Non nel senso del poeta lirico
greco del 500 aC ma nel senso di una settimana tutta dedicata a Gianni Simoni,
ex magistrato e autore di alcune saga seriali di bella resa. O si dovrebbe dire
“Simoneide”? Tra l’altro, questa quartina contiene un tentativo di allargare le
letture, dato che avevo scoperto, leggendo qua e là, che uno degli episodi
della serie maggiore di Miceli, quella di Petri & Miceli, era uscito solo
su e-book, ho provato a leggerlo. Cioè, l’ho letto. Sarà il formato, sarà il
contenuto, l’ho trovato distante sia dagli standard dell’autore, sia da una
lettura passabile.
Gianni Simoni “Pesca con la mosca” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 0,81
euro)
[A: 15/02/2016– I: 05/09/2017 – T: 07/09/2017] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 205;
anno 2012]
Ho
quasi l’impressione che le storie di Petri e Miceli si stiano gradualmente
rarefacendo. Coinvolgendo spesso i contorni umani, cui per altro Simoni non è
mai stato alieno. Tanto che si parte in sordina, con il buon Petri alle prese
con la pesca alla trota di cui nel titolo, in quel di Tavernole. Anzi di
Tavernole sul Mella, il fiume in cui si addentra Petri. E dove trova il
cadavere di una giovane donna. Noi già sappiamo, da alcune pagine precedenti,
che Caterina si è uccisa. Ma perché? Inciso: Caterina lascia una lettera alla
padrona di casa, di cui non si saprà più nulla anche se poteva contenere
qualche indizio. Caterina doveva sposarsi con Enrico. Caterina era molto religiosa
e non voleva rapporti prima del matrimonio. Caterina risulta incinta. Facile il
gioco di Petri nello scovare nel bel pretino trentenne della località l’autore
del misfatto. Che però non è punibile, ma solo esecrabile. Fatto sta che don
Carrino viene prontamente allontanato dal posto. Tra una frase e l’altra
(dovute alle solite uscite maldestre del Procuratore Martinelli) la storia si viene
a sapere, ed Enrico afferma subito propositi di vendetta. Intanto la nostra
squadra, ed in particolare l’ispettore Grazia Bruni (giù di corda per un
litigio che sembra insanabile con Maccari), cercano chi sia questa Caterina che
sembra essere sola al mondo. Non è vero, ha una famiglia, e quando entra nel
quadro noi capiamo subito due cose: il padre non ci convince ed il fratello Claudio
ha tutta l’aria di volere anche lui una vendetta. Ma noi seguiamo al solito
tutto dalle stanze della Questura, dove arriva la segnalazione di lettere
minatoria ad un altro prete, don Camboni. Poiché don Carrino è scomparso, sotto
insistenza del Vescovado, e così la perpetua di don Camboni. La squadra di
Miceli al completo si pone in assetto di guerra: si cerca la perpetua, si cerca
il prete, anche perché Enrico scompare con una pistola 45 in mano. Mentre due
poliziotti rintracciano Carrino, qualcuno lo uccide con una 6,35. Ma non è
Enrico che sta bellamente al bar, con un alibi di ferro. Da tutta una serie di
indizi, che dovrebbero avere anche Petri e Miceli, io qui comincio a puntare il
dito su Claudio. Intanto si trova anche la perpetua che aveva lasciato don
Camboni avendone scoperto l’indole pedofila, corroborata da cassette molto
spinte. Anche qui, la squadra di Miceli non fa in tempo ad arrestare il prete
che questo viene fatto fuori sempre con una 6,35. Poco dopo anche un terzo
prete, anche lui aduso ad adescar fanciulli, viene freddato con la stessa
pistola. Si vede che Simoni sta cercando di imbrogliare le carte perché non
sembra esserci un filo conduttore tre gli omicidi (due pedofili ed uno
sciupafemmine) se non che sono tutti preti. Indagando comunque tra le
frequentazioni di don Camboni, Grazia Bruni si imbatte in un medico dalla
faccia losca e con un figlio probabilmente del giro del prete, anche se
pentito. In tutto ciò Petri è defilato, ogni tanto compare butta giù qualche
idea che Miceli riprende, elabora ed attua. Ma poco si cava, se non la scoperta
che una pistola 6,35 è stata acquistata da una donna. Già penso chi sia, ma i
nostri poliziotti brancolano nel buio. La svolta avviene quando viene ucciso
anche il medico, ed il figlio ha un crollo nervoso. A questo punto Petri
suggerisce gli opportuni collegamenti, tra pedofilia e facoltà di medicina,
riuscendo, ovviamente tramite la squadra di Miceli, a sventare un ultimo
assassinio ed a ricostruire le fila di tutta la trama. Con qualche piccola
sorpresa, ma neanche tanto eclatante. Quello che al solito riesce meglio è il
racconto corale della vicenda. Le manie e le idee illuminanti di Petri, nonché
l’adoperarsi, positivamente, a ricucire lo strappo tra Bruni e Maccari.
L’andamento un po’ defilato di Miceli, che viene a sapere dell’avvicinarsi, inesorabile,
del suo collocamento a riposo. L’atteggiamento volitivo di Grazia Bruni, che
sta irrobustendo la sua posizione in Questura. E l’ammorbidimento di
Martinelli, un tempo aduso solo a prendere lucciole per lanterne e ad
osteggiare le attività di Petri, ma che alla fine sembra pronto ad una svolta
rappacificatrice. Simoni ha qualche strale di attualità sulle vicende dei preti
pedofili, anche senza, giustamente, affondare più di tanto, che non è questa la
sede di tali discussioni. Un bel colpo di rimandi incrociati, che non può che
solleticare le mie intricate trame mentali, è la scoperta di Grazia Bruni che
la vicenda ricalca quella descritta nel libro “L’assassino ha lasciato la
firma”, il primo giallo scritto nel 1956 dal maestro del “police procedural” Ed
McBain. Una serie che da questo primo libro si estenderà per altri 53 episodi,
tutti sotto l’ombrello dell’87 Distretto di Polizia. Se non li conoscete,
leggetene alcuni che sono dei caposaldi del genere.
Gianni Simoni “Il ferro da stiro” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65
euro)
[A: 04/10/2016– I: 11/09/2017 – T: 13/09/2017] - &&&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 286;
anno 2012]
Continuo
a ritenere gradevole la scrittura di Simoni, pur con qualche punta di vaghezza
qua e là. Tuttavia ritengo che questo libro avrebbe avuto un mio più alto e
personale successo se da un lato fosse stato concepito in modo diverso,
dall’altro venisse collocato in strutture non ghettizzanti come a volte possono
essere gli stereotipi del giallo italiano. In realtà, pur contenendo elementi polizieschi
non è un giallo. Non avremo mai gli elementi per arrivare alla soluzione di un
impalpabile mistero, se non ce li fornisse l’autore (e questo da una ben
particolare connotazione allo scritto). Inoltre, ritengo che sia
deontologicamente controproducente divagare e gironzolare sui personaggi fino
quasi a pagina 120 (su 286) senza che ci sia nemmeno l’ipotesi di un inizio di
“giallo”. Vogliamo parlare di romanzo d’atmosfera? Vogliamo dire che i
personaggi mi sono discretamente simpatici, a prescindere? Vogliamo dire che
questo è praticamente un romanzo di transizione, perché prevede il passaggio in
pensione, dopo che il giudice Petri lo è già da un po’, anche del commissario
Miceli? Certo, diciamolo, ma una volta ricordato tutto ciò, la resa di tensione
e di ricerca di soluzioni non è materia di queste pagine. È solo materia di
atmosfere, e di Brescia. Questa sì, che come città diventa un po’ il sottofondo
della storia, e forse quella che ne riesce meglio. Con i suoi luoghi, il
Castello, la Basilica, le passeggiate, i bar del centro, e quella Piazza della
Loggia dove Petri si intristisce ogni volta che ci passa, e che a me rimanda a
tempi strani di lotte e di grandi prese di posizione. Tempi in cui forse ero
più assertivo e meno meditativo di ora. Ma che di certo non fanno parte di
queste righe. Che tornano alle vicende dei diversi nuclei narranti. Petri e la
moglie Anna. Miceli e la moglie Lucia. L’ispettore Grazia Bruni, il suo ruolo
all’interno della squadra ed il suo rapporto con Maccari, collega-amante.
Grazia Bruni è un po’ l’elemento di disturbo per il suo civettare con Petri, di
cui è sicuramente innamorata intellettualmente. Cosa che fa ingelosire Anna, ed
irrigidisce il rapporto sereno ma sanamente conflittuale tra lei e Petri. Non
solo, ma il pensionamento di Miceli da spazio alla nomina di un successore che
per le capacità dovrebbe essere proprio la Bruni, altro zeppetto che non
rasserena né l’atmosfera in Questura né quella in casa Miceli. Per tutta la
prima parte assistiamo quindi a questo gioco delle parti, ognuno alle prese con
il quotidiano e con problemi diversi da quelli del giallo che dovrebbe fare da cornice
al romanzo. Petri fuma, cerca di smettere, legge “Repubblica”, a volte anche
dei libri, e battibecca con Anna. Miceli ha problemi con la salute (forse una
prostatite, ovvia data l’età), cerca di fare il salutista, ma continua, fino
all’ultimo giorno, il suo lavoro, con indefesso rigore. Un uomo da “zero
compromessi”, cosa che mi fa piacere leggere. Come mi piace sottolineare con
l’autore i momenti “politici” tra Petri e Miceli, nel giudicare negativamente
tutto il periodo governativo del Cavaliere. Ad un certo punto, tutto questo
battibeccare, si focalizza sul ferro da stiro di casa Petri che non funziona
più. Si prova a ripararlo, ma nel frattempo il ferramenta fornisce loro un
ferro usato, che però funziona a meraviglia. Peccato che abbia delle strane
incrostazioni rossastre. Ruggine? Ovviamente no, perché la scientifica scopre
subito trattarsi di sangue. Petri e Miceli, nell’ultima settimana di lavoro di
quest’ultimo, prendono la palla al balzo. Da dove viene? Che storia nasconde?
Miceli impiega i suoi uomini migliori per cercare a ritroso la storia del
ferro. Venendo a scoprire un paio di situazione che lasciano pensare. Il ferro
potrebbe venire da casa Piccini, un anziano che muore improvvisamente, con un
nipote vicentino di un odioso sopraffino. Dove il nipote, morto lo zio, si
sbarazza di tutte le cianfrusaglie del vecchio, compreso un ferro da stiro.
Oppure da casa Nuzzo, una coppia male assortita, che ha avuto un brutto
incidente automobilistico, dove la signora Nuzzo muore ed il marito Clemente è
ricoverato in prognosi riservata per fratture multiple. Dove la nipote, su
ordine di Clemente, si sbarazza anche lei dei ricordi familiari, compreso il
famoso ferro. Piccini era accudito da una badante, che scompare il giorno della
morte del vecchio. Anzi, poco prima che morisse. I Nuzzo hanno un incidente
pauroso, andando su strade strette a velocità elevata. Ma Clemente è un
guidatore prudente, perché doveva correre? O forse alla guida era la
spericolata ed antipatica moglie? Due casi paralleli (che si voglia fare il verso
ai serial tipo CSI – New York?), che non si intrecciano mai, ma che sono,
finalmente, l’elemento giallo del romanzo. Che Miceli e Petri dipanano, trovando
materia giudiziale in entrambi. Ma di cui non dico oltre, per non levare il
gusto di avere qualche sorpresa nei finali del libro (uno per ogni ferro da
stiro). Di certo, continua l’andazzo abbastanza scoperto di Simoni che non fa
molto per mascherare gli avvenimenti. Ha solo la capacità di seguire il lavoro
di squadra della Questura di Brescia, e le illuminazioni che, di quando in
quando, fanno indirizzare le indagini sui giusti binari. Illuminazioni di
Petri, ovvio. E capacità organizzativa di Miceli. A libro finito sappiamo solo
che Grazia Bruni sarà ufficialmente il nuovo capo. Vedremo come se la caverà
lei, e come Simoni. Un libro di passaggio, passabile, che fa quasi venire la
voglia di organizzare prima o poi una gita nella Leonessa d’Italia.
Gianni Simoni “Chiuso per lutto” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65
euro)
[A: 04/10/2016– I: 13/09/2017 – T: 14/09/2017] - &&&
---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 261;
anno 2013]
Continuo
a ripetere che Simoni non è uno scrittore impedibile, tuttavia, riesce,
mediamente, ad imbastire delle storie leggibili. Non forse delle storie poliziesche,
o di “polizia procedurale” come dovrebbe chiamarsi questo filone di romanzi.
Continuo infatti a trovare poco giallo in questi gialli. Ma molta vita
raccontata, con fili di ironia, con passaggi gradevoli, e con, almeno in questa
infilata di tre romanzi usciti nell’arco di un anno e mezzo, una buona capacità
di non perdere le fila. Che eravamo tutti preoccupati, nel finale dell’ultimo
romanzo, con l’andata in pensione di Miceli. Allora qui, Simoni ha un colpo di
genio: approfittando dei rivoli della legge Fornero (che ben consociamo, noi
ex-esodati e molti di voi non ancora, purtroppo, pensionati) e dei ricalcoli
che obbligava prima di lasciare andare ai giusti riposi gli anziani lavoratori.
Così scopriamo subito che Miceli deve fare ancora un anno di lavoro prima del
meritato riposo. In modo da consentire un miglior avvicendamento (almeno nella
trama se non nella storia) tra lui e il nuovo capo in pectore, l’ispettore
Grazia Bruni. E dal punto di vista della Squadra, tutta la sotto trama dedicata
ai momenti ed ai sussulti in quel di polizia, è giocata sul ruolo del nuovo
capo, sul risentimento di Miceli di avere un ruolo subordinato, sul mantenersi
defilato di Maccari, da un lato amante ufficiale di Grazia, dall’altro suo
sottoposto, sul rimanere sospesi nei loro ruoli storici degli altri poliziotti
della squadra (Grasso, Tondelli, Esposito e via enumerando). Abbiamo così
l’agio di seguire Petri e le sue vicende private che, tuttavia sfociano ben
presto in vicende pubbliche e poliziesche. Con il solito doppio binario che
ormai segue da un po’ l’autore (come ho rilevato in altre trame). Vediamo
allora Petri che frequenta assiduamente una macelleria “d’autore”, non solo per
l’ottima carne, ma anche per le procaci grazie della cassiera (nonché moglie
del macellaio). In queste frequentazioni conosce anche l’ottantenne professor
Franceschi, pensionato al limite della povertà. E di cui diventa ben presto
sodale per vicinanza di idee e di modi di vita. Letture, caffè, ed altre
piccole chicche quotidiane. È così spesso a casa del professore, ne conosce la
storia di grandi rovine economiche, ne sa del nipote che ne aspetta la morte
per ereditare la casa, e da lui frequenta l’islandese Yonasdottir, che per
facilità viene chiamata Renate. Inopinatamente, la macellaia abborda il
professore confidandogli le sue pene dovute al marito manesco. Pene che
Franceschi confessa a Petri di aver ricevuto anche lui. Al ritorno da una gita
musicale a Budapest (al solito, con il mio gradimento quando qualcuno va in
giro per il mondo, anche in un posto carino anche se non stravolgente come la
capitale magiara), Petri trova la macelleria chiusa per lutto (da cui il
titolo). Pare che la cassiera, per difendersi dal marito violento, lo abbia
ucciso. Omicidio o legittima difesa? Petri, con Miceli e la squadra, fa qualche
indagine, qualche riflessione, interrogando anche il dottore della donna, per
caso suo amico, il famoso (per chi come me segue questi scritti) dottor De
Paoli. Sembra proprio un omicidio, ma non ci sono prove. Se non che Franceschi
dice a Petri che lui una prova ce l’avrebbe. Ma prima di parlarne alla polizia
vuole confrontarsi con la cassiera. Peccato che subito dopo viene ucciso con il
cranio sfondato da un oggetto ferroso. Scattano le indagini anche qui. Sono
collegati i fatti? Si trova ben presto l’assassino materiale, un malavitoso
violento, detto il Duro. Che dice di essere stato istigato da una donna che (e
non vi dico come lo scopre) ha un piccolo bozzo cutaneo su una natica. De
Paoli, interrogato, ammette che la cassiera ne ha uno. E Petri, per vie che
anche qui non sto a divulgare, scopre che anche Renate ha lo stesso “difetto”. Ma
allora gli omicidi sono opera della stessa mente o solo casualmente paralleli?
Abbiamo uno o due colpevoli? Simoni rispetta le regole di Van Dine, o trova il
modo di trasgredirle? Questo di certo non ve lo dico, ma purtroppo devo dire
che, in base a tutta una serie di avvenimenti che vi lascio scoprire, entrambi
gli omicidi o presunti tali rimarranno impuniti. Sì, forse Petri sa la verità.
O suppone di saperla. Ma qui interviene la visione amara della vita
dell’ex-magistrato Simoni, che, probabilmente, tanti casi simili ha visto
passare davanti al suo tavolo nella sua lunga carriera. Insomma, finisco e
ribadisco. Simoni butta lì una storia di vita gradevole, una descrizione di
Brescia e della sua vita quotidiana che fa piacere leggere. Qualche ironia
(sugli sguardi vogliosi dei maschi del libro verso la vertiginosa scollatura
del seno della cassiera) e qualche idea divertente. Ma alla fine rimane un prodotto
leggero, da leggere per riposare la mente, non per far muovere i nostri stanchi
neuroni.
Gianni Simoni “L’apparenza inganna, giudice Petri” TEA s.p. (e-book
gratuito)
[A: 12/09/2016– I: 15/09/2017 – T: 15/09/2017] - & --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 44;
anno 2013]
Sapete che sono
contrario all’uso degli e-book, dato che, per me, leggere significa anche
toccare la carta, voltare le pagine, ed altre feticistiche attività, che non
sono possibili con l’elettronica. Certo, riconosco che i libri digitali fanno
risparmiare spazio notevole (motivo per cui mi sono convertito, almeno, alle
guide digitali quando vado in giro per il mondo), ma per il resto, ove
possibile, preferisco rimanere a defoliare l’Amazzonia. A meno che, come in
questo caso, per avere tutte le possibili uscite degli scritti
dell’ex-magistrato Gianni Simoni sulla improbabile coppia di investigatori,
formata dall’ex-giudice Petri e dal commissario Miceli, non debba, costretto,
utilizzare per l’appunto l’e-Book. In quanto questo racconto, anche se
particolarmente inutile, è stato pubblicato solo in formato elettronico. Come
veicolo, se fosse il caso, degli scritti di Simoni, che i suoi lettori
avrebbero comperato anche senza questo (inutile) racconto. Detto quindi tutto
il male del mezzo, cominciamo a dire male del racconto stesso. Innanzi tutto,
credo che la dimensione racconto non sia congeniale né all’autore né ai personaggi.
Simoni non riesce a sviluppare una trama sostenibile in così poche pagine, e
Petri (o Miceli o gli altri attori delle altre trame) non sviluppa né manie
particolari, né deduzioni illuminanti, né, in realtà, nulla di appetibile.
Intanto, proprio perché le pagine sono poche, non compare nessuno dei
comprimari che un po’ di sale danno agli scritti. Non c’è la squadra, non c’è
Grazia Bruni, compare, ma solo di sfuggita, Miceli. E non è nemmeno consequenziale.
Perché sappiamo che un romanzo seriale deve tener conto dell’evolversi dei
personaggi. Di cui, ad esempio, sappiamo che Miceli è tornato sulla scena dopo
la breve pausa pensionistica (vedi romanzo precedente) e si trova a combattere
una personale battaglia con l’ispettore Bruni, che nel frattempo è diventato il
capo della Sezione. Tutto ciò è ignorato dalle poche righe dello scritto, che
sembrano rintanarsi in una dimensione privata. Petri ha un personale debole per
Bassi, un suo vicino, che (e qui lo capisco perfettamente) lo sostituisce nelle
riunioni di condominio. Un funzionario di banca mediamente affabile. Ma con una
moglie megera insopportabile (mirabile la scena della cena fra le due
famiglie). Bassi all’improvviso scompare, poco dopo che si è licenziata la loro
cameriera. La moglie affranta, ma già ci domandiamo perché, chiede aiuto a
Petri. Che indaga (un minimo), cerca di capire l’ambiente di Bassi, cerca di
capire chi sia la Paolina che gli manda cartoline, cerca di capire perché Bassi
ha ritirato poco prima di sparire un’ingente somma dal suo conto. La dimensione
privata dell’indagine è sorretta da una piccola vacanza in costiera amalfitana
di Petri e consorte, più che altro per andare a trovare la Paolina in quel di
Sorrento. Trovata, affranta ed incinta, Petri ha poca fatica a fare due più
due. Risolvendo il caso in poco più di un battito di ciglia ed un voltar di
pagine (metaforico purtroppo). Una trama talmente banale, che già si poteva
risolvere dopo una decina di pagine, come avevo pensato fin dall’inizio.
Peccato che a volte i racconti riservano piacevoli sorprese, a me che non ne
sono un fautore. Penso in alto alle pagine magistrali di Alice Munro. Penso in
basso ad alcune righe del mio amico Roberto. Qui, ripeto, Simoni è inutile, il
racconto pure, l’e-Book rimarrà, credo, isolato nella mia biblioteca
elettronica, accanto a grandi classici introvabili di autori che non vengono purtroppo
più pubblicati per il numero elevato di anni passato dai loro scritti. E che io
conservo, a memoria, e nell’idea, a volte, di trovarne qualche spunto. Non
certo, e mi capite perché, nel leggerli. Speriamo in meglio, caro Simoni.
Seppur contenti per l’imminente
partenza, un po’ mi dispiace dovervi abbandonare per qualche settimana di trame.
Ma guardiamo avanti, in positivo, ad un radioso febbraio.
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