domenica 28 ottobre 2018

Ancora NUMA - 21 ottobre 2018


Nel senso che, nel bene e nel male, abbiamo una settimana tutta dedicata a Clive Cussler (come mi ricordava proprio due giorni fa Otto), ma senza i nuovi arrivi. Torniamo ai classici, con due avventure di Kurt Austin, una di Juan Cabrillo ed una della famiglia Pitt. L’unica po, che riesce a raggiungere la sufficienza.
Clive Cussler & Graham Brown “Terremoto” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 0,90 euro)
[A: 15/02/2016 – I: 20/07/2017 – T: 24/07/2017] - && +
[tit. or.: Zero Hour; ling. or.: inglese; pagine: 325; anno 2013]
Un buon compito svolto abbastanza bene, anche se c’è qualche confusione nei titoli. Quello italiano si riferisce ad una delle conseguenze dell’imbrigliamento sbagliato dell’energia, quello originale, sia al conto alla rovescia per un evento speciale, sia all’energia che è il motore scientifico del romanzo, l’energia a “punto zero” (vedremo poi di che si tratta). Altro elemento che lascia qualche punto in meno è un finale un po’ confusionario, che mescola troppi elementi. Comunque, come nelle più riuscite ed usuali storie della factory di Cussler, la storia comincia da lontano, raccontando un esperimento del 1906, in una caverna in California, dove si cerca di sperimentare qualche pratica applicazione delle scoperte del grande fisico Nikola Tesla. Il 2013 dev’essere un anno in cui Cussler è entrato in fissa con questo scienziato serbo-americano, che anche il precedente libro ne parlava a lungo. Qui siamo alle prese con una possibile applicazione della fisica quantistica, che sarebbe una conseguenza del principio di indeterminazione di Heisenberg, dove si descrive il vuoto come una coppia di particelle e antiparticelle che si annullano reciprocamente. Trovando il modo invece di separarle, secondo Tesla si creerebbe una riserva di energia potente ed a basso costo. Fuori dal libro (che non ne parla), Tesla riuscì a penetrare il segreto dell’etere e nel 1931 in collaborazione con la Westinghouse Electric (supportata dalle sue invenzioni) e con la Pierce-Arrow (nota casa automobilistica) costruì la prima automobile elettrica a corrente alternata alimentata da un convertitore costruito da Tesla stesso che prelevava l’energia contenuta nell’etere tramite un’antenna, convertendola in energia elettrica. Prototipo che non ebbe ovviamente seguito, per le pressioni insormontabili dell’industria petrolifera americana. Ma tornando al libro, l’esperimento in California non riesce e l’energia sprigionata e non imbrigliata produce un forte terremoto (siamo nel 1906, e tutti sanno del terremoto di San Francisco, sia per sentito dire sia per il famoso film con Clark Gable e Jeanette MacDonald). Ovviamente, se non che ci starebbe a fare Cussler, c’è qualcuno che a prezzo di costi spropositati riesce, forse, nell’impresa non riuscita alla squadra di Tesla ad inizio secolo. Si tratta di uno scienziato un po’ fuori di testa, Maximilian Thero, latente schizofrenico e sicuramente rimasto scosso dall’incidente che anni prima ha fermato le sue scoperte, e dove qualcuno della famiglia (un figlio? una figlia? entrambi?) muore. Per sostenere i costi Thero scopre un giacimento diamantifero, dove porta gente che rapisce in giro per il mondo e la costringe a lavorare come suoi schiavi. Per poi rivendere i diamanti. Uno degli schiavi, tuttavia, è più preparato degli altri. È un cipriota, Nikolas Panos che rapisce le carte con i calcoli di Thero. Rocambolescamente arriva nel porto di Sydney, dove muore praticamente tra le braccia di Kurt Austin. Ecco quindi che viene coinvolta la struttura della NUMA, quella diremmo di secondo livello. Kurt stava assistendo ad una pallosissima conferenza all’Opera House, da dove si allontana con una scusa, incontra la dott.ssa Hayley Anderson e con lei assiste alla scena della morte di Panos. Interviene la sicurezza australiana, nella persona di Cecil Bradshaw. Da qui comincia anche un ballo di competenze e di silenzi (non si sa se colpevoli o involontari). Come se tutti, Bradshaw, il governo australiano, Hayley sapessero più di quanto dicono. Tanto che Bradshaw ipotizza la possibilità che Panos sia un traditore, anche perché all’orizzonte si profilano anche i russi, a complicare la trama con qualche immissione da guerra fredda d’altri tempi. Intanto Austin scopre che Panos è ricoperto di terriccio comune nell’entroterra australiano, cosa che sembra poco compatibile perché sempre secondo Austin il morto deve essere venuto da sott’acqua, dato che mostra evidenti segni di cattiva decompressione. Comunque, a questo punto molte carte sono sul tavolo. Austin scopre che Hayley è uno scienziato di fama (con l’unico difetto, catastrofico, di aver paura di volare in aereo), che ha progettato dei geosensori in grado di recepire gli spostamenti sismico-tettonici che Thero potrebbe provocare. Ovvio che Austin da qui in poi faccia intervenire il corpo della NUMA nel suo completo: prima di tutti il suo partner Joe Zavala, con alcuni macchinari che consentono immersioni rapide, ed in secondo luogo i coniugi Gamay, che stavano testando un nuovo scansionatore del fondo marino. A questo punto Thero esce allo scoperto, minacciando di testare il suo generatore di “energia a punto zero” al largo delle coste australiane, con il rischio concreto di spostare le placche tettoniche e di creare terremoti incontrollabili in tutto il territorio dell’Oceania. Gli sforzi congiunti di Austin e Zavala in prima linea, con l’aiuto dei macchinari di Hayley e dei coniugi Gamay, nonché delle forze militari di Bradshaw, riescono a distruggere alcuni elementi di supporto (tipo la miniera di diamanti), ma non hanno modo di distruggere la macchina che crea l’energia. Ci vorrà un’invenzione, un’idea illuminante del gruppo NUMA, benedetta da lontano dal suo grande capo Dirk Pitt, per risolvere la situazione per il meglio. Piccola chicca finale, Kurt e Hayley si allontanano verso un concerto all’Opera House (cosa che Kurt voleva fare 314 pagine prima) con il mezzo più lento che il nostro dongiovanni poteva pensare per far colpo sulla bella: una carrozza a cavalli.
Clive & Dirk Cussler “Havana Storm” Longanesi euro 12,90 (in realtà, scontato a 7,74 euro)
[A: 23/11/2016 – I: 27/03/2018 – T: 29/03/2018] - &&& -
[tit. or.: Havana Storm; ling. or.: inglese; pagine: 362; anno 2014]
Dopo ben 8 mesi riprendiamo a leggere le avventure ecologico – ambientali – marine del maestro Cussler. Qui coadiuvato nella scrittura dal figlio Dirk e dediti entrambi alla scrittura della serie maggiore, quella appunto che ha per protagonista l’eponimo del figlio, il grande avventuriero Dirk Pitt. Tra l’altro con questa siamo alla 23 storia della serie. E benché si notino dei rallentamenti nelle tensioni, e nelle azioni, il risultato è sempre discreto e gradevole. Meglio in ogni caso del “Terremoto” dell’ultima lettura. Anche se non è del tutto riuscito. In parte credo perché non si è deciso, tra i due autori, che filone prendere. Se mantenersi sul “normale” Dirk Pitt, o se debordare sul vicino “Oregon file” (due delle tante serie di Cussler, la seconda con intenti a volte più “politici” che avventuroso-ecologici). C’è infatti, come nel classico “Dirk” la partenza da lontano. Anche se questa volta il lontano risale solo alla guerra ispano-americana del 1898 per l’indipendenza di Cuba e delle Filippine. Certo ricordare che gli USA (con un certo generale Teddy Roosevelt) lottarono e morirono per Cuba, e poi meno di settanta anni dopo avrebbero lottato ed ucciso per far morire Cuba è veramente spaesante. Ma questo ci porta fuori dal seminato. Che nel 1898, nel periodo delle tensioni pre-guerra, un archeologo americano trova reperti Aztechi indicanti un grande possibile tesoro. Inseguito da spagnoli cattivi, si rifugia sulla corrazzata Maine. Che i cattivi fanno saltare in aria, scatenando la guerra di cui sopra. Venendo ai tempi moderni, abbiamo da un lato i due figli di Dirk, Dirk jr. e Summer, che si occupano di archeologia, che ritrovano resti risalenti alla colonizzazione spagnola, tra cui una mezza ruota simile, anche se più piccola, a quella bellissima che si trova (e che ho ammirato) al Museo Antropologico di Città del Messico. I due seguono le tracce della seconda metà, trovandosi a fare immersione in un cenote (ci feci il bagno la prima volta in Messico, ora mi dicono sia più pericoloso), ad essere presi di mira da biechi assassini, per poi, con l’aiuto del grande esperto navale Perlmutter, capire che il bandolo della matassa si deve trovare proprio a Cuba. Anche perché vediamo fin da subito che il cattivo è proprio un cubano, dal fantasioso nome di Diaz. Sull’altro versante, quello ecologico, vediamo Dirk sr. ed i suoi imbattersi in piccoli (e poi grandi) disastri ecologici, causati da inquinamento di metilmercurio. Che, come ogni buon chimico sa (quindi non io) deriva spesso da fonti vulcaniche, in particolare sottomarine, dove viene emesso del mercurio inorganico che si sintetizza con l’ambiente marino. Pitt, oltre a salvare una nave che stava inabissandosi, con i suoi, ed in particolare con il fido Al Giordino ed i suoi robot subacquei, scopre che la causa scatenante sono esplosioni nei fondali tra Cuba e la Florida. Esplosioni che, ma questo si capisce un po’ dopo, servono a liberare da fonti idrogeologiche sottomarine, grandi quantità di materiale radioattivo inerte, che i cattivi cubani vogliono vendere alla Corea del Nord. In modo da utilizzare i soldi ricavati per fomentare una rivolta anticastrista a Cuba. A capo dei sabotatori marini c’è lo stesso Diaz che cerca tesori aztechi nascosti. A capo dei rivoltosi che seguiamo nel tentativo di uccidere niente di meno che Raul Castro, c’è il fratello di Diaz. L’ammiraglio ex-capo di Dirk ed ora vicepresidente (ma che succederà quando salirà sullo scranno l’improbabile Trump?), sventa tutto. Anche con l’aiuto di Pitt ed i suoi. Intanto, il fatto che sia sempre Diaz a capo della fazione nemica in entrambi i casi, permette ai Cussler di unificare le storie. Con le solite rocambolesche avventure: salvataggio sottomarini all’ultimo minuto, assalti di navi, sparatorie, agnizioni varie. Una delle scene più belle è la sostituzione di Castro con un sosia, ergastolano e malato terminale, che muore al posto suo. Ma che consente a Castro, una volta sconfitti i nemici, di prenderne uno e di rinchiuderlo all’ergastolo senza processo, solo facendo sostituirne il nome. Altra scena “madre” l’incontro tra Raul e Dirk, molto affiatati e molto in spirito “Barack”: libertà, democrazia, ed alter belle parole. Comunque, Pitt salva lo stretto della Florida dall’inquinamento. Ed il vicepresidente alla fine dirà ai nostri marinai – archeologi – ecologisti e quant’altro la vera storia della ruota misteriosa di Montezuma. Dove finalmente si ristabilisce una verità poco nota sul nome dell’imperatore azteco, che dovrebbe essere chiamato Moctezuma o ancora meglio in lingua Nahuatl come Motecuhzoma. Ricostruita infatti la ruota, i nostri capiscono che il tesoro azteco fuggito dal Messico deve essere a Cuba. Guardandone i disegni complessi ed ora completi capiscono che tipologia di terreno e di grotte devono cercare. Unendo tutti gli sforzi, arrivano a decifrare il sito come la Baia di Guantánamo, che ben conosciamo come campo di prigionia, ma che è anche un territorio americano di 111 km2 dato in affitto perpetuo dal 1903 agli Stati Uniti. Proprio nella base i nostri magicamente ritrovano il tesoro. Ma il vicepresidente li avverte che gli Stati Uniti ben sapevano delle grotte e del loro contenuto. Insomma, una vicenda improbabile, condotta con poco sugo. E con un finale altrettanto poco probabile. Certo, scrittura decente, situazioni che si intricano e che sono interessanti da decifrare. Ma le due vicende non diventano mai realmente il centro della narrazione, lasciandola un po’ sbilenca. Aspettiamo altre prove, Cussler. Dimenticavo: al solito c’è il piccolo cammeo alla Hitchcock del nostro scrittore, che fa sempre piacere scoprire nelle pieghe narrative.
Clive Cussler & Graham Brown “Naufragio” TEA euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,42 euro)
[A: 21/09/2016 – I: 06/10/2018 – T: 09/10/2018] - && e ½
[tit. or.: Ghost Ship; ling. or.: inglese; pagine: 371; anno 2013]
Torniamo ora, dopo sei mesi, alle avventure dei NUMA files, quelli che vedono in prima linea Kurt Austin, il capo dei Progetti Speciali, ed il suo aiutante Joe Zavala. Anche se qui si intrecciano abbastanza con la presenza del personaggio principe di Cussler, il grande Dirk Pitt. Ormai a capo della NUMA, essendo il precedente presidente ora diventato vicepresidente degli Stati Uniti. Ed essendo un’avventura che coinvolge le strutture della mitica organizzazione oceanografica, Pitt è presente, anche in modo non marginale. Lo stampo generale prevede i passi classici del marchio NUMA files: piccolo prologo, non tanto per mettere in moto qualche ricerca strampalata, quanto per spiegare alcuni avvenimenti (a volte anche tutta la messa in scena) del romanzo, una spinta che avvia la storia, la presenza di almeno una donna carina, meglio se libera, un cattivo che cerca di far volgere la vicenda a proprio favore (per tornaconto personale o per vendetta), uno scenario complesso dove, di volta in volta, si individua una nazione cattiva da stigmatizzare. Qui, ancora ben lontani dalle Trump-folies, quest’ultimo ruolo è riservato alla Corea del Nord, che cerca di comprare, legalmente o meno, il servizio di alcuni hackers per penetrare e sconvolgere il sistema informatico mondiale. Per questo compito, l’emissario nordcoreano utilizza i servizi di una strana famiglia di ladri, anzi di generazioni di ladri. Famiglia dal nome francesizzato Brévard, che vedete abbastanza presto come sia possibile una sua derivazione dall’inglese “Braveheart”. Proprio dalla famiglia, poi, nasce il prologo sopracitato. È il capostipite della casata che organizza una banda di ladri in Sudafrica, che riesce a fabbricare monete false praticamente indistinguibili, e che, poco prima di essere catturato, fugge su di una nave, inscenando la sua scomparsa. Questo il marchio “Brévard”: grande casino, ruberie, poi scomparsa. Ed in effetti la nave scompare, dando ragione al titolo originario (“Ghost Ship” cioè Nave Fantasma), migliore dell’italiano “Naufragio” che rimane vero in una serie di situazioni, ma che può portare fuori rotta. Perché in realtà proprio da un naufragio comincia la storia, di un battello con sopra una famiglia, dove la madre, Sienna, ha due caratteristiche: è stata amante di Kurt ed è un genio dell’informatica, tanto da aver inventato una rete di protezione invalicabile agli hackers, e che sta per essere adottata “sopra” internet e tutte le altre connessioni. Kurt non li salva, e da quel momento in poi, complice un trauma cranico, ha incubi ricorrenti. Sul salvataggio e sul fatto che invece sia tutto finto. Questo secondo filone è assecondato da Dirk, che gli dà carta bianca. Inizia allora una missione in giro per il mondo alla ricerca di Sienna, se salva o meno, e di chi ha ordito il tutto. Prima negli Emirati Arabi, temendo che ci sia di mezzo l’Iran. Anche per la presenza di un terzo intermediario, sulla cui nave si potrebbe svolgere uno scambio di prigionieri. Cosa che non avviene, anche per l’intervento di Calista, la piccola della famiglia Brévard, nonché anch’essa non proprio a digiuno di informatica. Questa parte mandata all’aria, sarà Calista a fuggire verso la Corea, inseguita da Kurt e Joe. Una lunga pippa su battaglie, situazioni al limite, fughe sotterranee e chi più ne ha più ne metta, portano alla fine alla scoperta di un chip nel cervello di Kurt che gli altera i ricordi e portano Calista a fuggire verso il rifugio della famiglia con tutti gli ostaggi in mano. In parallelo, Dirk autorizza la famiglia Gamay ad andare alla ricerca del relitto del naufragio iniziale. Dove i nostri, prima trovano la nave intatta, poi vengono assaliti, sottacqua, da un virus informatico che sconvolge i sottomarini utilizzati (dato che tutto è gestito da computer). Ovviamente, anche, se malconci, si salvano, e scoprono, casualmente un relitto galleggiante di più di 100 anni. È la nave del prologo, portata da una tempesta ad arenarsi in un fiume del Madagascar, lì dove la famiglia Brévard ha posto le sue basi. Nel lungo e concitato finale, pieno di sparatorie ed inseguimenti, alla fine veniamo a scoprire che: Sebastian, il cattivo, sapendo che la protezione di Sienna sarebbe stata invalicabile, ha organizzato tutto il casino per farla togliere, avendo predisposto una serie di società fantasma dove, una volta senza protezione, avrebbe riversato montagne di denaro, senza che nessun governo possa intervenire. Sebastian lavora sul filo del rasoio, perché vuole essere attaccato, prima di far finta di essere sconfitto, ma fuggire, così come fece il nonno nel 1909. Ma scopriamo anche che Calista non è una Brévard, ma bimba rapita e poi indottrinata. Kurt ne libera i fantasmi, e sarà lei a mettere in moto la valanga finale che travolgerà la famiglia Brévard. Come quando e perché magari ve li leggete anche voi, che alla fine il libro scorre gradevolmente, pur non raggiungendo una sufficienza che ormai, forse, solo i libri della serie maggiore sembrano poter raggiungere. Non c’è molta curiosità scientifica. Non ci sono invenzioni e/o scoperte. Solo un grido d’allarme, condivisibile ma sterile, sul possibile uso cattivo delle tecnologie avanzate. Ed una tirata d’orecchi alle potenze cattive, Iran e Corea del Nord in prima fila, ma con poco lontano Cina e Russia. Si annuncia alla grande l’arrivo di Donald, purtroppo.
Clive Cussler & Boyd Morrison “Piranha” Longanesi euro 13,90 (in realtà, scontato a 11,80 euro)
[A: 05/07/2016 – I: 14/10/2018 – T: 16/10/2018] - && 
[tit. or.: Piranha; ling. or.: inglese; pagine: 395; anno 2015]
Saltiamo da un mare all’altro, saltiamo da una serie all’altra. Ed eccoci allora tornata alla minore delle serie maggiori. Scusate un po’ il bisticcio, ma la premiata ditta Cussler&Co. ha prodotto tre serie maggiori: Dirk Pitt (25 titoli), Numa (16 titoli) e Oregon file (13 titoli) e due serie “minori” che però stanno crescendo, anche se con meno popolarità: Isaac Bell e Fargo (10 titoli ognuna). Vedete così con un rapido calcolo che dal 1973, sono stati pubblicati 74 romanzi. Non male! Ma se Pitt è ormai abbastanza noto, e degli archivi NUMA ho appena parlato, qui torniamo ad interessarci delle avventure della nave Oregon e del suo capitano Juan Cabrillo. Come i miei più assidui lettori sanno, questa serie non sempre mi convince, a volte troppo puntata più verso battaglie e complotti, piuttosto che verso scoperte scientifiche o altre diavolerie inventate o verosimili. Qui siamo in una piccola inversione di rotta, anche se battaglie, sparatorie ed agguati vari sono sempre ben presenti. La piccola inversione riguarda l’idea del congegno che mette in pericolo le sorti dell’umanità. Che non è come potreste pensare un discorso di internet e affini. Ma una applicazione del telescopio a neutrini. Ora i neutrini sono particelle così chiamate da Fermi nel ’30 essendo di carica nulla. Negli ultimi decenni vengono utilizzati per vari scopi, visto che possono attraversare i corpi senza modificarli. Ad esempio, tre anni fa un telescopio a neutrini è stato calato nel Mar di Sicilia per studiare i capodogli, o un altro, nel 2016, è utilizzato in Antartide per catturare i neutrini venuti dallo spazio profondo (cosa che lui, IceCube, ha appunto fatto). In questa meta finzione, Cussler (che la manina di Boyd serve più che altro ad imbastire le trame pensate dal grande) ipotizza l’esistenza di materiali compositi, che interagendo con i neutrini, consentano ad un ricettore di immagini di ottenere una ritrasmissione di qualsiasi cosa avvenga in qualsiasi punto della terra. Ovvio pensare al potere che ciò comporta, ed al suo uso distorto. Visto che il possessore di questa tecnologia risulta essere un discendente di tal Gerard Lutzen, tedesco studente berlinese nei primi anni del 1900, quando nel mondo scientifico c’era tutto un fermento (Einstein, Max Planck nonché Ernest Rutherford, il padre della teoria atomica orbitale). Il fittizio Lutzen, scoperti i neutrini, cerca quei materiali, trovandone una caverna in quel di Haiti. Peccato che sulla via del ritorno si imbatte nell’eruzione del vulcano Pelée nella Martinica (una delle eruzioni moderne più disastrose), lasciando però un documento ai suoi discendenti. Documento e caverna che arrivano nelle mani di tal Kensit che decide di usarlo per “salvare il mondo”. Ovvio che salvarlo significa ridurlo ai propri poteri, che Kensit solo sa quale sia il bene (una teoria che troppo spesso sentiamo, purtroppo). Kensit assolda banditi e narco-trafficanti haitiani agli ordini di Bazin, un ex-legionario, e coinvolge un governatore rampante americano con qualche scheletro nell’armadio per poterlo usare come uomo di paglia. Inoltre, Bazin deve coinvolgere la marina venezuelana, agli ordini di una donna spietata, per avere il materiale necessario alla costruzione ed al mantenimento del telescopio, materiale che può avere solo dai cattivissimi nord-coreani con scambi tecnologia-droga, anche questi spesso sentiti. Proprio il coinvolgimento dei coreani insospettisce la CIA, che coinvolge Cabrillo ed i suoi nella ricerca di prove. Poiché questa ricerca risulta positiva, e poiché i cattivi tentano (senza successo) di far male a Cabrillo ed ai suoi, i mercenari buoni della Oregon si mettono in caccia. Aiutati da forze della NUMA che agiscono fuori dalle tracce del romanzo (Pitt che mette a disposizione informazioni, Perlmutter ed i suoi file su tutte le navi del mondo, ed altro), si imbattono sul nodo della questione. Kensit vuole uccidere l’attuale vicepresidente degli USA, mettere il suo uomo al suo posto, e cominciare la scalata di cui sopra. Peccato che l’attuale numero due americano sia il precedente capo di Pitt, nonché fondatore della NUMA. Peccato che per attuare il suo piano, sia stato sviluppato un software che consente di prendere i comandi di droni automatizzati. Peccato che la seconda parte dell’uso di software e neutrini porti alla costruzione di droni sottomarini che, utilizzando getti d’acqua concentrati riescano a fare buchi minuscoli e multipli a navi da trasporto affondandole. Ora, è ovvio che Cabrillo capisce tutto, capisce le manovre di Kensit, sbaraglia gli assalti di Bazin, recupera parte della tesi di Lutzen a Berlino, per cui intuisce qualcosa. E via discorrendo. Con l’unico colpo di genio: visto che Kensit vede e sente tutto, l’unico modo di affrontarlo è usare un codice che solo Cabrillo ed i suoi conoscono senza che venga scritto: il riferimento a passate gesta degli Oregon man. Così Cabrillo ed i suoi vinceranno anche questa battaglia, distruggendo la caverna, di modo che sia difficile utilizzare distortamente i neutrini. Una sola fondamentale domanda: ma visto che Piranha è il nome dei droni sottomarini, che occupano sì e no 5 pagine su 400, è proprio il caso di chiamare così il libro? Magari facendo credere che si parli dei mitici pesci che ho visto all’opera nella penisola dello Yucatan. Si poteva fare di meglio, nel titolo e nella scrittura, che rimane un po’ al di sotto della media standard dei libri di Cussler.
Eccoci alla terza settimana, e facciamo uno sforzo in positivo godendoci almeno un libro “ghiotto”. Per il resto, aspettiamo tempi migliori.
Tempi migliori che siamo certi verranno dal 1° novembre, quando sarà scaduto l’anno “terribilis” che ci siamo trovati di fronte: la malattia e la morte di mia madre, le incomprensioni (spesso a me dovute) con cari amici, la mia macchina distrutta, i continui e ripetuti incidenti di Ale. Ma noi che siamo ottimisti diciamo, ecco che finisce.

I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni

OTTOBRE 2018
Visto che siamo nel solito periodo “nero” che conoscete, consoliamoci con rimedi per il palato.

RIMEDI GHIOTTI (I)

CHOCOLAT di JOANNE HARRIS (1999)

Pillole di trama       
Quando l’affascinate e misteriosa Vianne Rocher arriva con sua figlia Anouk a Lansquenet per aprire una cioccolateria, la sonnacchiosa vita del piccolo villaggio viene stravolta. Con le sue deliziose creazioni pasticcere Vianne prende per la gola gli abitanti, ricordando loro il piacere della vita. A ribadire a tutti che l’esistenza è fatta di privazioni e penitenze, ci pensa il rigido reverendo Reynaud che cerca di opporsi con forza a questo vento di novità e diversità che profuma di buono.
Supposta-saggezza
“Chocolat” ha il pregio fondamentale di essere una favola dolce ma non stucchevole al sapor di cioccolato (che rende il libro prelibato!). Il romanzo di Joanne Harris è soprattutto un gioioso inno al potere del cibo come ingrediente con cui addolcire la vita, per addentarla e gustarne con piacere ogni boccone, smorzando il suo retrogusto amaro con una pioggia di gocce di cioccolato. La vita, infatti, è un piatto che per quanto ci si impegni a cucinare nel migliore dei modi, usando i migliori ingredienti e facendo attenzione a mescolarli seguendo le indicazioni, non sempre riesce bene. Ma ogni ricetta mal riuscita si può aggiustare, basta osare un po’ e non avere paura delle novità. Si sa che molti succulenti piatti sono nati per errore. Novità, coraggio e dolcezza sono le armi con cui la protagonista affronta la dura lotta per far accettare la sua diversità agli abitanti del piccolo villaggio. In realtà a uno in particolare, ma il più influente, padre Reynaud, compreso in maniera ottusa nel suo ruolo di comando più che di guida, di controllo più che di conforto. Per lui la vita è sofferenza, rigore e obbedienza, mentre per Vianne è esperienza, condivisione e piacere, anche e soprattutto piacere del palato. Sono celestiali i dolci con cui solletica le papille gustative degli abitanti di Lansquenet, che a uno a uno capitolano davanti alle vetrine della peccaminosa cioccolateria ‘La céleste praline’. Vianne ha il dono di capire i gusti delle persone e a ciascuno consiglia la golosità più conforme alle esigenze emotive: che sia una tazza di spumoso cioccolato, una pralina ripiena o una fetta di torta, lei trasforma ogni assaggio in un piacevole rimedio per affrontare le piccole difficoltà quotidiane La giovane donna porta il disordine nel villaggio, impiastricciando di cioccolato tutte le false convinzioni e convenzioni che avevano intorpidito i paesani di monotonia, aiutandoli a guarire e usando la sua pasticceria come una piccola farmacia dei sentimenti. Mescola che ti rimescola, il prelibato cibo degli dèi fa miracoli e Vianne propone la sua ricetta alternativa alla vita noiosa e lugubre difesa con tenacia dal ministro di Dio, e “Chocolat” diventa un inno al piacere del cibo come capacità di godere ogni giorno con gioia, senza paura e sensi di colpa. Un elogio della felicità e della libertà, che possono nascondersi anche in un cioccolatino e nello stesso tempo un monito contro ogni forma di chiusura verso ciò che è diverso o nuovo, che sia una persona o un piatto sconosciuto.   
Il pregio maggiore del romanzo è di non ridursi a una favoletta banale della serie ‘mangia che ti passa’. E questo soprattutto grazie alla protagonista, un personaggio estremamente complesso: Vianne è bella, fiera, vivace, libera e indipendente ma anche inquieta, fragile, incapace di mettere radici e restia alle relazioni stabili nonostante la sua naturale socievolezza. È una nomade un po’ zingara, un po’ strega, ovvero capace di trasformare il malessere in buona fortuna, un po’ maga, un’alchimista casalinga che fa ‘magie caserecce’. Costretta dalla sua irrequietezza a spostarsi di luogo in luogo non appena cambia il vento, è una sorta di Mary Poppins che accorre in aiuto di chi ne ha bisogno, dalla borsa magica estrae dolci e poi riparte quando il suo compito è terminato. Se per la tata inglese basta un poco di zucchero, a Vianne basta un po’ cioccolato. Ogni goloso sa che una tazza di cioccolata calda per essere perfetta necessita della nuvoletta di panna galleggiante e cosi l’autrice non dimentica di circondare Vianne con personaggi altrettanto gustosi e saporiti, indimenticabili protagonisti di questa piccola ribellione all’ordine costituito da privazioni, penitenze e monotonia, raccontata con un pizzico di mistero e magia e l’ottima trovata di alternare il diario di Vianne a quello di Reynaud in modo da dare voce equamente agli opposti punti di vita-vista. Inneggiando alla golosità santificata come peccato veniale, anzi geniale, Joanne Harris mette in scena l’eterna lotta tra bigotti ben pensanti e bon viveur. Voi decidete da che parte stare ma ricordate che, come diceva Virginia Woolf, ‘non si può pensare bene, né amare bene, né dormire bene se non si è pranzato bene’. A digiuno si vive male e si pensa peggio. Fate indigestione di “Chocolat” e sorridete alla vita, con la bocca sporca di cioccolato.
P.S. sarà sicuramente una coincidenza, ma una coincidenza buffa, che il cognome di Vianne sia Rocher, come il celebre cioccolatino avvolto nella carta dorata.
Posologia
Indiscutibilmente il cioccolato è molto più di un semplice alimento. Probabilmente è il comfort food per eccellenza. È buono e fa bene. Non lo dico da ‘choco addicted’, perché ormai è scientificamente provato che si tratta di un alimento salutare. Ricco di magnesio, ferro e potassio è un potente antiossidante, abbassa il colesterolo, rende la pelle liscia (che faccia venire i brufoli è una balla per la quale qualcuno dovrà pagare) e migliora anche l’umore rivelandosi un alleato contro depressione e sindrome premestruale. “Chocolat” ha gli stessi benefici di una tavoletta fondente o di una tazza di fumante cioccolata alla can-nella. Se ne prescrive la lettura per contrastare momenti di sconforto, depressione, sindrome premestruale, delusioni amorose, debolezza sia fisica che mentale intesa anche come mancanza di coraggio e incapacità di affermare la propria diversità. La ribellione di Vianne è contagiosa e vaccina da pregiudizi, intolleranza e paura del diverso.
Suggerisco di propinarlo sotto forma di regalo a tutti quelli che hanno sempre additato il cioccolato come l’uomo nero da evitare come la peste. Il romanzo dimostra che l’uomo nero va affrontato e mai fuggito. È molto utile anche per fare pace con il cioccolato, sia mai per la moda delle diete abbiate litigato. I litigi portano sempre malumore e il malumore danneggia la salute.
La lettura di “Chocolat” favorisce il contagio di virus benefici che aiutano a sviluppare empatia, comprensione, abilità di intuire le necessità degli altri e soddisfarne il piacere, capacità di guardare oltre l’apparenza (anche del cibo) con gli occhi curiosi e golosi di un bambino. Il romanzo è portatore sano di magia, un potente antidoto contro ogni tipo di amarezza, perché il cioccolato è ‘l’amaro elisir della vita’. Alla fine sarete fermamente convinti che ‘essere felici sia l’unica cosa importante [...]’ e che la felicità sia ‘semplice come un bicchiere di cioccolata o tortuosa come il cuore. Amara. Dolce. Viva’.
Effetti collaterali
Sono stati segnalati i seguenti effetti indesiderati comuni: acquolina in bocca, papille gustative in agitazione, imbarazzante rivoletto di bava agli angoli della bocca, irrefrenabile voglia di cioccolato! Inebriante fin dalle prime righe, il romanzo è ben condito con appetitose descrizioni e profumi talmente evocativi che davanti agli occhi sognanti del lettore sfilano tutte le specialità de ‘La céleste praline’. Anche per gli amanti del salato non mancano gustose leccornie. Per evitare probabili episodi di ipoglicemia, è saggio premunirsi di qualche golosità cioccolatosa per rendere più piacevole la lettura e assimilarne meglio il messaggio. Fate attenzione a non esagerare, pena eventuali indigestioni, ma non provate neanche a resistere costringendovi a inutili privazioni altrimenti rischiate di fare la fine, poco dignitosa, di padre Reynaud.
Consigli dello chef
La cura può essere prolungata con il seguito del romanzo, Le scarpe rosse. Sono passati quattro anni e Vianne ha aperto una cioccolateria a Parigi. Ma una donna dalle scarpe rosse mette a dura prova la protagonista che deve cavarsela con le uniche armi a sua disposizione: il cioccolato e la magia. La trilogia di “Chocolat” si conclude con Il giardino delle pesche e delle rose in cui Vianne toma a Lansquenet dopo otto anni in seguito a una misteriosa lettera in cui si richiede il suo aiuto. Una comunità musulmana si è stabilita nel villaggio e solo lei può riportare la pace appianando le incomprensioni tra gli abitanti e i nuovi venuti. Il profumo di cioccolato si mescola a quello delle spezie, del caramello e dello zucchero in una storia dal sapore magico in cui il cibo diventa una medicina contro ogni forma di intolleranza e stupidità, rivendicando la dolcezza come l’unica arma per combattere le battaglie quotidiane.
La cura cioccolatosa a base di Joanne Harris può proseguire con Il piccolo libro di Chocolat. Nato come omaggio a Vianne, è un regalo per tutti i golosi trattandosi di un piccolo volume illustrato contente cinquanta ricette da tutto il mondo a base, ovviamente, di cioccolato, tra torte, biscotti, macaron, praline e mousse. Se non siete pasticceri provetti non temete perché l’autrice, coadiuvata dallo chef Fran Warde, illustra tutti i passaggi in modo chiaro. Una lettura piacevole e dal gustosissimo risvolto pratico.
Terapia cinematografica sostitutiva
Diretto da Lasse Hallstrom e interpretato da Juliette Binoche, Johnny Depp e Judi Dench, nonostante sostanziali differenze “Chocolat” è un riuscito adattamento di cui non si è mai sazi. Da vedere e rivedere al bisogno, conforta e gratifica con i suoi toni da commedia romantica e la sua atmosfera da fiaba. Come già per il libro, anche in questo caso suggerisco di tenere dolcetti vari a portata di mano: come minimo vorrete un cioccolatino da far scrocchiare sotto i denti, anche per compensare la voglia di Johnny Depp che qui è davvero fondente al cento per cento e da bava alla bocca come le sublimi creazioni di Vianne.

Commenti

Seppur convinto che la cioccolata sia il miglior rimedio per molte malattie, e abbastanza certo che il film venne ben fatto, il libro non mi piacque e continua a non piacermi.
Joanne Harris “Chocolat” Corriere della Sera Cucina 10 euro 7,90
[pubblicato il 28 agosto 2017]
Sinceramente mi aspettavo di più da un libro consigliato dall’ottima Giulia Fiore tra quelli che alleviano tristezze e portano felicità. Purtroppo, a me ha fatto l’effetto contrario, portandomi più che altro tristezze. Una storia strampalata, forse adatta ai lettori del primo libro di Harry Potter, che viene inserita tra le “Storie di Cucina” solo perché la protagonista apre un negozio di delizie di cioccolato. Non dico che avrei voluto qualche ricetta (già altrove lamentavo a volte in questa collana la preponderanza di ricettari piuttosto che di storie), ma almeno degli accenni che fossero meno episodici ed “appiccicati” alla fine in una sintetica quanto meglio sviluppabile appendice di Laura Grandi (un “Glossario goloso” dove gli appunti scarsi sulla bevanda degli dei andrebbero sviluppati in un discorso più ampio ed appetibile, se non edibile). Qui, abbiamo la storia di una “maga” che si aggira per il mondo, cercando di spargere, a suo modo, felicità. Maga figlia di maga che con la madre girovagava per tutte le terre, fino, purtroppo, a ritrovarsi sola e dover ricominciare. Con la piccola Anouk, figlia di sei anni. Non sappiamo, in questa famiglia senza uomini, dove e come e chi siano i padri (anche se ho il sospetto di un qualche strano rapimento zingaresco), ma questo è un universo femminile. Dove il solo uomo a far da contraltare è Padre Francis, il prete della cittadina dove le nostre eroine si fermano il giorno di Carnevale. La storia, scandita dai giorni del calendario, andrà avanti sino alla Pasqua, con molte pagine di Vianne (la nostra maga) in soggettiva ed alcune del prete (appunto per creare un contrasto anche fonetico di voci). Come se l’autrice volesse creare una rivalità tra le pulsioni libertarie delle donne e quelle repressive dei maschi, impersonati appunto dal truce prete. Ma le pagine del prete sono non soltanto cupe, ma di poco sviluppo: ha molte angosce, sembra essere stato tiranneggiato da piccolo, forse ha fatto scoppiare un incendio dove muoiono degli zingari. Ora fa solo opera di espiazione, reprimendo, in questa piccola città del centro della Francia, ogni impulso che possa portare a sani e corretti rapporti umani. Rifiutandosi di assaggiare i dolcetti di Vianne, fino, però, a soccombere il dì di Pasqua, quando, volendo farle uno sgarbo, penetra nel negozio, ma verrà sopraffatto dalla bontà. Del cioccolato, ovviamente. Nelle more, Vianne apre questa sua pasticceria, offre dolcetti, offre buone parole e conforto. A Guillaume, cui muore il cane. Ad Armande, l’anziana del villaggio, che sa delle magagne del prete, e che, per mezzo di Vianne, ritrova l’affetto del nipote Luc, per poi, diabetica ed impenitente, decidere (un po’ tipo “La grande abbuffata” di Ferreri) di godere sino in fondo questo suo stato. Visto che ormai ha fatto la vita che ha voluto ed ottenuto la maggior parte delle cose che voleva. A Josephine, cleptomane per vendetta rispetto ad un marito ottuso e manesco, cui dona la forza di ribellarsi, di andare via dalla casa dove veniva maltrattata, e di rifarsi una vita. Forse proprio nella cioccolateria, quando Vianne ed Anouk se ne andranno. E Josephine potrà, forse, trovare consolazione nello zingaro Roux, rosso di nome e di capelli. Ma tutta la prosa è poco coinvolgente. Vianne è una strega? E allora? Lo è anche Harry Potter! È una strega buona? Più che altro è una persona che sa leggere il carattere degli altri, e sa “appianare i conflitti”, se, ovviamente, gli si dà una mano. Altrimenti, è guerra aperta. Poco convincente, poi, è l’antagonismo con la Chiesa, tanto che nel film l’oppositore di Vianne viene spostato nella figura fittizia del sindaco. Ed è forse questo che ha creato aspettative, e poi vendite nel libro. Un film in cui si darà molto più spazio a Roux, interpretato da Johnny Deep (ed altrettanto ovviamente il film finirà con la storia d’amore tra lui e Juliette Binoche). Ma torniamo allo scritto. Ripeto, scrittura poca incisiva, quasi fosse solo rivolta ad un pubblico adolescente (ma allora, meglio Dahl e la sua “Fabbrica di cioccolato”). Situazioni poco coinvolgenti: certo, si accenna al maltrattamento di Josephine ed alla spinta (riuscita) a lasciare il marito manesco, si accenna al razzismo verso gli zingari (o vero i diversi in genere), ma sempre con un’aria di raccontare qualcosa di fiabesco e non di reale. Così come poco reale è la costruzione della figura del tenebroso prete, o quella del suo mentore, chiuso nel mutismo dell’anzianità e della malattia. Speravo veramente di meglio, mi aspettavo un libro di solare coinvolgimento. L’ho letto ma lo sto già dimenticando.
“I bambini nascono selvaggi, lo so. Il massimo che io possa sperare è un po’ di tenerezza.” (56)
“Mi piacerebbe … seguire il sole con nient’altro che una valigia e non avere la minima idea di dove sarò domani.” (195)
“Tornare in una città dove hai già vissuto è come tornare a casa da un vecchio amico.” (195)
“Alla mia età posso essere proprio come mi pare. Posso essere assurda, se mi va. Sono abbastanza vecchia per permettermi qualsiasi cosa.” (235)

Finalino

Non mi ripeto, ribadendo quanto sopra: cioccolato approvato, libro bocciato.


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