Éric-Emmanuel Schmitt «La femme au miroir» Livre de Poche euro 9,20
[A: 20/06/2018 – I: 09/04/2019 – T:
12/04/2019] - &&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 476; anno 2011]
Come
molti miei lettori sanno, Schmitt è uno dei miei pallini francofili (insieme a
Maalouf, Orsenna e Vargas). Ho amato “Piccoli crimini coniugali”. Ho letto con
interesse i primi tre romani delle storie legate alle religioni (in particolare
“Monsieur Ibrahim”). Devo però confessare che è un po’ di tempo che i suoi
libri mi sembrano perdere di mordente, e seppur ne leggo, non sempre mi
convincono e mi coinvolgono. Come in questo “Donna allo specchio”, che risente
di un peccato originale, da me spesso citato e rimarcato anche in altre
letture. Il tentativo di scrivere in soggettivo da parte delle donne, quando
chi scrive, pur se gay, è comunque un uomo, mi lascia perplesso. Sento sempre
che manca qualcosa, una specie di empatia di fondo che non colma tutte le
possibilità espressive del raccontare. Che in questo caso segue, balzando nello
spazio e nel tempo, la storia di tre donne, che anche stilisticamente viene
riportata in modo differente, così come differenti sono le loro epoche, anche
se tutte e tre si trovano ad un punto di svolta della loro vita. Si sentono
(sono?) differenti dalle loro contemporanee, sembrano avere tutto quello che le
altre donne sognano. Ma… Anna vive a Bruges durante il Rinascimento. La sua
storia è narrata in terza persona. Sta per sposare uno dei migliori partiti
della città, ma ha un momento di «paura», fugge e si rifugia nella foresta,
entrando in comunione con la natura e gli animali. Ne uscirà soltanto aiutata
da un monaco eremita. Che è persuaso: Anna rifiuta il matrimonio perché è già
una serva del Signore. Hanna vive nella Vienna imperiale all’inizio del
Novecento, al tempo di Freud. La sua storia è narrata in modo epistolare. Ha
tutto per essere felice: è sposata con un uomo fortunato, un principe dei
racconti delle fate, innamoratissimo di lei, tanto da esibirla a tutta
l’aristocrazia viennese come un trofeo. Hanna però ha un cruccio che comunica ad
una sua grande amica: non ha trasporto amoroso per il marito, il sesso è solo
una ginnastica senza scopo, e per tutti questi motivi non riesce a fare quello
che ci si aspetta da lei: rimanere incinta. Anny Lee vive a Los Angeles ai
nostri giorni, è una star de Hollywood, una delle migliori attrici della sua
generazione ed ha davanti a lei una splendida carriera. La sua storia è narrata
in prima persona, così sarà lei che ci narra come in fondo al cuore, sente un
grande vuoto, sente che la sua vita manca di sostanza, e che il suo è un mondo
falso. E che la gloria non è altro che uno specchietto per le allodole. Pe
fuggire i propri destini, ognuna di loro cerca una fuga improbabile: Anna fugge
il matrimonio e si rifugia nel Signore; Hanna fugge i suoi doveri di sposa e si
rifugia nella psicoanalisi; Anny fugge la gloria e si rifugia nella droga e
nell’alcool. Ci sono tre destini, tre avventure singolari, tre donne molto
vicine nei loro sentimenti di differenziarsi dall’immagine che fornisce loro lo
specchio della loro epoca. Tutto le allontana da ciò che la società, il loro
ambiente, gli uomini decidono per conto loro. Tutte ribelli, chi troverà la
propria verità e la propria libertà? Oppure in maniera azzardata tutte queste
donne diverranno le eroine di un solo romanzo che va al di là del tempo e della
storia? In modo sghembo, le tre donne riassumono i mali che la società riversa
sulle donne stesse. Tanto che l’autore intitola «Donna allo specchio», perché
le tre donne non riescono a specchiarsi nello specchio che offre loro la
società in cui vivono. Le tre donne, inoltre, hanno un rapporto particolare con
l’altro sesso, subiscono i desideri degli uomini dai quali vogliono scappare. Tanto
che le loro fughe, i loro momenti introspettivi, sono legati proprio a quanto
la società si aspetta da loro: Anna fugge il giorno del suo matrimonio, Hanna
fugge i suoi doveri di sposa, Anny, guardandosi allo specchio, si chiede chi è
la puttana che lì si specchia. Sappiamo che Schmitt è abile nel tessere le
trame, e siamo certi che scoprirete con diletto il modo in cui, alla fine,
l’autore legherà i destini delle tre donne. Destini che lui vuole sottolineare
come siano complicati in qualsiasi epoca. In maniera forse a me poco
congeniale, alla fine, Schmitt propone un rimedio per ciascuno secolo: la
religione nel Rinascimento, la psicanalisi nel Novecento, la chimica (spesso
quella illegale) al giorno d’oggi. In fondo, le storie, la storia, non servono
altro che ad illustrare il percorso personale che ognuno intraprende verso di
sé. Un cammino lungo ed irto di ostacoli. Poiché non ho ritenuto citazioni
particolari, riporto a memoria un brano che riassume in modo sghembo il
pensiero dell’autore verso la modernità: “Perché è stato inventato il cinema?
Per convincere la gente che la vita può prendere la forma di una storia. Per
pretendere che, in mezzo agli avvenimenti disordinati che subiamo ogni giorno,
ci sia uno scopo, una fine. Rimpiazza la religione, il cinema, mette ordine nel
caos, introduce la ragione nell’assurdo”.
Philip Pullman “La tigre nel pozzo” Salani
euro 10,80 (in realtà, scontato a 9,18 euro)
[A: 15/11/2016 – I: 11/04/2018 – T: 13/04/2019] - && ++
[tit. or.: The Tiger in the Well; ling. or.: inglese; pagine: 412; anno 1991]
Ed eccoci al terzo e credo, almeno per me,
ultimo episodio della serie “Sally Lockhart”, uno pseudo juvenilia di Philip
Pullman, prima delle fortune della trilogia di “Queste oscure materie”, di cui
ho letto commenti ma che non entra, ad ora, nelle corde delle mie letture.
Questo terzo libro, invece, chiude le letture iniziate a suo tempo con “Il
rubino di fumo”, che trovai godibile ed adatto al pubblico cui si rivolgeva.
Poi è venuto “L’ombra del Nord”, con il quale il nostro anche vinto il Premio
Phoenix; libro di cui ho parlato e che ho trovato in discesa e poco centrato.
Questo libro che dovrebbe essere conclusivo (ma in finale ne riparleremo), ha
un buon andamento, con una struttura che per almeno metà sembra reggere alle
bordate di lettura di noi lettori critici. Anche se poi nella seconda parte e
nel finale non riesce a risolvere in modo brillante la materia. Certo è che
essendo un libro rivolto ad un pubblico adolescente, si cerca in ogni caso di
trovare un finale positivo (riuscendoci). Ed è anche certo che l’autore inizia
a mettere fuori i suoi pensieri, e le sue idee, in modo più esplicito, anche se
non in modo così travolgente da convincere tutti. Certo, ed io sono con lui, i
temi sono interessanti ed attuali: l’odio razziale, lo sfruttamento dei lavoratori,
il ruolo della donna. Ed è anche abbastanza scontata la mia adesione ai
principi esposti. Purtroppo, il modo espositivo e narrativo non sostiene in
modo adeguato l’impianto di denuncia, per cui alla fine il risultato è di
sicuro al di sotto delle aspettative. Il libro inizia nell’autunno del 1881. Sally
Lockhart ha una figlia di nome Harriet, avuta con il suo amore Fred, che però è
inopinatamente morto nel precedente episodio, una bambinaia di nome Sarah-Jane
e una cuoca di nome Ellie. I suoi amici Webster, Jim e Charles sono in Sud
America a fare foto. Quest’atmosfera di calma si incrina improvvisamente: arriva
una richiesta di divorzio. Sally, che non è mai stata sposata, è perplessa
sentendo che tal Arthur Parrish afferma di essere suo marito e il padre di
Harriet. Non solo, ma Parrish vuole sia la custodia di Harriet che i soldi di
Sally. Già così la storia sarebbe complicata, ma per aggiungere confusione su
confusione, si innesta la vicenda di ebrei che fuggono dalla Russia zarista,
quasi fossero immigrati africani attuali che sbarcano a Lampedusa. Tratta di
schiavi che viene organizzata da un fantomatico mostro dal nome
impronunciabile, che gira su di una sedia a rotelle, aiutato da una scimmia
dispettosa. Su questi, e su altri misfatti londinesi, indaga il simpatico Dan
Goldberg. Ovvio che le due vicende si intersecano, quando si scopre che Parrish
è un uomo al soldo del cattivo (in realtà si chiamerebbe Tzaddik, ma è un nome
che mi sta cordialmente antipatico). Abbiamo quindi le due storie che si
parallelizzano e si intrecciano. Sally non è aiutata dall’avvocato d’ufficio,
tanto che viene condannata, e cerca di fuggire con Harriet. Così che Parrish si
prende casa ed altro. Gli uomini del cattivo intanto organizzato (o tentano di
organizzare) pogrom antiebrei e sommosse varie, dove Dan trova il modo di
disinnescare le micce. Ci sono tanti altri rivoli laterali, sulle amiche di
Sally, su Sarah-Jane, su di un’ebrea che ha visto il cattivo fuori della sedia
a rotelle, sul parroco oppiomane che dovrebbe aver sposato Sally. Ma sono tutti
rivoli, appunto. Il succo è che il cattivo risulterà essere l’olandese
orientale che nel primo romanzo, dopo aver ucciso il padre di Sally, sembrava
essere rimasto ucciso. Invece era solo menomato. Ma cova un rancore profondo
verso Sally, così che, invecchiando la scimmia, pensa di utilizzare Harriet al
suo posto. Ed ha inventato tutto questo ambaradan solo per questo. Intanto
tornano anche gli amici di Sally dal Sudamerica. E tutti insieme, anche con
Dan, visto che nel frattempo il cattivo ha preso sia Harriet che Sally, cercano
di risolvere la situazione. Che sarà risolta da Sally, che farà perire prima la
scimmia, poi il cattivo. Quindi Dan la salva dal crollo della casa, e tutti
salvano Harriet. Ed alla fine ci sarà anche l’happy end tra Sally e Dan. Ma più
della storia, che ha di sicuro elementi di “rottura”, sono gli intarsi
dell’autore che tengono banco. Vediamo nella storia infatti, il ruolo
subordinato della donna e tutti gli altri punti menzionati all’inizio. Ma
durante le investigazioni di Sally, Pullman sfrutta le pagine di un romanzo per
ragazzi per fare lunghe tirate (giuste ma quanto comprensibili ai giovani
lettori?) sulle ingiustizie e sulle sporcizie di chi ha i soldi e comanda.
Denunce che si cristallizzano nel bellissimo monologo di Sally di fronte al suo
nemico: una filippica spietata ed inarrestabile sui nostri difetti e sulla
cecità con la quale guardiamo i problemi della società che sono sempre colpa
dell’altro. Speriamo faccia breccia. Non sappiamo però se la vena di Pullman
sia continuata, perché sembra sia uscito un quarto volume, ma non imperniato su
Sally, ma su quella bambina del gruppo iniziale scomparsa alla fine del primo
volume. Credo che abbia avuto scarsi riscontri perché l’autore si è poi
dedicato ad altro.
Tom De Haven “È Superman!” Edizioni BD s.p.
(prestito di Fako)
[A: 22/05/2017 – I: 14/04/2019 – T:
17/04/2019] - &&
+
[tit. or.: It’s Superman!; ling. or.: inglese; pagine: 428; anno 2006]
Sempre grato in ogni caso, alle provocazioni che mi
propone l’amico Fako. Pur avendo un passato neanche tanto lontano di “comics
lover”, ed avendo in adolescenza letto avidamente di Superman ed altri eroi
della Metropolis di cartoon, non avrei mai pensato a questo libro. Che la
plurifornita biblioteca fachesca ha gettato nelle mie fauci, e che io, pur con
i miei tempi, ho gustosamente letto. Purtroppo, rilevo che De Haven, anche se
profondo conoscitore dell’universo della Marvel, non ha una scrittura
appassionante, ed il lungo libro scorre via con molti alti e bassi.
Soprattutto, rilevo, per chi non fosse un profondo conoscitore delle storie di
Superman e del suo mondo. Intanto, nel tentativo di “umanizzare” il personaggio
e le storie, viene tolta tutta l’infrastruttura della finta città avveniristica
di Metropolis, con il suo sindaco deus ex-machina Lex Luthor. Il tutto per
calarsi nella realtà degli anni Trenta, legando personaggi e avvenimenti alle
dinamiche sociali e reali del periodo. Seguiamo così l’evolversi della persona
“Clark Kent” in circa tre anni, dal 1935 al 1938. Anzi, fino al febbraio 1938,
laddove potrebbe essere la data in cui cominciano le trattative per la
pubblicazione dei disegni di Siegel e Shuster che, come i più informati
sapranno, vedranno la luce il 18 aprile 1938, sul primo numero della rivista
“Action Comics”, che stranamente però porta ufficialmente come uscita il mese
di giugno). Quasi che De Haven volesse dare corpo “umano” a Superman prima di
Superman. Seguiamo quindi Clark Kent dai suoi più o meno diciotto anni nel ’35,
dove vive con i suoi genitori adottivi, Jonathan Kent e Martha Clark. Capite
subito perché il nostro Kal-El (questo il nome del bimbo quando nasce nel
pianeta Krypton) si chiami così. Seguiamo i suoi primi passi nella cittadina di
Smallville, nel Kansas. Dove De Haven adotta un punto di vista diverso rispetto
ai primi comics. Infatti, Clark, pur conscio della sua alienità, scopre a poco
a poco i suoi super poteri. La narrazione è poi divisa spesso in due, che
mentre vediamo crescere la coscienza di Clark, a New York seguiamo le vicende
dei reporter del Daily Planet e del loro antagonista, il cattivo ed aspirante
sindaco Lex Luthor. I due giovani sono Lois Lang, sempre apparsa nei comics
molto invasiva, ma tutto sommato in un suo posto di donna che cerca di farsi
larga in un mondo maschile, il nostro autore la rende molto più libera. Va a
vivere da sola, ha degli amanti ed è anche moderatamente sensuale. L’altro
invece viene battezzato Willie Berg, utilizzando un nome mai comparso nei
fumetti, dove il fotografo nonché poi amico di Clark è chiamato Jimmy Olsen. I
due hanno caratteristiche in comune, ma la nomenclatura diversa serve a Tom per
dare uno spazio ed un ruolo al personaggio. Che cerca in prima battuta di
opporsi a Lex, ma che, per una serie di circostanze che vi lascio leggere,
diviene ricercato e fuggitivo. Nella sua fuga si imbatte in Clark. I due
sviluppano quella amicizia che li porterà ad una stretta collaborazione. Sia
nel combattere le malafatte di Lex, sia nel trasferirsi a New York. Dove, anche
qui attraverso coincidenze varie, si ritrovano di nuovo nel Daily Planet,
formando, finalmente, quel terzetto che noi fumettari avevamo ben conosciuto ed
amato. Data la deriva che la scrittura ha rispetto al fumetto classico, è ovvio
che Willie sia stato l’amante di Lois all’inizio. E che Lois ne abbia altri,
che poi lascia, venendo attratta da Superman. Da parte sua, Clark vorrebbe
farsi avanti, ma è giustamente sia impacciato sia preoccupato di svelare la
propria identità. Con una parte indagatrice ed una un po’ strampalata che
riguarda invenzioni ed altre diavolerie messe in piedi da Luthor, il romanzo va
avanti. Lex, poi, benché smascherato, riesce a sfuggire alla giustizia, cosa
che permetterà lo sviluppo del suo personaggio nei fumetti verso una deriva
tecnologica e cattiva. Il tutto si chiude poi, come detto, nel febbraio del
’38, con un tocco di realismo, che la parte finale si svolge durante la prima
di una bellissima commedia di Thornton Wilder, la celeberrima “Piccola città”
(che all’autore portò uno dei tre Pulitzer da lui vinti). Lois, in platea, vede
Clark in un palco e sente scoccare un nuovo colpo di fulmine. Clark dal palco,
commosso dalla commedia, capisce che deve agire da uomo normale quando indossa
i panni dell’uomo normale. Sipario. O meglio fine del romanzo ed inizio dei più
di 700 album della serie Superman. Dove il nostro supereroe affronterà mille ed
un pericolo, sempre confrontandosi con il cattivo Lex. Ma dove vi dico anche
che, ad un certo punto, sposerà Lois. Rimane un mistero che non indagheremo il
modo in cui possa avere rapporti sessuali, data la sua velocità di movimento.
Ma non è un problema nostro (semmai di quelli che si chiamano in gergo “Dirty
Comics”). Noi rimaniamo al piacere di vedere l’altra faccia possibile di Clark
Kent. E chiudiamo comunque constatando che la scrittura di De Haven, pur
facendoci calare con interesse nella vita degli anni Trenta, rimane poco
incisiva ed un po’ leziosa. Tanto che come avete visto il mio gradimento non è
stato altissimo. Anche se le citazioni, nonché le puntate sul jazz di quegli
anni, mi hanno fatto ovviamente molto piacere.
Chuck Palahniuk “Beatiful You” Mondadori
s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 12/06/2017 – I: 24/05/2019 – T: 27/05/2019] - & +
[tit. or.: Beautiful You; ling. or.: inglese; pagine: 243; anno 2014]
Sebbene sia il quarto libro di Chuck che leggo, a
parte alcune parti di “Fight Club”, continuo a domandarmi perché ne leggo. Non
mi piace come scrive, non mi coinvolge la sua scrittura, le sue tematiche mi
lasciano freddo, ed alla fine ne porto a termine la lettura perché sono uno che
spera sempre che qualcosa migliori, che esca fuori un coniglio da un cilindro,
che tuttavia è bucato. L’unico motivo di piccolo sorriso, andando a cercare
notizie sull’autore, è la scoperta che è parente di Volodymyr Palahniuk.
Che forse così non vi dice niente, ma che cambiò nome quando iniziò a fare
l’attore, facendosi chiamare Jack Palance. Come spesso accade poi nei suoi
libri, Chuck cerca un’idea da sfruttare, un mito, un discorso, così come fu la
violenza nel suo primo libro. Infarcendo poi la scrittura di divagazioni e di
elucubrazioni sul mondo e sulle sue derive. Anche qui, non se ne sfugge. Che da
un lato cerca di rivisitare, in chiave “chuckesca” il mito di Cenerentola.
Dall’altro, non manca di lanciare strali contro l’onnipotenza della tecnologia.
Infatti, cominciamo, a parte un’inutile introduzione, vedendo la giovane Penny,
una ragazza né bella né brutta, né troppo intelligente, né troppo stupida,
cadere ai piedi di un super miliardario, Cornelius Linus Maxwell, detto
ClimaxWell (cioè “bell’orgasmo”). Penny cade nella rete del ricco e potente, e
tutti si immaginano la favola di una Cenerentola che irretisce il bel principe.
Ovvio che Chuck non può seguire canoni standard. Così, il bel principe si
rivela ben presto un principe delle tenebre. Uno strapotente, che ha in mano
giornali, industrie e tecnologie (una figura già vista?), e che per pagine e
pagine usa Penny per testare i suoi “sex toys” della linea “Beautiful You” (da
cui il titolo). Una storia non d’amore, ma neanche di sesso, forse di orgasmo,
sicuramente con tecnicismi per spiegare temperature corporee e svenimenti
multipli. Fatto sta che dopo 136 giorni (come tutte le donne che Max ha avuto
in precedenza), Penny è messa da parte, ed i sex toy vengono lanciati sul
mercato. Provocando una rivoluzione epica. Le donne non ne possono fare a meno
(qui esce fuori un po’ del gayismo di Chuck), non solo, ma la dipendenza
sessuale le porta a dedicarsi a tutti gli acquisti dei prodotti delle varie
industrie di Max. Penny comincia a questo punto a farsi delle domande, a
cercare di capire chi sia, da dove viene, come si è costruito il suo mondo
questo principe del male. Scopre vari altarini, scopre che le sue due
precedenti donne fanno una miseranda fine. L’attrice ha un orgasmo mortale
mentre riceve l’Oscar. La presidentessa americana, fatta eleggere da Max, per sfuggire
al suo potere non trova di meglio che suicidarsi dal pulpito dell’ONU. Qui,
come capite, siamo passati da Cenerentola al taylorismo, con aneliti
luddistici. Penny scopre inoltre che tutta la sapienza sessuale di Max deriva
da una lunga visita presso una santona nepalese, Baba. Che allora anche lei va
a trovare e ne riceve insegnamenti e controindicazioni per contrastare le
potenze di Max. che ovviamente, visto che Penny non è (ancora) un’aquila,
capisce ma non riesce ad adottare. In un crescendo di orgasmi femminili,
possibili orgasmi maschili, ed altre sessuali condiscendenze, ci si avvia verso
una prima fine quasi ovvia. Dopo non essere riuscita per tanto tempo ad
opporsi, Penny fa un salto di qualità. Quando Baba le svela come lei, Penny,
non sia una donna casuale, non sia stata scelta nel mazzo tanto per. Si è mai
domandata come mai, lei, Penny, è sempre stata protetta fin dall’infanzia, come
se ci fossero sempre angeli custodi benevoli a guardia del suo benessere? Si è
mai chiesta chi sia stata la prima, ed unica adorata moglie di Max, con la
quale ha vissuto 136 giorni? Si è mai chiesta come mai il 45-enne Max si sia
dedicato per tanto tempo alla 20-enne Penny? Quindi, sfruttando le armi di Baba
e la nuova consapevolezza, Penny sconfigge alla grande Max. poi, nel secondo
finale c’è tutta una pippa che vi risparmio, che non condivido e, soprattutto,
non comprendo. Insomma, Chuck ci vuole dire che i tecnocrati alla Bill Gates
guidano ed indirizzano la vita di noi tutti? Un ovvioma descritto male. Sappiamo
tutti i guasti ed i vantaggi della tecnologia. Ma duecento pagine dedicate alla
sessualità femminile, in gran parte per denigrarla mi ha lasciato poco propenso
a inserire nuovamente Chuck tra i possibili autori di future letture. Non è che
se sai scrivere puoi scrivere di tutto. Non è che devi convincermi delle tue
idee balsane. Ripeto, ancora una volta, ed ancora qui. Rispetto, anche per le
idee e la scrittura di Chuck, ma nessuna tolleranza verso quelle che, ripeto e
ripeto, sono elementari stupidità. Dispiace solo per Penny, che ad un certo
punto mi era quasi diventata simpatica.
In questo anch’esso per ora povero settembre,
riporto i pochi libri letti nel mese di giugno, a causa della trasferta
canadese. Tra l’altro un mese discretamente mediocre, che speravo si potesse
illuminare con la Vargas e con Serra, ed invece, ancora poca carne da buona
lettura.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Marco
Ghizzoni
|
I
peccati della bocciofila
|
Repubblica
Italia Noir
|
7,90
|
2
|
2
|
David
Foster Wallace
|
Una
cosa divertente che non farò mai più
|
Minimum
fax
|
s.p.
|
3
|
3
|
Imre
Kertész
|
Essere senza destino
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
3
|
4
|
Ariel Magnus
|
Un cinese a Buenos Aires
|
Gran
Via
|
s.p.
|
2
|
5
|
Fred Vargas
|
Quand sort la recluse
|
J’ai
lu
|
9,50
|
3
|
6
|
Luca
Romano
|
La
vita di Pantasilea
|
Corriere
della Sera Arte
|
7,90
|
2
|
7
|
Michele
Serra
|
Le
cose che bruciano
|
Feltrinelli
|
15
|
3
|
8
|
Maurizio
Cohen
|
L’ombra
di Artemisia
|
Corriere
della Sera Arte
|
7,90
|
2
|
9
|
Daria
Lucca
|
Distanza
di sicurezza
|
Repubblica
Italia Noir
|
7,90
|
3
|
Allora, un buon ritorno, anche se il caldo non
ci da tregua. Ma ci sono tante cose da mettere a posto, case da portare avanti
verso la fine lavori, compleanni, amicizie e tanto altro ancora. Magari anche
qualche ipotesi di viaggio, forse con calma e rilassatezza.
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