Camilla Läckberg “Donne che non perdonano” Corriere
ProfondoNero 4 euro 7,90
[A: 13/09/2019 – I: 20/01/2020 – T:
24/01/2020] & +
[tit. or.: Kvinnor utan nåd; ling. or.:
svedese; pagine: 146; anno 2018]
Inauguriamo con un nome solido una nuova
collana, questa volta del Corriere, dedicata al Noir. O meglio, come dice il
titolo della collana al “Profondo Nero”. Peccato che il nome solido sia molto
legato alla sua fortunata serie dei delitti di Fjällbacka, con le godibili
gesta investigative della coppia Erica Falk e Patrik Hedström. Che appunto qui si prende una
parantesi per praticare una strada nera, che però non riesce a gestire con le
dovute abilità che il genere comporta. La trama è flebile e scontata, risente
anche di una lettura, anche se non molto digerita, di “Sconosciuti in treno” di
Patricia Highsmith. Certo, come hanno detto critici autorevoli, ci vuole
coraggio per affrontare una strada diversa da quella solita, e ben asfaltata,
che si conosce. Come detto, anche se si affronta un tema che anche nella serie
principe di Camilla è spesso presente, cioè quello della violenza domestica, il
risultato è scarso. Aspettiamo solo di capire quando i nodi verranno al
pettine, perché di sicuro verranno, e se lo scioglimento avrà una sua fine
all’altezza delle premesse. La storia segue le vicende di tre donne, tutte con
dei grossi problemi. Il racconto corale ci fa passare dall’una all’altra, anche
se a volte non con la stessa intensità. Eccoci allora alla ricerca di chi siano
Victoria, Ingrid e Brigitta. Victoria è una giovane ragazza russa dal passato
misterioso: il suo primo amore è stato ucciso in circostanze sospette e lei è
costretta a lasciare il paese. È così che accetta di diventare la ‘moglie per
corrispondenza’ di Malte, svedese e ubriacone, che la tiene prigioniera in una
fattoria. Ridotta a schiava, Victoria trascorre lunghe, estenuanti e tristi
giornate a spezzarsi la schiena con i lavori in casa, mentre di notte è ridotta
a puro oggetto sessuale. Ingrid aveva un brillante futuro come giornalista, ha
sacrificato tutto per sposare e star dietro a suo marito, accudendolo e
amandolo mentre lui pensava alla sua carriera e diventava direttore di un
quotidiano. Ingrid scopre a soli due mesi dalla gravidanza il primo tradimento
del marito. Nonostante la decisione di perdonarlo, di continuare la vita
insieme, in Ingrid nasce il dubbio e la preoccupazione che l’episodio non abbia
natura isolata. Ed in effetti il marito la tradisce di continuo, inoltre, si
spende per coprire e scusare suoi collegi che molestano le donne. Brigitta, una
maestra di scuola elementare, è una donna matura ed è abituata da tempo alle
percosse e alla violenza di suo marito, Jacob. Cerca di nascondere i lividi
delle botte inferte dal marito aggressivo, eppure, fin controllato nella sua
rabbia data l’attenzione a non picchiarla mai in punti visibili, decidendo
anche di rimandare degli esami medici molto importanti per non far scoprire la
sua condizione. Senza particolari speranze di uscire dalla loro condizione, e
sapendo che direttamente non potrebbero risolvere i rispettivi problemi, le tre
si affidano ad una strana risorsa in rete, che le mette anonimamente in
contatto. Così ognuna di loro programma la vendetta verso il proprio marito,
affidandone l’esecuzione ad una seconda donna della catena. Con un po’ di trepidazione,
dopo aver visto la violenza degli uomini sulle donne, seguiamo il percorso
delle tre vendicatrici, domandandoci se riusciranno nel loro intento. E se sia
giusta una tale tipologia di vendetta. Certo, si tratta di maltrattamenti sulle
donne. In due casi violenze fisiche. Nel terzo, per alcuni versi più subdolo,
il tradimento colpisce ben tre donne: la figlia, l’amante e la moglie, anche se
solo l’ultima è realmente cosciente della violenza. Anche perché Tommy come
direttore del giornale copre anche gli abusi sessuali dei suoi dipendenti
maschi verso le poche malcapitate giornaliste del quotidiano stesso. Sembra
scontato pensare a questo punto che forse un tale libro non sarebbe uscito se
non ci fosse l’ondata #metoo a sorreggerlo ed a farci pensare intorno
all’argomento. Un romanzo scorretto allora. Di certo, ma è un romanzo e quindi
può impegnarsi a rispondere per le rime, violenza con violenza. Un romanzo
contro tutti i machismi ed i maschilismi di questo mondo. Dove le donne non
solo possono ma devono rispondere a tono, diventando a loro volta aggressive e,
se serve, omicide. Detto questo, che cioè non sono scandalizzato dal messaggio,
ritorno alla forma. Che non è molto soddisfacente. Sin dall’inizio, e dal
titolo, cerchiamo di capire solo quando e come si svolgerà la ribellione
annunciata. Anche perché il titolo originale sembra meno esplicito, che
dovrebbe essere tradotto con “Donne senza pietà”. Gli editor italiani si sono
spinti un po’ avanti, scoprendosi forse un po’ troppo. Ma presto torneremo agli
ultimi capitoli della saga maggiore e ne riparleremo.
Camilla Läckberg “Il domatore di leoni” Marsilio
s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 24/06/2018 – I: 20/03/2020 – T: 22/03/2020] &&& --
[tit. or.: Lejontämjaren; ling. or.: svedese; pagine: 466; anno 2014]
Da dove cominciamo? Dalle note positive o da
quelle negativa di questa nona puntata della saga di Fjällbacka e delle avventure di Erica Falck, la
mamma – scrittrice – investigatrice, e Patrik Hedström, il papà – poliziotto?
In realtà, l’unica nota veramente negativa è l’inconcludenza finale. Il vezzo
di voi autori seriali di lasciare la porta aperta per la prossima puntata.
Perché c’è modo e modo di chiudere una storia e poi, nel successivo libro,
riaprirla e, speriamo, concluderla. Qui è troppo evidente, anche se lo potremo
dire solo dopo aver letto il libro successivo. Abbiamo qualche solita
sbavatura, dovuta al fatto che ormai da tempo i misteri della cittadina svedese
affondano sempre nel passato, così che Camilla trova il modo di interpolare
capitoli in corsivo per i suoi flashback. E quando un meccanismo è così
scoperto, è facile che il giallo ne risente nella sua struttura costruttiva.
Certo, non si capiscono tutte le connessioni, però che la rea in carcere non è
così rea, che sua figlia ha dei problemi anche seri, e che i misteri della casa
degli orrori (così venne chiamata la casa di Laila) e le scomparse di giovani
ragazze più o meno quindicenni abbiano dei legami è chiaro fin dalle prime
pagine. Per il resto, il romanzo non fa che rimpolpare la saga corale di tutti
gli attori presenti sulla scena. Insistendo nel solco delle loro
caratterizzazioni precedenti, mettendo qualche nuovo sassolino, e poi lasciando
tutto scorrere nel mare di fronte alla cittadina, magari prendendo un aperitivo
accanto al più famoso monumento locale, la Ingrid Bergman Torg. Al solito,
qualcuno è più in prima linea, qualcuno meno, e di questi non parliamo. Qui
abbiamo il solito commissario capo Mallberg con tutta i suoi atteggiamenti da
gaffeur professionista (tipo inquinamento delle prove quando cade nel buco sul
ghiaccio), ma anche con qualche sprazzo di resipiscenza (per la prima volta
cede il merito ad altri). C’è la poliziotta in congedo matrimoniale Paula che,
pur nelle turbe della nascita della bimba riesce a mettere testa all’indagine
fornendo un indizio non decisivo ma che metterà la squadra sulla strada delle
soluzioni. Tra la squadra di Patrik, quello più in luce è Gösta (di cui
sappiamo le vicissitudini dal libro precedente) che è l’unico che riesce a
collegare i vari indizi, che porta idee per la soluzione, e che ha sempre un
interessante lato umano (con un’ombra di idea quando incontra la maestra
single, ma poi vedremo in futuro, per ora solo fumisterie). Sul lato familiare
dei nostri eroi al centro della serie, c’è l’ammorbidimento di Kristina, la
madre di Patrik, che trova un nuovo fidanzato con il quale sembra andare molto
d’accordo. Anche dalle parti di Anna, con tutti i problemi che ci possono
essere, sembra si veda una luce in fondo al tunnel: lei e Dan, pur con molta
cautela, si stanno riavvicinando, tanto che credo (ma lo vedremo nel prossimo
romanzo) sia anche di nuovo incinta. La vicenda gialla si snoda invece su due
binari, uno nel solco di Erica ed uno in quello di Patrik. Erica è intenta alla
scrittura di un nuovo libro sulle vicende di Leila, in carcere da una trentina
di anni, condannata per l’uccisione del marito Vladek. Lui era il famoso
domatore di leoni del titolo, ma a parte il titolo, entra poco nella vicenda.
Lei viene trovata sulla scena del delitto e confessa l’uccisione del marito. La
figlia maggiore Louise la trovano incatenata in cantina, il figlio più piccolo
Peter terrorizzato in salone. Peter viene affidato alla nonna, ma quando questa
viene uccisa in un tentativo di rapina (o almeno così appare), lui scompare.
Louise viene affidata ad una famiglia, dove conosce un’altra disadattata, Tess.
Faranno comunella, e noi ben capiamo (anche se Camilla impiega una vita), che è
Louise la “cattiva” della famiglia. Ad un certo punto, poi, Louise e Tess
scompaiono, dicono affogate, ma senza ritrovare i corpi. Insomma, tante morti
presunte, senza habeas corpus. La vicenda di Patrik invece inizia con il
ritrovamento della giovane Victoria, rapita da tre mesi. Orrendamente mutilata
(cieca, senza lingua e con i timpani sfondati) muore travolta da una macchina.
Victoria era una valente cavallerizza della scuola di equitazione gestita da
Marta. Scuola dove brilla anche la stella di Molly, la figlia di Marta e Jonas.
Costui è il figlio di Helga ed Einar, il secondo da tempo costretto su di una
sedia a rotelle per l’amputazione delle gambe dovuta al diabete. Nella vicenda
vediamo anche la presenza di Teresa, la prima fiamma di Jonas, che, dopo il
matrimonio d’amore che le ha portato Tyra (una delle più care amiche di
Victoria), ora è sposata con il poco raccomandabile Lasse. L’astuzia di Patrik
porta a collegare il caso di Victoria con la scomparsa di altre ragazze nel sud
della Svezia negli ultimi due anni. Il lampo di Paula porta la connessione di
Victoria con un caso di trenta anni prima dalle caratteristiche analoghe. La
perseveranza di Gösta unisce Victoria ai ricatti perpetrati da Lasse nei
confronti dell’amante della ragazza. Che noi circoscriviamo subito alla coppia
Marta e Jonas: sarà il giovane veterinario o la valente maestra dei cavalli ad
aver rubato il cuore della ragazza? Infine, le intuizioni geniali di Erica
fanno sì che si riesca a trovare un collegamento tra tutte le sparizioni delle
ragazze. Il finale, questa volta, non è troppo convulso. Anche se vediamo la
possibilità ad ogni passo che si precipiti verso una nuova tragedia. Cosa che
fortunatamente si evita, e dove si risolvono la maggior parte dei dubbi e delle
efferatezze commesse. Purtroppo, Camilla decide di non chiudere il cerchio
completamente, così che in uno dei prossimi romanzi qualcosa salterà di nuovo
fuori. Questa volta la nostra scrittrice maneggia la materia in maniera
interessante e sapiente, anche se non raggiunge le vette dei primi episodi, e
prima di cadere verso il basso con il primo dei non-Flack romanzi di cui ho
parlato da poco. Aspettiamo ora il prossimo.
Camilla Läckberg “La strega” Marsilio s.p.
(Regalo de “I Floridi”: Mario, Ines e la signora Laura)
[A: 07/05/2019 – I: 22/03/2020 – T:
24/03/2020] &&&
[tit. or.: Häxan; ling. or.: svedese; pagine: 683; anno 2017]
Beh, anche se di poco, la nostra svedese con
questa decima puntata delle avventure di Fjällbacka risale
un po’ nel gradimento personale. Avrebbe forse aspirato a più “libri” ma ha
messo tante storie dentro la storia, che se ne potevano fare due libri
(almeno). La scrittura è la solita che ci accompagna gradevolmente da molti
anni. Anche lo stile sembra ricalcare le ultime scritture, anzi, come detto, si
complica ulteriormente. Gli ultimi romanzi avevano un flashback ricorrente in
corsivo che percorreva le strade del passato. Ora il passato torna in due
diverse avventure (anche se sappiamo che prima o poi si incontreranno). Ma
invece del corsivo, Camilla usa dei titoli. Senza titolo le avventure al presente.
Con “Il caso Stella” ci si riferisce al delitto che sembra una anticipazione
del giallo attuale. Infine, con “Bohuslän 1671” viene portati 350 anni
addietro, al tempo della caccia alle streghe. Questa è la parte meno “utile” al
contesto. Certo, vediamo lo svolgersi di una vita rurale nella Svezia
dell’epoca, con le signorie, le serve, ed i pastori che fanno bello e cattivo
tempo. Seguiamo le disavventure di Eilin, che perde il marito in mare, viene
accolta dall’odiosa sorellastra, e, dato che si occupa di piante e non tiene a
freno la lingua, sappiamo già che verrà accusata di stregoneria e subirà
l’assurda sorte di tante donne dell’epoca. Ma il fatto che lanci una
maledizione che rimbalzerà nei secoli è una cosa che ci si poteva risparmiare.
Il testo si regge anche senza questa chiosa, che forse serve solo a
giustificare il titolo, ma che avrei eliminato nella revisione del testo. Per
venire alla trama in sé, noto iniziando che, contrariamente a quanto mi
aspettavo, la non conclusione del romanzo precedente non si ripercuote su
questo libro, ed è anche questa una buona notizia. Per altro, invece, continua
la saga dei personaggi di contorno: la madre di Patrik convolerà a giuste nozze
con il suo Gunnar, e tutti ne sono felici (con una bella serata di addio al
celibato da ricordare, anche per il collegamento con il programma “Ballando con
le stelle” il cui format è presente anche in Svezia con il titolo “Let’s
Dance”); altrettanto felice è il rapporto rinnovato tra Anna, la sorella di
Erica, e Dan: dopo alti e bassi, si sono pacificati, Anna è di nuovo incinta,
ed anche loro si sposano. Sul fronte poliziesco, della pattuglia di Patrik,
abbiamo Martin che pare finalmente uscire dalla depressione e trovare nuovo
slancio nel rapporto con una giovane mamma single. Paula rimane di supporto e
non veniamo trascinati da nessuna bega familiare, come per la segretaria
tuttofare Annika. Il responsabile Mallberg diventa sempre più una macchietta
poco comica, e molto antipatica, riuscendo ad incasinare tutto l’incasinabile.
Anche se poi è di fondo buono, ed alla fine riacquisterà qualche punto (ma a me
verrebbe da chiedere a Camilla di farlo andare in pensione). Acquista sempre
più spessore il pensieroso Gösta che anche qui avrà un paio di brillanti
intuizioni che porteranno alla soluzione del caso. Noto anche di passaggio che
Patrik, a parte le doti di raccordo come capo pattuglia di fatto, non ha un
grosso peso nel dipanare la vicenda, dove i punti salienti saranno più a capo
della sua pattuglia e, ovviamente, a Erica. Che, entrando di lato nella
vicenda, sarà lei a fornire la matita per unire i punti sparsi del disegno.
Ridotta all’osso la vicenda si costruisce intorno alla morte di Nea, una bimba
di quattro anni, che viene ritrovata esattamente nello stesso posto dove era
stato rinvenuto il corpo di Stella. Troviamo quindi le due vicende che si
parallelizzano (anche per merito dei capitoli di cui ho detto sopra). E si
complicano. Accusate della morte di Stella erano state due ragazzine, Helen e
Marie, che prima confessano, poi ritrattano, ma che, per la giovane età, non
vengono condannate. Marie va lontano, si costruisce una propria vita, sempre un
po’ borderline, ha una figlia Jessie che non consocerà mai il padre, ed al fine
diventa un’attrice di medio calibro. Tanto che torna a Fjällbacka per
interpretare il ruolo di Ingrid Bergman in un film. Helen invece rimane lì, è
costretta dal padre, una volta diciottenne, a sposare l’anziano e super
antipatico James, da cui avrà un figlio Sam. Non ci meraviglia il fatto che i due
“disadattati” Jessie e Sam troveranno il modo di unire le loro difficoltà
sociali. Per complicare bene la storia, come se già non lo fosse, la nostra
scrittrice inserisce anche la vicenda di immigrati siriani sfuggiti alla
guerra, che non riescono ad inserirsi nel tessuto sociale svedese. Qui Camilla
apre una grossa parentesi sull’immigrazione e sul sovranismo alla Salvini di
chi vede tutte le colpe addossabili a questi non-allineati. Pur se con qualche
grosso dolore, alla fine, verranno riscattati. Viene anche inserito il bullismo
giovanile, con un trio di quindicenni che fanno le peggiori cose a Sam e
Jessie, ingenui ma per finta. Una storia che non può che finire male. Con una
solida capacità narrativa, l’ultima parte del libro, in cui la scrittrice trova
il modo di collegare tutte le storie, e risolverle tutte, è senz’altro la parte
migliore. Il quadro alla fine si ricompone, con tutti i colpevoli e tutti gli
innocenti ai posti giusti. Forse alcuni di loro era prevedibile da tempo che
fossero collocati in quei posti, ma la scrittrice non delude. Una nota finale:
la vicenda di Helen e Marie ricorda, con le dovute varianti, quella delle due
ragazzine in Nuova Zelanda, Juliet e Pauline, che uccisero la madre di Pauline
per non separarsi. Di Pauline si perdono le tracce, mentre Juliet, dopo vari
mestieri, diventa una celebrata scrittrice con il nome di Anne Perry. Vi invito
a leggere il libro, apprezzare le varianti, e la scrittura di Camilla.
“È un Kopi Luwak … si fa con le bacche mangiate
dagli zibetti: dopo che le hanno cagate, vengono raccolte, lavate e tostate.
Non è un caffè economico.” (149) [ma noi lo abbiamo assaggiato in Belgio ed in
Laos!!]
Patricia Cornwell “Caos” Mondadori euro
14,50
[A: 02/01/2018 – I: 16/06/2020 – T: 17/06/2020]
- &
+
[tit. or.: Chaos; ling. or.: inglese; pagine: 344; anno 2016]
Per
una serie di insondabili motivi (in pratica perché non è uscito ancora in
edizione economica) ho lisciato il 23° libro di Kay Scarpetta, e leggo invece
il successivo. Non so se il “Cuore depravato” del precedente poteva dare delle
illuminazioni, ma il testo, la trama e la scrittura della scrittrice americana
sta decisamente andando verso un fondo quasi irrecuperabile. In questo di certo
aiutata da un redattore di “lanci” editoriale di scarsa comprensione delle
dinamiche del giallo. Certo, come mio costume, lo leggo alla fine, ma non mi
puoi scrivere una notizia relativa alla morte principale del giallo che nel
testo uscirà solo verso pagina 200! In questo non so se poi molto dipende dalla
dilatazione della scrittura dell’autrice, che si sofferma su tante parole e
fatti forse utili ad una descrizione del mondo, ma non a dare velocità ed
interesse al romanzo stesso. Come spesso nelle ultime uscite, poi, tutto il
“dramma” (inteso nel senso americano di intreccio di situazioni) si svolge in
circa dodici ore o poco più. E queste ore occupano 327 delle 344 pagine totali…
Infatti, il “dramma” in quanto tale si occupa della inspiegabile morte di una
signorina che sta attraversando in bicicletta un parco cittadino nell’area del
complesso universitario. Questo si innesta in tutto il contesto della vita di
Kay, di suo marito Benton e di tutte le persone che gravitano intorno.
L’elemento unificante dell’entourage di Kay è una sua presentazione che deve
avvenire da lì a poco. Per sentirla si sposta la non amata sorella Dorothy, il
cui aereo però ritarda. Così che a prenderla all’aeroporto andranno Janet, la
compagna della figlia di Dorothy (ma allevata da Kay) con il loro figlio
adottivo Desi. Dorothy, tuttavia, più che alla conferenza sembra interessata ad
uno dei partner lavorativi di Kay che ben conosciamo nelle sue molteplici
trasformazioni in questi più di venti libri: Pete Marino. Mentre il marito di
Kay, Benton, l’uomo dell’FBI, servirebbe (almeno inizialmente) a calmarne le
ansie in vista della conferenza, attraverso una cena (su cui torneremo poi) ed
una nottata nell’esclusivo club universitario. La vita di Kay è inoltre turbata
da una serie di minacce che le arrivano giornalmente da un non meglio precisato
“Tailend Charlie” (nome che nel gergo militare indica un colpo di coda
catastrofico per i nemici). Qui abbiamo un gioco verbale che rende poco in
italiano (anche se è comprensibile). I messaggi arrivano ogni giorno, nel
pomeriggio, alle 6 e 12. Kay ci ricorda che lei è nata il 12 giugno. Data che
in americano, usando prima il mese e poi il giorno, si scrive 0612, come
l’orario dei messaggi (dove si aggiunge PM). Prima di tornare al racconto un
altro inciso: Patricia è nata il 9 giugno. Mentre Kay e Benton stanno a cena,
Marino la convoca sulla scena del crimine della biker. Contemporaneamente anche
Benton riceve un messaggio. Da qui ci sono una serie di lunghissime ed inutili
pagine sui protocolli scientifici per non inquinare le prove, per reperire materiale
probante (ma noi che vediamo C.S.I. ci aspettiamo che in pochi minuti venga
tutto analizzato, mentre qui ci vogliono ore e soprattutto troppe pagine). Alla
fine, Kay si fa persuasa che possa essere stata una scarica elettrica generata
da un drone. Nel mentre, arriva sulla scena Benton dicendole che il generale
Briggs, mentore di Kay alla prossima conferenza, ha subito una fine analoga,
così come una signora una settimana prima. Unendo gli sforzi mentali di Kay, le
conoscenze di Benton e le capacità informatiche di Lucy, non possiamo che
ritrovarci allo stesso punto: l’artefice di tutto il casino, le morti ed altro,
non è che la solita psicopatica Carrie. Che aveva ordito questo piano già da
decine di anni. Infiltrandosi nella vita di Nathalie, la sorella di Janet morta
da sei anni, facendosi parte in causa (sebbene nascosta ed a lungo poco chiara)
nella nascita del piccolo Desi. Le capacità di Lucy riescono a collegare la
biker morta con un indirizzo a Londra, dove vive un genio dell’elettricità, che
tuttavia ha un fratello incline al male. Ci meravigliamo allora che la
cattivissima Carrie abbia coinvolto quest’ultimo nei suoi piani? La fortuna di
Kay & friends è che i partner di Carrie hanno sempre qualche punto debole,
che i nostri sfruttano nel concitato e convulso finale. Dove sembra avere un
termine anche la carriera di Carrie. Ma non si sa mai. Insomma, un testo troppo
lungo e privo di elementi nuovi, che riterrei praticamente inutile alla
storio-bibliografia dell’autrice. Spero che Kay possa tornare a svettare su
scene del crimine più interessanti, che questa storia, così come si sta
svolgendo ora, è decisamente poco attraente. Dicevo prima della cena, dove
volevo far notare come Kay e Benton ordinano uno chablis, il “Montée de
Tonnerre 2009”, che si acquista a circa 200 euro a bottiglia! Eviterei di fare
commenti. Un ultimo elemento di studi lo indicherei nell’analisi che Kay fa
dell’infanzia di Carrie, bimba già disturbata e rovinata dalle manie religiose
della madre. Ricordo solo per inciso che la madre di Patricia fuggì con lei ed
i suoi fratelli per rifugiarsi nella comunità del reverendo di fama televisiva
Billy Graham. Inoltre, Patricia scrisse una biografia della moglie di Billy,
Ruth rompendo per molto tempo con il predicatore. Tutte immagini da contesto
che forse chiariscono un poco il testo, ma che non ne risollevano le sorti poco
felici di scrittura.
“Einstein:
Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi.” (161)
Secondo week-end di luglio, ed eccoci allora
ad un allegato, molto breve, sugli stranieri.
Mentre anche noi continuiamo come Einstein a
fare gli stessi errori, in questi mesi di quarantena, dove si sta più spesso in
casa di quanto ci si aspetti, abbiamo doppiato la metà dell’anno, ed un numero
alto (anche se non immenso) di letture. Ci attende una complicata seconda metà
di luglio. Ma l’affronteremo a muso duro come Bertoli, e soprattutto insieme a
tutti voi, amici miei.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
LUGLIO 2020
Vorremmo tutti essere stranieri,
che sarebbe come dire che si può tornare a viaggiare…
STRANIERI, ESSERE
Jonathan
Safran Foer “Ogni cosa e illuminata”
Se la gente vi chiama straniero,
e questo nome non vi sfagiola, e vi fa bruciare la milza che pensino che avete
il cervello ripieno di merda solo perché venite da una parte diversa del globo,
vi consigliamo di farne un tratto distintivo, come Alex, il non competente
narratore di “Ogni cosa è illuminata”. Poi, anche se non siete una molto
pregiata persona e non molte ragazze vogliono essere carnali con voi, potete
imparare a parlare come lui e almeno sfagiolerete alla gente. Alex assicura al
padre, proprietario della Viaggi Tradizione, che è molto fluido in inglese e
cosi viene mandato a fare da traduttore e da guida per l’eroe del romanzo,
Jonathan Safran Foer (qui intendiamo il personaggio, non l’autore, anche se
avete ragione a confonderli dato che condividono molte qualità, tutte assai
pregiate); insieme al nonno piagnone di Alex, che una volta era un contadino e
ora è ritardato, ovvero in pensione, e a una cagnetta debosciata mentale che si
chiama Sammy Davis Junior Junior (che siamo d’accordo non è molto flaccido da
pronunciare), vanno in cerca di un piccolo shtetl ucraino che si chiama
Trachimbrod sperando di ritrovare la donna che forse aveva salvato il nonno di
Jonathan dai nazisti. Quella di Trachimbrod, raccontata da Jonathan in capitoli
alternati e interminabili, è una storia elettrica. Ma è la voce di Alex, così
fuori dal normale e così memorizzabile - procreata dall’aver studiato sul
dizionario dei sinonimi invece che sul dizionario - la cosa che ci sfagiola di
più. Vi suggeriamo, se anticipate di essere stranieri in un futuro prossimo o
quando sarete meno minuscoli, di andare a spargere un po’ di moneta su un
dizionario dei sinonimi o un equivalente (siamo sicure che un libro di cucina o
un manuale per auto avrebbero lo stesso effetto) per la lingua in cui non siete
completamente fluidi, e non solo illuminerete voi stessi, ma nel frattempo
diverrete molto affascinanti e farete una bella «oppressione».
Bugiardino
Ci
sarebbero forse volute pagine e pagine di altri scritti per parlare di
stranieri ed alterità (penso intensamente al naufragio di Davide Enia, ad
esempio). Qui si cerca di fare sorrisi, e di recuperare un libro letto quasi
quindici anni fa (e lo potete notare dalla stringatezza del commento). Impresa memorabile
e non facile.
Jonathan Safran Foer “Ogni cosa è illuminata” Guanda 8 euro
[tramato
il 3 gennaio 2007]
Il racconto
intrecciato tra la ricerca delle radici in una improbabile Ucraina e la storia
delle origini di queste radici è interessante. La resa in italiano è
impossibile. Credo l’originale americano più “adeguato” (giochi di parole che
si perdono, ecc.). Al solito in queste fantasie, il finale poi è un po’
“vagante”. Comunque mi rimangono, anche se staccate dal contesto, alcune frasi
che mi hanno colpito.
“Ti sei mai
innamorato? - Non credo. Credo che se mi fosse successo lo saprei”.
“Desidero che mi
dica cosa tu pensi sia la cosa giusta. So che non è necessario che ci sia una
cosa sola giusta. Potrebbero esserci due cose giuste. Potrebbero non esistere
cose giuste.”
“Mi chiedo se
riesci ad immaginare la mia vita senza di me. - Certo che riesco ad
immaginarla, ma non mi piace”.
Conclusioni
Siamo alla “S” e quasi alla fine
del libro, e molti aspetti si perdono. Non facile mantenere per 600 pagine la
stessa concentrazione. E questo ne è un esempio.
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