domenica 4 agosto 2019

La quinta non attrae - 04 agosto 2019


Peter Mayle “Chi ha rubato Cézanne” Corriere della Sera Arte 12 euro 7,90
[A: 11/10/2016 – I: 03/02/2019 – T: 05/02/2019] - && -  
[tit. or.: Cahsing Cézanne; ling. or.: inglese; pagine: 317; anno 1997]
Un altro nuovo libro della collana di Arte, anch’esso riuscito parzialmente. Conoscevo già l’autore, di cui lessi un libro sulla Provenza di cui sa praticamente tutto, regalo dell’amico Luciano. Ovviamente, se sai tutto della Provenza, non puoi non conoscere Cézanne. Che è uno dei miei pittori “cult”, tra l’altro. Mi aspettavo quindi un’immersione nelle atmosfere di lavanda, guardando il Mont Sainte-Victoire passeggiando per San-Paul-de-Vence. Invece mi trovo alle prese con un gialletto, per di più datato, con alcuni spunti interessanti, ma nel complesso discretamente floscio. Con un finale assolutamente troppo affrettato. Questo e l’inizio sono i due punti più mosci della confezione. L’inizio non in quanto testo, ma in quanto titolo. Che giustamente l’originale riporta “Inseguendo Cézanne”, che ha un suo senso, e che non ci fa deragliare dalle prime righe. Perché ponendolo con l’accento sul furto, addirittura senza il punto interrogativo, mi sembra che siamo proprio fuori strada. Il finale poi, con la fuga in motoscafo, ricorda, con tutte le modifiche del caso, la scena finale di “A qualcuno piace caldo”, con la fenomenale battuta “nobody's perfect”. Sul fronte proprio della parte artistica, non è che ci sia molto. Qualche battuta su Cézanne, sulla sua Provenza, su Aix-en-Provence, sul fatto che i suoi quadri non avevano successo (come per gran parte degli Impressionisti). Viene dato un po’ più spazio ai falsari, come questo olandese, che ricalca anche lui figure note (come Han van Meegeren gran copiatore di Vermeer), con notizie abbastanza scontate su come fare i falsi: cornici prese da quadri coevi, colori invecchiati, pennellate a memoria sulla scia delle originali. Infine, qualche piccola panoramica sul mondo dell’arte e sui grandi capitali che circolano. Sugli intermediatori che vanno alla ricerca di “scoop” un po’ ovunque, e lavorano sul filo del rasoio. Ci vuole poco a stare dalla parte dei buoni, come Cyrus Pine, o passare da quella dei cattivi, come il pessimo Holtz. Ed una volta passata la linea, l’avidità ed altro non ti permettono di tornare più indietro. Quindi, impressionisti, falsari e mercanti per fare da contorno ad una vicenda un po’ strampalata, nelle sue origini e nel suo svolgimento. Il protagonista è il fotografo André, anglo-francese, e questo è già un difficile connubio, che vive per riprendere interni ed altre cose patinate, in genere commissionate da Camilla, il deus ex-machina della rivista DQ, uno dei tanti fogli dediti alle foto di interni. Peccato che Camilla sia anche caduta nella rete di Holtz, suo amante, che le fa anche fotografare quadri su quadri nelle dimore ricche dei ricchi in giro per il mondo. Sempre alla ricerca di quadri da duplicare e/o falsificare. Nel corso di un piccolo reportage verso Cap Ferrat, André si imbatte in una casa che ha fotografato da dove vede uscire un Cézanne, che viene arrotolato e portato via da uno strano furgoncino. Ora, a parte che non si capisce perché qualcuno che faccia portare via una tela non la arrotili in casa, André parte subito in tromba decidendo che c’è del losco. Tanto che va a cercare il padrone di casa, in vacanza alle Bahamas. Persone con i nervi saldi avrebbero fatto passare tutto in silenzio, invece, il proprietario del quadro telefona a Holtz, perché tramite il losco figuro stava cercando di vendere il Cézanne sottobanco. E Holtz, invece di stare anche lui ad aspettare che passi il temporale, decide di mettere a soqquadro la casa di André. Ovvio che tutto ciò innesca la curiosità di André, anche perché, non contento, Holtz chiede a Camilla di fare terra bruciata intorno al fotografo. Ecco allora che André, tra l’altro in poche battute innamoratosi della sua segretaria Lucy detta Lulu, con lei comincia ad organizzare la controffensiva. Anche perché, appunto, si imbatte in un mercante buono, il Cyrus di cui sopra. Buono e moderatamente anche pieno di soldi. Abbiamo così i tre buoni contro i tre cattivi (che a Holtz e Camilla si aggiunge un sicario francese) che si affrontano avendo in mezzo il falsario ed il venditore fraudolento. Mayle non riesce a caratterizzare neanche il sicario che, maldestramente, fallisce due volte di far fuori i nostri. Il venditore, vista la cattiveria di Holtz, passa dalla parte dei buoni, che si salvano con quella scena sopra descritta. Ma come finiranno tutti è un mistero che si lascia alla mente del povero sbalestrato lettore. Che si aspettava quantomeno qualcosa di più sui quadri, e dove questo non fosse possibile, sulla vicenda e sul giallo. alla fine, ben poca cosa su tutto. Una scrittura onesta di un “pennivendolo” come direbbe Pennac senza alcuna offesa, che certo sa di scrittura ma non in questa prova. Peccato, al solito.
Klaus Modick “Concerto di una sera d’estate senza poeta” Corriere della Sera Arte 15 euro 7,90
[A: 27/10/2016 – I: 25/02/2019 – T: 07/03/2019] - && +
[tit. or.: Konzert Ohne Dichter; ling. or.: tedesco; pagine: 247; anno 2015]
Un libro che pone dei quesiti e stimola delle curiosità, ma che alla fine non riesce a convincermi del tutto. Per cui rimane nel limbo tra il famoso 5 ed il 6 dei miei anni liceali. L’idea, dicevo, è appunto stimolante. Perché entriamo nella genesi e nella realizzazione di un quadro simbolo dei primi anni del ‘900. Ne ho trovato traccia solo nella sezione francese di Wikipedia, mentre si trovano facilmente altre opere dell’autore nella più ampia (ma per me poco comprensibile) sezione tedesca. L’autore, appunto, è Heinrich Vogeler, uno degli iniziatori e maggiori esponenti dell’Art Nouveau nella pittura e dello Jugendstil nelle altre arti decorative. Il quadro, terminato nel 1905 dopo una gestazione di diversi anni, si intitola “Sommerabend” o anche detto “Das Konzert”. Il bravo Modick ne prende la mira, per fare tutto un bel discorso intorno, su cui torniamo. E centrando quello che pare Vogeler volesse come titolo: “Concerto senza poeta”. Non si capiscono i motivi per cui, nell’edizione italiana, si mescolino i due titoli del quadro, unendoli in un anodino “Concerto di una sera d’estate”, ovviamente rimanendo il “senza poeta”, che è il tocco che dà un senso al quadro ed al libro stesso. Per chi non sa del quadro, cosa che serve anche a spiegare il libro, il dipinto mostra un concerto sulla terrazza del Barkenhoff e come persona centrale Martha, la moglie di Vogeler, che guarda pensierosa in lontananza. Sulle scale, ai suoi piedi, il cane (un levriero russo) è un regalo di Alfred Heymel (fondatore della casa editrice Insel, che pubblicò i primi lavori di Rilke con le incisioni di Vogeler). Tutte le persone del “mondo Barkenhoff” sono presenti, eccetto appunto Rilke stesso. Vogeler, semi-nascosto sulla destra, suona il violoncello, sulla sua sinistra suo fratello Franz suona il violino, mentre il flautista sullo sfondo è il suo giovane cognato Martin. Sul lato sinistro, sedute, ci sono Paula Modersohn-Becker, accanto a lei Agnes Wulff e Clara Rilke-Westhoff. L'uomo con la barba sullo sfondo è Otto Modersohn. Il dipinto, esposto a Oldenburg in occasione della Mostra d'arte della Germania nord-occidentale, consente a Vogeler di ricevere la “Grand Medal” per le Arti e la Scienza. Questo dipinto è considerato il culmine del suo primo periodo creativo. Modick, appunto, prende spunto dal quadro, per parlare di Barkenhoff, e della cittadina dove sorge, Worspede. Laddove, tra il 1895 ed il 1905, si riunirono artisti vari, pittori, scultori, scrittori ed altri, in un ambiente creativo e comunitario. Un idillio utopistico, avviato dallo stesso Vogeler, con il pittore Modersohn ed altri. C’erano anche le donne artiste: Paula, che sposa Otto, e Clara, che sposerà Rilke. Tutto il libro è centrato sui pensieri di Vogeler, sulla sua iniziale amicizia per Rilke, che, squattrinato, è da lui ospitato a Worspede. Si coglie la forza e l’ambiguità di Rilke, preso dal suo incompiuto rapporto con Lou Andreas-Salomé. Rilke affascina anche tute le donne, in special modo Paula, ma sarà Clara quella che sposerà. Con alcuni andamenti in flashback, Modick cerca di darci il senso dell’avventura di Worspede, dell’idillio bucolico, ma anche delle tensioni. Tuttavia, poco ce ne viene, ed il tutto rimane abbastanza debole. Sì, in qualche modo escono fuori le diverse personalità, soprattutto Rilke, con tutte le sue ambiguità. Ma anche altri, ad esempio il cammeo con Gerhart Hauptmann, che poi sarà nel 1912 un premio Nobel per la letteratura. Invece non viene fuori la personalità del protagonista, di Vogeler, che proprio partendo da Worspede e dai suoi tentativi ed esperimenti sia artistici che di vita, farà tutto un suo percorso, che qui non viene neanche delineato. Ma che è interessante. Si avvicinerà a posizione comuniste, divorzia da Martha, sposa in seconde nozze un’amica di Rosa Luxembourg, per poi emigrare in Russia, e diventare esponente anche lì artistico, ma del realismo socialista. Peccato che allo scoppio delle ostilità verrà internato in Kazakistan in quanto tedesco, e lì muore ben presto di stenti. Insomma, un libro un po’ lento nella costruzione, con qualche spunto che poteva essere migliore. Forse, la cosa migliore è proprio la riflessione di Vogeler che inizia il quadro inserendo anche Rilke tra le varie comparse del quadro, per poi cancellarlo, e lasciare un vuoto che si nota, guardandolo. La scrittura risente di questa mancanza di mordente, tanto che anche la lettura è avanzata a fatica sulla pagina. Peccato, ancora, che poteva essere migliore, con uno scatto più significativo sui vari attori della vicenda.
“Se hai amato sul serio una persona l’ami per sempre.” (128)
“Io temo tanto la parola degli uomini / … / A me piace sentire le cose cantare / Voi le toccate: diventano rigide e mute / Voi mi uccidete le cose.” [da una poesia di Rilke] (184)
Stephanie Cowell “La donna col vestito verde” Corriere della Sera Arte 16 euro 7,90
[A: 01/11/2016 – I: 11/03/2019 – T: 14/03/2019] - &&&
[tit. or.: Claude & Camille; ling. or.: inglese; pagine: 332; anno 2010]
Un altro libro che riscatta leggermente una collana nata, nella mia testa, con altre e più alte prospettive. L’autrice è una newyorkese di buona famiglia, dedicatasi in gioventù al canto, sposata poi con il poeta Russell Clay, e quindi, da una ventina di anni, dedicatasi a romanzi di ambientazione storica. Su Mozart, su Shakespeare. Ma soprattutto nota per questo lungo viaggio nella vita giovanile di Claude Monet e degli ambienti da cui nascerà l’impressionismo. Come dice poi più esattamente il titolo inglese, si parla del grande amore tra Claude Monet e la giovane Camille Donciuex. Perché di Monet si sa molto, si sono percorse le vie della maturità del Novecento, le visite a Giverny ed alle sue ninfee. Ma Claude è stato anche giovane, ed ha percorso tutto un suo andamento di vita, per passare dall’adolescenziale Le Havre all’anzianità di Giverny, transitando sempre per Parigi ed i suoi ambienti culturali. Per essere precisi, poi, Monet fu abbastanza girovago, dato anche il suo carattere irrequieto. Specialmente durante i suoi sessanta anni dell’Ottocento, dove passò per Honfleur, Argenteuil, Vétheuil, Bordighera ed altro. Ma Claude non fu solo peripatetico per natura, anche per la su ricerca del giusto colore delle cose che lo circondano. Fino a trovarlo in quel quadro che darà il nome a tutto un mondo. Il celeberrimo “Impressione, levar del sole”, dipinto nel 1872 a poco più di 30 anni. Che venne preso ad epigono, per etichettare tutta quella congerie di amici e sodali, pittori ed artisti, con il termine di “impressionisti”. Ecco lì, magari nella tela dipinta da uno di loro. Con Monet ci sono Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Alfred Sisley Jean-Frédéric Bazille e Gustave Caillebotte. Ma più che parlare della vita del nostro, sarebbe bene passare al libro. Dove l’esimia signora Cowell si perita di farci passare alcune ore di svago all’inseguimento delle passioni di Monet e della sua bella Camille. Perché, sì, è un libro che parla di arte, ma che poi è incernierato sulle vicende d’amore. Molto sul periodo fino alla morte di Camille, ovvio. Per la parte artistica, vediamo gli esordi di Monet sotto la guida di Boudin. Le quotidiane lotte con il padre che non lo vuole artista. La “fuga” a Parigi. Gli ambienti di Rue de Batignolles con l’amicizia verso Bazille e Renoir. Tra l’altro, in tutto il libro, sono gli unici che vengono citati con il nome. Mentre gli altri sono Cezanne, Pissarro, Sisley e così via, loro sono Frédéric e Auguste. La lotta per vedere affermati i loro quadri ed i loro colori. Le speranze, la fuga durante la guerra franco-prussiana del 1870. Ma anche, finalmente, il salone degli indipendenti, ospitato dal fotografo Nadar nel 1874 (e non si capisce perché l’autrice lo citi solo come “un fotografo di boulevard des Capucines”) e l’affermazione dei quadri dell’artista, i riconoscimenti, la stabilità economica. Ma a Stephanie preme di più parlare dell’amore. Di come la bella e giovane borghese Camille (di 7 anni più giovane dell’artista), se ne innamori perdutamente. E per lui sopporterà la miseria, la fame, i posti scalcinati dove sono costretti a vivere. Gli darà due figli. Forse lo tradirà con l’amico Bazille (una vicenda poco chiara, dove si sa anche che Bazille era molto “aperto” anche ad amicizie maschili). Ma Camille gli sarà sempre vicino, anche quando lui sarà lontano. Anche quando, verso la fine degli anni ’70, ormai stabile economicamente, decide di ospitare Alice Hoschedé ed i sei figli di lei. Alice il cui marito prima finanzia alcune opere di Monet, poi, per varie vicende finanziarie, perde tutto. Anche quando, ma Cowell non ce lo dice, Claude visita “anche” il letto di Alice, che Camille è malata. Camille sarà sempre e comunque la musa di Claude, la “donna dal vestito verde” che lo attrae e che è attratta da lui. La sua modella di tanti e tanti quadri. Per tutta la vita di Camille e oltre. Anche se poi, dopo la morte di Camille, vivrà con Alice e la sposerà. Anche quando il suo primogenito Jean sposerà la piccola Blanche, figlia di Alice. Peccato che Alice, ma questo l’autrice lo tace, sarà di una gelosia spasmodica nei confronti di Camille, tanto da far distruggere a Claude tutte le lettere della prima moglie (per fortuna non certo i quadri…). Per questo, gli interludi che l’autrice inserisce per parlare di Monet quasi settantenne, a dipingere ninfee nella sua Giverny, se rendono il merito della genesi delle ninfee, non fanno capire né l’accanimento con cui Claude chiede ad Annette, sorella di Camille, dei ricordi di lei, né il fatto che, nel 1909, Alice è ancora vive (morirà solo due anni dopo). Un libro sufficiente, nel gradimento, nella stesura, nell’impostazione. Che avrebbe raggiunto diverse vette con qualche errorino (o forse omissione) in meno, e qualche pennellata in più. Anche se capiamo meglio Monet quando Stephanie ce lo descrive sfidare il freddo ed il vento per dedicarsi alle sue marine. Una grande voglia di tornare in Normandia.
Alice Hoffman “Il matrimonio degli opposti” Corriere della Sera Arte 18 euro 7,90
[A: 15/11/2016 – I: 21/03/2019 – T: 24/03/2019] - &&& ---  
[tit. or.: The Marriage of Opposites; ling. or.: inglese; pagine: 343; anno 2015]
Alice Hoffman, sceneggiatrice e scrittrice americana, non mi è particolarmente nota, anche se in patria sembra abbia un discreto successo. Lego che di discendenza russo-ebraica, ed in questo romanzo si nota particolarmente. Anche se non è il centro (forse uno dei volani dell’azione sicuramente). Perché il centro dovrebbe essere qualcosa attinente all’arte. Purtroppo, dobbiamo aspettare almeno un terzo del libro per capirlo. Non nego, comunque, che ha un suo piglio “nonostante” questa falla. Ci porta nei Caraibi, all’inizio dell’Ottocento, nell’isola di St. Thomas, rifugio di una piccola comunità ebraica messa all’indice da vari paesi (ultima la fuga da Santo Domingo), e governata (questo mi giunge misterioso, invero) dal governo danese. Tanto che la capitale si chiama Amalienborg (nella dizione inglese diventata Charlotte Amalie, dal nome della consorte del re Cristiano V di Danimarca). Dove seguiamo l’infanzia e l’adolescenza di Rachel Pomié, unica figlia della famiglia Pomié, mercanti ebrei. Le sue capacità, la sua intraprendenza, la sua amicizia con l’indigena Jestine, i suoi dissapori con il cugino Aaron (che poi non è realmente cugino), nonché il mito della lontana terra natia, che la famiglia viene dalla Francia, e Rachel legge di continuo libri su Parigi. Quando gli affari vanno male, per salvarli deve sposare qualcuno per mettere soldi freschi nelle casse paterne. Sposa così tal Isaac Petit, già padre di tre rampolli con moglie appena defunta. Rachel avrà una serie di figli da Isaac, e noi continueremo a seguire le sue vicende isolane. Soprattutto il fatto che Aaron mette incinta Jestine, e per questo viene mandato a Parigi in esilio, mentre Jestine e Rachel, oltre ai figli della protagonista, si curano anche della piccola Lyddie. Purtroppo, anche Isaac muore, ed in mancanza di altri figli maschi, prima provano con Aaron. Ma questi viene con la moglie francese, si comporta da buzzurro, e viene rimandato al mittente, con l’unico vantaggio (per Aaron) di rubare (anche se legalmente) la figlia a Jestine. Dramma nel romanzo, che proseguirà sino alla fine, con un suo filone narrativo che si intreccerà anche con il principale. Viene allora mandato un cugino “reale” della famiglia, il poco più che ventenne Abraham Gabriel Frédéric Pizzarro. Cominciate a vedere la luce in fondo al tunnel? Il buon Frédéric come vede Rachel, sebbene questa abbia sette anni più di lui e gestisca sette figli, cade innamorato come una pera cotta. Il bello è che anche Rachel finalmente si innamora. Qui però cadiamo in tutta una cinquantina di pagine dedicate alla lotta di Frédéric e Rachel con i maggiorenti locali che ostacolano le nozze considerandoli cugini, anche se Frédéric è solo cugino del marito di Rachel, quindi non hanno vincoli di sangue neanche lontani. Fatto sta che i due si sposano, e cominciano a sfornare figli. Il terzo dei quali, nel 1830, verrà chiamato Jacobo Camille Pizzarro (la famiglia di Frédéric ha origini portoghesi). Finalmente, da metà libro in poi, abbiamo quindi l’artista. Che però è uno degli attori del romanzo. Ne vediamo i primi anni, le ribellioni, all’isola, alla madre, a tutto e tutti. Scarso studente, inetto alla gestione della bottega paterna, ha solo il disegno, la pittura in testa. E “pour cause” diremo noi. È fondamentalmente un anarchico, e per mettere a frutto (ed anche metterlo in riga) viene inviato alcuni anni a Parigi. Dove affina la sua arte, e contatta la Lyddie rapita (e sarà lui a ricucire tutti gli strappi, tra Lyddie e Jestine, nonché tra i suoi genitori e la comunità ebraica). Al ritorno a St. Thomas, però, Camille (lasciato il primo nome Jacobo) è ancora osteggiato. Fuggirà un paio di anni in Venezuela, prima di essere accolto di nuovo e finalmente, alla morte del padre, lui venticinquenne con la madre ormai di sessanta, finalmente ritornano tutti in Europa. Ci saranno altri momenti, altre piccole tappe, che seguiamo sempre con gli occhi di Rachel, che di Camille sapremo soltanto l’amore per gli azzurri, per i diseredati, per la vita bohemienne sino alla fine, tanto che sposerà Julie, la cameriera di sua madre. Questo per suggellare, sino alla fine, la corrispondenza del titolo con il testo: tutti i matrimoni del romanzo sono tra persone “opposte”, di carattere, di espressione, di retroterra familiare. Purtroppo, però, poco spazio viene dato alla pittura di Camille (che quando finalmente vive in Francia cambierà il cognome da Pizzarro a Pissarro), ai suoi periodi fecondi (dove rimando al bellissimo libro di Sue Roe sugli Impressionisti), all’amicizia con Monet, con Cézanne e poi con Seurat e i puntillisti. Peccato. Un libro decente per capire da dove vengono certi colori del nostro amato pittore, ma tuttavia un libro dedicato ad altro, alla madre ed ai Caraibi.
“La morte ci insegue … Allora perché non vivere come vogliamo?” (270)
“È più facile che riusciamo a vedere i nostri figli come vorremmo che fossero, piuttosto che come sono davvero.” (299)
Daniela Pizzagalli “La dama con l’ermellino” Corriere della Sera Arte 2 euro 7,90
[A: 07/07/2016 – I: 18/05/2019 – T: 21/05/2019] - &&---     
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 194; anno 1999]
In realtà, non ho letto l’edizione citata, ma quella uscita nella BUR, poiché né Daniela di Cola di Rienzo né Sandro di Candia, sono riusciti a procurarmi l’unico libro della collana del Corriere che avevo lisciato. Comunque, sono contento di averlo letto tardi, che mi avrebbe ancora più maldisposto verso questa serie di libri che, spesso purtroppo, prendono spunto dall’arte, ma parlano di altro. Devo dire che il sottotitolo, che recita. “Vita e passioni di Cecilia Gallerani nella Milano di Ludovico il Moro”, mi avrebbe dovuto mettere sull’avviso che forse non si parlava del quadro, o solo del quadro. Leggendo poi il testo, ci si accorge che del quadro e di Leonardo che lo dipinge se ne parla nel primo capitolo. Il resto è, per l’appunto, storia e cronaca di Milano al tempo degli Sforza. Con un orizzonte temporale che, bene o male, ricalca l’esistenza appunto di dama Cecilia, nata a Milano nel 1473 e morta nel castello di San Giovanni in Croce (in provincia di Cremona) nel 1536. Il quadro, come appunto ci narra l’autrice, viene dipinto nel 1489, commissionato a Leonardo che da qualche anno stazionava a Milano, da parte del reggente il ducato cittadino, Ludovico Sforza detto il Moro. Perché è il periodo aureo di Cecilia che, sedicenne, è l’amante di Ludovico. Il “falso Duca” (come il falso “nueve” delle squadre di calcio) è all’attacco su tutti i fronti: ha messo all’angolo il legittimo erede, il nipote Gian Galeazzo, non è ancora sposato, e, munifico e stratega, sta convocando in quel di Milano artisti per renderla bella ed ammirata, nonché politici e combattenti, per fortificarne le difese ed aumentare i possibili fronti d’attacco. In questo, Leonardo diventa una pedina importante, data la sua poliedricità: artista, inventore, architetto. Insomma, quasi tutto. Nel quadro, che sarebbe l’oggetto principe del racconto se lo inseriamo appunto nella collana artistica, Leonardo si impegnò a stravolgere i canoni della pittura “di figura”. Cecilia è ritratta tra due torsioni, il busto verso sinistra e la faccia verso destra, quasi ad attendere qualcuno che sta arrivando. Con lo sguardo, che di quadro in quadro si andò affinando, prima nella “Belle Ferroniere” (che poi sarebbe Laura Crivelli, amante del Moro dopo Cecilia) e poi nella “Gioconda”. Laddove anche il sorriso si compie insondabilmente misterioso, così come qui, la Dama, comincia ad avere un moto di labbra teso verso il capolavoro. Poi c’è il simbolo animalesco. Si dice ermellino per due motivi: da poco Ludovico il Moro aveva avuto l’onorificenza dell’Ordine dell’Ermellino (simbolo di purezza) ed in latino l’animale è nomato “gallé”, che quindi rimanderebbe appunto alla bella Cecilia. Anche se, per dimensioni ed addomesticabilità, sembra più essere un furetto che un ermellino. Ma dopo questo primo capitolo dedicato al quadro, ai suoi motivi, ed alla sua realizzazione, le altre più di 150 pagine sono dedicate a donna Cecilia (ma solo nell’ultima parte) e soprattutto a Ludovico ed alla sua Milano. A come la faccia fiorire intorno al 1490, a come, per contrastare il legittimo erede, debba sposarsi in fretta, con Beatrice d’Este (che pare fosse assai bruttina). Come, da sposato, non possa che allontanare Cecilia, regalandole il Palazzo Dal Verme (che tuttavia rimane in via Puccini, a un centinaio di metri o poco più dal Castello Sforzesco). Per fugare i dubbi, dopo che Cecilia gli dona un “bastardo” (che verrà chiamato Cesare), la convince a sposarsi con Ludovico Carminati detto "il Bergamino". Vediamo poi le alterne fortune della famiglia Sforza, dove Ludovico, per vendicarsi degli Angioini di Napoli, chiede aiuto al Re di Francia, Carlo VIII di Valois. Che non solo sconfigge i napoletani, ma, salendogli la mosca al naso, decide di porre fine anche alla ducheria di Ludovico. Daniela Pizzagalli, da brava storica, ci imbastisce tutta una serie di vicende, pubbliche e private, legate a Ludovico, alle sue amanti, alla moglie, al nipote Gian Galeazzo ed alla di lei consorte Isabella d’Aragona. Alle vicende militari, che a me lasciano tiepidino, che poi tutto si confonde in un gran calderone, ove si salva nella mia memoria solo il giudizio del Guicciardini sul 1494 come anno funesto per la nostra penisola. Nel finale riprende le fila di Cecilia, che riparatasi nei marchesati della famiglia d’Este, ritornerà verso il 1510 in quel di Milano. Ove riprenderà la bella vita, come riportano le cronache dell’esimio Matteo Bandello, passando dal ruolo della bella a quello della colta. Fino alla morte che la colse alla veneranda, per l’epoca, età di 63 anni. Ripeto, la storica Pizzagalli scrive bene del periodo di Ludovico il Moro, vediamo la corte, vediamo Cecilia, vediamo anche Leonardo che si affanna tra la bottega sua e Santa Maria alle Grazie, ove va completando la sua “Ultima Cena”. Ma non vediamo discorsi sull’arte, o sulle arti, come in altri e più interessanti libri della collana. Tra l’altro, io che non so di greco e di latino, mi sarei anche aspettato un paragone, un cenno, o poco altro ma qualcosa, alle pitture leonardesche degli anni ’90 del 1400 rispetto alla partenza, da Cadice ad esempio, proprio nel 1492 di tal … Cristoforo Colombo. Sarebbe stato di interesse vedere in lontananza esempi dell’ingegno italico in diversi campi. Noi, popoli di santi, poeti e navigatori…
Prima e solitaria prova d’agosto, condita da ben 15 libri letti nel mese di maggio. Illuminati dal bellissimo, nonché ultimo libro della serie dedicata a Maigret, e dal sempre interessante Recalcati. Da segnalare, al contrario, le non esaltanti prove di Chuck Palahniuk e di Michel Faber.
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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Leonardo Sciascia
Il metodo di Maigret
Adelphi
13
3
2
Wilbur Smith
Il trionfo del sole
TEA
6,90
2
3
George Harmon Coxe
Fotografia rivelatrice
Corriere della sera Gialli
6,90
2
4
Maurizio De Giovanni
In fondo al tuo cuore
Einaudi
15
3
5
Maurizio De Giovanni
Anime di vetro
Einaudi
14,50
2
6
Georges Simenon
I Maigret – 15
Adelphi
s.p.
4
7
Maurizio De Giovanni
Serenata senza nome
Einaudi
14,50
2
8
Daniela Pizzagalli
La dama con l’ermellino
Corriere della Sera Arte
7,90
2
9
Maurizio De Giovanni
Rondini d’inverno
Einaudi
14
2
10
Massimo Recalcati
Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore
Feltrinelli
14
4
11
Maurizio De Giovanni
Il purgatorio dell’angelo
Einaudi
s.p.
3
12
Paolo Fiorelli
Pessima mossa, maestro Petrosi
Repubblica Italia Noir
7,90
2
13
Chuck Palahniuk
Beatiful You
Mondadori
s.p.
1
14
Michel Faber
Sotto la pelle
Einaudi
13,50
1
15
Wu Ming
Proletkult
Einaudi
s.p.
3

Siamo tornati nell’afa romana, per un ultimo sprint agostano, per preparare le valigie, per costruire altri speriamo splendidi o quantomeno coinvolgenti viaggi. Vedremo a fine mese di farne un bilancio.

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