Gabriella Genisi “Spaghetti all’assassina”
Feltrinelli euro 9,50
[A: 14/02/2021 – I: 09/03/2021 – T:
11/03/2021] &&&--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 190; anno:
2015]
LOBOSCO5
Quinto episodio, preso, cotto, letto e
mangiato (in linea con il titolo). Alla ricerca, magari, di leggerne in
parallelo alla fortunata serie televisiva. Purtroppo, questo titolo è già
passato sullo schermo, con le solite, poco felici, modifiche, che fanno
divergere lo scritto dalla resa televisiva. E con non pochi rimpianti.
La Genisi prosegue nella sua saga barese, e
gli sceneggiatori fanno di testa loro. Il punto di divergenza maggiore è la
figura del padre di Lolita. Che qui non è un ladruncolo di mezza tacca, ma un
poliziotto morto in servizio. Credo che sarà difficile far convergere i due
elementi. Poi ci sono le storie sentimentali e sessuali di Lolita, che continua
ad innamorarsi di una persona a libro, con le storie che sullo schermo
convergono sempre sul povero Danilo. Giornalista che sulla carta poco appare.
Infine, nella puntata televisiva doveva fare il suo cammeo Raz Degan, per cui
il cuoco franco-algerino viene completamente stravolto.
Il succo della storia, fortunatamente, rimane
abbastanza fedele. Punto centrale delle indagini del commissario Lobosco è
l’omicidio di Colino Stramaglia, illustre chef, inventore degli Spa-ghetti
all’Assassina. Una ricetta che poi troveremo nella coda del libro, in ben
quattro versioni, e che io sto cercando di radunare in un piccolo allegato che
prima o poi vi regalerò.
Qui c’è anche una divergenza di fondo con la
fiction. In tv, Colino viene solo colpito a morte da una padella di ferro, di
quelle fondamentali per la ricetta del titolo. In realtà, dopo la morte viene
anche “incaprettato”, alla maniera mafioso, di certo per confondere vieppiù le
indagini.
I personaggi di fondo sono comunque gli
stessi: Geppino Schirone, il capo cameriere sodale di Colino sin dall’apertura
del locale, Murolo, lo chef napoletano che copia la ricetta ed apre un locale
di fronte a quello di Colino, Pina, la figlia di Colino, con il marito
Vitantonio, e la brasiliana Fanny.
Mentre inizialmente, come sempre di fronte ad
un morto, tutti si trincerano dietro parole di lodi per la sua vita esemplare,
la dedizione verso gli altri, come quella di assumere Fanny benché incinta,
Lolita sente puzza di bruciato, anche senza cucinare gli Spaghetti.
Così, indagando nell’ambiente oscuro del
mondo di mezzo, ed a fronte della confessione di un’amica di Pina (non di Pina
come in tv), Lolita scopre tanti altarini.
Colino era un uomo sanguigno che non disdegna
le belle donne, cui piace moderatamente il gioco, ma assai i soldi. Per cui si
scopre presto che teneva molte persone sotto scacco per via dei soldi. C’era
Vitantonio che doveva rifondere un consistente mutuo, c’era Geppino che copriva
i debiti del suo amante. Poi c’è Fanny che nega di aver partorito, cosa che
tutti sanno. C’è anche Murolo che, oltre ad aver rubato la ricetta, è anche gay
e ricattabile.
Tra l’altro, Colino aveva abusato della
figlia fino a quando questa non era andata via di casa. Per ripagarla, e per
appianare il debito, le aveva promesso il figlio non registrato di Fanny. Che
la brasiliana, con l’abbandono del piccolo avrebbe appianato i debiti del suo
uomo, sfortunato gestore di un locale di lap dance.
Insomma, molti sono i sospettabili. Alla
fine, il colpevole verrà trovato, anche se, al solito, c’è sempre un po’ troppa
fretta in questa parte. Vedremo se la seta puntata metterà un po’ d’ordine
nella gran confusione barese.
Intanto, grazie all’accenno che gli avvenimenti
sono contemporanei ad una finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli,
possiamo collocare la vicenda nel 2014 (anno appunto di quella finale vinta dal
Napoli con doppietta di Insigne).
Non manca, al solito, anche il piccolo cammeo
di un detective proveniente da altri scrittori. Qui istanziatosi in Fabio
Montale, il gran marsigliese uscito dalla penna di Jean-Claude Izzo. Bellissime
le scene e le chiacchiere tra i due, di cui non accenno altro, meglio leggere.
Rilevo solo in finale un piccolo grande
errore. A pagina 17 si parla di Tango e Argentina. La Genisi ci dice che
Lolitabella ne legge di scrittori. Va bene Borges, va abbastanza bene Cortàzar,
argentino anche se poi naturalizzato francese. Ma Arturo Perez-Reverte è solo e
sempre spagnolo. Toppa!
“Femmina piccante pigliala per amante.
Femmina cuciniera pigliala per mugliera” (15) [citazione dal film “I soliti
ignoti” detta da Ferribotte, e non dico altro]
Gabriella Genisi “Mare nero” Feltrinelli
euro 9,50
[A: 14/02/2021 – I: 15/03/2021 – T:
19/03/2021] &&&---
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 208; anno:
2016]
LOBOSCO6
Se da una parte sono diventato addicted di
Gabriella Genisi e del commissario “Lolì”, devo dire che questo sesto episodio
non è che sia riuscito al meglio. Fortunatamente la fiction è finita, e quindi
posso leggere le avventure del commissario senza interferenze. Tuttavia, la
commistione tra indagini, storia personale e storie reali (e drammatiche) non
riesce a raggiungere un buon mix di risultati.
Certo, tutta la parte dedicata ai disastri
ambientali che le coste pugliesi (ma non solo) hanno subito nel corso degli
anni, è degna di essere scritta. I vari affondamenti di navi cariche di rifiuti
tossici ed altri materiali radioattivi, è non solo preoccupante, ma reale e
presente. E dovrebbe, avrebbe necessità di essere non solo analizzata, ma
affrontata in tutte le sedi opportune. Quando si parla della Cavtat (nave
affondata a largo di Otranto il 14 luglio 1974 con 909 bidoni di sostanze
tossiche), della Alessandro Primo (affondata al largo di Molfetta il 2 febbraio
1992), della Eden Five (affondata vicino a Foggia il 16 dicembre 1988), un
brivido ci percorre la schiena. Per non parlare della “Samuel J. Tilden” (insieme
alle altre venti navi affondate il 2 dicembre 1943 nella rada di Bari con più
di duemila morti tra civili e militari) e che pare avesse a bordo barili di gas
tossico. Ed una preoccupazione di quello che quei rifiuti stanno perpetrando
alla vita marina ci deve sempre impensierire.
Tuttavia, rimane esterno alla trama stessa,
quasi un esercizio di “buon costume”, comprensibile e sottoscrivibile, ma che
non porta gran che alla trama del romanzo. Cioè, ci fa riflettere, mi ha anche
costretto a cercare meglio in rete notizie aggiornate su tutti questi guai. O
su altri disastri ed altre morti, che lì sapevo già cosa fossero e come si
erano sviluppate, ad esempio, le vicende di Ilaria Alpi o di Natale De Grazia.
Che la trama cosiddetta principale muore dal
rinvenimento di una giovane sub, Marinella, morta durante una immersione.
Laddove poco dopo, anche il suo fidanzato, Luca, viene trovato senza vita.
Ovvio che siano vicino ad una delle navi citate sopra (se no che aggancio
c’era).
Ci sono le tre coppie di amici che amano fare
i sub. Due sono i morti, due è facile tirarli fuori. Rimangono Daria ed il
marito, per una serie di ragioni probabilmente implicati. Vieppiù, quando di
Daria si sa che la famiglia gestisce un negozio di forniture per subacquei, in
special modo bombole e ricariche. Dato che, non ve lo avevo detto, la bombola
di Marinella era piena di CO2. Cerchio che si stringe ancora quando, seppur
casualmente, Lolita scopre che Daria e Luca erano amanti, che Luca voleva
troncare per sposare Marinella, che Daria invece no.
Tutto facile, tutto piano, tutto risolvibile
in meno di cento pagine.
Certo, rimangono le storie personali della
“famiglia Lolita”: la sorella con il ragioniere ed il catering (non il B&B
come da fiction), l’ex-cognato ed una signorina (non la stranierona come da
fiction), “l’amicamia” Marietta dilaniata tra il marito Filippo e l’amante
“Nicolamio”, lei che vuole bene ad entrambi, seppur in modo diverso. E ci
scappa pure una bella discussione sull’amore e su come riversarlo verso chi ci sta
vicino.
Ovvio poi che ci siano gli “amanti” di
Lolita. Al contrario del costante Danilo della fiction, qui se ne cambia uno a
puntata. Così ora spunta fuori Gennaro, fotografo di talento. Che non solo la
aiuta nell’indagine, ma le fa delle bellissime foto (che non ci meravigliamo,
vista la Ranieri della fiction) e per il momento assurge al ruolo di
accompagnatore ufficiale.
Attraverso gli scritti della morta Marinella,
algologa in pectore, i due filoni si riuniscono, e Gabriella ci propina una
settantina di pagine sulle navi dei veleni, il cui commento lascio a quanto
detto inizialmente.
A noi rimangono: il solito cameo con
telefonato a Salvo Montalbano, la comparsata di un protagonista di altre storie
(che qui veste i panni dell’anatomo patologa Alice Allevi, con anche un
marginale aiuto alla risoluzione del caso), e la sorpresa che, a fronte di
tutti i successi ottenuti, Lolita viene promossa questore e si deve trasferire
al Nord.
Vedremo cosa ci riservano i prossimi due
libri. Pur nella normale piacevolezza, sono abbastanza incuriosito, anche
perché sto facendo un nuovo approfondimento sui personaggi seriali delle
inchieste poliziesche all’italiana.
“L’amore è un’altra cosa … puoi vivere
senza sapere perché, non puoi vivere senza sapere per chi.” (183)
Gabriella Genisi “Dopo tanta nebbia”
Feltrinelli euro 9,50
[A: 14/02/2021 – I: 23/03/2021 – T:
24/03/2021] &&
e ¾
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 223; anno:
2017]
LOBOSCO7
Eccoci arrivati alla settima indagine di
Lolita Lobosco, lette in modo ravvicinato sotto la spinta della fiction
televisiva. Come detto per le altre trame, una fiction discretamente riuscita,
pur con delle concessioni televisive che non sempre vanno d’accordo con lo
scritto.
Una su tutte, il rapporto di Lolita con gli
uomini, dove sulla carta ne cambia uno a romanzo, mentre in televisione
Luisa/Lolita gira sempre intorno al giovane Danilo. Altre sono minori (qualche
data, qualche spostamento di indagini prima), rimanendo solo questa di questo
libro la seconda deviazione maggiore. Che la puntata aveva lo stesso titolo, ma
nella fiction veniva saltata tutta la prima parte, che spiega il senso del
titolo.
Titolo che non è solo un verso di Ungaretti,
inizio della poesia “Sereno”: “Dopo tanta nebbia, ad una ad una si svelano le stelle”,
ma è il senso del mini-trasferimento di Lolita al Nord. Che, a fronte dei
successi nell’episodio precedente, l’ispettore Lobosco viene promossa questore
e spedita a Padova. Dove avrà vita difficile, che c’è ambiente nuovo, paese
ostile, nessuna squadra al seguito. Solo il vice Caruso sembra darle una mano.
Anche se poi ci saranno scambi anche più consistenti, e che vedremo se avranno
seguito nell’ottavo ed ultimo volume.
Genisi ha un bell’agio a descrivere la grama
vita patavina di Lolita, che avrà una svolta solo dopo che riesce, con un colpo
di mano, a far trasferire con sé i suoi aiutanti principi, Forte ed Esposito.
Con loro, affronterà il caso della scomparsa di un ragazzo, che vive con il
nonno dopo la morte dei genitori. Ragazzo difficile e difficilmente inserito,
essendo la madre nera e lui di colore.
Caso complicato dal fatto che il ragazzo era
inserito in una scuola gestita da religiosi, con alunni provenienti da
influenti famiglie locali. Con la solita irruenza “lolitiana”, con l’aiuto dei
suoi alter ego, con il supporto infine di una ragazzina nigeriana, unica amica
dello scomparso, Lolita riuscirà a risolvere il caso.
Una prima parte non particolarmente densa di
pathos, a parte qualche rapporto umano. Serve anche ad inserire il solito cameo
di altri investigatori seriali. Ovvio che, essendo a Padova, Lolita incontri,
in un bar, che beve calvados, il grande Marco Buratti detto l’Alligatore,
uscito dalla penna di Massimo Carlotto. Di cui ho letto e scritto di tutto,
nelle sedi opportune. Ma è sempre un piacere vederlo in giro.
Il successo permette comunque a Lolita di
avere un’arma di richiesta, unita alla cagionevole salute della madre, per
chiedere di tornare a Bari, benché demansionata. Cioè declassata a
vicequestore. Abbiamo quindi la seconda parte del romanzo di nuovo nel sole e
nelle atmosfere pugliesi.
Qui deve indagare sulla scomparsa, e poi
sulla morte di una suonatrice di arpa, Bianca. E qui, purtroppo, devo dire che
aver visto prima la fiction non aiuta molto. Non ci sono sorprese, se non nella
figura dell’invalido, Roberto, che per trequarti del racconto si rifiuta di
parlare. Ovvio che in tv un muto avrebbe creato problemi, per cui lo si rende
reticente ma comunque loquace.
Occupando solo metà romanzo, il testo scorre
troppo veloce verso il disvelarsi dei nodi principali. Si scopre facilmente che
Roberto abita di fronte allo studio di Bianca. Che Bianca suonava nuda per lui.
Nel testo poi si infioretta con cellulari che scambiano messaggi, e con il
soprannome che Bianca dà a Roberto: Ayrton. Come Senna, come nella canzone di
Dalla.
Proprio seguendo Dalla, Lolita ha
l’intuizione dell’incidente di Roberto, trova il modo di farlo parlare, e
capisce la dinamica della morte di Bianca.
Se avete visto la fiction non vi dico altro.
Se non l’avete vista, leggete il libro. Che è sempre pieno di piccoli spunti di
vita locale, e di tante e tante ricette ed altri suggerimenti gastronomici. Una
resa decente, in totale, anche se la ripetizione dei cliché dei personaggi (in
particolare dell’amica Marietta e del sottoposto Forte) comincia ad essere poco
divertente.
Vedremo come finirà, e come proseguirà (se
proseguirà) la storia di Lolita con l’ennesimo uomo che le capita di avere
sottomano.
Gabriella Genisi “I quattro cantoni”
Feltrinelli euro 10 (in realtà, scontato a 7,80 euro)
[A: 04/03/2021 – I: 29/03/2021 – T:
30/03/2021] &&&----
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 302; anno:
2020]
LOBOSCO8
Dovrebbe essere l’ultimo libro che l’ottima
Gabriella dedica al suo personaggio principe, la commissaria, ex-questore,
forse vicequestore, Lolita Lobosco. Vedendo le note biografiche in rete,
infatti, sembra che l’autrice si sia dedicata ad un altro personaggio.
Tuttavia, dato il successo della fiction televisiva, non escludo che la sua
penna possa tornare in questi luoghi.
Certo che, più va avanti la storia, più si fa
difficile mantenerla su livelli di sufficienza. In effetti, questa volta il
voto è multiplo: 1 librino per il giallo, 2 librini per Lolita ed il suo
entourage poliziesco-familiare, 3 librini per le solite ricette finali (che
siccome pesano meno, non riescono a far risalire completamente il giudizio). Ma
come ho già detto, sulle ricette mi riservo di pubblicare uno spin-off a parte.
Visto che in tanti hanno seguito Luisa-Lolita,
liquidiamo subito la parte “personale” del libro. Come sa chi segue le mie
trame, sulla carta Lolita cambia partner ad ogni libro. Qui, che siamo ad un
punto di svolta, ci sono due novità: la morte, per malattia, di Giovannimio che
era sempre rimasto un po’ latente nel pensiero di Lolita, e la presenza di
Caruso (quello del settimo libro), quasi a significare (forse) un punto
d’arrivo. Certo, Caruso sparisce presto e misteriosamente, certo che qualcuno
pensa sia implicato nelle vicende gialle (non io, e da subito), certo che sono
sicuro in qualche modo ricomparirà alla fine e darà una spiegazione. Vedremo se
sarà convincente, per noi e/o per Lolita.
Gli altri sono più accennati: ci sono poche
righe su mamma e Carmela, Antonio Forte, finalmente, si defila un po’ (che
sulla carta è molto meno simpatico che dal vivo), Esposito si esibisce in un
paio di camei. Fortuna che alla fine i due sotto-eroi hanno l’intuizione che
permette di non privarci di Lolita nel futuro. Rimane sempre Marietta, con i
suoi poliamori, e la novità del marito Filippo, che non vi spoilerizzo, ma
indurrà la nostra ad una riflessione complessa sulla propria visione del mondo.
Unica attività costante di Marietta, anche in questa ottava puntata, è cercare
un uomo per la sua amica.
Veniamo allora alla vicenda gialla, che è più
corposa del solito, tanto che ci sono un centinaio di pagine in più dello
standard di Genisi. Ed anche più estesa, non tanto nella poliziotticità, quanto
nel numero di problematiche toccate. A fronte di Nanni, il primo morto,
infatti, un fotografo probabilmente dedito anche a pornografia e ricatti, si
aprono molti fronti.
I primi sospettati sono due rom, che hanno
litigato con Nanni, e che la notte della morte sono stati ripresi nel forzare
l’appartamento ed entrarvi. Pur non coincidendo gli orari, tutti sono convinti
della loro colpevolezza. Tanto che vengono braccati, e nel tentativo di
riparare da Bari a Taranto, intercettati, coinvolti in un incidente, dove
perdono la vita. Qui si apre appunto il primo grande inciso: rapporto tra
popolazione locale e insediamenti nomadi, cultura rom né capita né spiegata,
tentativo di demonizzare i gitani da parte della destra, ed altre prevedibili
amenità. Tutto porta al coinvolgimento di un commissario della Digos, Daniele
Del Giudice, che da un lato si comporta come uno stronzo sul lavoro, dall’altro
si comporta come uno stronzo verso Lolita.
Anche se la nostra riesce a scagionare i rom,
non si trova traccia dell’assassino di Nanni. Pur avendo avuto una segnalazione
da un gruppo di prostitute nigeriane che avevano visto qualcosa. Questo è il
secondo, brevissimo, inciso, riguardante la prostituzione e la tratta delle
donne di colore affinché si avviino alla professione. Scontato quindi lo
tralascio.
Quando poi fioccano altre morti, è facile da
un lato per Lolita capire che il filo rosso che unisce i morti è non solo come
vengono uccisi (l’assassino riproduce grandi opere d’arte, dal San Sebastiano
di Mantegna alla morte di Marat di Jacques-Louis David), ma la pedopornografia
in primis, e l’anno di nascita in secundis (sono tutti del 1967). Ma Lolita è
stata estromessa dalle indagini perché un morto è un morto “eccellente”.
Sarà però lei, con il suo intuito, e con
l’utilizzo di strumenti “social”, che svelerà la trama di tutta la vicenda.
Mettendosi in gioco ed in pericolo, anche sul piano personale e fisico.
Così che alla fine ci domandiamo: oltre a
svelarla, riuscirà a sventarla? Ne uscirà viva? Oppure ferita nel corpo e
nell’anima? E l’eventuale (auspicato) ritorno di Caruso avverrà in modo
salvifico o penitente? Spero di essere stato abbastanza criptico così che
avrete voglia di leggere il libro (buono soprattutto per le due parti di
impegno sociale) e di vedere il probabile telefilm che ne verrà fuori.
Ma se ne leggete, converrete con me che il
colpevole è già chiaro fin da metà del libro, motivo questo della mia scarsa
valutazione. Comunque, l’autrice mi sta simpatica, a prescindere dai risultati,
e spero che produrrà altro da leggere.
Anche se con
qualche salto, è pur sempre il secondo invio, quindi vi allego un bel romanzo
sui vicini di casa.
Visto che siamo
anche in ritardo i citazioni, ma anche in ritardo i tempi, vi dedico solo un breve
pensiero di uno dei miei scrittori “must”, Amos Oz, che ne “La
scatola nera” mi suggeriva: “Lascia perdere sentimenti lacrime e il
resto e comincia a fare qualcosa”.
Beh, penso sarete d’accordo con me che è un pensiero molto attinente a questo momento, e non solo per me. Fare per fare, allora, intanto abbracciare.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
AGOSTO 2021
Nelle more di un cambio, un
pensiero ai vicini di casa, sia quelli mai veramente conosciuti, sia quelli
anche troppo presenti.
VICINI DI CASA
Jon McGregor “Se nessuno parla di cose meravigliose”
Tim Winton “Cloudstreet”
Se i vostri genitori vi
incasinano la vita, i vicini di casa vi danno il colpo di grazia.
Purtroppo, i vicini di casa
possono restarlo per un tempo davvero lungo. Litigare con loro può rendere la
vostra vita un inferno. Se imparate a conviverci - o addirittura ve li fate
piacere - vi sarete guadagnati all’istante una vita sociale. Oltre a uova,
latte e zucchero ogni volta che ne avrete bisogno. A volte non è tanto litigare
con loro, quanto non averli mai realmente incontrati. La gente vive gomito a
gomito per decenni e si scambia poco più che un cenno di saluto. La prima cura
che vi proponiamo, dunque, vi farà allungare la testa al di sopra della
recinzione, almeno per salutarli. La seconda vi farà abbattere la recinzione.
Se nessuno park di cose
meravigliose, il lirico romanzo di esordio di Jon McGregor, ci fa conoscere gli
abitanti di un’intera strada di una città dell’Inghilterra settentrionale, non
per nome, ma usando il numero civico: “la giovane donna del 24”, “l’uomo con i
baffi sempre curati del 20”. Il racconto di McGregor prende alcune immagini da
questa miriade di vicini e le assembla in una sinfonia di suoni, un’agitazione
confusa, un caos di eventi non collegati tra loro. Però questi eventi sono collegati
tra loro. Come il “fremito delle ali inzuppate di pioggia di una falena”, ogni
minimo evento all’interno di questa piccola area geografica contribuisce a
renderci consapevoli dell’importanza della vita - e della morte. McGregor
riesce a catturare le infinite possibilità dell’interazione tra vicini, dalla
totale indifferenza all’amore disinteressato al sacrificio - che sono tutte a
disposizione nostra e delle persone che vivono intorno a noi. Organizzate
subito una festa nella vostra strada, e rendete più ricca la vostra vita.
Cosa succede, invece, se una
volta che li abbiamo conosciuti scopriamo di non sopportarli? Non esistono due
famiglie di vicini che abbiano tanto poco in comune quanto i Pickles e i Lamb
di Cloudstreet, romanzo dell’australiano Tim Winton. Ed è una vera sciagura, o
almeno così sembra all’inizio, perché devono dividersi una “casa grande come un
continente” a Perth. Sam Pickles, giocatore d’azzardo, può permettersi di far
entrare la propria famiglia nella mostruosità che ha ereditato solo se ne
affitta metà. Allora prende alcune vecchie insegne di metallo e costruisce un
recinto improvvisato per dividere in due il giardino, e così Lester e Oriel
Lamb e la loro nidiata di sei figli possono prendere possesso del loro spazio.
Poco tempo dopo, Sam Pickles guarda con moderato stupore mentre i Lamb, in
ginocchio, piantano ortaggi, allevano polli e sostituiscono la finestra del
soggiorno con la serranda di un negozio di alimentari. All’improvviso la casa
sembra “un corpo paralizzato a metà, come se avesse avuto un ictus” - un
turbine di attività dal lato dei Lamb, lavoratori e timorati di Dio; inerzia
totale dal lato dei Pickles.
Mentre Winton - e il suo estro
linguistico - alternano il punto di vista delle due famiglie, la linea di
demarcazione tra le due metà della casa comincia a svanire. Cloud Street
diventa Cloudstreet - una sola entità, un simbolo pieno di vita. Anche se non
mancano i motivi per litigare - il rumore, la religione, il gioco d’azzardo - e
ogni tanto volano gli stracci, l’atteggiamento comune è quello di vivere e
lasciar vivere. Alla fine, i vicini diventano parenti.
La prossima volta che sarete
svegliati dal figlio dei vicini che suona la batteria, pensate che noia sarebbe
se non ci fossero. Abbattete la recinzione – metaforicamente, se non
letteralmente – e sentire il vento caldo che vi soffia addosso.
Bugiardino
Non
ho letto McGregor, quindi mi concentro sull’Australia di Winton, scrittore di
un buon interesse, e qui, di un’ottima riuscita.
Tim Winton “Cloudstreet” Fazi
editore euro 11 (in realtà, scontato a 9,35 euro)
[tramato
il 24 gennaio 2016]
Se non conoscete la letteratura
australiana, questo è un buon libro per colmare qualche lacuna. Certo, non
parla di aborigeni e bush come faceva Chatwin (che però era inglese). Non parla
neanche di grandi distese. Né tanto meno del più celebrato sud (niente Sydney,
Melbourne, Adelaide). Tutto concentrato nell’Australia Orientale, e
principalmente a Perth. Ed alzi la mano chi c’è stato (io, no, ad esempio).
Si parla di Perth come una
cittadina provinciale. Si parla dei corsi d’acqua e magari del mare che bagna
quella parte al Nord-Ovest dell’Australia. Ma, soprattutto, Tim Winton ci parla
della storia di due famiglie, che intrecciano le loro vite intorno ad una casa,
una grande casa nella periferia della grande città, una grande casa in Cloud
Street number 1. Che finirà ben presto per diventare Cloudstreet, seguendo le
idee sulle ombre malefiche che si porta appresso il padrone di casa.
Piccolo inciso, seguendo la
topografia di Perth, si potrebbe, per assonanza e per descrizione ambientale,
avvicinarla alla reale Coldstream Street.
Ma torniamo alle due famiglie ed
alle loro storie. Famiglie emblematiche, sin dal nome. Da un lato la famiglia
Pickles (“sottaceti”) che basa tutta la propria vita sull’antinomia fortuna -
sfortuna. In ogni avvenimento c’è un Altro che interviene guidando le sorti
delle loro avventure. Non vale tanto la pena industriarsi e lambiccarsi il
cervello. Ad un certo punto, la grande ombra del Destino arriverà portando
vicende favorevoli o sfavorevoli. L’ombra, appunto, che si cristallizzerà ad un
certo punto nella strada (cioè “cloud” – nuvola, sia in senso fisico che in
senso metaforico).
Dall’altro la famiglia Lamb
(“agnello”) che invece ha tutta una prima parte molto dedicata alla religione,
al rapporto (più o meno) diretto con Dio. Che continuerà, anche se in forme
diverse, ma che si realizzerà in una totale laboriosità. Sottintendendo il
seguente messaggio: con la fatica e la dedizione si può, si deve arrivare alla
conquista della propria serenità.
I Pickles sono 5: il padre Sam,
la madre Dolly, ed i figli Rose, Ted e Chub. I Lamb invece sono 8: il padre
Lester, la madre Oriel, ed i figli Quick, Fish, Lon, Hattie, Elaine e Red.
Sam è uno scommettitore
incallito, specialmente sui cavalli. Quando perde deve trovare lavori, anche di
bassa lega, per restituire i soldi. In uno di questi, perde quattro dita della
mano destra (c’era l’ombra che si avvicinava). Dolly è “la bella” del
villaggio, si butta su qualsiasi uomo che incontra, quasi a sfogare un modo
represso di vivere la famiglia. E si butta anche su tutte le bottiglie che
vede, facendo di tutta la sua vita, anche, un percorso da alcolista che certo
non le permetterà mai di avere un buon rapporto con i figli.
Nella sfortuna dell’incidente di
Sam, intanto, un cugino di Sam muore all’improvviso, lasciando loro in eredità
la casa di Cloudstreet (con il vincolo che non la possono vendere, altrimenti
Sam la giocava ai cavalli). Una casa grande, dove, nel momento di ulteriori
rovesci, pensano di dividerla in due ed affittarla. Compaiono così i Lamb.
Lester, quieto e gioviale, inventore di storie, suonatore di “flauto a naso”
(guardate che è uno strumento realmente esistente, diffuso principalmente in
Polinesia e tra i Maori). Oriel è la colonna della sua vita e di quella di
tutti coloro che le sono intorno.
I Lamb sono stati da poco colpiti
da una tragedia: Fish, il figlio mezzano, cade in acqua, dove rimane a lungo,
quasi morto impigliato nelle reti da pesca, con un periodo di mancanza di
ossigenazione. Si salva ma rimane “ritardato” per il resto della vita. Lui che
era il più vitale, e tutta la famiglia Lamb (ma soprattutto Quick) ne rimarrà
colpita duramente. Ma nella nuova casa prima mettono ordine alle loro vite, poi
(nel bush erano agricoltori) s’inventano un negozio che vende di tutto. E sarà
la loro fortuna, ed il sostegno di tutti gli andirivieni della vita di
Cloudstreet.
Oltre a Fish, gli altri due
personaggi chiave del romanzo sono Rose Pickles e Quick Lamb. Lei ha dovuto
fare da balia alla madre per tutta l’infanzia, non riesce ad avere rapporti
sereni con gli altri. Vorrebbe studiare, ma non ci sono soldi. Troverà un
lavoro fuori dalla casa, da centralinista. Riuscendo anche a vincere un lungo
periodo di anoressia che la stava portando alla tomba. Quick invece non vuole
studiare, ha un unico talento (quello di sparare con il fucile) ed un grande
rimpianto (che voleva essere lui a soffocare al posto di Fish). Così che appena
può, scappa di casa, e lo seguiamo nelle grandi distese australiane diventare
cacciatore di canguri.
Inciso: noi siamo abituati a
considerare docili e simpatici questi animali locali. Niente di più falso, il
canguro selvatico distrugge campi e raccolti. Ed è anche pericoloso per l’uomo.
Tanto che Quick dovrà tornare a casa colpito quasi a morte proprio da un
canguro. Rose, nel frattempo, stava cercando di uscire dal guscio
claustrofobico della vita di Cloudstreet. Ma al ritorno di Quick capisce che lo
ha sempre amato, sin da quando entrambi erano piccoli.
Altro inciso: la vicenda si
spande dalla fine della Seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni
Sessanta, in pratica durante tutto il lungo governo dei sette mandati
consecutivi di Sir Robert Menzies. E tra alti e bassi coroneranno il loro
sogno. Ovviamente, c’è anche tutto il contorno. I molti momenti bassi di Sam e
le sue rare ma cospicue vincite. La discesa alcolica di Dolly. I comportamenti
di Oriel. Ma come una ballata, tutto ritorna alla fine. Si era iniziato con un
picnic dei Pickles poco più che decenni. Si finisce con un altro picnic, con le
famiglie riunite. E come detto intorno, oltre al governo australiano, c’è la
guerra di Corea, la morte di Kennedy, sul fronte internazionale. E la presenza,
qua e là, di alcuni aborigeni, tanto per rimarcare che l’Australia è anche
loro.
Un buon lavoro. La scrittura è
poi un grande punto di forza del romanzo di Winton, in particolare nei toni
epici e descrittivi della prima metà del libro. La seconda parte, piegando la
scrittura alla storia, perde un po’ di efficacia. Anche se l’autore riesce a
dosare ed amalgamare descrizioni, colloqui in terza persona, dialoghi in presa
diretta. Un lavoro scritto a 31 anni, dove si sente, e con piacere, l’impeto
giovanile della pulsione allo scrivere. Un’opera che può avvicinare a quel
mondo “down under” come dicono i locali, tanto lontano nello spazio, ma vicino
nello spirito. Seppure, innegabilmente, diverso. Come quando, in modo
spaesante, si dice: “era la fine di gennaio, nel pieno dell’estate”.
Quest’uguaglianza di sentire nella diversità dell’essere è stata per me uno dei
legami affettivi che mi ha ridato la voglia di pensare a tornare laggiù.
“– Le persone … sono quello
che sono. – E allora dovrebbero cambiare! Dovrebbero fare qualcosa per sé
stesse, e non aspettare che siano gli altri a cambiare le cose al posto loro! –
Non si può cambiare la propria sorte. – No, ma una deve costruirsela, la
propria sorte. Perché ci siamo solo noi e nient’altro.” (187)
Conclusioni
Winton è centratissimo nel tema
del mese. Io vi avrei aggiunto “Patria” di Fernando Aramburu (se non lo
conoscete, leggetelo).
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