sin dall’inizio, sono “alla Stephen King”, falene che sbattono sui vetri, angosce notturne e simili ansiosità. I nostri tre amici van per campi, hanno una schermaglia con il diciottenne Toni, lui sì disadattato, che non trova di meglio che uccidere cinghiali anche fuori stagione. Nella sarabanda con i cinghiali i nostri hanno modo di conoscere e di integrare nel loro gruppo Ken, il cinese di poche parole. Qui, forse, gli unici spunti degni di nota, nello scontro, non violento ma fondante, tra le culture. Tra il realismo terreno dei ragazzi umbri ed il mondo di favole e magia di Ken. Mondo che ovviamente coinvolge subito il piccolo Tommaso, ancora reduce dalle favole giovanili. Si va avanti per lunghi tratti senza che da questa falsariga si sviluppi gran che. Una voglia di libertà nei boschi, la costruzione di una capanna, le lanterne colorate di Ken che servono ad inaugurare la capanna, ma anche a liberare il drago delle acque, per far venire la pioggia salutare. Ma d’altra parte quando si avvicina la fine dell’estate è facile scoppino i temporali, e questo passaggio di favola non prende tanto neanche lui. Di lato, abbiamo degli accenni a possibili vicende “gialle”, che una serie di furti si susseguono nelle ville isolate della zona, coinvolgendo il padre di Marco, in quanto guardia forestale. Ma è ovvio, da come si pone il testo, che prima o poi saranno i nostri a scontrarsi con i ladri. Di cui, ed era ovvio fin dalle prime battute, fa parte Toni, che tanto è sbandato. Ma sono anche furti “strani”, furti che depredano oltremodo le ville, anche con piccoli ed inutili vandalismi. Quando i nostri, seguendo tracce strane, arriveranno allo scontro con i cattivi, scopriremo anche il capo della banda, insospettabile ed insospettato. Tanto che neanche si capisce bene perché faccia il ladro. Come se i junior che leggono un romanzo non abbiano bisogno di troppe spiegazioni, basta saltare subito alle conclusioni. Che arrivano di volata, nella veloce, forse anche troppo, parte finale. La banda è smascherata e debellata, tanto serve un happy end in qualche modo. Marco e Giulia scoprono che, crescendo, c’è forse anche qualcosa di più tra di loro (ma va?). Tommaso debella la sua paura di crescere (che poi era anche di Marco e forse anche di Giulia). Ken emigra verso quel di Prato, dove più forte e coesa è la comunità cinese, lasciando il solito buon ricordo ai nostri, sotto forma di amuleti. Che contengono ideogrammi caratteriali, sui quali i giovani rifletteranno. Tuttavia, il linguaggio rimane ad un livello poco convincente, saltando a volte passaggi, tornando su quelle falene che avrebbero dovuto far paura, ma non si capisce per quale motivo. Non ha una grande coerenza alla fine, proprio perché devo dimostrare che crescere è bello, che gli sbandati saranno puniti, che l’altro si deve integrare con noi. Tutti buonisti, troppo buonisti. Rimandato a settembre.
John Grisham “La prima indagine di Theodore Boone” Repubblica Noir Junior 1 euro 6,90
[A: 20/07/2015– I: 23/06/2016 – T: 27/06/2016] - &&& ---
[tit. or.: Theodore Boone Kid Lawyer; ling. or.: inglese; pagine: 238; anno 2010]
Non è il primo libro di questa collana che leggo, e devo dire che, pur con alti e bassi, ne ho letti di migliori. Sia della collana che di Grisham. Certo, è stato fatto uscire come primo per attirare pubblico dalle consuete strategie di marketing. Pur essendo un libro discreto, non ha però le solite attrattive dei libri di Grisham. Un buon racconto, buoni spunti legali (che di certo non possono mancare in uno dei maestri del genere), ed anche un mix capace di attrare i ragazzi alla lettura. Tuttavia rimane irrisolto nel finale, che arriva sì ad uno scioglimento della trama, ma non alla sua completa conclusione. Come se ci si aspettasse subito dei seguiti. Cosa avvenuta puntualmente, tant’è che dal 2010 l’autore ha fatto uscire un libro all’anno dedicato alle peripezie di questo tredicenne in un certo qual modo figlio d’arte: padre avvocato immobiliarista e madre avvocato divorzista. C’è anche un battitore libero, zio Ike, avvocato radiato dall’albo per qualcosa che, ad ora, rimane un po’ avvolto nelle nebbie del mistero. Theo (cosi viene chiamato sempre il “giovane avvocato”) ha anche una grande amica, April, sicuramente innamorata di lui (con la passione dei tredicenni), ma che ovviamente Theo sembra ignorare attratto com’è da Hallie la ragazza più carina della scuola. Cui risolve un piccolo dilemma, e che gli fa subito gli occhi dolci. Perché. Imbevuto com’è delle dottrine familiari, Theo è già un piccolo avvocato, offrendosi come consulente legale sia per i compagni di scuola sia per la segretaria del preside. Riesce così a far evitare uno sfratto, suggerendo di dichiarare bancarotta (potenza delle legislazioni d’oltre oceano). Oppure a svolgere indagine e modalità di avvicinamento al tribunale degli Animali, in modo da recuperare un cane sorpreso senza guinzaglio e trattato da randagio (cosa che ovviamente non è, essendo solo sfuggito di mano). Nella solita routine regolata dalle tabelle di marcia della madre (il martedì si fa questo, il mercoledì tutti al ristorante cinese), Theo trova il modo anche di frequentare assiduamente il Palazzo di Giustizia della fittizia cittadina di Strattenburg, in particolare andando spesso a trovare il giudice Henry Gantry, figura di legislatore integerrimo che Theo prende ad esempio quando pensa di fare il giudice invece che l’avvocato (e non a caso ha un cane di nome “Giudice”). Qui, entriamo nel vivo della famosa prima indagine, come dice il titolo italiano (mentre in inglese si riporta solo il termine “ragazzo avvocato”). Perché Gantry presiede il processo intento ad un golfista, Peter Duffy, accusato dell’omicidio della moglie, morta per strangolamento in uno che sembra un tentativo di rapina andato a male (scompaiono infatti alcuni gioielli dalla villa lussuosa dove abitano i due immersa nel verde che contorna il magnifico campo da golf della cittadina). Non si riesce a trovare prove convincenti contro Duffy, che sembra avviato ad un’assoluzione per mancanza di prove. Ma Theo finisce ben dentro il processo, all’improvviso. Julio, un immigrato regolare che lui aiuta in algebra e che frequenta la sua stessa scuola, gli confessa che suo cugino ha visto tutto. Lavora in nero al campo da golf, ed ha visto chi ha ucciso la signora Duffy. C’è però un problema: Roberto è immigrato clandestinamente, quindi se si presenta alla polizia dovrebbe essere rispedito immediatamente a El Salvador. Qui la situazione si incarta un po’, e sarà il giudice Gantry a trovare una soluzione. Per poi lasciarci tutti un po’ sospesi. Non vi dico né come né perché, ma la fine è la parte che meno mi è piaciuta. Non è, e non poteva essere, il Grisham del “Rapporto Pelican” (che ricordo soprattutto per il film con Julia Roberts, ovvio), ma c’è il messaggio positivo che ci si aspetta di poter dare ai ragazzi: bisogna avere fiducia nella giustizia 8e non è poco, di questi tempi). Sono d’accordo anche con chi ha trovato degno di nota il rapporto di Theo con i suoi compagni di scuola, sempre di aiuto e mai di prevaricazione. Meno convincente è la vita familiare di questa famiglia che, se non fosse per Theo, sembrerebbe più una “Mulino Bianco” con Banderas. Alla fine, una prova dignitosa di un autore che sa usare molte frecce al suo arco polifonico.
“Aveva scelto … anni prima e restava fedele alla squadra con una testardaggine che veniva messe alla prova per tutto il campionato.” (38)
Philip Pullman “Il rubino di fumo” Repubblica Noir Junior 6 euro 6,90
[A: 01/09/2015 – I: 16/10/2016 – T: 17/10/2016] - &&& e ½
[tit. or.: The Ruby in the smoke; ling. or.: inglese; pagine: 267; anno 1985]
Non credo che leggerò mai (non mi interessa particolarmente) la più celebre saga di Philip Pullman (per chi non lo sapesse è “Quelle oscure materie”, una trilogia il cui titolo più celebrato è il primo uscito, “La bussola d’oro”), ma credo che cercherò il secondo libro della serie di Sally Lockhart, di cui ho letto questo Noir Junior, e che, in maniera bislacca, mi ha preso nella sua facile lettura. Facile perché rivolta ad un pubblico giovane, quindi di immediata lettura e semplice ricezione. Pur tuttavia priva di sbavature e, quando fa riferimento a fatti ed accadimenti, precisa e discretamente dettagliata. Tanto che, in un giovane, sarebbe (potrebbe essere) di stimolo per approfondimenti. Qui, ad esempio, volendo essere stimolati, e svolgendosi la vicenda nella Londra del 1872, si può approfondire lo sviluppo della fotografia dalle prime lastre di vetro ai dagherrotipi fino alla stereoscopia, le conseguenze delle guerre dell’oppio (la cui ultima fase avvenne a Canton nel 1860), gli sviluppi delle guerre indiane e delle lotte nei dintorni di Agra fino allo sviluppo della malavita nei dintorni dei dock londinesi. Detto questo contorno, la vicenda si incentra appunto su Veronica “Sally” Lockhart, appena rimasta orfana dopo la morte del padre nel naufragio della Louisiana, una nave commerciale dedita ai trasporti nei mar della Cina, e che Lockhart sr aveva deciso di visitare insospettito dai traffici della sua compagnia di spedizioni (e dai guadagni spropositati rispetto alle commesse). Sally, sedicenne ed autodidatta, avvertita da un misterioso biglietto sgrammatico, comincia a sospettare che ci sia qualcosa di losco. Lei non ha mai conosciuta la madre, è stata cresciuta dal padre, senza troppo riguardo per le scuole (certo non si addicono ad una donna), così che, nulla conosce di storia e filosofia, ma sa far bene di conto e sa sparare con la pistola e cavalcare cavalli. Indagando appunto a seguito del biglietto famoso, si delineano sul campo ben presto due fazioni rivali. I buoni, dalla parte di Sally, che arruolano prima di tutti Jim, il fattorino della ditta del padre, poi la famiglia Garland, composta da Frederick, il fotografo, e Rose, l’attrice, il tutto fare Tremarella (soprannome dovuto all’atteggiamento impaurito dell’ex-galeotto), i gemelli Bedwell, uno marinaio in India, l’altro parroco ad Oxford, nonché la piccola Adelaide. I cattivi, capeggiati dalla micidiale signora Holland, e sostenuti da Selby, il socio disonesto di Lockhart, Hopkins, il ladro di buon cuore, Berry, il gigante astemio. Poi ci sono dalla parte dei buoni, ma defilato, il maggiore Marchbanks. Dalla parte dei cattivi, altrettanto laterale, il capo della triade Ah Ling. Sally, saputa la morte del padre, chiede spiegazioni a Selby, ma viene allontanata. Riesce, con l’aiuto di Jim, a trovare il maggiore che le affida un diario prima di essere ucciso dalla signora Holland. Diario che a Sally ruberà Hopkins, ma che non farà in tempo a consegnare alla signora Holland, venendo a suo volta ucciso. Nel mentre si viene a sapere che il maggiore è in possesso del rubino del maharajah di Agrapur, che lo vuole donare a Sally, ma che non si sa dove sia. Il gemello indiano Bedwell torna per portare notizie della Louisiana, ma viene imprigionato dalla megera, e ridotta a schiavo dell’oppio. Nel frattempo Sally fugge di casa, trovando riparo presso i Garland, dove ha ben presto modo di mettere in luce il suo genio per gli affari e la contabilità, risollevando le sorti dello studio fotografico (e si intravede che comincia ad avere un debole per il bel Frederick). Tentando, insieme al gemello parroco, di salvare il marinaio, anche Sally ha modo di odorare l’oppio. Questo provocherà un insight micidiale, dove alla fine tutto finalmente ha un senso. Marchbanks e Lockhart sono militari in India, dove la Holland è una delle favorite del maharajah. Durante la rivolta di Lucknow, la Holland tradisce l’indiano, ma questi dona il rubino, prima di morire, a Lockhart. Il quale decide di scambiarlo con la figlia di Marchbanks, essendo anche questi uno schiavo dell’oppio. Per salvare i loschi traffici di Selby con le triadi, una volta in India, Ah Ling decide di uccidere Lockhart e di affondare la nave, da dove si salva il marinaio Bedwell, che, prima di morire a sua volta per mano di Ah Ling racconta tutto a Sally. Anche Selby muore, Jim recupera il rubino, e ci sarà una scena madre che coinvolge Sally, Frederick, Rose, la signora Holland e Berry. Alla fine i cattivi hanno la peggio, Sally ed i suoi amici cominceranno a gestire lo studio. Rimane solo il mistero della scomparsa di Adelaide, che probabilmente sarà oggetto della seconda puntata della serie. Che è molto datata invero, essendo stata scritta ben 30 anni fa. Ma la scrittura è ancora fresca, ed ha coinvolto in una lettura divoratrice anche un vecchio incallito come me. E ne leggerò ancora. Se Salgari mi entusiasmava nei mei dodici anni, perché non meravigliarsi ancora, ora che son “canuto e stanco”?
“Sai sempre quello che bisogna fare … Sei fantastica.” (131)
“Se sai fare bene una cosa, devi farla.” (132)
Sergio Rossi “Un lampo nell’ombra” Repubblica Noir Junior 7 euro 6,90
[A: 01/09/2015 – I: 14/01/2017 – T: 16/01/2017] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 316; anno 2013]
Penultima lettura della collana Junior, con un libro che per poco non prendeva un mezzo libro in più. Scritto con buona scelta di linguaggio, ha solo il difetto di affastellare troppi avvenimenti e situazioni, pur convergenti in un disegno unitario. Ma i rivoli si sperdono un po’ e le somme finali nell’ultimo capitolo sono troppo frettolose per tutto quello che si è svolto nelle prime trecento pagine. Un altro appunto ci sarebbe sulla classificazione di “Junior” visto che invece il libro uscì per Feltrinelli nella serie “Kids”, che si rivolge ad un pubblico leggermente più adolescente. Infatti, è una lettura per adolescenti, e, per particolari, descrizioni e situazioni descritte, può essere ben letta da adulti in cerca di un buon thriller storico, con qualche punta “cosy”. Intanto il buon Sergio Rossi (mi permetto di chiamarlo “buon” perché è un Rossi che non si è fatto appiccicare il nome di Mario, ed è un patito/esperto di fumetti come vedremo più avanti) ci immerge nella sua Bologna del 1909. Ed in effetti, tutta la vicenda si svolge tra l’inizio di settembre di quell’anno (ce lo dice lui) e la fine di ottobre (ve lo dico io). In quei primi giorni di settembre due fatti accadono: due persone vengono uccise da uno spietato sicario (un agente di polizia infiltrato ed un facchino di passaggio) ed Enea Rossetti prende servizio nella Regia Polizia Scientifica, guidata in quel di Bologna dal dott. Montanari. Enea, romano, è stato spinto in quel posto dalla mancanza di un padre, dalla voglia di allontanarsi dalla madre e dal datore di lavoro della madre stessa. Che risulta essere Salvatore Ottolenghi, personaggio storico reale, allievo di Lombroso e primo capo della RPS da poco fondata. Peccato che Enea sia più portato a disegnare, anche se questa “mania” può tornare utile ad una polizia che non avendo ancora l’uso di macchine fotografiche e simili aggeggi moderni, doveva fidarsi su ricordi, mentre Enea poteva, quanto meno, fare disegni attendibili. Enea viene subito coinvolto nella grande trama che si sta svolgendo in quei giorni a Bologna, e che noi ricostruiremo nel corso delle pagine dello scritto. Nel mese di ottobre è prevista la visita in Italia dello zar Nicola II (vero) che vuole stringere un patto con l’Italia per limitare l’influenza austriaca nei Balcani (vero). Gli austriaci, con a capo un certo Ostwald (finzione) cercano di organizzare un attentato allo zar facendone ricadere la colpa sugli anarchici (finzione, ma non lontana dal vero). Per questo Ostwald coinvolge Anna Maria Vittoria Caprara, donna altolocata, nella trama, in quanto questa ha un collegamento con gli anarchici locali, guidati, nell’ombra dal libraio Tassoni (finzione). I servizi segreti del Regno guidati da Riccardo Bentivoglio de Lorenzis (finzione) danno un colpo al cerchio ed uno alla botta, cercando di stanare gli anarchici ma di evitare l’attentato. Ostwald coinvolge anche un killer, imboscandolo nel “Collegio di Spagna”, istituzione creata nel 1300 per ospitare spagnoli che studiassero alle Università di Bologna (vero, tanto che nel 1570 ospitò anche un giovane Miguel de Cervantes), dove Montanari aveva inserito il suo uomo fatto poi fuori dal killer. Enea allora vene incaricato di infiltrarsi anche lui, ma, scarso nelle lingue, verrà istruito dalla figlia di de Lorenzis, Elena Grazia Maria Diletta detta Conchita. Conchita ha anche una eminente vocazione all’emancipazione, tanto da essere seguace di Marinetti che l’anno prima aveva redatto il famoso “Manifesto del futurismo”. Ovvio che Enea e Conchita avranno frequenti scontri, tra l’esuberanza della donna e la riflessiva bontà intrinseca di Enea. Ovvio che prima o poi avranno modo di confessarsi il loro amore e di baciarsi (ahi, ahi, non si fa …). Ovvio altresì che il di lei padre veda di cattivo occhio l’amore tra i due, per le differenti provenienze sociali. Ovvio che noi tifiamo per l’amore, anche quando Conchita andrà a studiare a Parigi, dove… Ma torniamo alla trama, tra un sussulto e l’altro, il momento cruciale dovrebbe scattare durante una rappresentazione teatrale futurista, con Conchita in scena, Enea dietro il palco a controllare gli eventi con gli altri poliziotti, ed anarchici e killer mescolati agli spettatori. Ci saranno tumulti, ma ci sarà anche l’agnizione di Enea su chi sia il killer, e prima che questi colpisca Conchita, lo uccide con seti colpi di pistola. La trama è sventata, i cattivi debellati o in fuga, Conchita a Parigi a studiare, ed Enea… Questo non ve lo dico, ma ritorno sull’elemento disegni di Enea, che per migliorare la sua qualità frequenta qualche istituto bolognese di Belle Arti, dove incontra tal Roberto Raviola, gran maestro dei disegni del tempo (personaggio fittizio, ma dove ritroviamo quell’amore per il fumetto di Rossi di cui si diceva, che Roberto Raviola è in realtà il vero nome di un futuro grande maestro del disegno italiano che si firmerà Magnus e darà la luce ad una delle più intriganti serie comiche degli anni Settanta: “Alan Ford ed il Gruppo T.N.T.”). Insomma, tutto bene, scorrevole nel procedere, anche se Rossi adotta un vezzo che a me non piace molto ed usato da molti scrittori moderni: quello di saltabeccare da un punto all’altro della trama, anche da un punto all’altro temporale, modalità che si vuole moderna ma che, se non ben maneggiata, ha il solo risultato di appesantire il modo di leggere e seguire gli avvenimenti. Un’ultima critica formale sulla parte storica. Nel finale de Lorenzis e Montanari disquisiscono sul fatto che il possibile attentato allo zar sia stato stornato anche perché il trattato italo-russo venne firmato a Roma. A quanto risulta dagli archivi e dai documenti storici da me consultati, invece, il trattato fu firmato dove era stato deciso di firmarlo, durante la visita in quel di Piemonte dello zar. Tanto che è passato alla storia come “Accordo di Racconigi” firmato nella residenza privata del re d’Italia il 24 ottobre 1909.
Charlie Higson “Spara o muori – Il giovane (James) Bond” Repubblica Noir Junior 10 euro 6,90
[A: 01/10/2015– I: 29/12/2017 – T: 31/12/2017] - &&&
[tit. or.: Double or die; ling. or.: inglese; pagine: 457; anno 2007]
Finalmente siamo all’ultimo libro di questa serie che, seppur non eccelsa, ha il merito di aver presentato alcuni titoli interessanti. Come Grisham, o il Blomkvist della Lindgren. Qui abbiamo il tentativo di cavalcare l’onda giovanilistica nata in Inghilterra a seguito di Harry Potter, mettendo in luce le avventure di James Bond, al tempo dei suoi studi post-liceali. La Ian Fleming Pubblications (detentrice dei diritti su Bond) decide intorno ad una quindicina di anni fa di affidare la scrittura di alcuni episodi a Charlie Higson, un medio scrittore britannico di juvenilia, più dedito all’orrore che al giallo in realtà. Higson scrive quindi cinque romanzi su Bond, di cui qui, purtroppo, abbiamo già il terzo. Non metto in dubbio che possa essere il migliore (certo non ho letto gli altri) ma trovo poco professionale immettere in una collana un titolo di metà serie, soprattutto senza spiegare che è una serie. In secondo luogo qualcuno dovrebbe spiegarmi l’uso in italiano di questo “Spara o muori” per tradurre un “Double or die” che rimanda ad un “raddoppia o muori” leggermente diverso. Ma soprattutto mi stavo domandando cosa possa entrarci con il contesto del libro dove poco si raddoppia, qualche volta si spara, e spesso qualcuno muore. Il tentativo di Higson, inoltre, è di fare una insalatona mista di alcuni dei maggiori “archetipi” bondiani: un po’ di mistero (vedremo meglio in seguito), qualche macchina (che prelude la Bentley Continental dei romanzi di Fleming), il gioco (qui la roulette), le donne (anche se, essendo giovani non si va al di là di un casto bacio verso la fine). Come detto è il terzo “Young” Bond, quindi sono già state fatte e dette altre cose che qui tralascio. Come detto in “Si vive solo due volte”, Bond è comunque all’inizio del suo secondo anno a Eton, ma qui sorge la prima domanda sulle date. Secondo Fleming Bond nasce nel 1924, ed è nel secondo anno a 17 anni nel 1941, ma qui, per alcune vicende narrate, si evince che non siamo ancora in guerra, cioè dovremmo essere nel 1939. Queste datazioni vanno però in conflitto con altre due indicazioni: alla fine del libro si parla di “dodici anni dopo, alla fine della Guerra”, così che le avventure si dovrebbero collocare intorno al 1934, in contrasto con quanto sopra. Nelle lotte nei cantieri navali si parla della costruzione della “Queen Mary”, nave varata appunto nel 1936. Inoltre Bond incontra varie volte Alan Turing, che avrebbe senso con la datazione ’34, anno della laurea di Turing, ma poco con la costruzione di macchine calcolatrici ante-litteram, visto che la prima finita fu quella denominata “Bomba” effettuata da crittografi polacchi nel 1938, datazione questa più in linea con la cronologia bondiana ufficiale. Ma a quell’epoca Turing era già un matematico di fama. Per tornare, da queste spulciature personali, al corpo del romanzo, proprio a macchine decrittatrici ed all’ambiente matematico ed enigmistico dell’epoca è dedicato il corpo del romanzo. Un professore di Eton, Alexis Fairburn, appassionato di cruciverba, sta per mettere a punto, insieme ad un collega di Cambridge, una macchina da calcolo. Un loro “falso” amico però la vuole vendere ai Sovietici (ad un certo punto compare anche una cattiva russa che ricorda molto quella di “007 Dalla Russia con amore”; inciso personale, il film tratto dal libro fu il primo film a cui mi portò mio padre e rimane tuttora uno dei miei più bei ricordi familiar-cinematografici). I due matematici si oppongono, ed il terzo rapisce Alexis. Il quale riesce però con uno stratagemma ad inviare una lettera cifrata ad un suo allievo indiano, amico di Bond. Sarà la ricerca della chiave degli enigmi della lettera che porterà, anche se in ben 400 pagine, Bond ed i suoi amici a ritrovare Fairburn e sventare il complotto. Il tutto appunto infarcito da inseguimenti, lotta con i due cattivi fratelli Smith, che faranno ovviamente una misera fine, morte del professore di Cambridge, varie fughe di Bond da situazioni pericolose, ed anche da un ospedale. Fino a ritrovare Bond aiutato dalle bande di ragazzini dell’East End londinese, dove ritrova il suo amico Red Kelly (presente in un precedente giovane Bond), nonché la di lui simpatica sorella Kelly (quella del bacio finale, ovvio), che lo aiuteranno nella sarabanda finale. Quella in cui Bond e Kelly salvano Fairburn, Red e Fairburn distruggono la macchina, Bond uccide i due fratelli Smith, ma alla fine lascia fuggire la spia sovietica. Non voglio addentrarmi nel vortice delle vicende rocambolesche che coinvolgono James in questa avventura (che alla fine durerà solo tre giorni), vorrei soltanto sottolineare alcune invenzioni enigmistiche della lettera e dei cruciverba connessi. Nella lettera sono compresi 7 enigmi, la soluzione dei quali porta Bond a ritrovare il professore. Mentre alcuni sono ben descritti, gli ultimi (quello di una poesia e di un falso accenno a Nerone e Cleopatra) vengono dati quasi di passaggio, come se l’autore si fosse un po’ stancato di spiegare tutto. Peccato, che se si parla di 7 problemi, ci devono essere sette soluzioni! La cosa più divertente è invece legata ad una definizione che si dice derivare dal cruciverba del Times. Divertente perché credo abbia coinvolto a lungo la mente del traduttore, dato che l’originale è ovviamente in inglese. L’ottima Raffaella Brignardello ci propone infatti la definizione “VOAU” soluzione con due parole. Ed essendo la definizione una mescola delle lettere che compongono la parola “uova”, la soluzione è “uova strapazzate”. Geniale. Ultimo accenno di non completa accuratezza, quando si parla delle repressioni in Russia. Siamo negli anni ’30 (inizio o fine che siano) ed allora bisogna parlare delle efferatezze della gestione Stalin, mentre il libro parla male solo delle attività di Lenin, all’epoca già abbondantemente morto e sepolto. Nel complesso, tuttavia, nonostante tutte le piccole imprecisioni, un libro piacevole, certamente di gradimento ai patiti bondiani, degna conclusione di una collana dalla riuscita mediamente buona.
Seconda trama del mese, ed allora una bella cura per i miei amici che hanno o avranno ottanta anni, dedicata a Ciccio per un verso (e lui sa perché) e per l’altro a Rosa (che lo capirà).
Sembra che quest’anno, pur così giovane, decolli presto, verso lidi che se non sono interessanti, lo saranno, che se non sono visitati, lo saranno, e che noi andremo a scoprire e scovare, ad uno ad uno. Con la curiosità che, nonostante non siamo ancora carichi d’anni e di sventura, costruisce lo scheletro della nostra ulissiaca vita.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

GENNAIO 2018
Un inizio augurale del nuovo anno dedicato cordialmente al mio amico Franco.

OTTANT’ANNI, AVERE

I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER OTTANTENNI

Alejo Carpentier             “I passi perduti”
Joseph Conrad               “Lord Jim”
Eduardo Galeano            “Memoria del fuoco”
Ernest Hemingway          “Di là dal fiume e tra gli alberi”
Bohumil Hrabal               “Ho servito il re d'Inghilterra”
Yasunari Kawabata         “Il maestro di go”
Pablo Neruda                 “Confesso che ho vissuto”
Ippolito Nievo                “Le confessioni d'un italiano”
Luigi Pintor                    “Servabo”
Goliarda Sapienza           “L'arte della gioia”

Bugiardino

Per una strana coincidenza, a parte il ceco Hrabal che lessi veramente da giovanissimo (e che mi è stato graditamente riportato alla memoria dal mio amico nonché attore Jacob con il suo mirabile spettacolo), di questa serie di libri dedicati ai nostri fratelli maggiori, ho letto con attenzione solo i due italiani, che riporto e commento.
Goliarda Sapienza “L’arte della gioia” Einaudi euro 14,50
[tramata il 30 gennaio 2011]
Mi ha incantato, trascinato, travolto. Un libro come da anni non leggevo. Che è corso via, nonostante quelle 500 pagine che sembravano non finire mai, ma che alla fine ahi quanto poche sono. Ahi perché ci hai lasciato Modesta? Ed un libro che ad ogni momento non mi permetteva di essere indifferente. Ne avevo sentito parlare, ma non avevo voluto sentire. Rosa diceva che è bellissimo, ed io ho preso questo commento e l’ho messo in un cantuccio, che si sa tra attori ci si aiuta. O forse era anche stata sua allieva? Poi alla fine, ho preso in mano questo parallelepipedo di libro e mi son detto, beh mi accompagnerà per tutto il mese. Comincia così la mia lotta con Goliarda. Con quella prima parte, dura, piena di pugni nello stomaco. No, penso non sono convinto. Dov’è ‘sta gioia? Ma la sua scrittura avvince a poco a poco con i suoi fili d’oro. Che gioia, quei dialoghi, quella cascata argentina di parole, di rimandi. E qui si rompe la diga, capisco con lo stomaco che mi ero soffermato troppo. Ed allora, divoro, macino, non perdo una parola. Cerco la pagina seguente e assaporo, disteso e tormentato, le vicende di Mody per tutto il suo Novecento. E di Carmine, di Mattia, di Jacopo, di Bambù, di Joyce, di Nina, di Stella, di nonna Gaia, di, Carlo, di Pietro, e di… Di tutta questa folla che riempie le pagine, che ti entra nella pelle, che non vedevo l’ora di andare a letto, per coricarmici insieme e leggerne ancora. Ora l’ho finito, Modesta mi ha salutato con un ultimo sorriso, lasciandomi contento di averlo letto. E sentendoci tanti echi miei, diretti, personali. Perché parlandoci della storia dei Brandiforti, Goliarda parla a ciascuno che vuole intendere le sue parole, e che da quelle prende quello che vuole. Soprattutto la gioia, pura, argentina, trasparente come il mare della sua Sicilia. La gioia di costruire il proprio destino, di affrontare le vicende della vita per quello che sono, di cadere e poi di rialzarsi. Con la forza di potersi sempre guardare allo specchio senza provare vergogna. La forza di buttare via tutto per non diventarne schiavo, la forza di leggere, la forza di essere l’esempio (non di farlo, esserlo, così se qualcuno ne prenderà bontà lo farà suo). Non voglio entrare nella storia editoriale del libro, che ben è descritta nella prefazione e nella postfazione, se volete cercatela lì. Né voglio entrare nella storia di Goliarda. Quella è storia sua, ed in altri luoghi è scritta e commentata. Voglio tornare ancora al libro. Vorrei non staccarmene, almeno per un altro po’. Seguitare ancora a ripercorrere la lunga vita della Modesta anarchica, dall’impossibile infanzia, dalla presa di coscienza dell’adolescenza, dalla fortunata adozione di fatto, dalla maturità, dalle vicende degli amori, dei dolori, delle nascite, dall’attraversamento del fascismo, dalla lotta, dalla guerra, del dopo-guerra, dalla maturità e dalla re-invenzione della propria vita, dal rapporto con i figli, con i bambini, con gli adulti, con chi ci vuole imporre uno stile di vita. E con l’accettazione dell’altro. Ecco la grande gioia infinta. Non imporre, accettare, e chiedere di essere accettati. E se non succede? Andare avanti, col tono burbero di nonna Gaia, ma la fermezza di Carmine e la leggerezza di Beatrice e la dolcezza di Marco e … Quanti altri personaggi dovrei citare, quanti altri aggettivi dovrei usare. Quanto libro dovrei trascrivere per ricordare tutte queste sensazioni? Al solito, ricordo solo le frasi che galleggiano sul bordo della memoria. E vado a letto, nella stanza in alto al Carmelo, aprendo tutte le tende, che fuori c’è luce. E gioia!
“Zio Jacopo diceva che il lutto è una barbarie … che se si è veramente addolorati lo si porta nel cuore senza bisogno di inutili esibizionismi.” (64)
“Perché non cerchi di pensare anche ai lati positivi di quello che accade? Niente è completamente negativo nella vita.” (98)
“Sono … i vantaggi del viaggiare. Bisogna periodicamente allontanarsi da qualsiasi luogo dove la consuetudine ha ucciso l’obiettività.” (160)
“L’amore si fa in due… Io ti amo … ti amo e ti stimo. Solo che non ci siamo incontrati carnalmente. O forse avevo scambiato il fascino che tu avevi e hai ancora quando parliamo, per amore.” (167)
“Ma non è amore il sesso? L’amore il sesso sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso che cosa è? Una venerazione di statue, di madonne. Il sesso senza l’amore che cos’è? Una battaglia di organi genitali e basta.” (168)
“Tante cose si possono insegnare: andare a cavallo, fare all’amore, ma la propria esperienza a nessuno si può dare. Ognuno la propria, con gli anni, si deve fare, sbagliando e fermandosi, tornando indietro e ricominciando il cammino.” (210)
“Se ci impediscono la libertà di morire, la costrizione di vivere diviene una prigione atroce.” (305)
“Perché non si può essere felici sempre?” (345)
“C’è un limite preciso nell’aiutare gli altri. Oltre quel limite, a molti invisibile, non c’è che volontà di imporre il proprio modo d’essere.” (389)
“Il matrimonio… è un contratto assurdo che umilia l’uomo e la donna insieme. Per me se si incontra un uomo che ci piace lo si ama fino a quando, beh finché dura… E poi ci si lascia, se possibile, da buoni amici.” (399)
“- La giovinezza e la vecchiaia non sono che un’ipotesi. – E che vuol dire? – Vuol dire che anche l’età è quella che ti scegli, che ti convinci di avere.” (435)
“Il giovane serve, produce, sgrava i figli… Ma a quarant’anni, a cinquanta, l’essere umano diventa pericoloso, si pone dubbi, richiede libertà, riposo, gioia.” (481)
Luigi Pintor “Servabo” Bollati Boringhieri s.p. (regalo di Sara e Giampaolo)
[tramata il 29 marzo 2015]
Che bella lettura! Che lezione di civiltà, e ovviamente non mi aspettavo di meno, da una persona che ho comunque incrociato nella mia vita, e che mi è sempre sembrata adatta a sé stessa. Non so se le mie parole rendono quello che sentono verso la figura di Pintor, ma, talvolta, più che la parola stessa, è il senso che ne esce fuori, dal suono, dal modo di esistere lì, in quel momento. Come questo titolo, che ci spiega l’autore vuol dire, principalmente, conserverò. Ma vuole anche dire sarò utile. Utilizzando tutte le accezioni della parola “servo”. E Pintor ci conserva, rendendosi utile a noi, la sua vita in brevi pillole che ne percorrono i momenti che lui stesso ritiene per sé significativi. E lo fa con quel tono di spigliato giornalismo che me lo rese caro nelle letture dei primi anni del “Manifesto”. Come ripeteva, quello che devi dire, lo puoi dire in 40 righe. E se non lo fai capire in 40 righe, forse non è chiaro neanche a te che scrivi. Ed allora di poche righe in poche righe (raramente i capitoli superano le tre o quattro paginette del formato in sedicesimo dell’editore) in quei rapidi quattordici capitoli, scorrono le memorie di questo “servitore” e delle sue vicende di vita. Dalla giovinezza sarda all’adolescenza romana. Dalla lotta partigiana, intrapresa quasi come fosse un gioco, al mestiere di giornalista, quasi che ci si dedicasse per non saper fare altro. Attraversato dalla morte per lo scoppio di una mina del fratello Giaime. Dal matrimonio alla paternità. Dall’impegno sociale sempre presente alle turbe prima per i fatti d’Ungheria del ’56 poi per la primavera di Praga del ’68. La rottura con il Partito e la nascita del Manifesto. Ricominciare tutto di nuovo, diventando lui, che sempre si sente inadeguato, un punto di riferimento dei giovani. E la voglia, “carico d’anni” ma non di sventura, a voler baciare non la sua petrosa Itaca sì come Ulisse, ma questi episodi della propria vita, per tenerli lì accanto, ora che la fine si fa ogni giorno più vicina. Leggo e rileggo queste brevi righe. Ed ogni volta continua a stupirmi la lucidità con cui Pintor diceva tutto, il piacevole e lo spiacevole. Mi viene di ripercorrere quei momenti che per lui furono intensi, formanti, quelli della lotta partigiana, dell’incoscienza dei 18 anni, dove, pur incoscienti, si sente che si sta facendo qualcosa. Ed in quella Roma che lottava, clandestina seppur palese, con tutte quelle coincidenze di vita, di leggerezza, di follia, che ritornano nella mia memoria familiare, che ben si intreccia con i Pintor, i Rodano, i Tatò, e via discorrendo. Mia zia che pedala per il viterbese portando in canna di bicicletta partigiani alla macchia. Mio zio che esce fischiettando da Regina Coeli mentre lo stavano arrestando e lui fa finta di essere lì per caso. Mia madre cui casca la borsa con le armi mentre attraversa Ponte Sisto, ma i militi non se ne accorgono. Ecco che mi è presa la mania del narrare in poche righe, quasi a togliere un po’ di spazio all’autore, che altrimenti lodo troppo. Ma come non pensare a lungo all’ultima frase che riporto sotto. A questo fatto che i libri servano più a che li scrive che a chi li legge. Certo, servono molto allo scrivente che vi riversa le sue gioie e le sue paure. Pur tuttavia basta una persona che per qualche suo personale motivo trova un giovamento anch’esso personale nel leggere queste righe. Ebbene, anche se io autore non lo verrò mai a sapere, basta questo per giustificare la scrittura. Per ringraziare Luigi Pintor di questo piccolo gioiello di parole, che avevamo lasciato più in alto sulla soglia dei momenti duri, ma che termina, così come comincia, nel privato. Con il dolore, pudico eppure immenso, per la morte della moglie. Con il dolore, mai sopito, mai vinto, della morte del fratello Giaime, che pur tuttavia rimarrà stella del suo personale firmamento. Metro sul quale misurare le proprie azioni. Un testamento pesante, che, dal ’43 in poi, l’allora diciottenne Luigi porterà sempre con sé. Ed io ora dico, fortunatamente. Sono contento che sia esistito un “servitore” attento e discreto come Luigi. Una persona eccezionalmente normale, capace di tante cose che ammiro, ed anche di tanti errori. Perché umani siamo, non divini.
“Fu semplicemente una questione di circostanze, alla fine è sempre una questione di circostanze.” (32)
“Non cesserò di pensare che i mondi sono due ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin dentro il cuore dell’uomo. Stare da una parte diventerà più complicato, ma più necessario.” (66)
“Un libro serve a chi lo scrive, raramente a chi lo legge, perciò le biblioteche sono piene di libri inutili.” (89)

Conclusioni

Non so, non entro nell’analisi degli otto libri che non ho (ancora) letto. Questi due meritano tutto il nostro rispetto. Ma non solo per chi ha o avrà tra poco 80 anni. Ma per tutti noi che, come dice Goliarda, pensiamo che non tutto sia negativo nella vita. 

1 commento:

  1. Negli ultimi 2 anni ho cercato l'incantatore di incantesimi buono e genuino per riportare indietro il mio ex amante e anche aiutarmi a vincere alla lotteria, ed è stato un momento difficile per me trovare il posto giusto fino a quando non mi metto in contatto con Il dottor Oseiboh che mi ha dato una potente preghiera e mi ha assicurato che ci vorranno due giorni prima che l'incantesimo sia efficace, incredibile nei due giorni successivi ho ricevuto una chiamata da un numero sconosciuto, quindi ho deciso di scegliere la chiamata la prossima cosa che ho potuto sentire è stata la mia amare la voce che stava supplicando e chiedendomi al telefono che avrei dovuto perdonarla che avrei dovuto dimenticare tutto quello che è successo che non sapeva cosa le era successo, ha promesso di non andarsene per nessun motivo, che le dispiaceva davvero per quello lo ha fatto, sono rimasta così sorpresa perché non ho mai creduto che potesse succedere, così ho accettato le sue scuse la mattina dopo che è venuta a casa mia e mi ha ancora supplicato di perdonarla, le ho detto che è tutto ok che ho L'ho perdonata dal mio cuore, ecco come ricominciato, ora siamo insieme. grazie Dr Oseiboh per averle fatto sapere che ci incontriamo per stare insieme e anche per realizzare i miei sogni. E ha fatto un incantesimo che mi ha fatto vincere la lotteria, per favore se ha bisogno di un corpo. AMORE INCANTESIMO, LOTTERIA, INCANTESIMO DI GRAVIDANZA, DIVORZIO, QUALSIASI CORSO DI FONDAZIONE, INCANTESIMO DI INCENDIO, ARRESTO DEL CASO DI CORTE E VINCI QUALSIASI PROBLEMA DI CORTE, INCANTESIMO DI MORTE, INCANTESIMO DI AFFARI E MOLTE ALTRE INFORMAZIONI DI CUI AVETE BISOGNO. Mandalo via email ora per il tuo aiuto. via e-mail droseiboh12@gmail.com aggiungerlo sulla linea whatsapp o chiamare il numero + 2347017565415.Tutti i ringraziamenti vanno al dottor oseiboh per l'eccessivo lavoro che ha fatto per me ..

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