Dopo tanto tempo e tante altre
letture, ecco che anche questa esimia collana di Repubblica giunge al suo
termine di lettura. Una cinquina che inizia in sordina, con un compito “scolastico”
dell’altrimenti interessante Pasqualotto. Poi comincia a salire, non a caso con
due autori di calibro come Grisham e Pullman. Poi, prima di finire con una
chicca del giovane James Bond di Higson, raggiunge un livello veramente
interessante con la scrittura di Sergio Rossi. Un inizio di anno (quindi
giovane) dedicato a letture per giovani (ma sempre interessanti).
Mario Pasqualotto “L’estate delle falene” Repubblica Noir Junior 4 euro
6,90
[A: 01/09/2015 – I: 18/05/2016 – T: 20/05/2016] - &&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 203;
anno 2011]
Siamo
subito tornati ad una scrittura poco avvincente, sia per adulti che per
adolescenti. Sarà un vizio legato alla professione primaria dell’autore (che è
psicolinguista) ma viene troppo suonata la corda del “romanzo a tesi”, per non
risultare un po’ stonata (tanto per rimanere in metafora). Non è che la storia
in sé non abbia dei passaggi interessanti, ma nel complesso risulta troppo
scontata. Le tre tesi principali che Pasqualotto porta avanti sono: la crescita
(in particolare la paura di crescere che può attanagliare gli adolescenti, dato
che i protagonisti qui hanno sui 14 anni), il rapporto tra i sessi (ovviamente
con le schermaglie dei primi amorini), il diverso (che si incentra sul cinesino
Ken, e quindi sul rapporto immigrati – stanziali). Ma sono appunto tre tesi,
cioè tre compiti scolastici che non si legano in maniera particolare con il
tessuto della storia. Che si svolge in Umbria (in un dintorno boschivo di
Gualdo Tadino), e ci riporta a passeggiate nei boschi (ma anche alle ischemie
paterne). Dove abbiamo gli “eroi” del romanzo: Marco (il punto centrale),
Giulia (l’amica di sempre, ma si sta crescendo) e Tommaso (il fratellino di
Giulia). Cui si aggiungerà presto il cinesino Ken, immigrato disadattato che
vorrebbe tornare in patria. L’attacco del romanzo, e le corde che suonano sin
dall’inizio, sono “alla Stephen King”, falene che sbattono sui vetri, angosce
notturne e simili ansiosità. I nostri tre amici van per campi, hanno una
schermaglia con il diciottenne Toni, lui sì disadattato, che non trova di
meglio che uccidere cinghiali anche fuori stagione. Nella sarabanda con i
cinghiali i nostri hanno modo di conoscere e di integrare nel loro gruppo Ken,
il cinese di poche parole. Qui, forse, gli unici spunti degni di nota, nello
scontro, non violento ma fondante, tra le culture. Tra il realismo terreno dei
ragazzi umbri ed il mondo di favole e magia di Ken. Mondo che ovviamente
coinvolge subito il piccolo Tommaso, ancora reduce dalle favole giovanili. Si
va avanti per lunghi tratti senza che da questa falsariga si sviluppi gran che.
Una voglia di libertà nei boschi, la costruzione di una capanna, le lanterne
colorate di Ken che servono ad inaugurare la capanna, ma anche a liberare il
drago delle acque, per far venire la pioggia salutare. Ma d’altra parte quando
si avvicina la fine dell’estate è facile scoppino i temporali, e questo
passaggio di favola non prende tanto neanche lui. Di lato, abbiamo degli
accenni a possibili vicende “gialle”, che una serie di furti si susseguono
nelle ville isolate della zona, coinvolgendo il padre di Marco, in quanto
guardia forestale. Ma è ovvio, da come si pone il testo, che prima o poi
saranno i nostri a scontrarsi con i ladri. Di cui, ed era ovvio fin dalle prime
battute, fa parte Toni, che tanto è sbandato. Ma sono anche furti “strani”,
furti che depredano oltremodo le ville, anche con piccoli ed inutili
vandalismi. Quando i nostri, seguendo tracce strane, arriveranno allo scontro
con i cattivi, scopriremo anche il capo della banda, insospettabile ed
insospettato. Tanto che neanche si capisce bene perché faccia il ladro. Come se
i junior che leggono un romanzo non abbiano bisogno di troppe spiegazioni,
basta saltare subito alle conclusioni. Che arrivano di volata, nella veloce,
forse anche troppo, parte finale. La banda è smascherata e debellata, tanto
serve un happy end in qualche modo. Marco e Giulia scoprono che, crescendo, c’è
forse anche qualcosa di più tra di loro (ma va?). Tommaso debella la sua paura
di crescere (che poi era anche di Marco e forse anche di Giulia). Ken emigra
verso quel di Prato, dove più forte e coesa è la comunità cinese, lasciando il
solito buon ricordo ai nostri, sotto forma di amuleti. Che contengono
ideogrammi caratteriali, sui quali i giovani rifletteranno. Tuttavia, il
linguaggio rimane ad un livello poco convincente, saltando a volte passaggi,
tornando su quelle falene che avrebbero dovuto far paura, ma non si capisce per
quale motivo. Non ha una grande coerenza alla fine, proprio perché devo
dimostrare che crescere è bello, che gli sbandati saranno puniti, che l’altro
si deve integrare con noi. Tutti buonisti, troppo buonisti. Rimandato a
settembre.
John Grisham “La
prima indagine di Theodore Boone” Repubblica Noir Junior 1 euro 6,90
[A: 20/07/2015– I: 23/06/2016 – T: 27/06/2016]
- &&& ---
[tit. or.: Theodore Boone Kid
Lawyer; ling. or.: inglese; pagine: 238; anno 2010]
Non
è il primo libro di questa collana che leggo, e devo dire che, pur con alti e
bassi, ne ho letti di migliori. Sia della collana che di Grisham. Certo, è
stato fatto uscire come primo per attirare pubblico dalle consuete strategie di
marketing. Pur essendo un libro discreto, non ha però le solite attrattive dei
libri di Grisham. Un buon racconto, buoni spunti legali (che di certo non
possono mancare in uno dei maestri del genere), ed anche un mix capace di
attrare i ragazzi alla lettura. Tuttavia rimane irrisolto nel finale, che
arriva sì ad uno scioglimento della trama, ma non alla sua completa
conclusione. Come se ci si aspettasse subito dei seguiti. Cosa avvenuta
puntualmente, tant’è che dal 2010 l’autore ha fatto uscire un libro all’anno
dedicato alle peripezie di questo tredicenne in un certo qual modo figlio
d’arte: padre avvocato immobiliarista e madre avvocato divorzista. C’è anche un
battitore libero, zio Ike, avvocato radiato dall’albo per qualcosa che, ad ora,
rimane un po’ avvolto nelle nebbie del mistero. Theo (cosi viene chiamato
sempre il “giovane avvocato”) ha anche una grande amica, April, sicuramente
innamorata di lui (con la passione dei tredicenni), ma che ovviamente Theo
sembra ignorare attratto com’è da Hallie la ragazza più carina della scuola.
Cui risolve un piccolo dilemma, e che gli fa subito gli occhi dolci. Perché.
Imbevuto com’è delle dottrine familiari, Theo è già un piccolo avvocato,
offrendosi come consulente legale sia per i compagni di scuola sia per la
segretaria del preside. Riesce così a far evitare uno sfratto, suggerendo di
dichiarare bancarotta (potenza delle legislazioni d’oltre oceano). Oppure a
svolgere indagine e modalità di avvicinamento al tribunale degli Animali, in
modo da recuperare un cane sorpreso senza guinzaglio e trattato da randagio
(cosa che ovviamente non è, essendo solo sfuggito di mano). Nella solita
routine regolata dalle tabelle di marcia della madre (il martedì si fa questo,
il mercoledì tutti al ristorante cinese), Theo trova il modo anche di
frequentare assiduamente il Palazzo di Giustizia della fittizia cittadina di
Strattenburg, in particolare andando spesso a trovare il giudice Henry Gantry,
figura di legislatore integerrimo che Theo prende ad esempio quando pensa di
fare il giudice invece che l’avvocato (e non a caso ha un cane di nome
“Giudice”). Qui, entriamo nel vivo della famosa prima indagine, come dice il
titolo italiano (mentre in inglese si riporta solo il termine “ragazzo
avvocato”). Perché Gantry presiede il processo intento ad un golfista, Peter
Duffy, accusato dell’omicidio della moglie, morta per strangolamento in uno che
sembra un tentativo di rapina andato a male (scompaiono infatti alcuni gioielli
dalla villa lussuosa dove abitano i due immersa nel verde che contorna il
magnifico campo da golf della cittadina). Non si riesce a trovare prove
convincenti contro Duffy, che sembra avviato ad un’assoluzione per mancanza di
prove. Ma Theo finisce ben dentro il processo, all’improvviso. Julio, un
immigrato regolare che lui aiuta in algebra e che frequenta la sua stessa
scuola, gli confessa che suo cugino ha visto tutto. Lavora in nero al campo da
golf, ed ha visto chi ha ucciso la signora Duffy. C’è però un problema: Roberto
è immigrato clandestinamente, quindi se si presenta alla polizia dovrebbe
essere rispedito immediatamente a El Salvador. Qui la situazione si incarta un
po’, e sarà il giudice Gantry a trovare una soluzione. Per poi lasciarci tutti
un po’ sospesi. Non vi dico né come né perché, ma la fine è la parte che meno
mi è piaciuta. Non è, e non poteva essere, il Grisham del “Rapporto Pelican”
(che ricordo soprattutto per il film con Julia Roberts, ovvio), ma c’è il
messaggio positivo che ci si aspetta di poter dare ai ragazzi: bisogna avere
fiducia nella giustizia 8e non è poco, di questi tempi). Sono d’accordo anche
con chi ha trovato degno di nota il rapporto di Theo con i suoi compagni di
scuola, sempre di aiuto e mai di prevaricazione. Meno convincente è la vita
familiare di questa famiglia che, se non fosse per Theo, sembrerebbe più una
“Mulino Bianco” con Banderas. Alla fine, una prova dignitosa di un autore che
sa usare molte frecce al suo arco polifonico.
“Aveva scelto … anni prima e restava fedele
alla squadra con una testardaggine che veniva messe alla prova per tutto il
campionato.” (38)
Philip Pullman “Il rubino di fumo” Repubblica Noir Junior 6 euro 6,90
[A: 01/09/2015 – I:
16/10/2016 – T: 17/10/2016] - &&& e ½
[tit. or.: The Ruby in the smoke; ling. or.: inglese; pagine: 267; anno 1985]
Non
credo che leggerò mai (non mi interessa particolarmente) la più celebre saga di
Philip Pullman (per chi non lo sapesse è “Quelle oscure materie”, una trilogia
il cui titolo più celebrato è il primo uscito, “La bussola d’oro”), ma credo
che cercherò il secondo libro della serie di Sally Lockhart, di cui ho letto
questo Noir Junior, e che, in maniera bislacca, mi ha preso nella sua facile
lettura. Facile perché rivolta ad un pubblico giovane, quindi di immediata
lettura e semplice ricezione. Pur tuttavia priva di sbavature e, quando fa
riferimento a fatti ed accadimenti, precisa e discretamente dettagliata. Tanto
che, in un giovane, sarebbe (potrebbe essere) di stimolo per approfondimenti.
Qui, ad esempio, volendo essere stimolati, e svolgendosi la vicenda nella
Londra del 1872, si può approfondire lo sviluppo della fotografia dalle prime
lastre di vetro ai dagherrotipi fino alla stereoscopia, le conseguenze delle
guerre dell’oppio (la cui ultima fase avvenne a Canton nel 1860), gli sviluppi
delle guerre indiane e delle lotte nei dintorni di Agra fino allo sviluppo
della malavita nei dintorni dei dock londinesi. Detto questo contorno, la
vicenda si incentra appunto su Veronica “Sally” Lockhart, appena rimasta orfana
dopo la morte del padre nel naufragio della Louisiana, una nave commerciale
dedita ai trasporti nei mar della Cina, e che Lockhart sr aveva deciso di
visitare insospettito dai traffici della sua compagnia di spedizioni (e dai guadagni
spropositati rispetto alle commesse). Sally, sedicenne ed autodidatta,
avvertita da un misterioso biglietto sgrammatico, comincia a sospettare che ci
sia qualcosa di losco. Lei non ha mai conosciuta la madre, è stata cresciuta
dal padre, senza troppo riguardo per le scuole (certo non si addicono ad una
donna), così che, nulla conosce di storia e filosofia, ma sa far bene di conto
e sa sparare con la pistola e cavalcare cavalli. Indagando appunto a seguito
del biglietto famoso, si delineano sul campo ben presto due fazioni rivali. I
buoni, dalla parte di Sally, che arruolano prima di tutti Jim, il fattorino
della ditta del padre, poi la famiglia Garland, composta da Frederick, il
fotografo, e Rose, l’attrice, il tutto fare Tremarella (soprannome dovuto
all’atteggiamento impaurito dell’ex-galeotto), i gemelli Bedwell, uno marinaio
in India, l’altro parroco ad Oxford, nonché la piccola Adelaide. I cattivi,
capeggiati dalla micidiale signora Holland, e sostenuti da Selby, il socio
disonesto di Lockhart, Hopkins, il ladro di buon cuore, Berry, il gigante
astemio. Poi ci sono dalla parte dei buoni, ma defilato, il maggiore
Marchbanks. Dalla parte dei cattivi, altrettanto laterale, il capo della triade
Ah Ling. Sally, saputa la morte del padre, chiede spiegazioni a Selby, ma viene
allontanata. Riesce, con l’aiuto di Jim, a trovare il maggiore che le affida un
diario prima di essere ucciso dalla signora Holland. Diario che a Sally ruberà
Hopkins, ma che non farà in tempo a consegnare alla signora Holland, venendo a
suo volta ucciso. Nel mentre si viene a sapere che il maggiore è in possesso
del rubino del maharajah di Agrapur, che lo vuole donare a Sally, ma che non si
sa dove sia. Il gemello indiano Bedwell torna per portare notizie della
Louisiana, ma viene imprigionato dalla megera, e ridotta a schiavo dell’oppio.
Nel frattempo Sally fugge di casa, trovando riparo presso i Garland, dove ha
ben presto modo di mettere in luce il suo genio per gli affari e la
contabilità, risollevando le sorti dello studio fotografico (e si intravede che
comincia ad avere un debole per il bel Frederick). Tentando, insieme al gemello
parroco, di salvare il marinaio, anche Sally ha modo di odorare l’oppio. Questo
provocherà un insight micidiale, dove alla fine tutto finalmente ha un senso.
Marchbanks e Lockhart sono militari in India, dove la Holland è una delle
favorite del maharajah. Durante la rivolta di Lucknow, la Holland tradisce
l’indiano, ma questi dona il rubino, prima di morire, a Lockhart. Il quale
decide di scambiarlo con la figlia di Marchbanks, essendo anche questi uno
schiavo dell’oppio. Per salvare i loschi traffici di Selby con le triadi, una
volta in India, Ah Ling decide di uccidere Lockhart e di affondare la nave, da
dove si salva il marinaio Bedwell, che, prima di morire a sua volta per mano di
Ah Ling racconta tutto a Sally. Anche Selby muore, Jim recupera il rubino, e ci
sarà una scena madre che coinvolge Sally, Frederick, Rose, la signora Holland e
Berry. Alla fine i cattivi hanno la peggio, Sally ed i suoi amici cominceranno
a gestire lo studio. Rimane solo il mistero della scomparsa di Adelaide, che
probabilmente sarà oggetto della seconda puntata della serie. Che è molto
datata invero, essendo stata scritta ben 30 anni fa. Ma la scrittura è ancora
fresca, ed ha coinvolto in una lettura divoratrice anche un vecchio incallito
come me. E ne leggerò ancora. Se Salgari mi entusiasmava nei mei dodici anni,
perché non meravigliarsi ancora, ora che son “canuto e stanco”?
“Sai sempre quello che bisogna fare … Sei
fantastica.” (131)
“Se sai fare bene una cosa, devi farla.”
(132)
Sergio Rossi “Un lampo nell’ombra” Repubblica Noir Junior 7 euro 6,90
[A: 01/09/2015 – I: 14/01/2017 – T: 16/01/2017] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 316;
anno 2013]
Penultima
lettura della collana Junior, con un libro che per poco non prendeva un mezzo
libro in più. Scritto con buona scelta di linguaggio, ha solo il difetto di
affastellare troppi avvenimenti e situazioni, pur convergenti in un disegno
unitario. Ma i rivoli si sperdono un po’ e le somme finali nell’ultimo capitolo
sono troppo frettolose per tutto quello che si è svolto nelle prime trecento
pagine. Un altro appunto ci sarebbe sulla classificazione di “Junior” visto che
invece il libro uscì per Feltrinelli nella serie “Kids”, che si rivolge ad un
pubblico leggermente più adolescente. Infatti, è una lettura per adolescenti,
e, per particolari, descrizioni e situazioni descritte, può essere ben letta da
adulti in cerca di un buon thriller storico, con qualche punta “cosy”. Intanto
il buon Sergio Rossi (mi permetto di chiamarlo “buon” perché è un Rossi che non
si è fatto appiccicare il nome di Mario, ed è un patito/esperto di fumetti come
vedremo più avanti) ci immerge nella sua Bologna del 1909. Ed in effetti, tutta
la vicenda si svolge tra l’inizio di settembre di quell’anno (ce lo dice lui) e
la fine di ottobre (ve lo dico io). In quei primi giorni di settembre due fatti
accadono: due persone vengono uccise da uno spietato sicario (un agente di
polizia infiltrato ed un facchino di passaggio) ed Enea Rossetti prende
servizio nella Regia Polizia Scientifica, guidata in quel di Bologna dal dott.
Montanari. Enea, romano, è stato spinto in quel posto dalla mancanza di un
padre, dalla voglia di allontanarsi dalla madre e dal datore di lavoro della
madre stessa. Che risulta essere Salvatore Ottolenghi, personaggio storico
reale, allievo di Lombroso e primo capo della RPS da poco fondata. Peccato che
Enea sia più portato a disegnare, anche se questa “mania” può tornare utile ad
una polizia che non avendo ancora l’uso di macchine fotografiche e simili
aggeggi moderni, doveva fidarsi su ricordi, mentre Enea poteva, quanto meno,
fare disegni attendibili. Enea viene subito coinvolto nella grande trama che si
sta svolgendo in quei giorni a Bologna, e che noi ricostruiremo nel corso delle
pagine dello scritto. Nel mese di ottobre è prevista la visita in Italia dello
zar Nicola II (vero) che vuole stringere un patto con l’Italia per limitare
l’influenza austriaca nei Balcani (vero). Gli austriaci, con a capo un certo
Ostwald (finzione) cercano di organizzare un attentato allo zar facendone
ricadere la colpa sugli anarchici (finzione, ma non lontana dal vero). Per
questo Ostwald coinvolge Anna Maria Vittoria Caprara, donna altolocata, nella
trama, in quanto questa ha un collegamento con gli anarchici locali, guidati,
nell’ombra dal libraio Tassoni (finzione). I servizi segreti del Regno guidati
da Riccardo Bentivoglio de Lorenzis (finzione) danno un colpo al cerchio ed uno
alla botta, cercando di stanare gli anarchici ma di evitare l’attentato.
Ostwald coinvolge anche un killer, imboscandolo nel “Collegio di Spagna”,
istituzione creata nel 1300 per ospitare spagnoli che studiassero alle
Università di Bologna (vero, tanto che nel 1570 ospitò anche un giovane Miguel
de Cervantes), dove Montanari aveva inserito il suo uomo fatto poi fuori dal
killer. Enea allora vene incaricato di infiltrarsi anche lui, ma, scarso nelle
lingue, verrà istruito dalla figlia di de Lorenzis, Elena Grazia Maria Diletta
detta Conchita. Conchita ha anche una eminente vocazione all’emancipazione,
tanto da essere seguace di Marinetti che l’anno prima aveva redatto il famoso
“Manifesto del futurismo”. Ovvio che Enea e Conchita avranno frequenti scontri,
tra l’esuberanza della donna e la riflessiva bontà intrinseca di Enea. Ovvio
che prima o poi avranno modo di confessarsi il loro amore e di baciarsi (ahi,
ahi, non si fa …). Ovvio altresì che il di lei padre veda di cattivo occhio
l’amore tra i due, per le differenti provenienze sociali. Ovvio che noi tifiamo
per l’amore, anche quando Conchita andrà a studiare a Parigi, dove… Ma torniamo
alla trama, tra un sussulto e l’altro, il momento cruciale dovrebbe scattare
durante una rappresentazione teatrale futurista, con Conchita in scena, Enea
dietro il palco a controllare gli eventi con gli altri poliziotti, ed anarchici
e killer mescolati agli spettatori. Ci saranno tumulti, ma ci sarà anche
l’agnizione di Enea su chi sia il killer, e prima che questi colpisca Conchita,
lo uccide con seti colpi di pistola. La trama è sventata, i cattivi debellati o
in fuga, Conchita a Parigi a studiare, ed Enea… Questo non ve lo dico, ma
ritorno sull’elemento disegni di Enea, che per migliorare la sua qualità
frequenta qualche istituto bolognese di Belle Arti, dove incontra tal Roberto
Raviola, gran maestro dei disegni del tempo (personaggio fittizio, ma dove
ritroviamo quell’amore per il fumetto di Rossi di cui si diceva, che Roberto
Raviola è in realtà il vero nome di un futuro grande maestro del disegno
italiano che si firmerà Magnus e darà la luce ad una delle più intriganti serie
comiche degli anni Settanta: “Alan Ford ed il Gruppo T.N.T.”). Insomma, tutto
bene, scorrevole nel procedere, anche se Rossi adotta un vezzo che a me non
piace molto ed usato da molti scrittori moderni: quello di saltabeccare da un
punto all’altro della trama, anche da un punto all’altro temporale, modalità
che si vuole moderna ma che, se non ben maneggiata, ha il solo risultato di
appesantire il modo di leggere e seguire gli avvenimenti. Un’ultima critica
formale sulla parte storica. Nel finale de Lorenzis e Montanari disquisiscono
sul fatto che il possibile attentato allo zar sia stato stornato anche perché
il trattato italo-russo venne firmato a Roma. A quanto risulta dagli archivi e
dai documenti storici da me consultati, invece, il trattato fu firmato dove era
stato deciso di firmarlo, durante la visita in quel di Piemonte dello zar.
Tanto che è passato alla storia come “Accordo di Racconigi” firmato nella
residenza privata del re d’Italia il 24 ottobre 1909.
Charlie Higson “Spara
o muori – Il giovane (James) Bond” Repubblica Noir Junior 10 euro 6,90
[A: 01/10/2015– I: 29/12/2017
– T: 31/12/2017] - &&&
[tit. or.: Double or die; ling. or.: inglese; pagine: 457; anno 2007]
Finalmente siamo all’ultimo libro
di questa serie che, seppur non eccelsa, ha il merito di aver presentato alcuni
titoli interessanti. Come Grisham, o il Blomkvist della Lindgren. Qui abbiamo
il tentativo di cavalcare l’onda giovanilistica nata in Inghilterra a seguito
di Harry Potter, mettendo in luce le avventure di James Bond, al tempo dei suoi
studi post-liceali. La Ian Fleming Pubblications (detentrice dei diritti su
Bond) decide intorno ad una quindicina di anni fa di affidare la scrittura di
alcuni episodi a Charlie Higson, un medio scrittore britannico di juvenilia,
più dedito all’orrore che al giallo in realtà. Higson scrive quindi cinque
romanzi su Bond, di cui qui, purtroppo, abbiamo già il terzo. Non metto in
dubbio che possa essere il migliore (certo non ho letto gli altri) ma trovo
poco professionale immettere in una collana un titolo di metà serie,
soprattutto senza spiegare che è una serie. In secondo luogo qualcuno dovrebbe
spiegarmi l’uso in italiano di questo “Spara o muori” per tradurre un “Double
or die” che rimanda ad un “raddoppia o muori” leggermente diverso. Ma
soprattutto mi stavo domandando cosa possa entrarci con il contesto del libro
dove poco si raddoppia, qualche volta si spara, e spesso qualcuno muore. Il
tentativo di Higson, inoltre, è di fare una insalatona mista di alcuni dei
maggiori “archetipi” bondiani: un po’ di mistero (vedremo meglio in seguito),
qualche macchina (che prelude la Bentley Continental dei romanzi di Fleming),
il gioco (qui la roulette), le donne (anche se, essendo giovani non si va al di
là di un casto bacio verso la fine). Come detto è il terzo “Young” Bond, quindi
sono già state fatte e dette altre cose che qui tralascio. Come detto in “Si
vive solo due volte”, Bond è comunque all’inizio del suo secondo anno a Eton,
ma qui sorge la prima domanda sulle date. Secondo Fleming Bond nasce nel 1924,
ed è nel secondo anno a 17 anni nel 1941, ma qui, per alcune vicende narrate,
si evince che non siamo ancora in guerra, cioè dovremmo essere nel 1939. Queste
datazioni vanno però in conflitto con altre due indicazioni: alla fine del
libro si parla di “dodici anni dopo, alla fine della Guerra”, così che le
avventure si dovrebbero collocare intorno al 1934, in contrasto con quanto
sopra. Nelle lotte nei cantieri navali si parla della costruzione della “Queen
Mary”, nave varata appunto nel 1936. Inoltre Bond incontra varie volte Alan
Turing, che avrebbe senso con la datazione ’34, anno della laurea di Turing, ma
poco con la costruzione di macchine calcolatrici ante-litteram, visto che la
prima finita fu quella denominata “Bomba” effettuata da crittografi polacchi
nel 1938, datazione questa più in linea con la cronologia bondiana ufficiale.
Ma a quell’epoca Turing era già un matematico di fama. Per tornare, da queste
spulciature personali, al corpo del romanzo, proprio a macchine decrittatrici
ed all’ambiente matematico ed enigmistico dell’epoca è dedicato il corpo del
romanzo. Un professore di Eton, Alexis Fairburn, appassionato di cruciverba,
sta per mettere a punto, insieme ad un collega di Cambridge, una macchina da
calcolo. Un loro “falso” amico però la vuole vendere ai Sovietici (ad un certo
punto compare anche una cattiva russa che ricorda molto quella di “007 Dalla
Russia con amore”; inciso personale, il film tratto dal libro fu il primo film
a cui mi portò mio padre e rimane tuttora uno dei miei più bei ricordi
familiar-cinematografici). I due matematici si oppongono, ed il terzo rapisce
Alexis. Il quale riesce però con uno stratagemma ad inviare una lettera cifrata
ad un suo allievo indiano, amico di Bond. Sarà la ricerca della chiave degli
enigmi della lettera che porterà, anche se in ben 400 pagine, Bond ed i suoi
amici a ritrovare Fairburn e sventare il complotto. Il tutto appunto infarcito
da inseguimenti, lotta con i due cattivi fratelli Smith, che faranno ovviamente
una misera fine, morte del professore di Cambridge, varie fughe di Bond da
situazioni pericolose, ed anche da un ospedale. Fino a ritrovare Bond aiutato
dalle bande di ragazzini dell’East End londinese, dove ritrova il suo amico Red
Kelly (presente in un precedente giovane Bond), nonché la di lui simpatica
sorella Kelly (quella del bacio finale, ovvio), che lo aiuteranno nella
sarabanda finale. Quella in cui Bond e Kelly salvano Fairburn, Red e Fairburn
distruggono la macchina, Bond uccide i due fratelli Smith, ma alla fine lascia
fuggire la spia sovietica. Non voglio addentrarmi nel vortice delle vicende
rocambolesche che coinvolgono James in questa avventura (che alla fine durerà
solo tre giorni), vorrei soltanto sottolineare alcune invenzioni enigmistiche
della lettera e dei cruciverba connessi. Nella lettera sono compresi 7 enigmi,
la soluzione dei quali porta Bond a ritrovare il professore. Mentre alcuni sono
ben descritti, gli ultimi (quello di una poesia e di un falso accenno a Nerone
e Cleopatra) vengono dati quasi di passaggio, come se l’autore si fosse un po’
stancato di spiegare tutto. Peccato, che se si parla di 7 problemi, ci devono
essere sette soluzioni! La cosa più divertente è invece legata ad una
definizione che si dice derivare dal cruciverba del Times. Divertente perché
credo abbia coinvolto a lungo la mente del traduttore, dato che l’originale è
ovviamente in inglese. L’ottima Raffaella Brignardello ci propone infatti la
definizione “VOAU” soluzione con due parole. Ed essendo la definizione una
mescola delle lettere che compongono la parola “uova”, la soluzione è “uova
strapazzate”. Geniale. Ultimo accenno di non completa accuratezza, quando si
parla delle repressioni in Russia. Siamo negli anni ’30 (inizio o fine che siano)
ed allora bisogna parlare delle efferatezze della gestione Stalin, mentre il
libro parla male solo delle attività di Lenin, all’epoca già abbondantemente
morto e sepolto. Nel complesso, tuttavia, nonostante tutte le piccole
imprecisioni, un libro piacevole, certamente di gradimento ai patiti bondiani,
degna conclusione di una collana dalla riuscita mediamente buona.
Seconda trama del mese, ed allora
una bella cura per i miei amici che hanno o avranno ottanta anni, dedicata a
Ciccio per un verso (e lui sa perché) e per l’altro a Rosa (che lo capirà).
Sembra che quest’anno, pur così
giovane, decolli presto, verso lidi che se non sono interessanti, lo saranno,
che se non sono visitati, lo saranno, e che noi andremo a scoprire e scovare,
ad uno ad uno. Con la curiosità che, nonostante non siamo ancora carichi d’anni
e di sventura, costruisce lo scheletro della nostra ulissiaca vita.
CURARSI CON I LIBRI di
Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
GENNAIO 2018
Un inizio augurale del nuovo anno
dedicato cordialmente al mio amico Franco.
OTTANT’ANNI, AVERE
I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER OTTANTENNI
Alejo
Carpentier “I passi perduti”
Joseph
Conrad “Lord Jim”
Eduardo
Galeano “Memoria del fuoco”
Ernest
Hemingway “Di là dal fiume e tra
gli alberi”
Bohumil
Hrabal “Ho servito il re
d'Inghilterra”
Yasunari
Kawabata “Il maestro di go”
Pablo
Neruda “Confesso che ho
vissuto”
Ippolito
Nievo “Le confessioni d'un
italiano”
Luigi
Pintor “Servabo”
Goliarda
Sapienza “L'arte della gioia”
Bugiardino
Per una strana coincidenza, a
parte il ceco Hrabal che lessi veramente da giovanissimo (e che mi è stato
graditamente riportato alla memoria dal mio amico nonché attore Jacob con il
suo mirabile spettacolo), di questa serie di libri dedicati ai nostri fratelli
maggiori, ho letto con attenzione solo i due italiani, che riporto e commento.
Goliarda Sapienza “L’arte della gioia”
Einaudi euro 14,50
[tramata
il 30 gennaio 2011]
Mi
ha incantato, trascinato, travolto. Un libro come da anni non leggevo. Che è
corso via, nonostante quelle 500 pagine che sembravano non finire mai, ma che
alla fine ahi quanto poche sono. Ahi perché ci hai lasciato Modesta? Ed un
libro che ad ogni momento non mi permetteva di essere indifferente. Ne avevo
sentito parlare, ma non avevo voluto sentire. Rosa diceva che è bellissimo, ed
io ho preso questo commento e l’ho messo in un cantuccio, che si sa tra attori
ci si aiuta. O forse era anche stata sua allieva? Poi alla fine, ho preso in
mano questo parallelepipedo di libro e mi son detto, beh mi accompagnerà per
tutto il mese. Comincia così la mia lotta con Goliarda. Con quella prima parte,
dura, piena di pugni nello stomaco. No, penso non sono convinto. Dov’è ‘sta
gioia? Ma la sua scrittura avvince a poco a poco con i suoi fili d’oro. Che
gioia, quei dialoghi, quella cascata argentina di parole, di rimandi. E qui si
rompe la diga, capisco con lo stomaco che mi ero soffermato troppo. Ed allora,
divoro, macino, non perdo una parola. Cerco la pagina seguente e assaporo,
disteso e tormentato, le vicende di Mody per tutto il suo Novecento. E di
Carmine, di Mattia, di Jacopo, di Bambù, di Joyce, di Nina, di Stella, di nonna
Gaia, di, Carlo, di Pietro, e di… Di tutta questa folla che riempie le pagine,
che ti entra nella pelle, che non vedevo l’ora di andare a letto, per
coricarmici insieme e leggerne ancora. Ora l’ho finito, Modesta mi ha salutato
con un ultimo sorriso, lasciandomi contento di averlo letto. E sentendoci tanti
echi miei, diretti, personali. Perché parlandoci della storia dei Brandiforti, Goliarda
parla a ciascuno che vuole intendere le sue parole, e che da quelle prende
quello che vuole. Soprattutto la gioia, pura, argentina, trasparente come il
mare della sua Sicilia. La gioia di costruire il proprio destino, di affrontare
le vicende della vita per quello che sono, di cadere e poi di rialzarsi. Con la
forza di potersi sempre guardare allo specchio senza provare vergogna. La forza
di buttare via tutto per non diventarne schiavo, la forza di leggere, la forza
di essere l’esempio (non di farlo, esserlo, così se qualcuno ne prenderà bontà
lo farà suo). Non voglio entrare nella storia editoriale del libro, che ben è
descritta nella prefazione e nella postfazione, se volete cercatela lì. Né
voglio entrare nella storia di Goliarda. Quella è storia sua, ed in altri
luoghi è scritta e commentata. Voglio tornare ancora al libro. Vorrei non
staccarmene, almeno per un altro po’. Seguitare ancora a ripercorrere la lunga
vita della Modesta anarchica, dall’impossibile infanzia, dalla presa di
coscienza dell’adolescenza, dalla fortunata adozione di fatto, dalla maturità,
dalle vicende degli amori, dei dolori, delle nascite, dall’attraversamento del
fascismo, dalla lotta, dalla guerra, del dopo-guerra, dalla maturità e dalla
re-invenzione della propria vita, dal rapporto con i figli, con i bambini, con
gli adulti, con chi ci vuole imporre uno stile di vita. E con l’accettazione
dell’altro. Ecco la grande gioia infinta. Non imporre, accettare, e chiedere di
essere accettati. E se non succede? Andare avanti, col tono burbero di nonna
Gaia, ma la fermezza di Carmine e la leggerezza di Beatrice e la dolcezza di
Marco e … Quanti altri personaggi dovrei citare, quanti altri aggettivi dovrei
usare. Quanto libro dovrei trascrivere per ricordare tutte queste sensazioni?
Al solito, ricordo solo le frasi che galleggiano sul bordo della memoria. E
vado a letto, nella stanza in alto al Carmelo, aprendo tutte le tende, che
fuori c’è luce. E gioia!
“Zio Jacopo diceva che il lutto è una
barbarie … che se si è veramente addolorati lo si porta nel cuore senza bisogno
di inutili esibizionismi.” (64)
“Perché non cerchi di pensare anche ai lati
positivi di quello che accade? Niente è completamente negativo nella vita.”
(98)
“Sono … i vantaggi del viaggiare. Bisogna
periodicamente allontanarsi da qualsiasi luogo dove la consuetudine ha ucciso
l’obiettività.” (160)
“L’amore si fa in due… Io ti amo … ti amo e
ti stimo. Solo che non ci siamo incontrati carnalmente. O forse avevo scambiato
il fascino che tu avevi e hai ancora quando parliamo, per amore.” (167)
“Ma non è amore il sesso? L’amore il sesso
sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso che cosa è? Una venerazione di
statue, di madonne. Il sesso senza l’amore che cos’è? Una battaglia di organi
genitali e basta.” (168)
“Tante cose si possono insegnare: andare a
cavallo, fare all’amore, ma la propria esperienza a nessuno si può dare. Ognuno
la propria, con gli anni, si deve fare, sbagliando e fermandosi, tornando
indietro e ricominciando il cammino.” (210)
“Se ci impediscono la libertà di morire, la
costrizione di vivere diviene una prigione atroce.” (305)
“Perché non si può essere felici sempre?”
(345)
“C’è un limite preciso nell’aiutare gli
altri. Oltre quel limite, a molti invisibile, non c’è che volontà di imporre il
proprio modo d’essere.” (389)
“Il matrimonio… è un contratto assurdo che
umilia l’uomo e la donna insieme. Per me se si incontra un uomo che ci piace lo
si ama fino a quando, beh finché dura… E poi ci si lascia, se possibile, da
buoni amici.” (399)
“- La giovinezza e la vecchiaia non sono che
un’ipotesi. – E che vuol dire? – Vuol dire che anche l’età è quella che ti
scegli, che ti convinci di avere.” (435)
“Il giovane serve, produce, sgrava i figli…
Ma a quarant’anni, a cinquanta, l’essere umano diventa pericoloso, si pone
dubbi, richiede libertà, riposo, gioia.” (481)
Luigi Pintor “Servabo” Bollati Boringhieri s.p. (regalo di Sara e
Giampaolo)
[tramata
il 29 marzo 2015]
Che
bella lettura! Che lezione di civiltà, e ovviamente non mi aspettavo di meno,
da una persona che ho comunque incrociato nella mia vita, e che mi è sempre
sembrata adatta a sé stessa. Non so se le mie parole rendono quello che sentono
verso la figura di Pintor, ma, talvolta, più che la parola stessa, è il senso
che ne esce fuori, dal suono, dal modo di esistere lì, in quel momento. Come
questo titolo, che ci spiega l’autore vuol dire, principalmente, conserverò. Ma
vuole anche dire sarò utile. Utilizzando tutte le accezioni della parola
“servo”. E Pintor ci conserva, rendendosi utile a noi, la sua vita in brevi
pillole che ne percorrono i momenti che lui stesso ritiene per sé
significativi. E lo fa con quel tono di spigliato giornalismo che me lo rese
caro nelle letture dei primi anni del “Manifesto”. Come ripeteva, quello che
devi dire, lo puoi dire in 40 righe. E se non lo fai capire in 40 righe, forse
non è chiaro neanche a te che scrivi. Ed allora di poche righe in poche righe (raramente
i capitoli superano le tre o quattro paginette del formato in sedicesimo
dell’editore) in quei rapidi quattordici capitoli, scorrono le memorie di
questo “servitore” e delle sue vicende di vita. Dalla giovinezza sarda
all’adolescenza romana. Dalla lotta partigiana, intrapresa quasi come fosse un
gioco, al mestiere di giornalista, quasi che ci si dedicasse per non saper fare
altro. Attraversato dalla morte per lo scoppio di una mina del fratello Giaime.
Dal matrimonio alla paternità. Dall’impegno sociale sempre presente alle turbe
prima per i fatti d’Ungheria del ’56 poi per la primavera di Praga del ’68. La
rottura con il Partito e la nascita del Manifesto. Ricominciare tutto di nuovo,
diventando lui, che sempre si sente inadeguato, un punto di riferimento dei
giovani. E la voglia, “carico d’anni” ma non di sventura, a voler baciare non
la sua petrosa Itaca sì come Ulisse, ma questi episodi della propria vita, per
tenerli lì accanto, ora che la fine si fa ogni giorno più vicina. Leggo e
rileggo queste brevi righe. Ed ogni volta continua a stupirmi la lucidità con
cui Pintor diceva tutto, il piacevole e lo spiacevole. Mi viene di ripercorrere
quei momenti che per lui furono intensi, formanti, quelli della lotta
partigiana, dell’incoscienza dei 18 anni, dove, pur incoscienti, si sente che
si sta facendo qualcosa. Ed in quella Roma che lottava, clandestina seppur
palese, con tutte quelle coincidenze di vita, di leggerezza, di follia, che
ritornano nella mia memoria familiare, che ben si intreccia con i Pintor, i
Rodano, i Tatò, e via discorrendo. Mia zia che pedala per il viterbese portando
in canna di bicicletta partigiani alla macchia. Mio zio che esce fischiettando
da Regina Coeli mentre lo stavano arrestando e lui fa finta di essere lì per
caso. Mia madre cui casca la borsa con le armi mentre attraversa Ponte Sisto,
ma i militi non se ne accorgono. Ecco che mi è presa la mania del narrare in
poche righe, quasi a togliere un po’ di spazio all’autore, che altrimenti lodo
troppo. Ma come non pensare a lungo all’ultima frase che riporto sotto. A
questo fatto che i libri servano più a che li scrive che a chi li legge. Certo,
servono molto allo scrivente che vi riversa le sue gioie e le sue paure. Pur
tuttavia basta una persona che per qualche suo personale motivo trova un
giovamento anch’esso personale nel leggere queste righe. Ebbene, anche se io
autore non lo verrò mai a sapere, basta questo per giustificare la scrittura.
Per ringraziare Luigi Pintor di questo piccolo gioiello di parole, che avevamo
lasciato più in alto sulla soglia dei momenti duri, ma che termina, così come
comincia, nel privato. Con il dolore, pudico eppure immenso, per la morte della
moglie. Con il dolore, mai sopito, mai vinto, della morte del fratello Giaime,
che pur tuttavia rimarrà stella del suo personale firmamento. Metro sul quale
misurare le proprie azioni. Un testamento pesante, che, dal ’43 in poi,
l’allora diciottenne Luigi porterà sempre con sé. Ed io ora dico,
fortunatamente. Sono contento che sia esistito un “servitore” attento e
discreto come Luigi. Una persona eccezionalmente normale, capace di tante cose
che ammiro, ed anche di tanti errori. Perché umani siamo, non divini.
“Fu semplicemente una questione di
circostanze, alla fine è sempre una questione di circostanze.” (32)
“Non cesserò di pensare che i mondi sono due
ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin
dentro il cuore dell’uomo. Stare da una parte diventerà più complicato, ma più
necessario.” (66)
“Un libro serve a chi lo scrive, raramente a
chi lo legge, perciò le biblioteche sono piene di libri inutili.” (89)
Conclusioni
Non so, non entro nell’analisi
degli otto libri che non ho (ancora) letto. Questi due meritano tutto il nostro
rispetto. Ma non solo per chi ha o avrà tra poco 80 anni. Ma per tutti noi che,
come dice Goliarda, pensiamo che non tutto sia negativo nella vita.
Negli ultimi 2 anni ho cercato l'incantatore di incantesimi buono e genuino per riportare indietro il mio ex amante e anche aiutarmi a vincere alla lotteria, ed è stato un momento difficile per me trovare il posto giusto fino a quando non mi metto in contatto con Il dottor Oseiboh che mi ha dato una potente preghiera e mi ha assicurato che ci vorranno due giorni prima che l'incantesimo sia efficace, incredibile nei due giorni successivi ho ricevuto una chiamata da un numero sconosciuto, quindi ho deciso di scegliere la chiamata la prossima cosa che ho potuto sentire è stata la mia amare la voce che stava supplicando e chiedendomi al telefono che avrei dovuto perdonarla che avrei dovuto dimenticare tutto quello che è successo che non sapeva cosa le era successo, ha promesso di non andarsene per nessun motivo, che le dispiaceva davvero per quello lo ha fatto, sono rimasta così sorpresa perché non ho mai creduto che potesse succedere, così ho accettato le sue scuse la mattina dopo che è venuta a casa mia e mi ha ancora supplicato di perdonarla, le ho detto che è tutto ok che ho L'ho perdonata dal mio cuore, ecco come ricominciato, ora siamo insieme. grazie Dr Oseiboh per averle fatto sapere che ci incontriamo per stare insieme e anche per realizzare i miei sogni. E ha fatto un incantesimo che mi ha fatto vincere la lotteria, per favore se ha bisogno di un corpo. AMORE INCANTESIMO, LOTTERIA, INCANTESIMO DI GRAVIDANZA, DIVORZIO, QUALSIASI CORSO DI FONDAZIONE, INCANTESIMO DI INCENDIO, ARRESTO DEL CASO DI CORTE E VINCI QUALSIASI PROBLEMA DI CORTE, INCANTESIMO DI MORTE, INCANTESIMO DI AFFARI E MOLTE ALTRE INFORMAZIONI DI CUI AVETE BISOGNO. Mandalo via email ora per il tuo aiuto. via e-mail droseiboh12@gmail.com aggiungerlo sulla linea whatsapp o chiamare il numero + 2347017565415.Tutti i ringraziamenti vanno al dottor oseiboh per l'eccessivo lavoro che ha fatto per me ..
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