Purtroppo,
non è la guida gastronomica come tutti ci potremmo aspettare, ma sono due
autori di gialli hard boiled americani (in realtà tre, che Wade Miller sono una
coppia). Nonostante i grandi sforzi degli editor della collana, tuttavia, che
hanno cercato di presentare il meglio delle loro produzioni, la media dei due
autori si aggira, in sostanziale pareggio, su && e ¼ . Molto al
di sotto della sufficienza, benché leggibili. Ma il “genere” si vede sin
dall’inizio, basta leggere il mio commento finale al primo libro. Insomma, da
entomologi ricercatori.
Wade Miller “L’arma del delitto” Corriere
della sera Gialli Americani 15 euro 6,90
[A: 18/09/2017 – I: 01/02/2019 – T: 04/02/2019] - && ---
[tit. or.: Deadly Weapon; ling. or.: inglese; pagine: 203; anno 1946]
Prima lettura di un libro scritto da una delle
tante coppie di autori americani che si aiutano a vicenda e non sempre trovano
il bandolo della matassa. Qui abbiamo Robert Wade e William “Bill” Miller che
uniscono i cognomi e firmano una trentina di libri insieme. Questo è anche il
loro primo libro, uscito quando i due avevano 26 anni e secondo molti il meglio
riuscito. Certo che se devo dare retta alle mie sensazioni, visto che ho altri
due libri della coppia mi viene qualche tremore. Intanto, il primo tremore già
arriva dai titoli di testa, che in originale recitano “Arma mortale” mentre i
bellimbusti mondadoriani che lo pubblicarono per primi nel 1954 utilizzano
questa “Arma del delitto” che poco verrà disvelata nel corso del libro.
Intanto, è sicuramente un hard-boiled duro e puro, questo dei due ragazzotti.
Di morti ce ne sono tanti, anche se poche le sparatorie, ma prima o poi… Quello
che manca, ai nostri purtroppo, è la capacità di reggere fino alla fine. Dove,
seppur tirando fuori una discreta genialata, almeno per l’epoca della
scrittura, non riescono a tirare tutti i fili che hanno seminato per 200
pagine. Si vede che non hanno letto, o non hanno capito bene, la lezione di S.
S. Van Dine che estolleva (vi piace questa parola? Vediamo chi ne trae il senso
figurato) il romanzo giallo nella sua capacità di rispondere a tutte le domande
poste durante tutto il romanzo stesso. Dicevamo giallo d’azione. Il personaggio
centrale, che seguiamo per tutta la vicenda, è tal Walter James, investigatore
di Atlanta, in trasferta a San Diego per seguire la pista di qualche traffico
di marijuana. Ad Atlanta è morto il suo socio e scomparsa la di lui moglie.
Come arriva a San Diego, seguendo una pista che non ci viene spiegata, si
ritrova in un teatro, a pedinare un filippino. Peccato che durante il numero
centrale della cantante Shasta, il filippino viene ucciso con un pugnale
modificato. Vicino al morto, ed a Walter, c’è la giovane Laura, venuta allo
spettacolo perché convinta che il padre sia stato circuito dalla bella Shasta.
Durante le indagini, Walter riesce anche a farsi amico il poliziotto Clapp,
cominciando con lui la ricerca del bandolo della matassa. Il filippino era un
galoppino di droga, che riceveva ordini su dove prendere e dove consegnare la
marijuana, così che i veri trafficanti non correvano grossi pericoli.
Purtroppo, anche lui si innamora di Shasta (come molti) sottraendo piccole
quantità, e disequilibrando il meccanismo messo in atto. Parlando con Laura,
tirando fuori notizie da Clapp, ed agendo sempre un passo avanti a tutti
vediamo Walter combinarne delle belle. Capisce che il padre di Laura ascolta la
radio per ricevere messaggi pubblicitari che gli dicono quando recarsi dal
filippino. Messaggi che vengono da una radio messicana di base a Tijuana, che
Walter va a stuzzicare. Il filippino riceve i messaggi da un finto psichiatra
forse in combutta con un maggiore dell’esercito in pensione. Intanto, Walter è
preso di mira da colpi di pistola all’uscita dal teatro. Poi i messicani si
mettono sulle sue tracce, ma lui li tampona con la sua macchina, mandandoli
fuori strade ed uccidendoli. Quindi da un appuntamento al padre di Laura in un
club sul mare, dove anche lui si reca con Laura. Ma nel frattempo, sotto gli
scogli del club viene trovato il corpo del vecchio, ucciso o suicidato. Infine,
qualcuno, una donna pare, spara altri colpi di pistola verso Walter che anche
questa volta si salva. La scena culmine si avrà allora di nuovo in teatro dove
canta Shasta e dove convergono Walter, Laura, il maggiore, nonché la donna
misteriosa, che altri non è che la moglie del socio di Walter di cui si diceva
la scomparsa. Scena culmine perché tutti e quattro i convenuti possono essere
il cattivo che tira le fila dall’inizio. Ci sarà una grande confusione, alla
fine della quale, tuttavia, anche il lettore esce confuso, non capendo
veramente bene non tanto chi regge la matassa, ma il ruolo di ognuno nella
vicenda. Questo, e tante piccole scivolate, ne fanno un prodotto scorrevole
certo, ma non gradevole. Quanto sono lontani gli scritti di Chandler o di
Hammett! Spero che i nostri giovanottoni, crescendo, migliorino lo stile.
Intanto, e per finire, vi narro di Un’imprecisione dolorosa: la macchina con
Walter parte da San Diego intorno alle 11 per andare a Tijuana, distanza che si
percorre in una mezz’ora, un’ora al massimo. Diciamo che arriva alle 12. Beh, a
pagina 128 si dice che vi arriva a pomeriggio inoltrato! Dopo di che, poche
pagine e qualche scazzottata dopo, fa ritorno a San Diego per le 15:45. Sensato
con gli orari, poco con quel “pomeriggio inoltrato”. Ecco questo può essere
preso ad esempio di come NON si deve scrivere un romanzo, né giallo, né di
nessun altro colore.
William C. Gault “Fuoco incrociato”
Corriere della sera Gialli Americani 25 euro 6,90
[A: 27/11/2017 – I: 01/03/2019 – T: 02/03/2019] - && e ½
[tit. or.: Day of the Ram; ling. or.: inglese; pagine: 189; anno 1956]
Il poco noto oltre oceano William Campbell Gault è
stato, ad onor del vero, un discreto poliedrico scrittore, che nei suoi più di
ottanta anni di vita ha scritto un po’ di tutto, spaziando dai romanzi per
ragazzi alle fiction sportive, pubblicando anche una ventina di titoli di
“crime thriller”. In questo onesto prodotto che andiamo tramando, poi, unisce
la sua passione per lo sport con quella per i polizieschi, avendo come
personaggio principale Brock “The Rock” Callahan. Un detective presente in 14
libri, ex-giocatore di football americano che ha dovuto lasciare per un
infortunio al ginocchio. Peccato, prima di entrare nel merito, che gli editor
italiani trasformino un titolo pertinente al testo ed al connubio sport-crime,
con un poco sensato “Fuoco incrociato”. Infatti, in origine il titolo era “Day
of the Ram”, cioè il giorno dei Ram, inteso come giorno fortunato, eccellente,
da sottolineare nel calendario sportivo, della squadra di football dei Los
Angeles Rams. Una squadra fondata nel 1936, che aveva base nella California
meridionale, dove rimase fino al 1995, quando spostò la sua sede nel Missouri,
divenendo i St. Louis Rams. Ed il football gioca un ruolo centrale nel libro,
oltre che per la presenza di Brock, per il fatto che la persona che viene
uccisa è Johnny Quirk, pochi giorni dopo che, da quarterback, conduce una
fenomenale partita per i Rams. Tralascio tuti gli accenni sportivi al football,
che meriterebbero altro spazio ed altra penna, il romanzo in sé è da una parte
esile e dall’altra molto “americano”, pieno cioè i luoghi comuni e situazioni
stereotipate. Intanto Brock, da ex-stella sportiva e da investigatore
scalcinato, non fa altro che bere whiskey, accompagnarsi a qualche donzella,
pur avendo un rapporto di lunga durata con tale Jan (che forse esce meglio in
altri romanzi della serie) e menare le mani quando e come ne ha voglia. Tipiche
sono le entrate in un pub, magari gestito da qualche tizio poco raccomandabile,
dire qualche parola di troppo, e finire in una rissa. A volte vincendo, e
spesso prendendone di santa ragione. Johnny aveva chiesto protezione a Brock,
per una minaccia forse fatta da qualche allibratore privo di scrupoli. Brock un
po’ gli crede ed un po’ sospetta altro. Anche perché Johnny, stella nascente
del football, pur avendo una fidanzata consolidata, tal Deborah, si accompagna
spesso con altre donzelle. Come aveva fatto sin dal liceo con un’insegnante, cosa
che suscitò un grande scandalo all’epoca. Tipico è anche lo spaccato di chi
cerca di far soldi nel mondo sportivo, scommettendo e cercando di aggiustare le
partite. Come fa Enrico Martino, riciclatosi in Rick Martin, amico di Jan, ma
nel fondo, scommettitore e baro. Brock si cala anche nel mondo delle scommesse,
per capire se Johnny poteva avere delle noie da quel lato. Anche perché proprio
Rick era vicino a lui quando viene ucciso da un preciso colpo di fucile. Una
pista promettente, anche perché Johnny frequenta tal Jackie, stellina che non
riesce ad emergere, e che cerca protezione nel mondo di Rick e soci. Ma anche
Jackie viene uccisa, cercando di incastrare Brock nella vicenda. Il nostro
cerca allora di capire meglio il mondo di Johnny. Prima indagando con i suoi
amici più vicini: Pat, il fratello di Deborah, suo sodale all’Università, e
David, librario colto, anche lui compagno dei nostri in gioventù. La svolta,
che ci si aspetta da tempo, è quando Brock capisce che deve indagare non nel
presente di Johnny, ma nel passato. Con una lunga tirata in auto, viaggia dalla
California in Arizona, per parlare con l’insegnante a suo tempo coinvolta nello
scandalo. Ed è con lei che ha il modo di capire i meccanismi del tutto.
Purtroppo, vista la penna di media intensità di Gault, cercando di dire e di
non dire. Con un atteggiamento che di certo non favorisce la comprensione delle
azioni da parte del lettore, che assiste, impotente, alla corsa verso il finale
annunciato. Sarà proprio uno dei compagni universitari, geloso di Johnny e del
suo successo con le donne e nello sport, che ha architettato il tutto. Compagno
che si paleserà come il migliore nel tiro al bersaglio, cosa che Gault fa
uscire come il coniglio dal cilindro delle sue pagine. Finisce così che mentre
per buona parte del libro si cerca di alimentare il sospetto verso il mondo di
mezzo degli allibratori, la fine precipita verso il mondo usuale delle gelosie
e dei rancori covati per anni. Un condensato, quindi, di situazioni classiche
con una dose moderata di azione, e nulla di ragionamenti. È solo piacevole
proprio nelle parti che tralascio, quando si parla di sport, di sport giocato,
di rivalità, di talenti emergenti, di belle giocate, ed altro. Un onesto e
tipico lavoratore della penna, che forse avrà avuto altre occasioni di mettersi
in mostra, ma che, per ora, non è certo all’altezza dei Chandler e degli
Spillane.
William C. Gault “Un’esca per la belva”
Corriere della sera Gialli Americani 22 euro 6,90
[A: 06/11/2017 – I: 03/03/2019 – T: 06/03/2019] - &&
[tit. or.: Sweet Wild Wench; ling. or.: inglese; pagine: 181; anno 1959]
Come accennato nella precedente trama, Gault
ha scritto molto, ma sul versante gialli si è concentrato su due personaggi.
Brock, di cui ho parlato prima, investigatore ex-stella del football, e Joe
Puma, che è il protagonista di questo ed altri circa 6 romanzi. Anche qui,
alcuni stereotipi e caratteristiche di base, fanno intravedere come, poi, la
fantasia di Gault non sia tanto sfrenata. Joe Puma, intanto, è un
italo-americano, con la particolarità che il cognome “Puma”, anche in inglese
indica il felinide selvaggio delle Montagne Rocciose (anche se il nome più
comune è “cougar”). Joe è anche lui dedito alle bellezze muliebri, con una
propensione per la sua “fidanzata” storica, tal Adele (pendant della Jan del
precedente libro), ma con la capacità di scivolare anche su altri lidi (come
spesso accade qui, verso la giovane Eve). Come tutti i detective e la gente del
mondo di mezzo tra bene e male, si beve molto, in special modo whiskey (anche
se Joe non disdegna la birra). E ci si azzuffa sempre con piacere, con il
nostro detective che spesso le prende, anche se qualche bel colpo lo mette a
segno. Tuttavia, l’impianto generale e la trama sono alquanto deboli.
Soprattutto per un tentativo, velato, di rinverdire atmosfere “alla Chandler”,
con misteri, donne fatali, ed altri elementi che fecero la fortuna del ben più
dotato scrittore. Tutto ruota intorno ad una inchiesta cui viene coinvolto Joe,
sulle attività di tal Adams, fondatore di una setta tra l’esoterico ed il
fantasioso, dal curioso nome di “Figli del Protone”. Siamo nel pieno della
guerra fredda, che non viene tuttavia nemmeno sfiorata, e la mente
dell’americano medio è piena di atomi e connessioni varie. Per cui non ci si
meravigli di vedere un’accolita di persone che vede l’immortalità nell’energia
che scaturisce dal protone. Ricordo per i meno adusi alla fisica atomica che il
protone, insieme al neutrone, costituisce il nucleo atomico, ha una carica
positiva, ed è “stabile”, cioè non decade, quindi la sua vita (nell’ambito
delle misurazioni attuali) può essere considerata eterna. Buon viatico per
mettere su una setta. Che coinvolge molti benestanti locali, con ricche
elargizioni che non possono che far bene alle tasche del sedicente “inviato del
Protone” Adams. In particolare, la bella Eve sembra elargire un po’ troppo,
anche per le grandi finanze del padre. Che le aveva messo addosso il detective
Burns. Che però si era fatto irretire sia da Eve che dai “Protoni”. Così che
quando Joe entra in pista al soldo del Procuratore Distrettuale, mr. Deering si
accoda e convince Joe a seguire anche i suoi interessi. Peccato che Eve sia
misteriosa, ma “all’acqua di rose”, e che Burns ne sia ben preso e che Burns
stesso venga subito ucciso, con il buon Adams che si trova (casualmente?) sul
luogo del delitto. Non solo, ma il suddetto Burns è anche fratello di Jimmy
Murphy, uno dei boss della mala locale, che cerca di farsi giustizia da solo,
ma che alla lunga vedrà che la miglior partita sia mettere Joe a busta paga.
Dove fino ad allora c’era un altro detective, tal Ned, che però pare proprio
aver tutti come suoi clienti, intascando tangenti a destra e a manca e facendo
sapere che ha la polizia dalla sua. Così da irretire il poco avveduto Tackett,
uomo senza arte né parte, che rivela a Ned le mosse di Eve. C’è un grande
guazzabuglio di attività, che Gault non riesce a gestire al meglio. Mettendo in
mezzo anche la rivalità tra polizia e investigatori privati, nonché tra polizia
e sindaco (uomo corrotto e corruttibile, probabilmente a libro paga di Jimmy).
Oltre a Ned e Tackett, anche la famiglia Deering sembra ben sospetta: Eve (a
parte andare a letto anche con Joe) si comporta in modo strambo (come le
strambe eroine di Chandler), ed il padre entra ed esce da crisi mediche che non
si capisce se e quanto siano vere, e quanto siano indotte dagli enormi regali
della figlia ai figli di Protone. Il tutto si avvia verso un nodo gigante,
quando anche Adams viene ucciso, cercando di coinvolgere o Tackett o Ned nella
vicenda. Al solito, come nel libro precedente, Gault inganna il lettore, e
mostra Joe che capisce la vicenda, capisce a chi fare le giuste domande ed
avere le giuste risposte. Peccato che questo lasci il lettore fuori da giochi.
Ma questo è il giallo americano, dove non è molto importante coinvolgere il
lettore nella soluzione del dilemma, quanto mostrare azione, muscoli, e se
possibile belle donne. Joe risolve il tutto e si capisce tornerà dalla fedele
Adele. Noi invece ci domandiamo chi mai si è inventato quel titolo campato per
aria. Chi sarebbe la belva? Quale sarebbe l’esca? Non era meglio restare alla “Dolce
Selvaggia Fanciulla” del titolo originale? Certo che non capirò mai i misteri
dell’editoria italiana.
“L’amavo.
E desideravo crederle. Le amavo tutte, le donne.” (153)
Wade Miller “Quattro giorni di guai”
Corriere della sera Gialli Americani 19 euro 6,90
[A: 01/11/2017 – I: 09/03/2019 – T: 11/03/2019] - && -
[tit. or.: Guilty Bystander; ling. or.: inglese; pagine: 204; anno 1947]
Secondo libro pubblicato dalla coppia Bob Wade
& Bill Miller, l’anno dopo il precedente. Migliora un po’ in alcune idee di
trama, rimanendo tuttavia ancora lontano da una lettura pienamente gradevole.
Intanto, facciamo un po’ delle solite recriminazioni sul titolo. In inglese,
viene utilizzato uno slang che deriva da “Innocent Bystanders” nel significato
di “spettatori incolpevoli” di un qualche avvenimento, rovesciando l’innocenza
in “Guilty” cioè “colpevole”. Detto ciò in italiano si pone l’accento sui guai,
cosa che gli autori non avevano pensato, visto che sì capitano tante cose al
povero protagonista, ma che non sono guai bensì fatti della vita. Poi si parla
di quattro giorni, dove l’azione comincia di mercoledì e finisce la domenica.
Quindi, volendo mantenere la metafora dei guai, si sarebbe dovuto dire “Cinque
giorni di guai”. Ma quando finirà questo malvezzo italiano? D’altra parte, il
testo venne pubblicato con questo titolo nella sua unica uscita in Italia, nel
1952 presso i Gialli Mondadori. Ora, a quasi settanta anni si poteva ben
aggiornare il tutto. Per il resto, e tornando al testo, come detto, anche se
vado contro i giudizi correnti, trovo questo secondo romanzo leggermente
migliore del primo, anche se sempre molto caratterizzato dalla scrittura dei
nostri due autori: molto boiled, un po’ hard, qualche confusione, ed un finale
molto, molto, troppo veloce. Intanto, i nostri due monelli Bob & Bill
mostrano quanto meno poca verve inventiva, laddove, in un romanzo tutto giocato
sui cinque giorni di avventure, chiamano il protagonista Max Thursday, cioè
Massimo Giovedì! Altra caratteristica è quella di inzeppare il romanzo di
personaggi e avvenimenti, ma che poi sfuggono, o sembrano essere messi lì e poi
dimenticati. Come la perfida Angel, per buoni tratti sulla lista dei cattivi,
tanto anche che inganna il buon Max (anche se lui aveva provato a circuirla
portandosela a letto). Poi nel finale sparisce. O come la santarellina Judith
che compare ad un certo punto circuita dal cattivo Leo Spagnoletti, in un
momento di concitazione salva il nostro Max da morte quasi sicura, poi esce
fuori che è la figlia di Smitty, la proprietaria dell’albergo centro della
vicenda, e poi aspetta nell’atrio mentre Max risolve la vicenda. Ma ogni volta,
sembra che entri come i cavoli a merenda. Anche l vicenda, al solito, è ben
strampalata. Comincia con il rapimento di Tommy, figlio di Max e della sua
ex-moglie Georgia. Che chiede a Max di ritrovarlo. Nella ricerca del piccolo,
esce fuori una vicenda che non dico sia improbabile, ma proprio campata per
aria sì. Un filippino trafuga una partita di perle di valore da Manila, ed
utilizzando la flotta dei malavitosi fratelli Spagnoletti, arriva in
California. Un misterioso tizio si mette in mezzo per cercare di prendersi il
malloppo (o direttamente o tramite l’emissario Olivera), ed allora l’uomo degli
italiani, tal Clifford, decide di lavorare da sé. Uccide il filippino, ma
qualcuno (Leo o Olivera) lo ferisce. La donna di Clifford, che poi sarebbe
Angel, che in effetti è la donna di Rocco Spagnoletti, lo fa rifugiare nella
pensione di Smitty. Ma prima Clifford si fa curare da un medico, tal Elder, che
sa aver fama di poco di buono, per aver fatto aborti in Arizona. Clifford
chiede a Elder di recuperare le perle che sono in un deposito bagagli. Elder,
pauroso, domanda al suo socio Homer di prendere la borsa. Casualmente (!!)
Homer è il secondo marito di Georgia. Allora, Olivera, per conto del misterioso
capo, rapisce Tommy. Leo uccide Elder mentre Olivera uccide l’incolpevole Homer
e si riprende le perle. Intanto Angel, prima tradisce Clifford vendendolo a
Rocco, che gli fa fare un tuffo senza ritorno nella baia. Poi cerca di mettere
fuori causa Max. che, come detto, viene salvato anodinamente dalla bella
Judith. Max, con un colpo di genio (e di fortuna), dopo che anche Leo è morto,
ritrova Tommy, ma Olivera scappa. E sapete dove si rifugia? Sì, proprio
nell’albergo di Smitty. Che avevo dimenticato di dire, è il teatro lavorativo
di Max, che fa il poliziotto privato proprio per Smitty. Si arriva così al
concitato finale. Max consegna Tommy a Georgia (che a tratti i nostri autori
cercano di dipingere con dei grigi, cercando di indurci nell’idea che non sia
limpido il suo comportamento; ma è una pittura poco convinta), Georgia lo
ringrazia piangendo e facendoci capire che nel futuro potrebbe ripensare al suo
rapporto con Max. Angel, come detto, sparisce. I morti sono già sei, quando Max
torna in albergo, e Smitty gli dice che Judith lo aspetta nell’atrio e Olveira
nella camera 48. Max ignora Judith, va nella camera 48. E da lì gli autori in
due scarse paginette, cercano di tirar fuori una serie di finali per fuorviare
il buon lettore. Con l’unico intento di innervosirci, e con il risultato che
dei tre personaggi presenti sull’ultima scena (e non vi dico chi sono), altri
due ci lasciano le penne. Insomma, mattanza come in un racconto mafioso.
Confusione, come in un romanzo scritto un po’ a tirar via, sull’onda dei
successi del Secondo dopoguerra, dove gli americani erano alla ricerca di sensazioni
forti, di identità nazionali. Scordando il buon uso della letteratura, e gli
insegnamenti di solo venti anni prima del buon S. S. Van Dine. Inciso finale:
unica costante di questi due libri è il tenente di polizia, che è sempre, anche
qui, il buon Clapp.
Wade Miller “La scelta del killer” Corriere
della sera Gialli Americani 17 euro 6,90
[A: 05/10/2017 – I: 12/03/2019 – T: 13/03/2019] - &&& -
[tit. or.: Killer’s Choice; ling. or.: inglese; pagine: 187; anno 1949]
Ultimo
titolo della coppia Bill & Bob presente nella collana, scritto un paio di
anni dopo il precedente, e caratterizzato dall’assenza (finalmente una cosa
nuova) di investigatori privati ed affini. Intanto due precisazioni: nel
precedente romanzo, il protagonista, Max Thursday, diventa l’attore principale
di altri cinque romanzi della coppia. Invece, questo romanzo, in origine, esce
con il titolo “Devil on Two Sticks” (che sono i “Bastoncini del Diavolo”,
quell’oggetto usato dai giocolieri formato da due bastoncini di controllo ed un
terzo che viene fatto roteare usando i primi due), con certo riferimento ai
problemi che affronta il protagonista. Poi, viene pubblicato insieme ad un
altro libro della coppia, intitolato “The Killer”. E benché i due testi non
abbiano né stessi protagonisti, né stessa ambientazione, questi bastoncini
diventano “La scelta del killer”. Che tutto sommato è un titolo che ci può
stare. Personalmente, poi, l’ho trovato un passo avanti alle altre prove della
coppia che ho letto. Prima di tutto perché, pur essendo ambientato nel violento
mondo della malavita americana, è meno violento di libri epigoni del genere. In
secondo luogo, è tutto in soggettiva sul protagonista, Steve Beck, braccio
destro di un gangster di San Diego, che controlla un giro di scommesse,
alcolici e gioco d’azzardo. Non però nel senso che sia Steve che parla, ma
seguiamo sempre e solo lui, vediamo cosa fa e cosa dice. Anche se non sentiamo
cosa pensa. Abbiamo quindi il nostro Steve, braccio destro del boss Pat Garland,
nonché amante un po’ “tirato per i capelli” della di lui moglie Lena. Mentre le
vicende malavitose di San Diego proseguono senza particolari sussulti,
avvengono due fatti: Steve conosce la giovane Marcy, figlia dell’avvocato del
gruppo malavitoso, JJ, e, a seguito di alcuni avvenimenti, il gruppo capisce
che c’è un infiltrato della polizia che rischia di far saltare il banco. In
base alle stesse informazioni, Steve e Pat capiscono che l’infiltrato può
essere entrato nel gruppo solo nell’ultimo anno. Così Steve si può concentrare
su Hervey Isham, direttore di una casa di gioco, Ed Cortes, ex-detenuto di San
Quintino, condannato pe violenza sulle sue mantenute, Sid Dominic,
ex-investigatore ed ora gestore di lotterie, Paul Moon, uomo d’azione, J.J.
Everett, l’avvocato di cui sopra, e Steve stesso. Anzi, fino alla fine i nostri
riescono a nascondere bene Steve e le sue attività, tanto che lo lascio tra i
sospetti sino all’ultimo. Steve, per smascherare il tizio, crea una serie di
tranelli, in uno dei quali cade Isham, che viene prontamente eliminato. Ma ben
presto si scopre che è stato un errore, lasciando Pat in difficoltà con il
gruppo e Steve in difficoltà con Pat (dove si rafforza la convinzione che Steve
ha qualcosa da nascondere). Intanto, sia lui che Ed fanno la corte a Marcy, che
gli dice apertamente di preferire il più giovane. Anche lui con comportamenti
strani, che dovrebbe essere uno sfruttatore di donne, ma con Marcy si comporta
da gentiluomo. Anche gli altri sospetti escono dalla lista, meno l’avvocato.
Quindi, verso la fine abbiamo questa situazione turbolenta in mano: il
traditore potrebbe essere Steve, J.J. o Ed. Ora, se togliamo un attimo Steve,
in ogni caso, i due sospetti creano dei problemi “morali” al nostro: rischia di
dover uccidere o il padre della donna che vuole conquistare (tagliando tutti i
ponti) o il ragazzo che lei preferisce (laddove si ipotizza una crudele
vendetta, anche qui con difficoltà di rimettere le cose a posto). Certo, se
invece il traditore fosse Steve ci sarebbe un happy end sdolcinato da mettere
in cantiere: i cattivi vengono sgominati, Ed, J.J., Pat e Lena imprigionati, e
Steve potrebbe dedicarsi alla conquista di Marcy. Quello che sappiamo è che, in
ogni caso, Steve è un uomo d’onore che rispetta i patti (siano essi con Pat che
con il procuratore, e non lo sappiamo ancora), e che ha comunque una grossa
disponibilità di denaro (compensi della polizia o del gioco?). Alla fine, Steve
farà una sua scelta, in ogni caso onorevole verso tutti gli attori della
vicenda. In fondo, un finale interessante, ed un romanzo che trovo un filo
superiore ai coevi. Certo, sempre ben lontano dai Chandler e dagli Hammett. Ma
di sicuro in una buona pattuglia sul terzo gradino del podio, con Spillane e
Goodis, almeno.
“Questo è il momento di far quattrini coi
giochi d’azzardo. Uno di questi giorni il governatore e gli altri renderanno
legale il gioco e si occuperanno di dove vanno a finire i profitti.” (30)
[affermazione profetica di 70 anni fa, dedicata a mio fratello]
Il
caldo è arrivato ai limiti di guardia, ed il vostro benamato scriba è veramente
sull’orlo del collasso. Provo a prendere del fresco, almeno in collina, o
quantomeno in zone romane più verdeggianti di questo centro afoso e caloroso.
Questo comporta un po’ di problemi alla scrittura, ma spero che si risolverà
tutto.
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