Visto che non si
viaggia, rimaniamo a fare i turisti in Italia, sia per vedere posti, che per
leggere libri. Anche se il fatto che siano “gialli” ci frena nella possibile
cinesofobia. Comunque, quattro trame in salita, cominciando da un Carlotto un
po’ fuori fase, proseguendo da un Costantini (Roberto) poco convincente, e
finendo con due Ballarini non entusiasmanti, ma di sicuro interessanti (purtroppo
non forieri di altre letture, come potete scoprire più avanti).
Massimo
Carlotto “Il turista” Repubblica Noirissimo 12 euro 7,90
[A: 18/09/2017–
I: 08/03/2020 – T: 10/03/2020] - &&
e ½
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 265;
anno 2016]
Peccato
dell’occasione sprecata. Carlotto, di cui si sa che io sono uno dei fan della
prima ora, aveva una buona idea di plot noir – thriller, che ben sviluppa nella
parte inziale del romanzo. Poi però si perde, sia per voler complicare troppo
la trama stessa, sia per lasciare uno spiraglio che consenta di iniziare una
nuova serie. Purtroppo, da queste pagine né Pietro Sambo né il Turista sembrano
avere qui lo spessore e la profondità dell’Alligatore. Allora, il bravo lettore
si domanda perché lasciare porte aperte quando si poteva chiudere tutto, casa e
bottega (come diceva il mio compagno di stanza).
Abbiamo
almeno la piacevolezza di seguire le vicende in un luogo a me caro, e che
Carlotto ben conosce, pur essendo padovano. Siamo a Venezia, e, a parte la storia,
non posso che sentirmi a mio agio e riportato indietro nel tempo, quando si
passa per la strada con la statua di Goldoni, per campo Manin, per la
rosticceria che faceva il miglior baccalà mantecato di tutto il Veneto, per
Frezzeria, e… beh forse è meglio non indulgere in ricordi che rischiano di
risalire a quasi 50 anni fa (ahi, ahi, ahi, siamo diventati grandi, eh?).
Come
dicevo, l’inizio è intrigante. Cominciamo conoscendo lo psicopatico, il
Turista, un assassino di donne, più o meno belle, ma, questa è la sua firma,
tutte con delle borse belle e firmate. Che lui segue per la borsa, le uccide,
per rubare la borsa ed immergersi nel mondo contenuto in quegli scrigni
femminili. Sembra si chiami Abel, ha una sua vita in Danimarca, con moglie ed
amante, nonché una normale carriera di musicologo. La zeppa nella sua vita è
quando, per la sua psicopatologia, uccide non una donna qualsiasi, ma un’ex
agente francese, ora nei servizi segreti per sventare un grosso complotto
mondiale, che coinvolge molti ex-agenti che si sono messi in proprio dai
rispettivi governi, creando una rete chiamata “Liberi Professionisti”. La sua
maldestra uccisione provoca la discesa in campo sia dei buoni, sodali della
morta, sia i cattivi, cui la morta dava la caccia. Per dare sapore alla
vicenda, viene anche coinvolto, dai servizi italiani, l’ex-ispettore Pietro
Sambo, una volta capo dell’Omicidi veneta, poi caduto in disgrazia per
questioni di tangenti (anche se forse coinvolto in ingranaggi che non aveva
saputo prevedere).
Carlotto
spesso mette al centro, o quasi, delle sue trame qualcuno che ha fatto degli
errori. Se conoscete i suoi scritti, potete farne il conto, io penso solo al
suo miglior personaggio, l’Alligatore, a cui rimando per approfondimenti.
Secondo Carlotto (e forse edotto dalla sua storia personale), spesso chi fa
errori, chi deraglia dalla retta via, non sempre lo fa per malvagità, ma anche
per incuria, per indolenza, o proprio per sbaglio. Tant’è che i suoi eroi
sbagliati mantengono comunque un retto comportamento morale. Chi sbaglia paga,
come l’Alligatore, come Sambo, come Carlotto, ma rimane integro in una sua
propria dirittura morale.
Sambo,
prima un po’ a forza, poi sempre più convinto, mette in moto le sue leve
pregresse, e riesce a ricostruire fili della vita di Abel. Ma i cattivi sono
alle porte. Intanto, fanno piazza pulita dei primi contatti di Sambo. Poi
utilizzano Abel, in unione con l’altra psicotica Laurie, per portare avanti un
loro piano: uccidere un tenente della Finanza che ha messo troppo il becco
negli affari di una banda di trafficanti montenegrini. In aiuto di Sambo,
vengono anche le forze italiane, guidate dalla bella vicequestore Tiziana. La
lotta si fa senza quartiere, anche se i colpi di scena non sono tanti. C’è un
crescendo di incertezze, dato che Sambo riesce a sventare l’attentato al
tenente, anche se muore la moglie di lui. Nel fare questo, Tiziana si scopre
troppo e viene presa dai cattivi. Nel crescendo finale, a parte un’intrusione
poco felice dell’amante di Abel, si arriva al punto nodale. Per liberare
Tiziana, Sambo deve decidere se promettere o meno ad Abel e Laurie di
eclissarsi. Qui siamo alle parti finali, che portano alcuni punti a favore dei
buoni, ma come detto la partita rimane sospesa. Come, appunto, se Carlotto
pensasse di inscenare una nuova puntata con al centro il buon Sambo.
Come
in tutti i bravi serial writer (ed il rimpianto Cussler era maestro in questo),
si fa una puntata esplorativa. E solo se va bene, se ha successo (non importa
se di critica o di pubblico), si decide il suo proseguimento. Rispetto ad altre
prove, c’è poco approfondimento reale dei personaggi, che vengono si dipinti,
ma per ora a bassorilievo e non a tutto tondo. Sembra quasi che Carlotto stesso
non abbia ancora deciso chi sia il personaggio cui dobbiamo volgere il nostro
tifo. Per questo, alla fine, non mi è piaciuto come invece di solito mi
convincono i suoi scritti. Vedremo (frase che purtroppo sta ricorrendo troppo
in queste mie ultime trame, quasi mi aspettassi sempre un miglioramento, seppur
piccolo).
Roberto
Costantini “La moglie perfetta” Repubblica Noirissimo 17 euro 7,90
[A: 05/10/2017–
I: 04/04/2020 – T: 05/04/2020] - &&&
---
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 458;
anno 2016]
Primo romanzo che
leggo di Costantini. Buona l’idea della trama, anche se ad un certo punto si
incasina talmente che si segue con difficoltà. Anche per la scelta stilistica
di presentare il romanzo come un libro a più voci, dove c’è sempre qualcuno che
parla in soggettiva. Scelta che non mi è molto piaciuta, che spezzata il
racconto. Inoltre, c’è un certo sbilanciamento tra le voci che parlano. Per un
certo periodo è preponderante quella di Nanni, poi soppiantata da Bianca, ed
infine chiusa con lunghi discorsi di Michele Balistreri. Che tra l’altro è il
protagonista dei primi tre romanzi di Costantini, quelli che si indicano nelle
bibliografie come “Trilogia del male”.
Devo intanto
tirare le orecchie e quant’altro tirabile all’estensore della retrocopertina,
dove si parla di un delitto riaperto dopo 10 anni. Ora, siccome la prima
pagina, come un diario, porta la data di aprile 2001 e si parla di delitti, una
si aspetta che dopo poco si salti al 2011. Invece, il salto temporale avviene a
pagina 348, cioè a ¾ del libro! Nella stessa pagina, Costantini fa un sunto di
cosa sia avvenuto in questi dieci anni di buio, facendo evolvere i personaggi,
qualcuno muore, qualcuno si scopre padre, ed altre vicissitudini, che fanno
scendere molto il gradiente positivo del libro. Tra l’altro, e per tornare ai
nostri montoni, come diceva la mia professoressa di francese (citazione super
dotta, chissà se decrittabile), l’inizio è anche spiazzante. Dato che abbiamo
un’inchiesta per l’uccisione di tal Donatella, inchiesta affidata a Balistreri,
che viene ben presto, anche se non ben positivamente, risolta. Donatella è
figlia di Caruso, un imprenditore in gara per appalti. I concorrenti di Caruso,
per farlo desistere, lo rovinano a poker ed uccidono Donatella. Il nazista
laziale detto “Il Sordomuto”, uccide l’assassino, rileva il debito, e convince
Caruso al suicidio. Caso chiuso. Inciso, sugli appalti truccati sta lavorando
il magistrato Bianca Benigni.
Tutto il secondo
filone della prima parte si incentra invece su Nanni, psichiatra marito di
Bianca. Terapeuta di coppia, si trova casualmente invischiato nelle paturnie
sentimentali di un genio della matematica e della finanza, tal Victor. Che è
anche assai manesco con la moglie Nicole, nonché puttaniere alla grande. Di
mezzo c’è anche la ventenne sorella di Nicole, Scarlett, sciacquetta in cerca
di divertimenti maschili con chi capita, forse anche con il cognato. Nanni è
attratto dalle sorelle, anche se sa che con Nicole non ha spazio, mentre con
Scarlett avrebbe spazio ma non ha voglie (impotenza coeundi e pippe mentali). Nicole
lo convince ad accettare lei ed il marito in terapia, anche se obtorto collo.
Non solo, mentre la moglie Bianca è sempre più invischiata nelle trame mafiose
degli appalti, tanto che sparisce per due giorni senza dar traccia di sé, lui
viene coinvolto da Nicole in una “gita” a Firenze per trovare le prove del
tradimento di Victor e Scarlett. Nanni e Nicole, con molti dubbi, tornano a
Roma, fanno in tempo a convergere nello studio per la seduta con Victor, dove
quest’ultimo si comporta in modo stranamente alterato. Nicole è sconvolta,
Nanni la consola (ma senza toccarla, ahimè), poi la riporta a casa, dove
trovano il corpo di Victor, morto soffocato in un gioco erotico.
Arriva la polizia
e la magistratura. Ovviamente si tratta di Balistreri e Bianca, che da questo
punto lavoreranno di conserva. Per smontare e rimontare gli alibi di tutte le
persone presenti. Dove, alla fine, Nanni dovrà confessare e fornire lui stesso
un alibi a Nicole, mettendo nei guai Scarlett. Che però, non essendoci prove
indiziarie, verrà condannata solo per una pena accessoria. Lì c’è il salto, con
Scarlett uscita di prigione, e tornata dopo anni in Italia per il lancio di un
libro sulla vicenda. Spalleggiata da Greg, che dieci anni prima era un addetto
di secondo piano dell’ambasciata americana, ed ora ne è più di punta. Nicole è
sparita. Bianca si è dimessa e fa l’avvocato in campagna. Balistreri ha smesso
di fumare. Qui, un appunto di una persona coinvolta nella prima fase, di cui
salto l’operato che tanta (troppa) carne al fuoco ha messo l’autore, scatena
Michele (finalmente il commissario viene anche chiamato per nome). L’appunto
collega la morte di Donatella con quella di Victor, dove si dice che appunto
Victor è il baro che rovinò a poker Caruso. Michele, con i suoi agganci (pare
che una trentina di anni prima sia stato lui stesso laziale ed ultras, prima di
lavorare come infiltrato nei gruppi terroristi di destra, farne arrestare un
buon numero, e poi far carriera alla Omicidi) scopre alcune piste. Soprattutto
che Victor era il tramite dei mafiosi siciliani per riciclare del denaro ed
aggiornare il software delle giocate online. Che Victor doveva avere 5 miliardi
da consegnare che invece spariscono (come Nicole o con Nicole?). Che Greg in
America era stato amante sia di Nicole che di Scarlett (scoperta che avviene
guardando le foto di una rappresentazione teatrale con Greg nella parte di Iago
e Nicole in quella di Desdemona). Michele, anche con l’aiuto di qualche
personaggio strano, finalmente riesce a risalire tutte le fila delle morti, di
chi le ha perpetrate, di come si incastrino l’una con l’altra. Di come Nanni
sia ancora psicologo, anche se ha una nuova compagna. Di come prende una
macchina per andare a trovare Bianca.
C’erano tanti
sottofinali, ma alla fine, il finale definitivo arriva. E meno male, che con
tutti i giri fatti dall’autore ci stavamo perdendo. Mi domando anche come si
incastri la “Trilogia” di Michele scritta prima di questo libro, e che prende
le mosse, a quanto ne so, dal lontano 1982. Mi incuriosisce, ma ora ci sono
troppi libri in attesa. Per quasi finire, l’idea della trama è gradevole, le
sue complicazioni forse inutili, che come detto quasi ci si perde, la scrittura
in soggettiva su soggetti multipli di faticosa gestione. In conclusione, una
sufficienza ma con qualche affanno. Un appunto veramente finale: se non
erro, le intemperie degli ultras laziali di fede nazista contro Anna Frank sono
emerse negli ultimi 5-6 anni, mentre l’autore le fa risalire al 2001. Non so
chi ha ragione, forse qualcuno più tifoso di me ne sa qualcosa.
Andrea
Ballarini “Giallo Viola” Repubblica Noir 28 euro 7,90
[A:
22/12/2018 – I: 30/04/2020 – T: 01/05/2020] - &&&
+
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 333;
anno 2003]
Avevo da tempo nelle liste di lettura i libri
di Andrea Ballarini, che mi sembravano promettenti nel titolo e
nell’impostazione, per quello che se ne poteva immaginare. Certo, non
immaginavo che, leggendone il primo, scoprissi che l’autore è morto l’anno scorso!!
Questo ha fatto scendere un velo di tristezza sugli occhi della lettura. Anche
perché, per spigliatezza, scorrevolezza e citazioni cinefile varie, il romanzo
è gradevole.
Dico subito le tre cose che non mi hanno
convinto, dovute una all’autore, una all’editor ed una al typewriter. La prima
riguarda le colte e divertenti note legate alla cinematografia, che, se è vero
vengano imputate alla colf intellettuale della protagonista (che dimenticavo di
dire si chiama Viola Anhalt, da cui il titolo), secondo me andavano inserite
nel corpo della narrazione e non come note di chiusura. In tutti i libri,
romanzi o saggi che siano, sono assolutamente favorevole alle note a piè di
pagina. Per l’editor, invece, una tirata d’orecchie, che, se è vero questo
essere una rilettura del primo libro scritto da Ballarini, avrei comunque
mantenuto il titolo originale, cioè “Giallo Viola. Casanova, il cinema e
l’amore”. Cassare la seconda parte del titolo ne fa mancare un sapore che
insaporisce sin dall’inizio la pietanza che stiamo leggendo. Infine, il
correttore di bozze avrebbe fatto bene a leggere con accuratezza il testo, che
è pieno di errori di stampa. Tipo, a pagina 88 far diventare “teutone-laguare”,
il fascino “lagunare” della bella Viola. O a pagina 94 i faldoni consultati
“secondo le ricevuto” invece che le “ricevute”. E ce ne sono altri, dal che
desumo che il controllo ortografico e grammaticale sia stato saltato a piè
pari.
Il giallo in sé non è che sia poi veramente
privo di difetti e degno di essere incluso negli annali. Ha una sua dignità, è
vero, ma ci sono passaggi che vengono fatti troppo frettolosamente, dato che,
in fondo, quello che Ballarini cercava di porre su carta è una “tranche de vie”
di una circa trentenne di bell’aspetto e di ancor migliore intelletto. Prima
parentesi: qui si cade nell’ovvia critica, da parte mia e che ho già spesso
fatto, quando un uomo cerca di raccontare in soggettiva le vicende di una
donna. Non entro nel merito, ma quando Viola parla del sesso e del suo
approccio ad esso, mi sembra più un sentire maschile che femminile. Saltato (o
rimosso) questo ostacolo, la storia ruota intorno appunto alla bella Viola, ai
misteri legati al suo lavoro, con sparizioni e morti connesse, ai continui
rimandi cinefili ed alla ricerca, non spasmodica ma di sicuro presente e
costante, dell’amore.
Viola è una “settecentista” specializzata
soprattutto in Casanova. Mentre prepara un convegno, viene invitata dal suo
mentore, il professor Altiero a raggiungerlo a Parigi, per un qualche mistero.
Il suo editore veneziano Stefano cerca di fermarla (e lo cercherà spesso nel
corso del romanzo, tanto che sia io che la sua amica Erica ci si domanda perché
invece di cercare l’amore altrove non prova a vederlo nelle vicinanze). A
Parigi scopre la morte di Altiero, secondo Viola di sicuro legata a qualche
“casanovata”. Così (e sono questi passaggi che spesso sono troppo rapidi e che
scopriamo a volte solo dopo un po’ che se ne legge) Viola da Parigi si
precipita a Duchov (al tempo di GGC nota come Dux) per capire nella biblioteca
del castello se c’è qualche traccia. Lì trova sia una svampita dottoranda
inglese che un più che quarantenne professore di storia di Aix dall’improbabile
nome di Julien Sorel (il protagonista di “Rosso e Nero” di Stendhal per i
deboli di memoria).
Fatto un buco nell’acqua a Dux, alcuni mesi
dopo Viola e Julien si ritrovano a Venezia, che Julien trova delle pagine delle
memorie di Casanova posteriori al 1774, data in cui si interrompe l’immensa
opera casanoviana della “Histoire de ma vie”. Vere o false? Anche qui, saltando
il libro dei passaggi, vediamo che viene coinvolto l’antiquario marocchino
Mellah, che ne dà parere positivo. Viola e Julien si dividono le pagine
manoscritte, ma quelle di Julien (che Viola non aveva ancora visto) vengono rubate.
Ecco allora Viola precipitarsi a Marrakech sulle orme di Mellah, dove chiede
l’aiuto di un detective francese colà parcheggiato, tal Robert. Dopo l’ennesimo
buco nell’acqua, tornano tutti a Venezia. Poi a Parigi che pare si sia trovato
l’assassino di Altiero. Ma il mistero si risolverà soltanto a Venezia, seguendo
un’intuizione di Viola sulle pagine manoscritte mancanti. La persona
responsabile di tutto l’intrigo viene così alla fine smascherata e fermata. Con
l’aiuto anche del commissario francese Labroche e della di lui figlia
Françoise.
Come detto, il filo giallo non è che sia
veramente molto forte, anzi si capiva già dalle prime battute. Meglio
l’ambientazione generale, e le puntate a Parigi e Marrakech. Qualche moto
ironico sulle vicende sentimentali di Viola tra Julien, Richard e Stefano.
Infine, impagabili le citazioni cinematografiche, in particolare la lista dei
film da Prozac (vedi sotto). Leggerò presto anche la seconda puntata delle
avventure di Viola, con i rimpianti per chi ci ha così presto lasciato.
“È proprio il fatto che qualcuno scelga di
copiare ciò che hanno già detto altri che certifica il valore del concetto.”
(82)
“Finché qualcuno ti ricorda non si muore
veramente.” (161)
“La storia non si fa con i forse bensì con i
ma e i però.” (189)
“[da ‘Appartamento al Plaza’, dice Walter
Matthau] la cosa che mi irrita di più è che tu fai anche gli sbagli nel modo
sbagliato.” (225)
“Come diceva quella saggia donna della mia
mamma, chi più spende meno spende.” (234) [da sottolineare che lo diceva anche
mamma mia!]
Prozac
top ten (i dieci film “Prozac” secondo l’autore in ordine crescente di
importanza):
10.
Frankstein Junior
09.
Susanna
08.
Operazione sottoveste
07.
Colazione da Tiffany
06.
Sciarada
05.
Harry ti presento Sally
04.
Sabrina
03. A
qualcuno piace caldo
02.
Scandalo a Filadelfia
01.
Caccia al ladro
Andrea
Ballarini “Viola nel Bordeaux” Repubblica Noirissimo 23 euro 7,90
[A:
13/11/2017 – I: 02/05/2020 – T: 04/05/2020] - &&&
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 475;
anno 2017]
Come detto nel
precedente finale, avevo in programma, e così ho fatto, di leggere il secondo
libro delle avventure di Viola abbastanza presto. Il libro l’ho trovato
leggermente inferiore al precedente, ma sempre gradevole. Anche se continua ad
essere tartassato da errori di stampa che un più attento editore avrebbe
evitato. Non ne entro nel merito, sarebbe un esercizio abbastanza noioso, ma
sottolineo soltanto che a pagina 15 lo stesso capoverso è ripetuto due volte.
Altre note di
contorno riguardano l’inizio e la fine del libro. Che all’inizio Ballarini
sembra rispondere alla mia critica sulle note cinematografiche, sostenendo che
l’editore le aveva volute alla fine del testo per non romperne il ritmo. Ora,
se tu mi metti una nota, ad esempio, quando citi la bellissima serie “Friends”,
non è rompere il ritmo sapere cosa mi vuoi comunicare. Anzi, il ritmo è
maggiormente disturbato dal fatto che sospendo la lettura della pagina e devo
andare a cercare il riferimento nelle ultime pagine. Scuse bocciate e rimango
sulle mie idee di come devono essere utilizzate le note.
Per la fine c’è un
moto di tristezza, che dopo la parola fine l’autore aggiunge “Viola Anhalt
ritornerà”. Purtroppo, un anno e mezzo dopo la pubblicazione del libro Ballarini
ci lascia, orfani di Viola, del BeaCaffè e di tante altre piccole cose di non
pessimo gusto, con tanta pace a Gozzano. Ma veniamo pure al libro.
È passato del
tempo dal precedente, e Viola ora si accompagna quasi stabilmente con Stefano,
anche se uno dei fili collaterali del romanzo è l’intromissione di un nuovo
maschio alfa che fa girare la testa a Viola, e che porterà ad uno scontro,
garbato, tra Stefano e Rascasse (questo il soprannome del nuovo pretendente)
per conquistare la bella. Finale scontato della lotta, ma non per questo meno
intrigante, per cui neanche ne parlo e ve la lascio gustare. Ci sono sempre le
due spalle di fondo: la tata – badante Maria e le sue incursioni cinefile e
l’amica – ninfomane Erica. Viola, intanto, ha purtroppo abbandonato il
Settecento e Casanova, per dedicarsi a scritture di gialli non meglio
identificati. Ed a vita di società con il quasi fidanzato. Vita che la porta ad
una grande presentazione di vini francesi, nelle campagne bordolesi. Laddove
nascono le migliori zone del Bordeaux, i Châteaux, come lo Château Lafite, lo
Château Latour o lo Château Mouton Rothschild. Qui, Andrea introduce il vino
che farà da perno alla vicenda lo “Château Chabrol”, rigorosamente inventato ma
con un nome che un cinefilo non può certo dimenticare. Dal castello si sviluppa
appunto la trama eno-giallo-storica. Ci sono un discreto numero di personaggi
coinvolti: il conte Chabrol e il signor Morin, due enologhi vicini ma di
diverso approccio, con Morin rimasto ai metodi tradizionali; Vivienne, prima
segretaria di Morin ed ora di Chabrol; Fanny, una donna notaio di molte ed alte
conoscenze e frequentazioni; il maneggione Rascasse, in affari con Morin, ma
lontano parente di Chabrol.
Tutto nasce dal
ritrovamento di una partita di vino considerato impareggiabile: lo Chabrol del
1938. Da poco vendemmiato, ma fatto sparire nel 1940 all’arrivo dei tedeschi,
che razziavano vini e quadri da portare in Germania. Qualcuno denuncia gli
Chabrol che nascondevano ebrei. Qualcuno vende il castello con una grossa
prebenda. Il conte attuale viene però ucciso subito, prima che il ritrovamento
sia palesato al mondo. Rascasse, per far colpo su Viola, in un tête-à-tête le
offre una bottiglia della partita che si rivela aceto. Allora? Rascasse l’aveva
rubata per Morin, ovvio. Ma qualcuno aveva degli scheletri negli armadi,
qualcuno che si era fatto passare per eroe della Resistenza, mentre aveva fatto
il collaborazionista. Le vicende si complicano, portando i nostri Viola e
Stefano tra l’Alsazia, la Gironda, la Costa Azzurra e Venezia. Vengono messi in
mezzo anche estremisti di destra, nazi-rockettari, librai fantasiosi, prigioni
per alcuni e suite per altri. Alla fine, com’è ovvio, il buon Ballarini riesce
a far quadrare tutti i cerchi, con una spiegazione per ogni avvenimento delle
quasi cinquecento pagine.
Un bello sforzo di
coerenza.
Dove anche con un
ulteriore piccolo sforzo, si poteva assurgere a più alti lidi. Facendo anche
qualche correzione al volo, come ricordandosi che chi si appendeva alle tende
nei film d’antan era Francesca Bertini e non Eleonora Duse. Tuttavia, il
passeggiare per la Francia ma soprattutto per Venezia e le sue calli mi ha
riportato ad una cinquantina d’anni fa, quando andavo per la laguna con la mia
bella che non trattai molto bene all’epoca. Di certo non sarebbe forse durata
molto di più, ma rimane nei miei pensieri, or che siamo nell’autunno, insieme a
tante altre. Bah, forse sarà la tristezza di non aver conosciuto di persona
Ballarini, che penso mi avrebbe fatto piacere, forse saranno questi momenti di
isolamento. Ma come dice un regalo ricevuto qualche anno fa: “Chi legge è un
viaggiatore”. Ed io leggo.
“Lo scusi … non
conosce la pressione bassa al mattino: scende dal letto ed è già a pieno
regime.” (97)
“[citazione di
Brel] Bien sûr tu pris quelques amants …” [citazione che Ballarini sospende ma
che avrei continuato sino al punto che per me la rende immortale ‘Il nous
fallut bien du talent / Pour être vieux sans être adultes’] (204) [traduzione
‘Ovviamente hai avuto degli amanti … Ma c'è voluto del talento / Per riuscire
ad invecchiare senza diventare adulti’ dalla superba interpretazione di Franco
Battiato]
Come al solito, la quarta domenica evitiamo stress inutili, con allegati ed altro, e vi lasciamo ad una lettura che spero sia agile. Auguriamoci anche che la settimana sia agile, che chi sa, sa anche che ci adopereremo per aiutare chi ne ha più bisogno. Poi ci sarà tempo per riposare.