Nel
senso che, nel bene e nel male, abbiamo una settimana tutta dedicata a Clive
Cussler (come mi ricordava proprio due giorni fa Otto), ma senza i nuovi
arrivi. Torniamo ai classici, con due avventure di Kurt Austin, una di Juan Cabrillo
ed una della famiglia Pitt. L’unica po, che riesce a raggiungere la
sufficienza.
Clive Cussler & Graham Brown “Terremoto” TEA euro 9 (in realtà,
scontato a 0,90 euro)
[A: 15/02/2016 – I: 20/07/2017 – T: 24/07/2017] - &&
+
[tit. or.: Zero Hour; ling. or.: inglese; pagine: 325;
anno 2013]
Un
buon compito svolto abbastanza bene, anche se c’è qualche confusione nei
titoli. Quello italiano si riferisce ad una delle conseguenze
dell’imbrigliamento sbagliato dell’energia, quello originale, sia al conto alla
rovescia per un evento speciale, sia all’energia che è il motore scientifico
del romanzo, l’energia a “punto zero” (vedremo poi di che si tratta). Altro
elemento che lascia qualche punto in meno è un finale un po’ confusionario, che
mescola troppi elementi. Comunque, come nelle più riuscite ed usuali storie
della factory di Cussler, la storia comincia da lontano, raccontando un
esperimento del 1906, in una caverna in California, dove si cerca di
sperimentare qualche pratica applicazione delle scoperte del grande fisico
Nikola Tesla. Il 2013 dev’essere un anno in cui Cussler è entrato in fissa con
questo scienziato serbo-americano, che anche il precedente libro ne parlava a
lungo. Qui siamo alle prese con una possibile applicazione della fisica
quantistica, che sarebbe una conseguenza del principio di indeterminazione di
Heisenberg, dove si descrive il vuoto come una coppia di particelle e
antiparticelle che si annullano reciprocamente. Trovando il modo invece di
separarle, secondo Tesla si creerebbe una riserva di energia potente ed a basso
costo. Fuori dal libro (che non ne parla), Tesla riuscì a penetrare il segreto
dell’etere e nel 1931 in collaborazione con la Westinghouse Electric
(supportata dalle sue invenzioni) e con la Pierce-Arrow (nota casa automobilistica)
costruì la prima automobile elettrica a corrente alternata alimentata da un
convertitore costruito da Tesla stesso che prelevava l’energia contenuta
nell’etere tramite un’antenna, convertendola in energia elettrica. Prototipo
che non ebbe ovviamente seguito, per le pressioni insormontabili dell’industria
petrolifera americana. Ma tornando al libro, l’esperimento in California non
riesce e l’energia sprigionata e non imbrigliata produce un forte terremoto
(siamo nel 1906, e tutti sanno del terremoto di San Francisco, sia per sentito
dire sia per il famoso film con Clark Gable e Jeanette MacDonald). Ovviamente,
se non che ci starebbe a fare Cussler, c’è qualcuno che a prezzo di costi
spropositati riesce, forse, nell’impresa non riuscita alla squadra di Tesla ad
inizio secolo. Si tratta di uno scienziato un po’ fuori di testa, Maximilian
Thero, latente schizofrenico e sicuramente rimasto scosso dall’incidente che
anni prima ha fermato le sue scoperte, e dove qualcuno della famiglia (un
figlio? una figlia? entrambi?) muore. Per sostenere i costi Thero scopre un
giacimento diamantifero, dove porta gente che rapisce in giro per il mondo e la
costringe a lavorare come suoi schiavi. Per poi rivendere i diamanti. Uno degli
schiavi, tuttavia, è più preparato degli altri. È un cipriota, Nikolas Panos
che rapisce le carte con i calcoli di Thero. Rocambolescamente arriva nel porto
di Sydney, dove muore praticamente tra le braccia di Kurt Austin. Ecco quindi
che viene coinvolta la struttura della NUMA, quella diremmo di secondo livello.
Kurt stava assistendo ad una pallosissima conferenza all’Opera House, da dove
si allontana con una scusa, incontra la dott.ssa Hayley Anderson e con lei
assiste alla scena della morte di Panos. Interviene la sicurezza australiana, nella
persona di Cecil Bradshaw. Da qui comincia anche un ballo di competenze e di
silenzi (non si sa se colpevoli o involontari). Come se tutti, Bradshaw, il
governo australiano, Hayley sapessero più di quanto dicono. Tanto che Bradshaw
ipotizza la possibilità che Panos sia un traditore, anche perché all’orizzonte
si profilano anche i russi, a complicare la trama con qualche immissione da
guerra fredda d’altri tempi. Intanto Austin scopre che Panos è ricoperto di
terriccio comune nell’entroterra australiano, cosa che sembra poco compatibile
perché sempre secondo Austin il morto deve essere venuto da sott’acqua, dato
che mostra evidenti segni di cattiva decompressione. Comunque, a questo punto
molte carte sono sul tavolo. Austin scopre che Hayley è uno scienziato di fama
(con l’unico difetto, catastrofico, di aver paura di volare in aereo), che ha
progettato dei geosensori in grado di recepire gli spostamenti
sismico-tettonici che Thero potrebbe provocare. Ovvio che Austin da qui in poi
faccia intervenire il corpo della NUMA nel suo completo: prima di tutti il suo
partner Joe Zavala, con alcuni macchinari che consentono immersioni rapide, ed
in secondo luogo i coniugi Gamay, che stavano testando un nuovo scansionatore
del fondo marino. A questo punto Thero esce allo scoperto, minacciando di
testare il suo generatore di “energia a punto zero” al largo delle coste
australiane, con il rischio concreto di spostare le placche tettoniche e di
creare terremoti incontrollabili in tutto il territorio dell’Oceania. Gli sforzi
congiunti di Austin e Zavala in prima linea, con l’aiuto dei macchinari di
Hayley e dei coniugi Gamay, nonché delle forze militari di Bradshaw, riescono a
distruggere alcuni elementi di supporto (tipo la miniera di diamanti), ma non
hanno modo di distruggere la macchina che crea l’energia. Ci vorrà
un’invenzione, un’idea illuminante del gruppo NUMA, benedetta da lontano dal
suo grande capo Dirk Pitt, per risolvere la situazione per il meglio. Piccola
chicca finale, Kurt e Hayley si allontanano verso un concerto all’Opera House
(cosa che Kurt voleva fare 314 pagine prima) con il mezzo più lento che il
nostro dongiovanni poteva pensare per far colpo sulla bella: una carrozza a
cavalli.
Clive & Dirk Cussler “Havana Storm” Longanesi euro 12,90 (in
realtà, scontato a 7,74 euro)
[A: 23/11/2016 – I:
27/03/2018 – T: 29/03/2018] - &&& -
[tit. or.: Havana Storm; ling. or.: inglese; pagine: 362; anno 2014]
Dopo
ben 8 mesi riprendiamo a leggere le avventure ecologico – ambientali – marine
del maestro Cussler. Qui coadiuvato nella scrittura dal figlio Dirk e dediti
entrambi alla scrittura della serie maggiore, quella appunto che ha per
protagonista l’eponimo del figlio, il grande avventuriero Dirk Pitt. Tra
l’altro con questa siamo alla 23 storia della serie. E benché si notino dei
rallentamenti nelle tensioni, e nelle azioni, il risultato è sempre discreto e
gradevole. Meglio in ogni caso del “Terremoto” dell’ultima lettura. Anche se
non è del tutto riuscito. In parte credo perché non si è deciso, tra i due
autori, che filone prendere. Se mantenersi sul “normale” Dirk Pitt, o se
debordare sul vicino “Oregon file” (due delle tante serie di Cussler, la
seconda con intenti a volte più “politici” che avventuroso-ecologici). C’è
infatti, come nel classico “Dirk” la partenza da lontano. Anche se questa volta
il lontano risale solo alla guerra ispano-americana del 1898 per l’indipendenza
di Cuba e delle Filippine. Certo ricordare che gli USA (con un certo generale
Teddy Roosevelt) lottarono e morirono per Cuba, e poi meno di settanta anni
dopo avrebbero lottato ed ucciso per far morire Cuba è veramente spaesante. Ma
questo ci porta fuori dal seminato. Che nel 1898, nel periodo delle tensioni
pre-guerra, un archeologo americano trova reperti Aztechi indicanti un grande
possibile tesoro. Inseguito da spagnoli cattivi, si rifugia sulla corrazzata
Maine. Che i cattivi fanno saltare in aria, scatenando la guerra di cui sopra.
Venendo ai tempi moderni, abbiamo da un lato i due figli di Dirk, Dirk jr. e
Summer, che si occupano di archeologia, che ritrovano resti risalenti alla
colonizzazione spagnola, tra cui una mezza ruota simile, anche se più piccola,
a quella bellissima che si trova (e che ho ammirato) al Museo Antropologico di
Città del Messico. I due seguono le tracce della seconda metà, trovandosi a
fare immersione in un cenote (ci feci il bagno la prima volta in Messico, ora
mi dicono sia più pericoloso), ad essere presi di mira da biechi assassini, per
poi, con l’aiuto del grande esperto navale Perlmutter, capire che il bandolo
della matassa si deve trovare proprio a Cuba. Anche perché vediamo fin da
subito che il cattivo è proprio un cubano, dal fantasioso nome di Diaz. Sull’altro
versante, quello ecologico, vediamo Dirk sr. ed i suoi imbattersi in piccoli (e
poi grandi) disastri ecologici, causati da inquinamento di metilmercurio. Che,
come ogni buon chimico sa (quindi non io) deriva spesso da fonti vulcaniche, in
particolare sottomarine, dove viene emesso del mercurio inorganico che si
sintetizza con l’ambiente marino. Pitt, oltre a salvare una nave che stava
inabissandosi, con i suoi, ed in particolare con il fido Al Giordino ed i suoi
robot subacquei, scopre che la causa scatenante sono esplosioni nei fondali tra
Cuba e la Florida. Esplosioni che, ma questo si capisce un po’ dopo, servono a
liberare da fonti idrogeologiche sottomarine, grandi quantità di materiale
radioattivo inerte, che i cattivi cubani vogliono vendere alla Corea del Nord.
In modo da utilizzare i soldi ricavati per fomentare una rivolta anticastrista
a Cuba. A capo dei sabotatori marini c’è lo stesso Diaz che cerca tesori
aztechi nascosti. A capo dei rivoltosi che seguiamo nel tentativo di uccidere niente
di meno che Raul Castro, c’è il fratello di Diaz. L’ammiraglio ex-capo di Dirk
ed ora vicepresidente (ma che succederà quando salirà sullo scranno
l’improbabile Trump?), sventa tutto. Anche con l’aiuto di Pitt ed i suoi.
Intanto, il fatto che sia sempre Diaz a capo della fazione nemica in entrambi i
casi, permette ai Cussler di unificare le storie. Con le solite rocambolesche
avventure: salvataggio sottomarini all’ultimo minuto, assalti di navi,
sparatorie, agnizioni varie. Una delle scene più belle è la sostituzione di
Castro con un sosia, ergastolano e malato terminale, che muore al posto suo. Ma
che consente a Castro, una volta sconfitti i nemici, di prenderne uno e di
rinchiuderlo all’ergastolo senza processo, solo facendo sostituirne il nome.
Altra scena “madre” l’incontro tra Raul e Dirk, molto affiatati e molto in
spirito “Barack”: libertà, democrazia, ed alter belle parole. Comunque, Pitt
salva lo stretto della Florida dall’inquinamento. Ed il vicepresidente alla
fine dirà ai nostri marinai – archeologi – ecologisti e quant’altro la vera
storia della ruota misteriosa di Montezuma. Dove finalmente si ristabilisce una
verità poco nota sul nome dell’imperatore azteco, che dovrebbe essere chiamato
Moctezuma o ancora meglio in lingua Nahuatl come Motecuhzoma. Ricostruita
infatti la ruota, i nostri capiscono che il tesoro azteco fuggito dal Messico
deve essere a Cuba. Guardandone i disegni complessi ed ora completi capiscono
che tipologia di terreno e di grotte devono cercare. Unendo tutti gli sforzi, arrivano
a decifrare il sito come la Baia di Guantánamo, che ben conosciamo come campo
di prigionia, ma che è anche un territorio americano di 111 km2 dato
in affitto perpetuo dal 1903 agli Stati Uniti. Proprio nella base i nostri
magicamente ritrovano il tesoro. Ma il vicepresidente li avverte che gli Stati
Uniti ben sapevano delle grotte e del loro contenuto. Insomma, una vicenda
improbabile, condotta con poco sugo. E con un finale altrettanto poco
probabile. Certo, scrittura decente, situazioni che si intricano e che sono
interessanti da decifrare. Ma le due vicende non diventano mai realmente il
centro della narrazione, lasciandola un po’ sbilenca. Aspettiamo altre prove,
Cussler. Dimenticavo: al solito c’è il piccolo cammeo alla Hitchcock del nostro
scrittore, che fa sempre piacere scoprire nelle pieghe narrative.
Clive Cussler & Graham Brown “Naufragio” TEA euro 9,90 (in realtà,
scontato a 8,42 euro)
[A: 21/09/2016 – I:
06/10/2018 – T: 09/10/2018] - && e ½
[tit. or.: Ghost Ship; ling. or.: inglese; pagine: 371; anno 2013]
Torniamo
ora, dopo sei mesi, alle avventure dei NUMA files, quelli che vedono in prima
linea Kurt Austin, il capo dei Progetti Speciali, ed il suo aiutante Joe
Zavala. Anche se qui si intrecciano abbastanza con la presenza del personaggio
principe di Cussler, il grande Dirk Pitt. Ormai a capo della NUMA, essendo il
precedente presidente ora diventato vicepresidente degli Stati Uniti. Ed
essendo un’avventura che coinvolge le strutture della mitica organizzazione
oceanografica, Pitt è presente, anche in modo non marginale. Lo stampo generale
prevede i passi classici del marchio NUMA files: piccolo prologo, non tanto per
mettere in moto qualche ricerca strampalata, quanto per spiegare alcuni
avvenimenti (a volte anche tutta la messa in scena) del romanzo, una spinta che
avvia la storia, la presenza di almeno una donna carina, meglio se libera, un
cattivo che cerca di far volgere la vicenda a proprio favore (per tornaconto
personale o per vendetta), uno scenario complesso dove, di volta in volta, si
individua una nazione cattiva da stigmatizzare. Qui, ancora ben lontani dalle
Trump-folies, quest’ultimo ruolo è riservato alla Corea del Nord, che cerca di
comprare, legalmente o meno, il servizio di alcuni hackers per penetrare e
sconvolgere il sistema informatico mondiale. Per questo compito, l’emissario
nordcoreano utilizza i servizi di una strana famiglia di ladri, anzi di
generazioni di ladri. Famiglia dal nome francesizzato Brévard, che vedete
abbastanza presto come sia possibile una sua derivazione dall’inglese
“Braveheart”. Proprio dalla famiglia, poi, nasce il prologo sopracitato. È il
capostipite della casata che organizza una banda di ladri in Sudafrica, che
riesce a fabbricare monete false praticamente indistinguibili, e che, poco
prima di essere catturato, fugge su di una nave, inscenando la sua scomparsa.
Questo il marchio “Brévard”: grande casino, ruberie, poi scomparsa. Ed in
effetti la nave scompare, dando ragione al titolo originario (“Ghost Ship” cioè
Nave Fantasma), migliore dell’italiano “Naufragio” che rimane vero in una serie
di situazioni, ma che può portare fuori rotta. Perché in realtà proprio da un
naufragio comincia la storia, di un battello con sopra una famiglia, dove la
madre, Sienna, ha due caratteristiche: è stata amante di Kurt ed è un genio
dell’informatica, tanto da aver inventato una rete di protezione invalicabile
agli hackers, e che sta per essere adottata “sopra” internet e tutte le altre
connessioni. Kurt non li salva, e da quel momento in poi, complice un trauma cranico,
ha incubi ricorrenti. Sul salvataggio e sul fatto che invece sia tutto finto.
Questo secondo filone è assecondato da Dirk, che gli dà carta bianca. Inizia
allora una missione in giro per il mondo alla ricerca di Sienna, se salva o
meno, e di chi ha ordito il tutto. Prima negli Emirati Arabi, temendo che ci
sia di mezzo l’Iran. Anche per la presenza di un terzo intermediario, sulla cui
nave si potrebbe svolgere uno scambio di prigionieri. Cosa che non avviene,
anche per l’intervento di Calista, la piccola della famiglia Brévard, nonché
anch’essa non proprio a digiuno di informatica. Questa parte mandata all’aria,
sarà Calista a fuggire verso la Corea, inseguita da Kurt e Joe. Una lunga pippa
su battaglie, situazioni al limite, fughe sotterranee e chi più ne ha più ne
metta, portano alla fine alla scoperta di un chip nel cervello di Kurt che gli
altera i ricordi e portano Calista a fuggire verso il rifugio della famiglia
con tutti gli ostaggi in mano. In parallelo, Dirk autorizza la famiglia Gamay
ad andare alla ricerca del relitto del naufragio iniziale. Dove i nostri, prima
trovano la nave intatta, poi vengono assaliti, sottacqua, da un virus
informatico che sconvolge i sottomarini utilizzati (dato che tutto è gestito da
computer). Ovviamente, anche, se malconci, si salvano, e scoprono, casualmente
un relitto galleggiante di più di 100 anni. È la nave del prologo, portata da
una tempesta ad arenarsi in un fiume del Madagascar, lì dove la famiglia
Brévard ha posto le sue basi. Nel lungo e concitato finale, pieno di sparatorie
ed inseguimenti, alla fine veniamo a scoprire che: Sebastian, il cattivo,
sapendo che la protezione di Sienna sarebbe stata invalicabile, ha organizzato
tutto il casino per farla togliere, avendo predisposto una serie di società fantasma
dove, una volta senza protezione, avrebbe riversato montagne di denaro, senza
che nessun governo possa intervenire. Sebastian lavora sul filo del rasoio,
perché vuole essere attaccato, prima di far finta di essere sconfitto, ma
fuggire, così come fece il nonno nel 1909. Ma scopriamo anche che Calista non è
una Brévard, ma bimba rapita e poi indottrinata. Kurt ne libera i fantasmi, e
sarà lei a mettere in moto la valanga finale che travolgerà la famiglia
Brévard. Come quando e perché magari ve li leggete anche voi, che alla fine il
libro scorre gradevolmente, pur non raggiungendo una sufficienza che ormai,
forse, solo i libri della serie maggiore sembrano poter raggiungere. Non c’è
molta curiosità scientifica. Non ci sono invenzioni e/o scoperte. Solo un grido
d’allarme, condivisibile ma sterile, sul possibile uso cattivo delle tecnologie
avanzate. Ed una tirata d’orecchi alle potenze cattive, Iran e Corea del Nord
in prima fila, ma con poco lontano Cina e Russia. Si annuncia alla grande
l’arrivo di Donald, purtroppo.
Clive Cussler & Boyd Morrison “Piranha” Longanesi euro 13,90 (in
realtà, scontato a 11,80 euro)
[A: 05/07/2016 – I: 14/10/2018 – T: 16/10/2018] - &&
[tit. or.: Piranha; ling. or.: inglese; pagine: 395;
anno 2015]
Saltiamo
da un mare all’altro, saltiamo da una serie all’altra. Ed eccoci allora tornata
alla minore delle serie maggiori. Scusate un po’ il bisticcio, ma la premiata
ditta Cussler&Co. ha prodotto tre serie maggiori: Dirk Pitt (25 titoli),
Numa (16 titoli) e Oregon file (13 titoli) e due serie “minori” che però stanno
crescendo, anche se con meno popolarità: Isaac Bell e Fargo (10 titoli ognuna).
Vedete così con un rapido calcolo che dal 1973, sono stati pubblicati 74
romanzi. Non male! Ma se Pitt è ormai abbastanza noto, e degli archivi NUMA ho
appena parlato, qui torniamo ad interessarci delle avventure della nave Oregon
e del suo capitano Juan Cabrillo. Come i miei più assidui lettori sanno, questa
serie non sempre mi convince, a volte troppo puntata più verso battaglie e
complotti, piuttosto che verso scoperte scientifiche o altre diavolerie
inventate o verosimili. Qui siamo in una piccola inversione di rotta, anche se
battaglie, sparatorie ed agguati vari sono sempre ben presenti. La piccola
inversione riguarda l’idea del congegno che mette in pericolo le sorti
dell’umanità. Che non è come potreste pensare un discorso di internet e affini.
Ma una applicazione del telescopio a neutrini. Ora i neutrini sono particelle
così chiamate da Fermi nel ’30 essendo di carica nulla. Negli ultimi decenni
vengono utilizzati per vari scopi, visto che possono attraversare i corpi senza
modificarli. Ad esempio, tre anni fa un telescopio a neutrini è stato calato
nel Mar di Sicilia per studiare i capodogli, o un altro, nel 2016, è utilizzato
in Antartide per catturare i neutrini venuti dallo spazio profondo (cosa che
lui, IceCube, ha appunto fatto). In questa meta finzione, Cussler (che la
manina di Boyd serve più che altro ad imbastire le trame pensate dal grande)
ipotizza l’esistenza di materiali compositi, che interagendo con i neutrini,
consentano ad un ricettore di immagini di ottenere una ritrasmissione di
qualsiasi cosa avvenga in qualsiasi punto della terra. Ovvio pensare al potere
che ciò comporta, ed al suo uso distorto. Visto che il possessore di questa
tecnologia risulta essere un discendente di tal Gerard Lutzen, tedesco studente
berlinese nei primi anni del 1900, quando nel mondo scientifico c’era tutto un
fermento (Einstein, Max Planck nonché Ernest Rutherford, il padre della teoria
atomica orbitale). Il fittizio Lutzen, scoperti i neutrini, cerca quei
materiali, trovandone una caverna in quel di Haiti. Peccato che sulla via del
ritorno si imbatte nell’eruzione del vulcano Pelée nella Martinica (una delle
eruzioni moderne più disastrose), lasciando però un documento ai suoi
discendenti. Documento e caverna che arrivano nelle mani di tal Kensit che
decide di usarlo per “salvare il mondo”. Ovvio che salvarlo significa ridurlo
ai propri poteri, che Kensit solo sa quale sia il bene (una teoria che troppo
spesso sentiamo, purtroppo). Kensit assolda banditi e narco-trafficanti
haitiani agli ordini di Bazin, un ex-legionario, e coinvolge un governatore
rampante americano con qualche scheletro nell’armadio per poterlo usare come
uomo di paglia. Inoltre, Bazin deve coinvolgere la marina venezuelana, agli
ordini di una donna spietata, per avere il materiale necessario alla
costruzione ed al mantenimento del telescopio, materiale che può avere solo dai
cattivissimi nord-coreani con scambi tecnologia-droga, anche questi spesso
sentiti. Proprio il coinvolgimento dei coreani insospettisce la CIA, che
coinvolge Cabrillo ed i suoi nella ricerca di prove. Poiché questa ricerca
risulta positiva, e poiché i cattivi tentano (senza successo) di far male a
Cabrillo ed ai suoi, i mercenari buoni della Oregon si mettono in caccia.
Aiutati da forze della NUMA che agiscono fuori dalle tracce del romanzo (Pitt
che mette a disposizione informazioni, Perlmutter ed i suoi file su tutte le
navi del mondo, ed altro), si imbattono sul nodo della questione. Kensit vuole
uccidere l’attuale vicepresidente degli USA, mettere il suo uomo al suo posto,
e cominciare la scalata di cui sopra. Peccato che l’attuale numero due
americano sia il precedente capo di Pitt, nonché fondatore della NUMA. Peccato
che per attuare il suo piano, sia stato sviluppato un software che consente di
prendere i comandi di droni automatizzati. Peccato che la seconda parte
dell’uso di software e neutrini porti alla costruzione di droni sottomarini
che, utilizzando getti d’acqua concentrati riescano a fare buchi minuscoli e
multipli a navi da trasporto affondandole. Ora, è ovvio che Cabrillo capisce
tutto, capisce le manovre di Kensit, sbaraglia gli assalti di Bazin, recupera
parte della tesi di Lutzen a Berlino, per cui intuisce qualcosa. E via
discorrendo. Con l’unico colpo di genio: visto che Kensit vede e sente tutto,
l’unico modo di affrontarlo è usare un codice che solo Cabrillo ed i suoi
conoscono senza che venga scritto: il riferimento a passate gesta degli Oregon
man. Così Cabrillo ed i suoi vinceranno anche questa battaglia, distruggendo la
caverna, di modo che sia difficile utilizzare distortamente i neutrini. Una
sola fondamentale domanda: ma visto che Piranha è il nome dei droni
sottomarini, che occupano sì e no 5 pagine su 400, è proprio il caso di
chiamare così il libro? Magari facendo credere che si parli dei mitici pesci
che ho visto all’opera nella penisola dello Yucatan. Si poteva fare di meglio,
nel titolo e nella scrittura, che rimane un po’ al di sotto della media
standard dei libri di Cussler.
Eccoci
alla terza settimana, e facciamo uno sforzo in positivo godendoci almeno un
libro “ghiotto”. Per il resto, aspettiamo tempi migliori.
Tempi
migliori che siamo certi verranno dal 1° novembre, quando sarà scaduto l’anno
“terribilis” che ci siamo trovati di fronte: la malattia e la morte di mia
madre, le incomprensioni (spesso a me dovute) con cari amici, la mia macchina
distrutta, i continui e ripetuti incidenti di Ale. Ma noi che siamo ottimisti
diciamo, ecco che finisce.
I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia
Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni
OTTOBRE 2018
Visto che siamo nel solito periodo “nero” che conoscete,
consoliamoci con rimedi per il palato.
RIMEDI GHIOTTI (I)
CHOCOLAT di JOANNE HARRIS (1999)
Pillole
di trama
Quando l’affascinate e misteriosa Vianne Rocher arriva con
sua figlia Anouk a Lansquenet per aprire una cioccolateria, la sonnacchiosa
vita del piccolo villaggio viene stravolta. Con le sue deliziose creazioni
pasticcere Vianne prende per la gola gli abitanti, ricordando loro il piacere
della vita. A ribadire a tutti che l’esistenza è fatta di privazioni e
penitenze, ci pensa il rigido reverendo Reynaud che cerca di opporsi con forza
a questo vento di novità e diversità che profuma di buono.
Supposta-saggezza
“Chocolat” ha il pregio fondamentale di essere una favola
dolce ma non stucchevole al sapor di cioccolato (che rende il libro
prelibato!). Il romanzo di Joanne Harris è soprattutto un gioioso inno al
potere del cibo come ingrediente con cui addolcire la vita, per addentarla e
gustarne con piacere ogni boccone, smorzando il suo retrogusto amaro con una
pioggia di gocce di cioccolato. La vita, infatti, è un piatto che per quanto ci
si impegni a cucinare nel migliore dei modi, usando i migliori ingredienti e
facendo attenzione a mescolarli seguendo le indicazioni, non sempre riesce
bene. Ma ogni ricetta mal riuscita si può aggiustare, basta osare un po’ e non
avere paura delle novità. Si sa che molti succulenti piatti sono nati per
errore. Novità, coraggio e dolcezza sono le armi con cui la protagonista
affronta la dura lotta per far accettare la sua diversità agli abitanti del
piccolo villaggio. In realtà a uno in particolare, ma il più influente, padre
Reynaud, compreso in maniera ottusa nel suo ruolo di comando più che di guida,
di controllo più che di conforto. Per lui la vita è sofferenza, rigore e
obbedienza, mentre per Vianne è esperienza, condivisione e piacere, anche e
soprattutto piacere del palato. Sono celestiali i dolci con cui solletica le
papille gustative degli abitanti di Lansquenet, che a uno a uno capitolano
davanti alle vetrine della peccaminosa cioccolateria ‘La céleste praline’.
Vianne ha il dono di capire i gusti delle persone e a ciascuno consiglia la
golosità più conforme alle esigenze emotive: che sia una tazza di spumoso
cioccolato, una pralina ripiena o una fetta di torta, lei trasforma ogni
assaggio in un piacevole rimedio per affrontare le piccole difficoltà
quotidiane La giovane donna porta il disordine nel villaggio, impiastricciando
di cioccolato tutte le false convinzioni e convenzioni che avevano intorpidito
i paesani di monotonia, aiutandoli a guarire e usando la sua pasticceria come
una piccola farmacia dei sentimenti. Mescola che ti rimescola, il prelibato cibo
degli dèi fa miracoli e Vianne propone la sua ricetta alternativa alla vita
noiosa e lugubre difesa con tenacia dal ministro di Dio, e “Chocolat” diventa
un inno al piacere del cibo come capacità di godere ogni giorno con gioia,
senza paura e sensi di colpa. Un elogio della felicità e della libertà, che
possono nascondersi anche in un cioccolatino e nello stesso tempo un monito
contro ogni forma di chiusura verso ciò che è diverso o nuovo, che sia una
persona o un piatto sconosciuto.
Il pregio maggiore del romanzo è di non ridursi a una
favoletta banale della serie ‘mangia che ti passa’. E questo soprattutto grazie
alla protagonista, un personaggio estremamente complesso: Vianne è bella,
fiera, vivace, libera e indipendente ma anche inquieta, fragile, incapace di
mettere radici e restia alle relazioni stabili nonostante la sua naturale
socievolezza. È una nomade un po’ zingara, un po’ strega, ovvero capace di
trasformare il malessere in buona fortuna, un po’ maga, un’alchimista casalinga
che fa ‘magie caserecce’. Costretta dalla sua irrequietezza a spostarsi di
luogo in luogo non appena cambia il vento, è una sorta di Mary Poppins che
accorre in aiuto di chi ne ha bisogno, dalla borsa magica estrae dolci e poi
riparte quando il suo compito è terminato. Se per la tata inglese basta un poco
di zucchero, a Vianne basta un po’ cioccolato. Ogni goloso sa che una tazza di
cioccolata calda per essere perfetta necessita della nuvoletta di panna
galleggiante e cosi l’autrice non dimentica di circondare Vianne con personaggi
altrettanto gustosi e saporiti, indimenticabili protagonisti di questa piccola
ribellione all’ordine costituito da privazioni, penitenze e monotonia,
raccontata con un pizzico di mistero e magia e l’ottima trovata di alternare il
diario di Vianne a quello di Reynaud in modo da dare voce equamente agli
opposti punti di vita-vista. Inneggiando alla golosità santificata come peccato
veniale, anzi geniale, Joanne Harris mette in scena l’eterna lotta tra bigotti
ben pensanti e bon viveur. Voi decidete da che parte stare ma ricordate che,
come diceva Virginia Woolf, ‘non si può pensare bene, né amare bene, né dormire
bene se non si è pranzato bene’. A digiuno si vive male e si pensa peggio. Fate
indigestione di “Chocolat” e sorridete alla vita, con la bocca sporca di
cioccolato.
P.S. sarà sicuramente una coincidenza, ma una coincidenza
buffa, che il cognome di Vianne sia Rocher, come il celebre cioccolatino
avvolto nella carta dorata.
Posologia
Indiscutibilmente il cioccolato è molto più di un semplice
alimento. Probabilmente è il comfort food per eccellenza. È buono e fa bene.
Non lo dico da ‘choco addicted’, perché ormai è scientificamente provato che si
tratta di un alimento salutare. Ricco di magnesio, ferro e potassio è un
potente antiossidante, abbassa il colesterolo, rende la pelle liscia (che
faccia venire i brufoli è una balla per la quale qualcuno dovrà pagare) e
migliora anche l’umore rivelandosi un alleato contro depressione e sindrome
premestruale. “Chocolat” ha gli stessi benefici di una tavoletta fondente o di
una tazza di fumante cioccolata alla can-nella. Se ne prescrive la lettura per
contrastare momenti di sconforto, depressione, sindrome premestruale, delusioni
amorose, debolezza sia fisica che mentale intesa anche come mancanza di coraggio
e incapacità di affermare la propria diversità. La ribellione di Vianne è
contagiosa e vaccina da pregiudizi, intolleranza e paura del diverso.
Suggerisco di propinarlo sotto forma di regalo a tutti
quelli che hanno sempre additato il cioccolato come l’uomo nero da evitare come
la peste. Il romanzo dimostra che l’uomo nero va affrontato e mai fuggito. È
molto utile anche per fare pace con il cioccolato, sia mai per la moda delle
diete abbiate litigato. I litigi portano sempre malumore e il malumore danneggia
la salute.
La lettura di “Chocolat” favorisce il contagio di virus
benefici che aiutano a sviluppare empatia, comprensione, abilità di intuire le
necessità degli altri e soddisfarne il piacere, capacità di guardare oltre
l’apparenza (anche del cibo) con gli occhi curiosi e golosi di un bambino. Il
romanzo è portatore sano di magia, un potente antidoto contro ogni tipo di
amarezza, perché il cioccolato è ‘l’amaro elisir della vita’. Alla fine sarete
fermamente convinti che ‘essere felici sia l’unica cosa importante [...]’ e che
la felicità sia ‘semplice come un bicchiere di cioccolata o tortuosa come il
cuore. Amara. Dolce. Viva’.
Effetti
collaterali
Sono stati segnalati i seguenti effetti indesiderati comuni:
acquolina in bocca, papille gustative in agitazione, imbarazzante rivoletto di
bava agli angoli della bocca, irrefrenabile voglia di cioccolato! Inebriante
fin dalle prime righe, il romanzo è ben condito con appetitose descrizioni e
profumi talmente evocativi che davanti agli occhi sognanti del lettore sfilano
tutte le specialità de ‘La céleste praline’. Anche per gli amanti del salato
non mancano gustose leccornie. Per evitare probabili episodi di ipoglicemia, è
saggio premunirsi di qualche golosità cioccolatosa per rendere più piacevole la
lettura e assimilarne meglio il messaggio. Fate attenzione a non esagerare,
pena eventuali indigestioni, ma non provate neanche a resistere costringendovi
a inutili privazioni altrimenti rischiate di fare la fine, poco dignitosa, di
padre Reynaud.
Consigli
dello chef
La cura può essere prolungata con il seguito del romanzo, Le
scarpe rosse. Sono passati quattro anni e Vianne ha aperto una cioccolateria a
Parigi. Ma una donna dalle scarpe rosse mette a dura prova la protagonista che
deve cavarsela con le uniche armi a sua disposizione: il cioccolato e la magia.
La trilogia di “Chocolat” si conclude con Il giardino delle pesche e delle rose
in cui Vianne toma a Lansquenet dopo otto anni in seguito a una misteriosa
lettera in cui si richiede il suo aiuto. Una comunità musulmana si è stabilita
nel villaggio e solo lei può riportare la pace appianando le incomprensioni tra
gli abitanti e i nuovi venuti. Il profumo di cioccolato si mescola a quello
delle spezie, del caramello e dello zucchero in una storia dal sapore magico in
cui il cibo diventa una medicina contro ogni forma di intolleranza e stupidità,
rivendicando la dolcezza come l’unica arma per combattere le battaglie
quotidiane.
La cura cioccolatosa a base di Joanne Harris può proseguire
con Il piccolo libro di Chocolat. Nato come omaggio a Vianne, è un regalo per
tutti i golosi trattandosi di un piccolo volume illustrato contente cinquanta
ricette da tutto il mondo a base, ovviamente, di cioccolato, tra torte,
biscotti, macaron, praline e mousse. Se non siete pasticceri provetti non
temete perché l’autrice, coadiuvata dallo chef Fran Warde, illustra tutti i
passaggi in modo chiaro. Una lettura piacevole e dal gustosissimo risvolto
pratico.
Terapia
cinematografica sostitutiva
Diretto da Lasse Hallstrom e interpretato da Juliette
Binoche, Johnny Depp e Judi Dench, nonostante sostanziali differenze “Chocolat”
è un riuscito adattamento di cui non si è mai sazi. Da vedere e rivedere al
bisogno, conforta e gratifica con i suoi toni da commedia romantica e la sua
atmosfera da fiaba. Come già per il libro, anche in questo caso suggerisco di
tenere dolcetti vari a portata di mano: come minimo vorrete un cioccolatino da
far scrocchiare sotto i denti, anche per compensare la voglia di Johnny Depp
che qui è davvero fondente al cento per cento e da bava alla bocca come le
sublimi creazioni di Vianne.
Commenti
Seppur convinto che la cioccolata sia il miglior rimedio per
molte malattie, e abbastanza certo che il film venne ben fatto, il libro non mi
piacque e continua a non piacermi.
Joanne Harris
“Chocolat” Corriere della Sera Cucina 10 euro 7,90
[pubblicato il 28 agosto 2017]
Sinceramente
mi aspettavo di più da un libro consigliato dall’ottima Giulia Fiore tra quelli
che alleviano tristezze e portano felicità. Purtroppo, a me ha fatto l’effetto
contrario, portandomi più che altro tristezze. Una storia strampalata, forse
adatta ai lettori del primo libro di Harry Potter, che viene inserita tra le
“Storie di Cucina” solo perché la protagonista apre un negozio di delizie di
cioccolato. Non dico che avrei voluto qualche ricetta (già altrove lamentavo a
volte in questa collana la preponderanza di ricettari piuttosto che di storie),
ma almeno degli accenni che fossero meno episodici ed “appiccicati” alla fine
in una sintetica quanto meglio sviluppabile appendice di Laura Grandi (un
“Glossario goloso” dove gli appunti scarsi sulla bevanda degli dei andrebbero
sviluppati in un discorso più ampio ed appetibile, se non edibile). Qui,
abbiamo la storia di una “maga” che si aggira per il mondo, cercando di
spargere, a suo modo, felicità. Maga figlia di maga che con la madre girovagava
per tutte le terre, fino, purtroppo, a ritrovarsi sola e dover ricominciare.
Con la piccola Anouk, figlia di sei anni. Non sappiamo, in questa famiglia
senza uomini, dove e come e chi siano i padri (anche se ho il sospetto di un
qualche strano rapimento zingaresco), ma questo è un universo femminile. Dove
il solo uomo a far da contraltare è Padre Francis, il prete della cittadina
dove le nostre eroine si fermano il giorno di Carnevale. La storia, scandita
dai giorni del calendario, andrà avanti sino alla Pasqua, con molte pagine di
Vianne (la nostra maga) in soggettiva ed alcune del prete (appunto per creare
un contrasto anche fonetico di voci). Come se l’autrice volesse creare una
rivalità tra le pulsioni libertarie delle donne e quelle repressive dei maschi,
impersonati appunto dal truce prete. Ma le pagine del prete sono non soltanto
cupe, ma di poco sviluppo: ha molte angosce, sembra essere stato tiranneggiato
da piccolo, forse ha fatto scoppiare un incendio dove muoiono degli zingari.
Ora fa solo opera di espiazione, reprimendo, in questa piccola città del centro
della Francia, ogni impulso che possa portare a sani e corretti rapporti umani.
Rifiutandosi di assaggiare i dolcetti di Vianne, fino, però, a soccombere il dì
di Pasqua, quando, volendo farle uno sgarbo, penetra nel negozio, ma verrà
sopraffatto dalla bontà. Del cioccolato, ovviamente. Nelle more, Vianne apre
questa sua pasticceria, offre dolcetti, offre buone parole e conforto. A
Guillaume, cui muore il cane. Ad Armande, l’anziana del villaggio, che sa delle
magagne del prete, e che, per mezzo di Vianne, ritrova l’affetto del nipote
Luc, per poi, diabetica ed impenitente, decidere (un po’ tipo “La grande abbuffata”
di Ferreri) di godere sino in fondo questo suo stato. Visto che ormai ha fatto
la vita che ha voluto ed ottenuto la maggior parte delle cose che voleva. A
Josephine, cleptomane per vendetta rispetto ad un marito ottuso e manesco, cui
dona la forza di ribellarsi, di andare via dalla casa dove veniva maltrattata,
e di rifarsi una vita. Forse proprio nella cioccolateria, quando Vianne ed
Anouk se ne andranno. E Josephine potrà, forse, trovare consolazione nello
zingaro Roux, rosso di nome e di capelli. Ma tutta la prosa è poco
coinvolgente. Vianne è una strega? E allora? Lo è anche Harry Potter! È una
strega buona? Più che altro è una persona che sa leggere il carattere degli
altri, e sa “appianare i conflitti”, se, ovviamente, gli si dà una mano. Altrimenti,
è guerra aperta. Poco convincente, poi, è l’antagonismo con la Chiesa, tanto
che nel film l’oppositore di Vianne viene spostato nella figura fittizia del
sindaco. Ed è forse questo che ha creato aspettative, e poi vendite nel libro.
Un film in cui si darà molto più spazio a Roux, interpretato da Johnny Deep (ed
altrettanto ovviamente il film finirà con la storia d’amore tra lui e Juliette
Binoche). Ma torniamo allo scritto. Ripeto, scrittura poca incisiva, quasi
fosse solo rivolta ad un pubblico adolescente (ma allora, meglio Dahl e la sua
“Fabbrica di cioccolato”). Situazioni poco coinvolgenti: certo, si accenna al
maltrattamento di Josephine ed alla spinta (riuscita) a lasciare il marito
manesco, si accenna al razzismo verso gli zingari (o vero i diversi in genere),
ma sempre con un’aria di raccontare qualcosa di fiabesco e non di reale. Così
come poco reale è la costruzione della figura del tenebroso prete, o quella del
suo mentore, chiuso nel mutismo dell’anzianità e della malattia. Speravo veramente
di meglio, mi aspettavo un libro di solare coinvolgimento. L’ho letto ma lo sto
già dimenticando.
“I bambini nascono
selvaggi, lo so. Il massimo che io possa sperare è un po’ di tenerezza.” (56)
“Mi piacerebbe …
seguire il sole con nient’altro che una valigia e non avere la minima idea di
dove sarò domani.” (195)
“Tornare in una città
dove hai già vissuto è come tornare a casa da un vecchio amico.” (195)
“Alla mia età posso
essere proprio come mi pare. Posso essere assurda, se mi va. Sono abbastanza
vecchia per permettermi qualsiasi cosa.” (235)
Finalino
Non mi ripeto, ribadendo quanto sopra: cioccolato approvato,
libro bocciato.
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