Non
ho interesse ad entrare nel dibattito politico tra neo-scalfariani e
vetero-berlusconiani, volevo solo rimarcare che questa settimana, le due
letture della Biblioteca di Repubblica mi hanno, seppur di poco, coinvolto più
delle letture della casa di Arcore. Dovendo anche rimarcare che Carrère,
scrittore che non amo particolarmente, mi ha stregato con un libro magistrale,
così come Gaiman, a torto considerato solo “per ragazzi” sforna un libro noir
(non poliziesco ma cupo) che invece è discretamente interessante. Speravo invece
molto di più sia in Bolaño che in Hollinghurst, ma sono rimasto un po’ deluso.
Emmanuel Carrère “L’avversario” Repubblica Duemila euro 9,90
[A: 21/02/2017 – I: 29/05/2018 – T: 31/05/2018] - &&&&
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[tit. or.: L’adversaire; ling. or.: francese; pagine: 174;
anno 2000]
Primo libro letto della collana dedicata ai libri del “Duemila” di
Repubblica. Sarò un caso fortunato, ma finalmente una collana che inizio
leggendo un libro interessante. Devo dire che, in generale, non è che sia un
ammiratore di Carrère, di cui ho letto anni fa “Moustache” e ho visto il film
da lui diretto, ed entrambi mi delusero. Ho seguito gli echi di altre sue
scritture, senza essere convinto a riprenderlo in mano. Invece questo libro è
stata una piacevole sorpresa. Con dei limiti, con dei punti in cui non sono
convinto del modo di trattare la materia. Ma un complesso di parole che non ti
fa staccare dalla pagina, e che ti costringe a pensare. E non è poco. Come
spesso accade nei romanzi di parole il nucleo del romanzo stesso è breve e
conciso: una persona, che sembra al di sopra di ogni sospetto, uccide la
moglie, i due figli, poi i genitori, quindi torna a casa, cercando il suicidio
ma facendo solo bruciare la casa stessa. E lui, l’omicida, Jean-Claude Romand,
si salva. Intorno a questo nucleo, Carrère costruisce la sua storia. Sì, perché
anche lui entra nella storia, sente del fattaccio, si interroga, decide di
chiedere a Jean-Claude il permesso di scrivere un romanzo intorno a questa
storia. Quindi vediamo la scrittura andare dal romanzesco al presente, dal
personale dello scrittore alle trame costruite intorno alla decrittazione delle
dinamiche del fatto. Si sente molto l’eco di “A sangue freddo” di Truman
Capote, con quel piglio tra il narrativo ed il giornalistico. Ma seppur
interessante il percorso che fa lo scrittore per arrivare al protagonista dei
fatti, altrettanto interessante è lo svolgersi dei fatti stessi, il loro
concatenarsi. Perché Jean-Luc, secondo gli amici e i conoscenti, è un medico
stimato, che lavora a Ginevra presso l’OMS e vive in quel paesino della Francia
abbastanza vicino al confine. Poi, velo dopo velo, si scopre la verità. O il
susseguirsi dei fatti, che la verità la lascio a chi la sa interpretare ed a
chi leggerà con piacere il romanzo. Che Jean-Claude, al secondo anno di medicina
si blocca, non dà più esami. Ma continua a ronzare nell’Università, dove
conosce e sposa Florence. Da cui avrà i due figli. Per una concatenazione di
eventi fortuiti, grotteschi ed improbabili, dice di laurearsi e nessuno ne
controlla la verità. Decide di avere un incarico importante a Ginevra, così che
esce di casa la mattina e torna la sera. Ma non farà altro che girovagare per i
boschi, che stare in macchina, magari fermarsi in qualche alberghetto fuori
mano. Eppur tuttavia ha studiato, così che nelle sere conviviali può parlare di
medicina con proprietà. Si aggiorna, rimane al passo con i tempi. Ma non dà a
nessuno i telefoni per la sua reperibilità. Solo delle segreterie telefoniche,
da cui richiama in caso di necessità. Il posto di prestigio, le millantate
amicizie con banchieri svizzeri, fanno anche sì che parenti ed amici gli
affidino delle somme per lucrosi investimenti. Somme che lui utilizza per
vivere, non avendo nessuna entrata di altro genere. Fa salti mortali, utilizza
somma in prestito per ridare soldi a chi glieli presta. Insomma, alta finanza
senza rete. Peccato che questo meccanismo si inceppi perché il nostro si
innamora di una bella signora. Che gli affida anche lei i suoi soldi. Con la
quale vive momenti per lui pieni di significato, in mancanza di altro. Peccato
che la signora gli chieda indietro i soldi. E Jean-Claude, in bancarotta
completa, decide che la morte di tutti coloro che gli sono intorno è l’unica
soluzione. Ma questa è la storia, che anche andando su Wikipedia si potrebbe
leggere. La bellezza e la bravura della scrittura di Carrère è quel renderla
viva, quel cercare inoltre non solo di descriverci il personaggio
“Jean-Claude”, ma di capirne le motivazioni. Di discuterle con lui e con noi. Di
capirne e decifrarne il problema morale che pone. Nonché, per me, la
descrizione a tutto tondo della figura di un bugiardo, mentitore fino alla
follia. A tuttora, comunque, Romand mi risulta sia ancora in carcere.
“Ho
seguito nel cielo grigio il volo di uccelli di cui ignoro il nome (purtroppo
non so riconoscere né gli uccelli né gli alberi).” (74) [ed in questo ti sono
solidale, nonostante tutte le fatiche di mia madre]
Roberto Bolaño “Notturno cileno” Repubblica
Duemila euro 7,90
[A: 13/06/2017 – I: 07/08/2018 – T: 08/08/2018] - &&
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[tit. or.: Nocturno de Chile; ling. or.: spagnolo; pagine: 125;
anno 2000]
Una nuova lettura
della collana di Repubblica dedicata ai romanzi di questo secolo. Una lettura
che vi entra per poco, essendo come riportato scritta proprio nel 2000. Una
lettura che continua a perpetuare il mio rapporto scostante con l’autore. Che generalmente
trovo interessante, e pieno di spunti. A volte anche di lirismi inaspettati. A
volte, pieno di cerebralismi che rendono la lettura un duro esercizio per il
lettore, come in quel lavoro, che ho cordialmente odiato, intitolato “Anversa”.
Qui il sentimento è vieppiù duplice. Che la materia del narrare è forte e
dolorosa. Che il modo del narrare è farraginoso, e pieno di rimandi, di cose
nascoste, di trappole per il lettore, che si fa fatica a procedere, pur nella
brevità del testo. L’autore ha cercato, con dolorosa penna, di scavare dentro i
suoi sentimenti ed i sentimenti di una intera nazione, utilizzando un lungo
monologo di più di cento pagine senza una pausa di sospensione, per narrare le
vicende del suo paese. Vicende dolorose e dolenti, che hanno visto passare
dalle dittature degli anni ’60, con il grande Neruda in esilio, al ritorno del
poeta, la vincita del Premio Nobel, la vittoria elettorale di Allende, il colpo
di stato, gestito ed auspicato dagli americani, che porta al potere Pinochet,
la fine della dittatura, il ritorno alla “vita normale”, con i conti che tutti
quelli che avevano sostenuto o non osteggiato il regime devono fare i conti con
la propria coscienza. Fino a dove un male poco noto (o ignorato) ricade come
colpa su chi lo ignora? La sentenza finale di Bolaño è che, in fondo, siamo
tutti colpevoli. Possiamo solo cercare di alleviare la sofferenza cercando (ma
con quanta fatica e difficoltà) di rimediare al male fatto con la nostra
connivenza. Questo lungo monologo, atto a rappresentare tutte le vicende cilene
(oscure come dal titolo di “Notturno”), è posto in bocca simbolicamente ad un
prete, Sebastian Urrutia Lacroix. Primo elemento simbolico: un prete, simbolo
di poteri e connivenze da sempre osteggiate dall’autore, con un cognome non di
origini puramente ispaniche, che Urrutia è basco e Lacroix palesemente
francese. Su di un letto, forse in punto di morte, Sebastian ripercorre tutta
la sua vita. La vocazione, forse scarsa, forse dettata da altri motivi. Il
fatto di amare le lettere e lo scrivere (quasi fosse un riflesso speculare
dell’autore stesso). L’entrata nel campo delle lettere, con la conoscenza del
critico che gli rimarrà accanto tutta la vita, benché venga chiamato Farewell
(cioè addio). I vari microracconti della vita del prete sono altrettanti
momenti di pensamento e riflessione mascherata (il poeta guatemalteco che si
perde in Europa, il calzolaio viennese e la sua “Collina degli Eroi”). Con
delle punte che, segnando le tappe della vita di Sebastian segnano altrettanti
pezzi della storia patria. Appunto la giovinezza felice dove, nella casa di
campagna di Farewell, che si chiama Là-bas (cioè laggiù), incrocia la vita e
l’opera di Pablo Neruda. E poi la missione in Europa per scoprire come
conservare le chiese. Come un doppio mascheramento. Questa, ed altre missioni,
gli vengono affidate da una coppia di loschi figuri, dal nome di signor Aruap e
signor Oido (e non vi devo certo svelare l’arcano dei loro nomi). E come non
vedere nel fatto che le chiese siano salvate dalla cacca dei piccioni
utilizzando falconi ammaestrati, come un accenno, neanche troppo velato, alla
Milizia del “Gruppo dei Falconi”, utilizzato in Cile dalla giunta militare per sterminare
gli oppositori. E l’altra missione di Sebastian, questa volta in patria, dove
deve insegnare l’ideologia marxista a Pinochet ed alla sua giunta assassina,
così che possano conoscere le idee degli avversari. Mostrando la completa
“illetterarietà” sia del dittatore che dei suoi accoliti. E come, infine, non
vedere nella storia dell’intellettuale Maria Canales che organizza serata
letterarie mentre il marito, americano, tortura oppositori del regime nelle
cantine, la storia di Mariana Callejas e di suo marito Michael Townley, che
fanno esattamente la stessa cosa (tra l’altro Townley è considerato l’autore
materiale dell’assassinio di Orlando Letelier, avvenuto a Washington con la
complicità di tutta la CIA). La stessa figura di Sebastian potrebbe ricalcare
quella di José Miguel Ibáñez Langlois, sacerdote, membro dell’Opus Dei, poeta e
critico letterario, figura centrale della letteratura cilena per tutto il
periodo della dittatura. Tutta questa storia, in cui siamo tutti colpevoli e
colpevolizzati, vede Sebastian interloquire con un misterioso “giovane
invecchiato” che sembra volergli rimproverare tutte le storture della sua vita.
Un interlocutore che potrebbe avere due facce: lo stesso Sebastian nel suo Io
nascosto, lo stesso Bolaño come coscienza critica impotente del mondo cileno
(appunta una coscienza invecchiata). Troppo simbolico per essere di facile
lettura. Troppo simbolico per essere decrittato facilmente per chi di poco
conosce il mondo sudamericano. Anche se devo riconoscere all’autore capacità
letterarie interessanti. Ricordo per finire che il mio “sviscerato”
comunque amore per Bolaño deriva anche dal fatto che era nato dieci giorni
prima di me (e quindi pur sempre un toro seppur di aprile). E che muore a 50
anni, per un cancro al fegato, lasciando un vuoto per le immaginifiche storie
pubblicate nei dieci anni di produzione letteraria.
Alan Hollinghurst “La biblioteca della piscina” Mondadori euro 10,50 (in
realtà, scontato a 6,30 euro)
[A: 12/04/2016 – I: 12/08/2018
– T: 15/08/2018] - &&
[tit. or.: The Swimming Pool Library; ling. or.: inglese; pagine: 377; anno 1989]
Mi
sembra abbastanza scontato dove le libropeute abbiano collocato la lettura di
questo libro. Il più che sessantenne autore, da me fino ad ora ignorato, è
invece ben presente e noto nel panorama letterario inglese, tra l’altro avendo
vinto il Booker Prize nel 2004. Ed è ben noto per il suo essere dichiaratamente
gay e per essere i suoi scritti sempre collocati all’interno del mondo
omosessuale. Come in questo che, in quanto anche primo libro pubblicato sui 34
anni pone alcuni archetipi del suo modo di porre il romanzo che, leggendone a
posteriori le critiche degli altri suoi scritti, rimarranno costanti. Comunque,
almeno nella mia lettura del libro, ho la necessità di separare la scrittura
dal testo. Non è certo un’operazione sempre corretta, che chi scrive ovviamente
lo fa unificando i due elementi. Tuttavia, in questo testo di lenta lettura per
me hanno due pesi diversi. La scrittura è quella di un buon artigiano della
penna, che riesce ad intrecciare diversi livelli di scrittura, dal narrare in
prima persona del protagonista Will ai brani di diario scritti da Lord
Nantwich, ai brevi intarsi del tristo James. Inoltre, non si dimentica i
personaggi, li lascia e li riprende, ed anche quando sono a margine, risultano
sempre caratterizzati e funzionali alla trama. Ma poi la scrittura stessa
scivola in un compiacimento alla Oscar Wilde che abbia seguito un corso
accelerato presso il marchese de Sade. Le crude descrizioni delle latrine,
delle docce, dei club esclusivi, dei ring di periferia, dell’atelier del fotografo
che, con una patina di originalità, non fa altro che montare scene erotiche,
sono pugni nello stomaco, in cui le prime comparse incuriosiscono, le seconde
cominciano ad essere ridondanti, le ultime alla fine hanno solo un senso
autoreferenziale inutile. La trama, invece, potrebbe essere svolta ed
articolata in qualsiasi tempo e spazio, quasi fosse un archetipo universale. Il
giovane Will Blankurst è ricco, spensierato e gay. Si aggira in una Londra di
metà anni ’80 alla ricerca di qualche avventura, pronto ad innamorarsi per due
begli occhi, o un bel corpo. Ma altrettanto pronto a subire delusioni, ed anche
brutte avventure (non entro in particolari che non saprei rendere con la
spontaneità dell’autore). Dalla sua storia passata che ci viene fornita spezzettata
lungo tutto il romanzo, capiamo che è figlio di un alto magistrato, ora Lord
nella Camera dei Pari, che ha studiato a Oxford, dove è diventato “Prefetto”
(bisogna conoscere un po’ delle modalità organizzative dei college per capire
meglio questa parte), e dove questi vengono chiamati (non si sa per quale
motivo) “Librarian”, cioè Bibliotecario, e dove Will diventerà il Librarian
della Piscina (da cui il titolo). Ed è dai tempi del college che sviluppa il
suo modo di vivere, e lì nella piscina ha i suoi primi approcci sessuali. Che
continuerà ad avere nella piscina del club che frequenta da ventenne. E dove incontra,
conosce e sviluppa le sue amicizie, tra cui l’amore sempre presente, ma mai
portato fino in fondo, con il suo coevo James. Si salvano a vicenda in
situazioni drammatiche, si professano stima reciproca, in fondo si amano. Ma
James non porta mai sino in fondo i suoi sentimenti, e Will è un farfallone
sempre pronto a seguire gli occhi di un bel “coloured” o di un bel corpicino.
Il tutto si intreccia con la storia di Lord Nantwich, anziano ottuagenario gay
che Will salva in una situazione potenzialmente mortale (infarto), e dove, da
quel momento in poi, tra i due si instaura un rapporto di amicizia (vera o
falsa?) in cui il Lord chiede al giovane di scrivere la sua biografia. Da qui
nascono quegli inserti di scritture diverse in cui Hollinghurst sembra sapersi
ben destreggiare. Tra cene in club ricchi e favolosi, serate all’opera, ed
ubriacature in sordidi bar, passa il tempo anche dell’amicizia tra i due. Dove
Will, leggendo e studiando diari e manoscritti, scopre i motivi
dell’attaccamento del Lord verso questo giovane poco noto. Non ve ne parlo, che
sarà, forse, l’unica parte interessante, nonché di denuncia, che riesce a
mettere ben in chiaro lo scrittore negli ultimi due capitoli. Il tutto, data la
prova di prima scrittura del libro, pieno anche di riferimenti al mondo privato
dello scrittore: lunghe citazioni di Ronald Firbank, scrittore gay protagonista
della tesi di laurea di Hollinghurst, momenti trasversali tra Lord e altri
scrittori e musicisti (Edward Morgan Forster ed i suoi libri, Benjamin Britten
ed il “Billy Budd” tratto da Melville e poco velatamente gay). Ripeto allora i
miei giudizi iniziali: una scrittura ben avviata non sorretta da una trama
altrettanto all’altezza. Non mi hanno sconvolto le descrizioni pure crude, ne
abbiamo visto e sentite tante. Ma non sempre si amalgamano scritto e testo, e
questo non mi ha convinto fino in fondo. Una bella prova, e coraggiosa, ma non
in linea con i miei gusti letterari.
“Ho avuto una vita molto interessante e ora è così maledettamente
noiosa e sono tutti morti e non riesco a ricordare cosa stavo dicendo.” (57)
“Ti penso in continuazione e converso mentalmente con te e immagino che
cosa diresti tu di varie cose.” (289)
“Non ero molto ben disposto verso le fotografie, ma … mi sentivo un po’
in ansia per loro, come mi capita quando vedo un amico sul palcoscenico.” (302)
“Quando ci si avvicina al termine della propria vita, ci si rende conto
di averla sprecata quasi tutta.” (314)
Neil Gaiman “Il figlio del cimitero” Mondadori euro 10,50 (in realtà,
scontato a 8,90 euro)
[A: 04/05/2016 – I: 20/08/2018
– T: 22/08/2018] - &&& +
[tit. or.: The Graveyard Book; ling. or.: inglese; pagine: 345; anno 2008]
Ero
molto curioso di leggere qualcosa di questo complesso autore inglese:
scrittore, giornalista, fumettista ed altro ancora. Ma in particolare ero
curioso di un duplice aspetto di questo autore. Scrive libri per ragazzi,
vincendo con questo la “Carnegie Medal for children book”. E nello stesso anno,
con questo stesso libro, vince il Premio Hugo di fantascienza. Chi sa i miei
trascorsi giovanili, non potrà che convenire con me nella curiosa coincidenza.
Da adolescente, avevo praticamente tutti i libri vincitori dei Premi Hugo (in
onore di Hugo Gernsback, fondatore nel 1926 della prima rivista di Sci-Fi al
mondo). Parliamo ad esempio di Robert Heinlein, di Fritz Leiber, di Philip K.
Dick, di Roger Zelazny ino a Ursula Le Guin, Philip Farmer e Isaac Asimov. Ma
la spinta finale me la donò il libro sulle cure librarie, accostando questo a
quell’altro da poco letto (“Corri” della Patchett). Devo dire che confermo la
gradevolezza del testo, la sua scorrevolezza, nonché rimandi sapienti a
classici della letteratura gotica (da “Il castello di Otranto” Horace Walpole a
“L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson). Ma anche lo stile un po’ troppo
didattico: certo in un “educational book” ci può stare, seppur a volte troppo
palese. Fidarsi delle persone, ma controllare. Non aver paura dei diversi.
Studiare. Osteggiare i bulli. Insomma, tutta una serie di codici civili che
qualcuno dovrebbe ricordare a M6S (vediamo se capite a chi mi riferisco!). La
storia, in sé, è di quelle che si pongono sul limitar del vero, dove, facendo
un piccolo sforzo, si entra nel gioco e non se ne esce. Come cento anni prima
di Neil era stato fatto per l’operazione Peter Pan. Un bambino sfugge ad una
strage (ed in questo c’è un ricalco palese dell’inizio di Harry Potter), e
viene accolto dalla comunità dei morti in un cimitero. Sotto l’egida della
Signora con la falce, i morti si palesano al bambino. Due ne diventano i
genitori adottanti. Uno, Silas, il tutore. In quanto Silas non è né vivo né
morto, quindi può uscire dal cimitero e procurare al bimbo almeno da mangiare.
Non esseno noto a nessuno, così viene chiamato; cioè, in inglese, Nobody, che
verrà usato solo con il diminutivo Bod. Nel corso dei capitoli, assistiamo alla
crescita di Bod, su per l’infanzia, sino allo scoccare dei 16 anni, che sembra
un limite “fisico” per continuare a vivere con i morti (ossimoro cercato a
lungo). E Bod attraversa tutte le tappe dell’infanzia e dell’adolescenza,
contando solo sui suoi amici “tombali”. Che escono, girano per il cimitero, e
non invecchiano (questo il peccato maggior per Bod che invece cresce). Ci sono
i teneri genitori Owens, l’antico romano, il poeta, lo scrittore, e tanti
altri. Oltre a Silas, che accoglie le richieste di Bod, risponde alle sue
domande, cerca di indirizzarlo, ed anche di proteggerlo. C’è Liza, una falsa
strega, bruciata per invidia e sepolta in terra sconsacrata. Che tuttavia è
gentile e molto innamorata di Bod (anche senza possibilità di futuro). E poi
c’è Scarlett, una bimba reale che incontra Bod intorno ai cinque anni. E che poi,
dopo una parentesi scozzese, ritrova dieci anni dopo. Con immutata gioia e
forse con l’idea che possa nascere qualcosa in più. Ma dietro tutti i momenti
di formazione e di cauto divertimento, incombe la storia cupa. Chi è che voleva
uccidere Bod? Ed il pericolo esiste ancora? Qui vediamo la parte più gotica del
libro, dove ci sono i “buoni”, chiamati anche “Mastini di Dio”, che cercano e
riescono alla fine a sconfiggere i cattivi. I buoni che sono amici i Bod:
Silas, ad esempio, che scopriamo essere un vampiro pentito, e la signorina
Lupescu, un lupo mannaro molto materno. I cattivi fanno parte di una non meglio
“Confraternita”, un “Deck of People” (vedrete meglio il perché dell’inglese),
che gestisce un non meglio fantomatico potere. Se si sente minacciata,
interviene uccidendo a più non posso. Per fare ciò utilizza “gente di basso
livello”, diremo i fanti dei battaglioni. Qui c’è appunto la parte
intraducibile del libro e del gioco di Gaiman. Il potere è gestito da
quell’insieme di persone numericamente ristretto, che costituiscono il mazzo
(“Deck”). I sicari sono i Fanti, che in inglese vengono chiamati “Jack”. E sono
proprio quattro Jack (come dice il capitolo “Tutti i fanti del mazzo” cioè “All
the Jack of the Deck”) che cercano di eliminare Bod. Soprattutto il primo,
quello che aveva ucciso la famiglia di Bod. Primo che si mimetizza in
ricercatore stralunato, facendosi chiamare Mr. Frost, che raggira Scarlett per
usarla contro Bod, minaccia che Bod sventa, facendo uccidere il cattivo da un
mostro delle tombe. Ovviamente la parte “ironica” di Gaiman si mostra anche in
questo passo, dove il cattivo, alla fine, si presenta come Jack Frost. Che a
noi italiani non dice nulla, ma che nella letteratura inglese, e nei racconti
popolari, è il nomignolo di Mastro Inverno, quello che porta freddo e gelo, e
fa morire campagne e persone. Tornando al romanzo, Scarlett, pur volendo bene a
Bod, rimane sconvolta da questi fatti. Sarà Silas a farle dimenticare tutto e
rimandarla in Scozia. Dove forse, in un futuro libro, incontrerà di nuovo Bod,
e tutto potrà cambiare. Ma Bod deve lasciare il cimiero, ormai è grande, e deve
percorrere le strade del mondo. Come gli canta mamma Owens nella ninnananna che
lo segue per tutta la storia: “Face your life / Its pain, its pleasure / Leave
no path untaken” (“Affronta la vita / Son gioie e dolori / Non lasciar cammini
inesplorati”; dove purtroppo nella traduzione l’ultimo verso viene aggiustato
con “Che non siano inesplorate / le strade di ieri”. Perché ieri? Misteri).
Alla fine, certo, libro per adolescenti, ma ce ne vogliono come questi per
farli crescere. Ben scritto, Neil.
“È come chi crede che se va a vivere da
qualche altra parte sarà felice, ma poi scopre che non è così che funziona.
Ovunque tu vada, porti te stesso con te.” (118)
Quale
miglior viatico che chiudere l’anno “terribilis” cui accennavo la settimana
scorsa, con un nuovo, intenso, difficile viaggio nel mondo. Questa volta
proviamo finalmente a vedere il deserto del Kalahari, e ad addentrarci in
Botswana. Vi saprò dire al ritorno, che per almeno quindici giorni sarete senza
le mie trame (non siate troppo dispiaciuti, magari vi accorgerete che ne potete
fare a meno, e mi manderete a quel paese). Intanto leggete (soprattutto Carrère)
e siate allegri con tutti i miei abbracci.
Ps: un piccolo doppio poscritto, per sottolineare che anche se non mi è
piaciuto, alcune frasi di Hollinghurst sono memorabili. Infine, per chi ha
voglia, sottolineo la palindromicità anagrammatica della giornata di oggi. Per
chi non ne ha di voglia, può chiedermi spiegazioni.