domenica 21 gennaio 2018

Simonide - 21 gennaio 2018

Non nel senso del poeta lirico greco del 500 aC ma nel senso di una settimana tutta dedicata a Gianni Simoni, ex magistrato e autore di alcune saga seriali di bella resa. O si dovrebbe dire “Simoneide”? Tra l’altro, questa quartina contiene un tentativo di allargare le letture, dato che avevo scoperto, leggendo qua e là, che uno degli episodi della serie maggiore di Miceli, quella di Petri & Miceli, era uscito solo su e-book, ho provato a leggerlo. Cioè, l’ho letto. Sarà il formato, sarà il contenuto, l’ho trovato distante sia dagli standard dell’autore, sia da una lettura passabile.
Gianni Simoni “Pesca con la mosca” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 0,81 euro)
[A: 15/02/2016– I: 05/09/2017 – T: 07/09/2017] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 205; anno 2012]
Ho quasi l’impressione che le storie di Petri e Miceli si stiano gradualmente rarefacendo. Coinvolgendo spesso i contorni umani, cui per altro Simoni non è mai stato alieno. Tanto che si parte in sordina, con il buon Petri alle prese con la pesca alla trota di cui nel titolo, in quel di Tavernole. Anzi di Tavernole sul Mella, il fiume in cui si addentra Petri. E dove trova il cadavere di una giovane donna. Noi già sappiamo, da alcune pagine precedenti, che Caterina si è uccisa. Ma perché? Inciso: Caterina lascia una lettera alla padrona di casa, di cui non si saprà più nulla anche se poteva contenere qualche indizio. Caterina doveva sposarsi con Enrico. Caterina era molto religiosa e non voleva rapporti prima del matrimonio. Caterina risulta incinta. Facile il gioco di Petri nello scovare nel bel pretino trentenne della località l’autore del misfatto. Che però non è punibile, ma solo esecrabile. Fatto sta che don Carrino viene prontamente allontanato dal posto. Tra una frase e l’altra (dovute alle solite uscite maldestre del Procuratore Martinelli) la storia si viene a sapere, ed Enrico afferma subito propositi di vendetta. Intanto la nostra squadra, ed in particolare l’ispettore Grazia Bruni (giù di corda per un litigio che sembra insanabile con Maccari), cercano chi sia questa Caterina che sembra essere sola al mondo. Non è vero, ha una famiglia, e quando entra nel quadro noi capiamo subito due cose: il padre non ci convince ed il fratello Claudio ha tutta l’aria di volere anche lui una vendetta. Ma noi seguiamo al solito tutto dalle stanze della Questura, dove arriva la segnalazione di lettere minatoria ad un altro prete, don Camboni. Poiché don Carrino è scomparso, sotto insistenza del Vescovado, e così la perpetua di don Camboni. La squadra di Miceli al completo si pone in assetto di guerra: si cerca la perpetua, si cerca il prete, anche perché Enrico scompare con una pistola 45 in mano. Mentre due poliziotti rintracciano Carrino, qualcuno lo uccide con una 6,35. Ma non è Enrico che sta bellamente al bar, con un alibi di ferro. Da tutta una serie di indizi, che dovrebbero avere anche Petri e Miceli, io qui comincio a puntare il dito su Claudio. Intanto si trova anche la perpetua che aveva lasciato don Camboni avendone scoperto l’indole pedofila, corroborata da cassette molto spinte. Anche qui, la squadra di Miceli non fa in tempo ad arrestare il prete che questo viene fatto fuori sempre con una 6,35. Poco dopo anche un terzo prete, anche lui aduso ad adescar fanciulli, viene freddato con la stessa pistola. Si vede che Simoni sta cercando di imbrogliare le carte perché non sembra esserci un filo conduttore tre gli omicidi (due pedofili ed uno sciupafemmine) se non che sono tutti preti. Indagando comunque tra le frequentazioni di don Camboni, Grazia Bruni si imbatte in un medico dalla faccia losca e con un figlio probabilmente del giro del prete, anche se pentito. In tutto ciò Petri è defilato, ogni tanto compare butta giù qualche idea che Miceli riprende, elabora ed attua. Ma poco si cava, se non la scoperta che una pistola 6,35 è stata acquistata da una donna. Già penso chi sia, ma i nostri poliziotti brancolano nel buio. La svolta avviene quando viene ucciso anche il medico, ed il figlio ha un crollo nervoso. A questo punto Petri suggerisce gli opportuni collegamenti, tra pedofilia e facoltà di medicina, riuscendo, ovviamente tramite la squadra di Miceli, a sventare un ultimo assassinio ed a ricostruire le fila di tutta la trama. Con qualche piccola sorpresa, ma neanche tanto eclatante. Quello che al solito riesce meglio è il racconto corale della vicenda. Le manie e le idee illuminanti di Petri, nonché l’adoperarsi, positivamente, a ricucire lo strappo tra Bruni e Maccari. L’andamento un po’ defilato di Miceli, che viene a sapere dell’avvicinarsi, inesorabile, del suo collocamento a riposo. L’atteggiamento volitivo di Grazia Bruni, che sta irrobustendo la sua posizione in Questura. E l’ammorbidimento di Martinelli, un tempo aduso solo a prendere lucciole per lanterne e ad osteggiare le attività di Petri, ma che alla fine sembra pronto ad una svolta rappacificatrice. Simoni ha qualche strale di attualità sulle vicende dei preti pedofili, anche senza, giustamente, affondare più di tanto, che non è questa la sede di tali discussioni. Un bel colpo di rimandi incrociati, che non può che solleticare le mie intricate trame mentali, è la scoperta di Grazia Bruni che la vicenda ricalca quella descritta nel libro “L’assassino ha lasciato la firma”, il primo giallo scritto nel 1956 dal maestro del “police procedural” Ed McBain. Una serie che da questo primo libro si estenderà per altri 53 episodi, tutti sotto l’ombrello dell’87 Distretto di Polizia. Se non li conoscete, leggetene alcuni che sono dei caposaldi del genere.
Gianni Simoni “Il ferro da stiro” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 04/10/2016– I: 11/09/2017 – T: 13/09/2017] - &&& --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 286; anno 2012]
Continuo a ritenere gradevole la scrittura di Simoni, pur con qualche punta di vaghezza qua e là. Tuttavia ritengo che questo libro avrebbe avuto un mio più alto e personale successo se da un lato fosse stato concepito in modo diverso, dall’altro venisse collocato in strutture non ghettizzanti come a volte possono essere gli stereotipi del giallo italiano. In realtà, pur contenendo elementi polizieschi non è un giallo. Non avremo mai gli elementi per arrivare alla soluzione di un impalpabile mistero, se non ce li fornisse l’autore (e questo da una ben particolare connotazione allo scritto). Inoltre, ritengo che sia deontologicamente controproducente divagare e gironzolare sui personaggi fino quasi a pagina 120 (su 286) senza che ci sia nemmeno l’ipotesi di un inizio di “giallo”. Vogliamo parlare di romanzo d’atmosfera? Vogliamo dire che i personaggi mi sono discretamente simpatici, a prescindere? Vogliamo dire che questo è praticamente un romanzo di transizione, perché prevede il passaggio in pensione, dopo che il giudice Petri lo è già da un po’, anche del commissario Miceli? Certo, diciamolo, ma una volta ricordato tutto ciò, la resa di tensione e di ricerca di soluzioni non è materia di queste pagine. È solo materia di atmosfere, e di Brescia. Questa sì, che come città diventa un po’ il sottofondo della storia, e forse quella che ne riesce meglio. Con i suoi luoghi, il Castello, la Basilica, le passeggiate, i bar del centro, e quella Piazza della Loggia dove Petri si intristisce ogni volta che ci passa, e che a me rimanda a tempi strani di lotte e di grandi prese di posizione. Tempi in cui forse ero più assertivo e meno meditativo di ora. Ma che di certo non fanno parte di queste righe. Che tornano alle vicende dei diversi nuclei narranti. Petri e la moglie Anna. Miceli e la moglie Lucia. L’ispettore Grazia Bruni, il suo ruolo all’interno della squadra ed il suo rapporto con Maccari, collega-amante. Grazia Bruni è un po’ l’elemento di disturbo per il suo civettare con Petri, di cui è sicuramente innamorata intellettualmente. Cosa che fa ingelosire Anna, ed irrigidisce il rapporto sereno ma sanamente conflittuale tra lei e Petri. Non solo, ma il pensionamento di Miceli da spazio alla nomina di un successore che per le capacità dovrebbe essere proprio la Bruni, altro zeppetto che non rasserena né l’atmosfera in Questura né quella in casa Miceli. Per tutta la prima parte assistiamo quindi a questo gioco delle parti, ognuno alle prese con il quotidiano e con problemi diversi da quelli del giallo che dovrebbe fare da cornice al romanzo. Petri fuma, cerca di smettere, legge “Repubblica”, a volte anche dei libri, e battibecca con Anna. Miceli ha problemi con la salute (forse una prostatite, ovvia data l’età), cerca di fare il salutista, ma continua, fino all’ultimo giorno, il suo lavoro, con indefesso rigore. Un uomo da “zero compromessi”, cosa che mi fa piacere leggere. Come mi piace sottolineare con l’autore i momenti “politici” tra Petri e Miceli, nel giudicare negativamente tutto il periodo governativo del Cavaliere. Ad un certo punto, tutto questo battibeccare, si focalizza sul ferro da stiro di casa Petri che non funziona più. Si prova a ripararlo, ma nel frattempo il ferramenta fornisce loro un ferro usato, che però funziona a meraviglia. Peccato che abbia delle strane incrostazioni rossastre. Ruggine? Ovviamente no, perché la scientifica scopre subito trattarsi di sangue. Petri e Miceli, nell’ultima settimana di lavoro di quest’ultimo, prendono la palla al balzo. Da dove viene? Che storia nasconde? Miceli impiega i suoi uomini migliori per cercare a ritroso la storia del ferro. Venendo a scoprire un paio di situazione che lasciano pensare. Il ferro potrebbe venire da casa Piccini, un anziano che muore improvvisamente, con un nipote vicentino di un odioso sopraffino. Dove il nipote, morto lo zio, si sbarazza di tutte le cianfrusaglie del vecchio, compreso un ferro da stiro. Oppure da casa Nuzzo, una coppia male assortita, che ha avuto un brutto incidente automobilistico, dove la signora Nuzzo muore ed il marito Clemente è ricoverato in prognosi riservata per fratture multiple. Dove la nipote, su ordine di Clemente, si sbarazza anche lei dei ricordi familiari, compreso il famoso ferro. Piccini era accudito da una badante, che scompare il giorno della morte del vecchio. Anzi, poco prima che morisse. I Nuzzo hanno un incidente pauroso, andando su strade strette a velocità elevata. Ma Clemente è un guidatore prudente, perché doveva correre? O forse alla guida era la spericolata ed antipatica moglie? Due casi paralleli (che si voglia fare il verso ai serial tipo CSI – New York?), che non si intrecciano mai, ma che sono, finalmente, l’elemento giallo del romanzo. Che Miceli e Petri dipanano, trovando materia giudiziale in entrambi. Ma di cui non dico oltre, per non levare il gusto di avere qualche sorpresa nei finali del libro (uno per ogni ferro da stiro). Di certo, continua l’andazzo abbastanza scoperto di Simoni che non fa molto per mascherare gli avvenimenti. Ha solo la capacità di seguire il lavoro di squadra della Questura di Brescia, e le illuminazioni che, di quando in quando, fanno indirizzare le indagini sui giusti binari. Illuminazioni di Petri, ovvio. E capacità organizzativa di Miceli. A libro finito sappiamo solo che Grazia Bruni sarà ufficialmente il nuovo capo. Vedremo come se la caverà lei, e come Simoni. Un libro di passaggio, passabile, che fa quasi venire la voglia di organizzare prima o poi una gita nella Leonessa d’Italia.
Gianni Simoni “Chiuso per lutto” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 04/10/2016– I: 13/09/2017 – T: 14/09/2017] - &&& ---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 261; anno 2013]
Continuo a ripetere che Simoni non è uno scrittore impedibile, tuttavia, riesce, mediamente, ad imbastire delle storie leggibili. Non forse delle storie poliziesche, o di “polizia procedurale” come dovrebbe chiamarsi questo filone di romanzi. Continuo infatti a trovare poco giallo in questi gialli. Ma molta vita raccontata, con fili di ironia, con passaggi gradevoli, e con, almeno in questa infilata di tre romanzi usciti nell’arco di un anno e mezzo, una buona capacità di non perdere le fila. Che eravamo tutti preoccupati, nel finale dell’ultimo romanzo, con l’andata in pensione di Miceli. Allora qui, Simoni ha un colpo di genio: approfittando dei rivoli della legge Fornero (che ben consociamo, noi ex-esodati e molti di voi non ancora, purtroppo, pensionati) e dei ricalcoli che obbligava prima di lasciare andare ai giusti riposi gli anziani lavoratori. Così scopriamo subito che Miceli deve fare ancora un anno di lavoro prima del meritato riposo. In modo da consentire un miglior avvicendamento (almeno nella trama se non nella storia) tra lui e il nuovo capo in pectore, l’ispettore Grazia Bruni. E dal punto di vista della Squadra, tutta la sotto trama dedicata ai momenti ed ai sussulti in quel di polizia, è giocata sul ruolo del nuovo capo, sul risentimento di Miceli di avere un ruolo subordinato, sul mantenersi defilato di Maccari, da un lato amante ufficiale di Grazia, dall’altro suo sottoposto, sul rimanere sospesi nei loro ruoli storici degli altri poliziotti della squadra (Grasso, Tondelli, Esposito e via enumerando). Abbiamo così l’agio di seguire Petri e le sue vicende private che, tuttavia sfociano ben presto in vicende pubbliche e poliziesche. Con il solito doppio binario che ormai segue da un po’ l’autore (come ho rilevato in altre trame). Vediamo allora Petri che frequenta assiduamente una macelleria “d’autore”, non solo per l’ottima carne, ma anche per le procaci grazie della cassiera (nonché moglie del macellaio). In queste frequentazioni conosce anche l’ottantenne professor Franceschi, pensionato al limite della povertà. E di cui diventa ben presto sodale per vicinanza di idee e di modi di vita. Letture, caffè, ed altre piccole chicche quotidiane. È così spesso a casa del professore, ne conosce la storia di grandi rovine economiche, ne sa del nipote che ne aspetta la morte per ereditare la casa, e da lui frequenta l’islandese Yonasdottir, che per facilità viene chiamata Renate. Inopinatamente, la macellaia abborda il professore confidandogli le sue pene dovute al marito manesco. Pene che Franceschi confessa a Petri di aver ricevuto anche lui. Al ritorno da una gita musicale a Budapest (al solito, con il mio gradimento quando qualcuno va in giro per il mondo, anche in un posto carino anche se non stravolgente come la capitale magiara), Petri trova la macelleria chiusa per lutto (da cui il titolo). Pare che la cassiera, per difendersi dal marito violento, lo abbia ucciso. Omicidio o legittima difesa? Petri, con Miceli e la squadra, fa qualche indagine, qualche riflessione, interrogando anche il dottore della donna, per caso suo amico, il famoso (per chi come me segue questi scritti) dottor De Paoli. Sembra proprio un omicidio, ma non ci sono prove. Se non che Franceschi dice a Petri che lui una prova ce l’avrebbe. Ma prima di parlarne alla polizia vuole confrontarsi con la cassiera. Peccato che subito dopo viene ucciso con il cranio sfondato da un oggetto ferroso. Scattano le indagini anche qui. Sono collegati i fatti? Si trova ben presto l’assassino materiale, un malavitoso violento, detto il Duro. Che dice di essere stato istigato da una donna che (e non vi dico come lo scopre) ha un piccolo bozzo cutaneo su una natica. De Paoli, interrogato, ammette che la cassiera ne ha uno. E Petri, per vie che anche qui non sto a divulgare, scopre che anche Renate ha lo stesso “difetto”. Ma allora gli omicidi sono opera della stessa mente o solo casualmente paralleli? Abbiamo uno o due colpevoli? Simoni rispetta le regole di Van Dine, o trova il modo di trasgredirle? Questo di certo non ve lo dico, ma purtroppo devo dire che, in base a tutta una serie di avvenimenti che vi lascio scoprire, entrambi gli omicidi o presunti tali rimarranno impuniti. Sì, forse Petri sa la verità. O suppone di saperla. Ma qui interviene la visione amara della vita dell’ex-magistrato Simoni, che, probabilmente, tanti casi simili ha visto passare davanti al suo tavolo nella sua lunga carriera. Insomma, finisco e ribadisco. Simoni butta lì una storia di vita gradevole, una descrizione di Brescia e della sua vita quotidiana che fa piacere leggere. Qualche ironia (sugli sguardi vogliosi dei maschi del libro verso la vertiginosa scollatura del seno della cassiera) e qualche idea divertente. Ma alla fine rimane un prodotto leggero, da leggere per riposare la mente, non per far muovere i nostri stanchi neuroni.
Gianni Simoni “L’apparenza inganna, giudice Petri” TEA s.p. (e-book gratuito)
[A: 12/09/2016– I: 15/09/2017 – T: 15/09/2017] - & --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 44; anno 2013]
Sapete che sono contrario all’uso degli e-book, dato che, per me, leggere significa anche toccare la carta, voltare le pagine, ed altre feticistiche attività, che non sono possibili con l’elettronica. Certo, riconosco che i libri digitali fanno risparmiare spazio notevole (motivo per cui mi sono convertito, almeno, alle guide digitali quando vado in giro per il mondo), ma per il resto, ove possibile, preferisco rimanere a defoliare l’Amazzonia. A meno che, come in questo caso, per avere tutte le possibili uscite degli scritti dell’ex-magistrato Gianni Simoni sulla improbabile coppia di investigatori, formata dall’ex-giudice Petri e dal commissario Miceli, non debba, costretto, utilizzare per l’appunto l’e-Book. In quanto questo racconto, anche se particolarmente inutile, è stato pubblicato solo in formato elettronico. Come veicolo, se fosse il caso, degli scritti di Simoni, che i suoi lettori avrebbero comperato anche senza questo (inutile) racconto. Detto quindi tutto il male del mezzo, cominciamo a dire male del racconto stesso. Innanzi tutto, credo che la dimensione racconto non sia congeniale né all’autore né ai personaggi. Simoni non riesce a sviluppare una trama sostenibile in così poche pagine, e Petri (o Miceli o gli altri attori delle altre trame) non sviluppa né manie particolari, né deduzioni illuminanti, né, in realtà, nulla di appetibile. Intanto, proprio perché le pagine sono poche, non compare nessuno dei comprimari che un po’ di sale danno agli scritti. Non c’è la squadra, non c’è Grazia Bruni, compare, ma solo di sfuggita, Miceli. E non è nemmeno consequenziale. Perché sappiamo che un romanzo seriale deve tener conto dell’evolversi dei personaggi. Di cui, ad esempio, sappiamo che Miceli è tornato sulla scena dopo la breve pausa pensionistica (vedi romanzo precedente) e si trova a combattere una personale battaglia con l’ispettore Bruni, che nel frattempo è diventato il capo della Sezione. Tutto ciò è ignorato dalle poche righe dello scritto, che sembrano rintanarsi in una dimensione privata. Petri ha un personale debole per Bassi, un suo vicino, che (e qui lo capisco perfettamente) lo sostituisce nelle riunioni di condominio. Un funzionario di banca mediamente affabile. Ma con una moglie megera insopportabile (mirabile la scena della cena fra le due famiglie). Bassi all’improvviso scompare, poco dopo che si è licenziata la loro cameriera. La moglie affranta, ma già ci domandiamo perché, chiede aiuto a Petri. Che indaga (un minimo), cerca di capire l’ambiente di Bassi, cerca di capire chi sia la Paolina che gli manda cartoline, cerca di capire perché Bassi ha ritirato poco prima di sparire un’ingente somma dal suo conto. La dimensione privata dell’indagine è sorretta da una piccola vacanza in costiera amalfitana di Petri e consorte, più che altro per andare a trovare la Paolina in quel di Sorrento. Trovata, affranta ed incinta, Petri ha poca fatica a fare due più due. Risolvendo il caso in poco più di un battito di ciglia ed un voltar di pagine (metaforico purtroppo). Una trama talmente banale, che già si poteva risolvere dopo una decina di pagine, come avevo pensato fin dall’inizio. Peccato che a volte i racconti riservano piacevoli sorprese, a me che non ne sono un fautore. Penso in alto alle pagine magistrali di Alice Munro. Penso in basso ad alcune righe del mio amico Roberto. Qui, ripeto, Simoni è inutile, il racconto pure, l’e-Book rimarrà, credo, isolato nella mia biblioteca elettronica, accanto a grandi classici introvabili di autori che non vengono purtroppo più pubblicati per il numero elevato di anni passato dai loro scritti. E che io conservo, a memoria, e nell’idea, a volte, di trovarne qualche spunto. Non certo, e mi capite perché, nel leggerli. Speriamo in meglio, caro Simoni.
Seppur contenti per l’imminente partenza, un po’ mi dispiace dovervi abbandonare per qualche settimana di trame. Ma guardiamo avanti, in positivo, ad un radioso febbraio.

Nessun commento:

Posta un commento