Peter Mayle “Chi ha rubato Cézanne”
Corriere della Sera Arte 12 euro 7,90
[A: 11/10/2016 – I: 03/02/2019 – T:
05/02/2019] - &&
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[tit. or.: Cahsing Cézanne; ling. or.: inglese; pagine: 317; anno 1997]
Un altro nuovo libro della collana di Arte,
anch’esso riuscito parzialmente. Conoscevo già l’autore, di cui lessi un libro
sulla Provenza di cui sa praticamente tutto, regalo dell’amico Luciano.
Ovviamente, se sai tutto della Provenza, non puoi non conoscere Cézanne. Che è
uno dei miei pittori “cult”, tra l’altro. Mi aspettavo quindi un’immersione
nelle atmosfere di lavanda, guardando il Mont Sainte-Victoire passeggiando per
San-Paul-de-Vence. Invece mi trovo alle prese con un gialletto, per di più
datato, con alcuni spunti interessanti, ma nel complesso discretamente floscio.
Con un finale assolutamente troppo affrettato. Questo e l’inizio sono i due
punti più mosci della confezione. L’inizio non in quanto testo, ma in quanto
titolo. Che giustamente l’originale riporta “Inseguendo Cézanne”, che ha un suo
senso, e che non ci fa deragliare dalle prime righe. Perché ponendolo con
l’accento sul furto, addirittura senza il punto interrogativo, mi sembra che
siamo proprio fuori strada. Il finale poi, con la fuga in motoscafo, ricorda,
con tutte le modifiche del caso, la scena finale di “A qualcuno piace caldo”,
con la fenomenale battuta “nobody's perfect”. Sul fronte proprio della parte
artistica, non è che ci sia molto. Qualche battuta su Cézanne, sulla sua
Provenza, su Aix-en-Provence, sul fatto che i suoi quadri non avevano successo
(come per gran parte degli Impressionisti). Viene dato un po’ più spazio ai
falsari, come questo olandese, che ricalca anche lui figure note (come Han van
Meegeren gran copiatore di Vermeer), con notizie abbastanza scontate su come
fare i falsi: cornici prese da quadri coevi, colori invecchiati, pennellate a
memoria sulla scia delle originali. Infine, qualche piccola panoramica sul
mondo dell’arte e sui grandi capitali che circolano. Sugli intermediatori che
vanno alla ricerca di “scoop” un po’ ovunque, e lavorano sul filo del rasoio.
Ci vuole poco a stare dalla parte dei buoni, come Cyrus Pine, o passare da
quella dei cattivi, come il pessimo Holtz. Ed una volta passata la linea,
l’avidità ed altro non ti permettono di tornare più indietro. Quindi,
impressionisti, falsari e mercanti per fare da contorno ad una vicenda un po’
strampalata, nelle sue origini e nel suo svolgimento. Il protagonista è il fotografo
André, anglo-francese, e questo è già un difficile connubio, che vive per
riprendere interni ed altre cose patinate, in genere commissionate da Camilla,
il deus ex-machina della rivista DQ, uno dei tanti fogli dediti alle foto di
interni. Peccato che Camilla sia anche caduta nella rete di Holtz, suo amante,
che le fa anche fotografare quadri su quadri nelle dimore ricche dei ricchi in
giro per il mondo. Sempre alla ricerca di quadri da duplicare e/o falsificare.
Nel corso di un piccolo reportage verso Cap Ferrat, André si imbatte in una
casa che ha fotografato da dove vede uscire un Cézanne, che viene arrotolato e
portato via da uno strano furgoncino. Ora, a parte che non si capisce perché
qualcuno che faccia portare via una tela non la arrotili in casa, André parte
subito in tromba decidendo che c’è del losco. Tanto che va a cercare il padrone
di casa, in vacanza alle Bahamas. Persone con i nervi saldi avrebbero fatto
passare tutto in silenzio, invece, il proprietario del quadro telefona a Holtz,
perché tramite il losco figuro stava cercando di vendere il Cézanne sottobanco.
E Holtz, invece di stare anche lui ad aspettare che passi il temporale, decide
di mettere a soqquadro la casa di André. Ovvio che tutto ciò innesca la
curiosità di André, anche perché, non contento, Holtz chiede a Camilla di fare
terra bruciata intorno al fotografo. Ecco allora che André, tra l’altro in
poche battute innamoratosi della sua segretaria Lucy detta Lulu, con lei
comincia ad organizzare la controffensiva. Anche perché, appunto, si imbatte in
un mercante buono, il Cyrus di cui sopra. Buono e moderatamente anche pieno di
soldi. Abbiamo così i tre buoni contro i tre cattivi (che a Holtz e Camilla si
aggiunge un sicario francese) che si affrontano avendo in mezzo il falsario ed
il venditore fraudolento. Mayle non riesce a caratterizzare neanche il sicario
che, maldestramente, fallisce due volte di far fuori i nostri. Il venditore,
vista la cattiveria di Holtz, passa dalla parte dei buoni, che si salvano con
quella scena sopra descritta. Ma come finiranno tutti è un mistero che si
lascia alla mente del povero sbalestrato lettore. Che si aspettava quantomeno
qualcosa di più sui quadri, e dove questo non fosse possibile, sulla vicenda e
sul giallo. alla fine, ben poca cosa su tutto. Una scrittura onesta di un
“pennivendolo” come direbbe Pennac senza alcuna offesa, che certo sa di
scrittura ma non in questa prova. Peccato, al solito.
Klaus Modick “Concerto di una sera d’estate
senza poeta” Corriere della Sera Arte 15 euro 7,90
[A: 27/10/2016 – I: 25/02/2019 – T: 07/03/2019]
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+
[tit. or.: Konzert Ohne Dichter; ling.
or.: tedesco; pagine: 247; anno 2015]
Un libro che pone dei quesiti e stimola delle
curiosità, ma che alla fine non riesce a convincermi del tutto. Per cui rimane
nel limbo tra il famoso 5 ed il 6 dei miei anni liceali. L’idea, dicevo, è
appunto stimolante. Perché entriamo nella genesi e nella realizzazione di un
quadro simbolo dei primi anni del ‘900. Ne ho trovato traccia solo nella
sezione francese di Wikipedia, mentre si trovano facilmente altre opere
dell’autore nella più ampia (ma per me poco comprensibile) sezione tedesca.
L’autore, appunto, è Heinrich Vogeler, uno degli iniziatori e maggiori
esponenti dell’Art Nouveau nella pittura e dello Jugendstil nelle altre arti
decorative. Il quadro, terminato nel 1905 dopo una gestazione di diversi anni,
si intitola “Sommerabend” o anche detto “Das Konzert”. Il bravo Modick ne
prende la mira, per fare tutto un bel discorso intorno, su cui torniamo. E
centrando quello che pare Vogeler volesse come titolo: “Concerto senza poeta”.
Non si capiscono i motivi per cui, nell’edizione italiana, si mescolino i due
titoli del quadro, unendoli in un anodino “Concerto di una sera d’estate”,
ovviamente rimanendo il “senza poeta”, che è il tocco che dà un senso al quadro
ed al libro stesso. Per chi non sa del quadro, cosa che serve anche a spiegare
il libro, il dipinto mostra un concerto sulla terrazza del Barkenhoff e come
persona centrale Martha, la moglie di Vogeler, che guarda pensierosa in
lontananza. Sulle scale, ai suoi piedi, il cane (un levriero russo) è un regalo
di Alfred Heymel (fondatore della casa editrice Insel, che pubblicò i primi
lavori di Rilke con le incisioni di Vogeler). Tutte le persone del “mondo Barkenhoff”
sono presenti, eccetto appunto Rilke stesso. Vogeler, semi-nascosto sulla
destra, suona il violoncello, sulla sua sinistra suo fratello Franz suona il
violino, mentre il flautista sullo sfondo è il suo giovane cognato Martin. Sul
lato sinistro, sedute, ci sono Paula Modersohn-Becker, accanto a lei Agnes
Wulff e Clara Rilke-Westhoff. L'uomo con la barba sullo sfondo è Otto
Modersohn. Il dipinto, esposto a Oldenburg in occasione della Mostra d'arte
della Germania nord-occidentale, consente a Vogeler di ricevere la “Grand Medal”
per le Arti e la Scienza. Questo dipinto è considerato il culmine del suo primo
periodo creativo. Modick, appunto, prende spunto dal quadro, per parlare di
Barkenhoff, e della cittadina dove sorge, Worspede. Laddove, tra il 1895 ed il
1905, si riunirono artisti vari, pittori, scultori, scrittori ed altri, in un
ambiente creativo e comunitario. Un idillio utopistico, avviato dallo stesso
Vogeler, con il pittore Modersohn ed altri. C’erano anche le donne artiste:
Paula, che sposa Otto, e Clara, che sposerà Rilke. Tutto il libro è centrato
sui pensieri di Vogeler, sulla sua iniziale amicizia per Rilke, che,
squattrinato, è da lui ospitato a Worspede. Si coglie la forza e l’ambiguità di
Rilke, preso dal suo incompiuto rapporto con Lou Andreas-Salomé. Rilke
affascina anche tute le donne, in special modo Paula, ma sarà Clara quella che
sposerà. Con alcuni andamenti in flashback, Modick cerca di darci il senso
dell’avventura di Worspede, dell’idillio bucolico, ma anche delle tensioni.
Tuttavia, poco ce ne viene, ed il tutto rimane abbastanza debole. Sì, in
qualche modo escono fuori le diverse personalità, soprattutto Rilke, con tutte
le sue ambiguità. Ma anche altri, ad esempio il cammeo con Gerhart Hauptmann,
che poi sarà nel 1912 un premio Nobel per la letteratura. Invece non viene
fuori la personalità del protagonista, di Vogeler, che proprio partendo da Worspede
e dai suoi tentativi ed esperimenti sia artistici che di vita, farà tutto un
suo percorso, che qui non viene neanche delineato. Ma che è interessante. Si
avvicinerà a posizione comuniste, divorzia da Martha, sposa in seconde nozze
un’amica di Rosa Luxembourg, per poi emigrare in Russia, e diventare esponente
anche lì artistico, ma del realismo socialista. Peccato che allo scoppio delle
ostilità verrà internato in Kazakistan in quanto tedesco, e lì muore ben presto
di stenti. Insomma, un libro un po’ lento nella costruzione, con qualche spunto
che poteva essere migliore. Forse, la cosa migliore è proprio la riflessione di
Vogeler che inizia il quadro inserendo anche Rilke tra le varie comparse del
quadro, per poi cancellarlo, e lasciare un vuoto che si nota, guardandolo. La
scrittura risente di questa mancanza di mordente, tanto che anche la lettura è
avanzata a fatica sulla pagina. Peccato, ancora, che poteva essere migliore,
con uno scatto più significativo sui vari attori della vicenda.
“Se hai
amato sul serio una persona l’ami per sempre.” (128)
“Io temo
tanto la parola degli uomini / … / A me piace sentire le cose cantare / Voi le
toccate: diventano rigide e mute / Voi mi uccidete le cose.” [da una poesia di
Rilke] (184)
Stephanie Cowell “La donna col vestito
verde” Corriere della Sera Arte 16 euro 7,90
[A: 01/11/2016 – I: 11/03/2019 – T:
14/03/2019] - &&&
[tit. or.: Claude & Camille; ling.
or.: inglese; pagine: 332; anno 2010]
Un altro libro che riscatta leggermente una
collana nata, nella mia testa, con altre e più alte prospettive. L’autrice è
una newyorkese di buona famiglia, dedicatasi in gioventù al canto, sposata poi
con il poeta Russell Clay, e quindi, da una ventina di anni, dedicatasi a
romanzi di ambientazione storica. Su Mozart, su Shakespeare. Ma soprattutto
nota per questo lungo viaggio nella vita giovanile di Claude Monet e degli
ambienti da cui nascerà l’impressionismo. Come dice poi più esattamente il
titolo inglese, si parla del grande amore tra Claude Monet e la giovane Camille
Donciuex. Perché di Monet si sa molto, si sono percorse le vie della maturità
del Novecento, le visite a Giverny ed alle sue ninfee. Ma Claude è stato anche
giovane, ed ha percorso tutto un suo andamento di vita, per passare
dall’adolescenziale Le Havre all’anzianità di Giverny, transitando sempre per
Parigi ed i suoi ambienti culturali. Per essere precisi, poi, Monet fu
abbastanza girovago, dato anche il suo carattere irrequieto. Specialmente
durante i suoi sessanta anni dell’Ottocento, dove passò per Honfleur, Argenteuil,
Vétheuil, Bordighera ed altro. Ma Claude non fu solo peripatetico per natura,
anche per la su ricerca del giusto colore delle cose che lo circondano. Fino a
trovarlo in quel quadro che darà il nome a tutto un mondo. Il celeberrimo
“Impressione, levar del sole”, dipinto nel 1872 a poco più di 30 anni. Che
venne preso ad epigono, per etichettare tutta quella congerie di amici e
sodali, pittori ed artisti, con il termine di “impressionisti”. Ecco lì, magari
nella tela dipinta da uno di loro. Con Monet ci sono Edgar Degas,
Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Alfred Sisley Jean-Frédéric
Bazille e Gustave Caillebotte. Ma più che parlare della vita del nostro,
sarebbe bene passare al libro. Dove l’esimia signora Cowell si perita di farci
passare alcune ore di svago all’inseguimento delle passioni di Monet e della
sua bella Camille. Perché, sì, è un libro che parla di arte, ma che poi è
incernierato sulle vicende d’amore. Molto sul periodo fino alla morte di
Camille, ovvio. Per la parte artistica, vediamo gli esordi di Monet sotto la
guida di Boudin. Le quotidiane lotte con il padre che non lo vuole artista. La
“fuga” a Parigi. Gli ambienti di Rue de Batignolles con l’amicizia verso
Bazille e Renoir. Tra l’altro, in tutto il libro, sono gli unici che vengono
citati con il nome. Mentre gli altri sono Cezanne, Pissarro, Sisley e così via,
loro sono Frédéric e Auguste. La lotta per vedere affermati i loro quadri ed i
loro colori. Le speranze, la fuga durante la guerra franco-prussiana del 1870.
Ma anche, finalmente, il salone degli indipendenti, ospitato dal fotografo
Nadar nel 1874 (e non si capisce perché l’autrice lo citi solo come “un
fotografo di boulevard des Capucines”) e l’affermazione dei quadri
dell’artista, i riconoscimenti, la stabilità economica. Ma a Stephanie preme di
più parlare dell’amore. Di come la bella e giovane borghese Camille (di 7 anni
più giovane dell’artista), se ne innamori perdutamente. E per lui sopporterà la
miseria, la fame, i posti scalcinati dove sono costretti a vivere. Gli darà due
figli. Forse lo tradirà con l’amico Bazille (una vicenda poco chiara, dove si
sa anche che Bazille era molto “aperto” anche ad amicizie maschili). Ma Camille
gli sarà sempre vicino, anche quando lui sarà lontano. Anche quando, verso la
fine degli anni ’70, ormai stabile economicamente, decide di ospitare Alice Hoschedé
ed i sei figli di lei. Alice il cui marito prima finanzia alcune opere di
Monet, poi, per varie vicende finanziarie, perde tutto. Anche quando, ma Cowell
non ce lo dice, Claude visita “anche” il letto di Alice, che Camille è malata.
Camille sarà sempre e comunque la musa di Claude, la “donna dal vestito verde”
che lo attrae e che è attratta da lui. La sua modella di tanti e tanti quadri.
Per tutta la vita di Camille e oltre. Anche se poi, dopo la morte di Camille,
vivrà con Alice e la sposerà. Anche quando il suo primogenito Jean sposerà la
piccola Blanche, figlia di Alice. Peccato che Alice, ma questo l’autrice lo
tace, sarà di una gelosia spasmodica nei confronti di Camille, tanto da far
distruggere a Claude tutte le lettere della prima moglie (per fortuna non certo
i quadri…). Per questo, gli interludi che l’autrice inserisce per parlare di
Monet quasi settantenne, a dipingere ninfee nella sua Giverny, se rendono il merito
della genesi delle ninfee, non fanno capire né l’accanimento con cui Claude
chiede ad Annette, sorella di Camille, dei ricordi di lei, né il fatto che, nel
1909, Alice è ancora vive (morirà solo due anni dopo). Un libro sufficiente,
nel gradimento, nella stesura, nell’impostazione. Che avrebbe raggiunto diverse
vette con qualche errorino (o forse omissione) in meno, e qualche pennellata in
più. Anche se capiamo meglio Monet quando Stephanie ce lo descrive sfidare il
freddo ed il vento per dedicarsi alle sue marine. Una grande voglia di tornare
in Normandia.
Alice Hoffman “Il matrimonio degli opposti”
Corriere della Sera Arte 18 euro 7,90
[A: 15/11/2016 – I: 21/03/2019 – T: 24/03/2019] - &&& ---
[tit. or.: The Marriage of Opposites; ling. or.: inglese; pagine: 343; anno 2015]
Alice Hoffman,
sceneggiatrice e scrittrice americana, non mi è particolarmente nota, anche se
in patria sembra abbia un discreto successo. Lego che di discendenza
russo-ebraica, ed in questo romanzo si nota particolarmente. Anche se non è il
centro (forse uno dei volani dell’azione sicuramente). Perché il centro
dovrebbe essere qualcosa attinente all’arte. Purtroppo, dobbiamo aspettare
almeno un terzo del libro per capirlo. Non nego, comunque, che ha un suo piglio
“nonostante” questa falla. Ci porta nei Caraibi, all’inizio dell’Ottocento,
nell’isola di St. Thomas, rifugio di una piccola comunità ebraica messa
all’indice da vari paesi (ultima la fuga da Santo Domingo), e governata (questo
mi giunge misterioso, invero) dal governo danese. Tanto che la capitale si
chiama Amalienborg (nella dizione inglese diventata Charlotte Amalie, dal nome
della consorte del re Cristiano V di Danimarca). Dove seguiamo l’infanzia e
l’adolescenza di Rachel Pomié, unica figlia della famiglia Pomié, mercanti
ebrei. Le sue capacità, la sua intraprendenza, la sua amicizia con l’indigena
Jestine, i suoi dissapori con il cugino Aaron (che poi non è realmente cugino),
nonché il mito della lontana terra natia, che la famiglia viene dalla Francia,
e Rachel legge di continuo libri su Parigi. Quando gli affari vanno male, per
salvarli deve sposare qualcuno per mettere soldi freschi nelle casse paterne.
Sposa così tal Isaac Petit, già padre di tre rampolli con moglie appena
defunta. Rachel avrà una serie di figli da Isaac, e noi continueremo a seguire
le sue vicende isolane. Soprattutto il fatto che Aaron mette incinta Jestine, e
per questo viene mandato a Parigi in esilio, mentre Jestine e Rachel, oltre ai
figli della protagonista, si curano anche della piccola Lyddie. Purtroppo,
anche Isaac muore, ed in mancanza di altri figli maschi, prima provano con
Aaron. Ma questi viene con la moglie francese, si comporta da buzzurro, e viene
rimandato al mittente, con l’unico vantaggio (per Aaron) di rubare (anche se
legalmente) la figlia a Jestine. Dramma nel romanzo, che proseguirà sino alla
fine, con un suo filone narrativo che si intreccerà anche con il principale.
Viene allora mandato un cugino “reale” della famiglia, il poco più che ventenne
Abraham Gabriel Frédéric Pizzarro. Cominciate a vedere la luce in fondo al
tunnel? Il buon Frédéric come vede Rachel, sebbene questa abbia sette anni più
di lui e gestisca sette figli, cade innamorato come una pera cotta. Il bello è
che anche Rachel finalmente si innamora. Qui però cadiamo in tutta una
cinquantina di pagine dedicate alla lotta di Frédéric e Rachel con i
maggiorenti locali che ostacolano le nozze considerandoli cugini, anche se
Frédéric è solo cugino del marito di Rachel, quindi non hanno vincoli di sangue
neanche lontani. Fatto sta che i due si sposano, e cominciano a sfornare figli.
Il terzo dei quali, nel 1830, verrà chiamato Jacobo Camille Pizzarro (la
famiglia di Frédéric ha origini portoghesi). Finalmente, da metà libro in poi,
abbiamo quindi l’artista. Che però è uno degli attori del romanzo. Ne vediamo i
primi anni, le ribellioni, all’isola, alla madre, a tutto e tutti. Scarso
studente, inetto alla gestione della bottega paterna, ha solo il disegno, la
pittura in testa. E “pour cause” diremo noi. È fondamentalmente un anarchico, e
per mettere a frutto (ed anche metterlo in riga) viene inviato alcuni anni a
Parigi. Dove affina la sua arte, e contatta la Lyddie rapita (e sarà lui a
ricucire tutti gli strappi, tra Lyddie e Jestine, nonché tra i suoi genitori e
la comunità ebraica). Al ritorno a St. Thomas, però, Camille (lasciato il primo
nome Jacobo) è ancora osteggiato. Fuggirà un paio di anni in Venezuela, prima
di essere accolto di nuovo e finalmente, alla morte del padre, lui
venticinquenne con la madre ormai di sessanta, finalmente ritornano tutti in
Europa. Ci saranno altri momenti, altre piccole tappe, che seguiamo sempre con
gli occhi di Rachel, che di Camille sapremo soltanto l’amore per gli azzurri,
per i diseredati, per la vita bohemienne sino alla fine, tanto che sposerà
Julie, la cameriera di sua madre. Questo per suggellare, sino alla fine, la
corrispondenza del titolo con il testo: tutti i matrimoni del romanzo sono tra
persone “opposte”, di carattere, di espressione, di retroterra familiare.
Purtroppo, però, poco spazio viene dato alla pittura di Camille (che quando
finalmente vive in Francia cambierà il cognome da Pizzarro a Pissarro), ai suoi
periodi fecondi (dove rimando al bellissimo libro di Sue Roe sugli
Impressionisti), all’amicizia con Monet, con Cézanne e poi con Seurat e i
puntillisti. Peccato. Un libro decente per capire da dove vengono certi colori
del nostro amato pittore, ma tuttavia un libro dedicato ad altro, alla madre ed
ai Caraibi.
“La
morte ci insegue … Allora perché non vivere come vogliamo?” (270)
“È più
facile che riusciamo a vedere i nostri figli come vorremmo che fossero,
piuttosto che come sono davvero.” (299)
Daniela Pizzagalli “La dama con
l’ermellino” Corriere della Sera Arte 2 euro 7,90
[A: 07/07/2016 – I: 18/05/2019 – T: 21/05/2019]
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[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 194; anno 1999]
In realtà, non ho letto l’edizione citata,
ma quella uscita nella BUR, poiché né Daniela di Cola di Rienzo né Sandro di
Candia, sono riusciti a procurarmi l’unico libro della collana del Corriere che
avevo lisciato. Comunque, sono
contento di averlo letto tardi, che mi avrebbe ancora più maldisposto verso
questa serie di libri che, spesso purtroppo, prendono spunto dall’arte, ma
parlano di altro. Devo dire che il sottotitolo, che recita. “Vita e passioni di
Cecilia Gallerani nella Milano di Ludovico il Moro”, mi avrebbe dovuto mettere
sull’avviso che forse non si parlava del quadro, o solo del quadro. Leggendo
poi il testo, ci si accorge che del quadro e di Leonardo che lo dipinge se ne
parla nel primo capitolo. Il resto è, per l’appunto, storia e cronaca di Milano
al tempo degli Sforza. Con un orizzonte temporale che, bene o male, ricalca
l’esistenza appunto di dama Cecilia, nata a Milano nel 1473 e morta nel
castello di San Giovanni in Croce (in provincia di Cremona) nel 1536. Il
quadro, come appunto ci narra l’autrice, viene dipinto nel 1489, commissionato
a Leonardo che da qualche anno stazionava a Milano, da parte del reggente il
ducato cittadino, Ludovico Sforza detto il Moro. Perché è il periodo aureo di
Cecilia che, sedicenne, è l’amante di Ludovico. Il “falso Duca” (come il falso
“nueve” delle squadre di calcio) è all’attacco su tutti i fronti: ha messo
all’angolo il legittimo erede, il nipote Gian Galeazzo, non è ancora sposato,
e, munifico e stratega, sta convocando in quel di Milano artisti per renderla
bella ed ammirata, nonché politici e combattenti, per fortificarne le difese ed
aumentare i possibili fronti d’attacco. In questo, Leonardo diventa una pedina
importante, data la sua poliedricità: artista, inventore, architetto. Insomma,
quasi tutto. Nel quadro, che sarebbe l’oggetto principe del racconto se lo
inseriamo appunto nella collana artistica, Leonardo si impegnò a stravolgere i
canoni della pittura “di figura”. Cecilia è ritratta tra due torsioni, il busto
verso sinistra e la faccia verso destra, quasi ad attendere qualcuno che sta
arrivando. Con lo sguardo, che di quadro in quadro si andò affinando, prima
nella “Belle Ferroniere” (che poi sarebbe Laura Crivelli, amante del Moro dopo
Cecilia) e poi nella “Gioconda”. Laddove anche il sorriso si compie
insondabilmente misterioso, così come qui, la Dama, comincia ad avere un moto
di labbra teso verso il capolavoro. Poi c’è il simbolo animalesco. Si dice
ermellino per due motivi: da poco Ludovico il Moro aveva avuto l’onorificenza
dell’Ordine dell’Ermellino (simbolo di purezza) ed in latino l’animale è nomato
“gallé”, che quindi rimanderebbe appunto alla bella Cecilia. Anche se, per dimensioni
ed addomesticabilità, sembra più essere un furetto che un ermellino. Ma dopo
questo primo capitolo dedicato al quadro, ai suoi motivi, ed alla sua
realizzazione, le altre più di 150 pagine sono dedicate a donna Cecilia (ma
solo nell’ultima parte) e soprattutto a Ludovico ed alla sua Milano. A come la
faccia fiorire intorno al 1490, a come, per contrastare il legittimo erede,
debba sposarsi in fretta, con Beatrice d’Este (che pare fosse assai bruttina).
Come, da sposato, non possa che allontanare Cecilia, regalandole il Palazzo Dal
Verme (che tuttavia rimane in via Puccini, a un centinaio di metri o poco più
dal Castello Sforzesco). Per fugare i dubbi, dopo che Cecilia gli dona un
“bastardo” (che verrà chiamato Cesare), la convince a sposarsi con Ludovico
Carminati detto "il Bergamino". Vediamo poi le alterne fortune della
famiglia Sforza, dove Ludovico, per vendicarsi degli Angioini di Napoli, chiede
aiuto al Re di Francia, Carlo VIII di Valois. Che non solo sconfigge i
napoletani, ma, salendogli la mosca al naso, decide di porre fine anche alla
ducheria di Ludovico. Daniela Pizzagalli, da brava storica, ci imbastisce tutta
una serie di vicende, pubbliche e private, legate a Ludovico, alle sue amanti,
alla moglie, al nipote Gian Galeazzo ed alla di lei consorte Isabella
d’Aragona. Alle vicende militari, che a me lasciano tiepidino, che poi tutto si
confonde in un gran calderone, ove si salva nella mia memoria solo il giudizio
del Guicciardini sul 1494 come anno funesto per la nostra penisola. Nel finale
riprende le fila di Cecilia, che riparatasi nei marchesati della famiglia
d’Este, ritornerà verso il 1510 in quel di Milano. Ove riprenderà la bella
vita, come riportano le cronache dell’esimio Matteo Bandello, passando dal
ruolo della bella a quello della colta. Fino alla morte che la colse alla
veneranda, per l’epoca, età di 63 anni. Ripeto, la storica Pizzagalli scrive
bene del periodo di Ludovico il Moro, vediamo la corte, vediamo Cecilia,
vediamo anche Leonardo che si affanna tra la bottega sua e Santa Maria alle
Grazie, ove va completando la sua “Ultima Cena”. Ma non vediamo discorsi
sull’arte, o sulle arti, come in altri e più interessanti libri della collana.
Tra l’altro, io che non so di greco e di latino, mi sarei anche aspettato un
paragone, un cenno, o poco altro ma qualcosa, alle pitture leonardesche degli
anni ’90 del 1400 rispetto alla partenza, da Cadice ad esempio, proprio nel
1492 di tal … Cristoforo Colombo. Sarebbe stato di interesse vedere in
lontananza esempi dell’ingegno italico in diversi campi. Noi, popoli di santi,
poeti e navigatori…
Prima e solitaria prova d’agosto, condita da
ben 15 libri letti nel mese di maggio. Illuminati dal bellissimo, nonché ultimo
libro della serie dedicata a Maigret, e dal sempre interessante Recalcati. Da
segnalare, al contrario, le non esaltanti prove di Chuck Palahniuk e di Michel
Faber.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Leonardo Sciascia
|
Il metodo di
Maigret
|
Adelphi
|
13
|
3
|
2
|
Wilbur Smith
|
Il trionfo del sole
|
TEA
|
6,90
|
2
|
3
|
George Harmon
Coxe
|
Fotografia
rivelatrice
|
Corriere della sera
Gialli
|
6,90
|
2
|
4
|
Maurizio De
Giovanni
|
In fondo al tuo
cuore
|
Einaudi
|
15
|
3
|
5
|
Maurizio De
Giovanni
|
Anime di vetro
|
Einaudi
|
14,50
|
2
|
6
|
Georges Simenon
|
I Maigret – 15
|
Adelphi
|
s.p.
|
4
|
7
|
Maurizio De Giovanni
|
Serenata senza nome
|
Einaudi
|
14,50
|
2
|
8
|
Daniela Pizzagalli
|
La dama con
l’ermellino
|
Corriere della Sera
Arte
|
7,90
|
2
|
9
|
Maurizio
De Giovanni
|
Rondini
d’inverno
|
Einaudi
|
14
|
2
|
10
|
Massimo Recalcati
|
Mantieni il bacio.
Lezioni brevi sull’amore
|
Feltrinelli
|
14
|
4
|
11
|
Maurizio De Giovanni
|
Il purgatorio dell’angelo
|
Einaudi
|
s.p.
|
3
|
12
|
Paolo Fiorelli
|
Pessima mossa,
maestro Petrosi
|
Repubblica Italia
Noir
|
7,90
|
2
|
13
|
Chuck Palahniuk
|
Beatiful You
|
Mondadori
|
s.p.
|
1
|
14
|
Michel Faber
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Sotto la pelle
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Einaudi
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13,50
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1
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15
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Wu Ming
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Proletkult
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Einaudi
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s.p.
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3
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Siamo
tornati nell’afa romana, per un ultimo sprint agostano, per preparare le
valigie, per costruire altri speriamo splendidi o quantomeno coinvolgenti
viaggi. Vedremo a fine mese di farne un bilancio.
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