Umberto
Eco “Il complotto” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)
[A:
14/02/2021 – I: 25/02/2021 – T: 25/02/2021] &&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 39; anno: 2015]
C’è un
sentimento altalenante nella lettura di questo nuovo piccolo scritto di Eco.
Perché quando ne leggo, c’è sempre il piacere di sentire una voce amica che ti
racconta cosa che, sempre ed in ogni circostanza, coinvolgono il cervello.
Accendono i neuroni.
D’altra
parte, questo specifico testo è troppo breve e poco strutturato. Si risolve in
una monomaniaca esposizione di una serie di fatti che non possono che trovarmi
concorde. Ma senza farne un discorso di raccordo, una possibile teoria
interpretativa, insomma un qualcosa che ne tenga unito il senso ed
unitariamente ne dia uno sbocco.
Sembra
quasi uno dei primi testi di Baumann, dove venivano dette cose egregie, ma
senza che ne facesse seguito una sintesi operativa. Ora, sono d’accordo che si
analizza la teoria complottistica è difficile arrivare ad una operatività, ad
una proposta positiva. Tuttavia, la mera elencazione dei fatti, pur con delle
inserzioni, che vedremo, gustosamente ironiche, lascia un po’ freddi, senza che
il testo riesca ad elevarsi ad i soliti livelli dell’autore.
Certo,
Eco parte alto, dalla psicologia del complotto, cioè da dove nascono le teorie
complottistiche: la spiegazione di un accadimento non ci soddisfa, allora ci affidiamo
ad una interpretazione “altra” purché verosimile. Inoltre, Eco non analizza,
giustamente, i complotti veri, ma quelli di cui tanto si favoleggia in rete. Un
complotto reale avrà sempre modo di essere svelato, che si troverà sempre, per
gloria o per denaro, una falla del sistema. Come per il delitto perfetto: sarà
sempre svelato, a meno che non sia talmente perfetto (o “diverso”) che anche
l’autore dello stesso se ne disinteressa.
Quindi,
niente complotti per uccidere Giulio Cesare, o Napoleone III, o financo il
golpe Borghese, ma quelli veramente “falsi”: lo sbarco sulla luna, le torri
gemelle, i protocolli di Sion.
Sui
complotti reali, Eco riporta il giusto intervento del sociologo Simmel, in cui
il segreto (o complotto) più intrigante è quello vuoto. Come spiegare
altrimenti la seduzione che esercita su molta gente (follie?) la teoria del
terrapiattismo? È un complotto per permettere alle potenze industriali di
perpetrare i loro sperperi nella gestione del denaro pubblico.
Altro
intervento giustamente smitizzante, nei complotti reali, la teoria del “Grande
Vecchio” che guidava i burattini delle BR. Come riporta bene l’autore: “com’è
possibile, ci si chiedeva, che dei trentenni abbiano potuto concepire un’azione
così perfetta? Ci deve essere dietro un Cervello più avveduto. Senza pensare
che in quel momento altri trentenni dirigevano aziende, guidavano jumbo jet o
inventavano nuovi dispositivi elettronici”.
Con
una esemplare prova unificante, Eco riconduce alla stessa causa risolutiva il
complotto delle torri gemelle e dello sbarco sulla luna. Entrambi i fautori
delle due tesi sull’11/9 possono essere confutati da quella che si definisce
“prova del silenzio”. Anche qui riporto le parole di Eco: “Se la navicella
americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di
con-trollarlo e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i
sovietici sono rimasti zitti, ecco la prova che sulla Luna gli americani ci
sono andati davvero. Punto e basta.”
Fortunatamente
poi, Eco ci delizia con la sua vena comica, laddove spiega il presunto
messaggio subliminale dell’Ultima cena di Leonardo come messaggio
dell’Apocalisse: l’analisi di Eco è ben lunga, io la sintetizzo qui, per mio
gusto ed interesse. Ai lati di Gesù due Apostoli hanno le mani levate, uno con
i palmi aperti (dieci dita) uno con l’indice (uno) quindi 11. La numerologia di
Leonardo da Vinci (somma dei numeri associati alle lettere) è sempre 11. La
moltiplicazione dei due fa 121, meno i dieci comandamenti fa 111. La numerologia
di Giuda da 6, che moltiplicato per 111 fa 666, il numero dell’Apocalisse. Un
complotto gigantesco.
Come
giganteschi i complotti numerici tra Abramo Lincoln e JFK, dove, tanto per
dirne una, oltre a mille possibilità, si ricorda che il segretario di Lincoln
si chiamava Kennedy, e quello di Kennedy si chiamava Lincoln. Complotto!
Per
poi navigare tra i Protocolli di Sion, dove non entro in merito, e “è tutta
colpa dei gesuiti!”, su cui stendo un velo pietoso. Certo, oltre al rimpianto
di averlo perso ormai da cinque anni, mi avrebbe fatto piacere sentire la sua
voce sui complotti odierni, in tempi pandemici. Sono sicura che avrebbe trovato
modo di imbastire una parodia tra la numerologia di Covid (che fa 49 cioè la
donna prosperosa) ed il 19 (la risata). Peccato non sentirti più.
Ma
peccato anche questo libretto troppo scarno per esserci d’aiuto. E senza
commenti intorno, risulta poco incisivo.
Umberto
Eco “Costruire il nemico” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)
[A:
14/02/2021 – I: 06/03/2021 – T: 06/03/2021] &&&--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 44; anno: 2008]
Secondo
testo delle seconde uscite in omaggio con Repubblica, che in un certo qual modo
completa un discorso iniziato nel precedente. Dopo aver analizzato la nascita
dell’idea di complotto ed avercela raffigurata nelle sue sfaccettature, Eco
affronta il tema della costruzione del nemico come momento fondante di una
qualche forma identitaria.
Lo
scritto è la riproposizione dell’intervento tenuto il 15 maggio 2008 a Bologna
nell’ambito del ciclo di conferenze “Elogio della politica” curato da Ivano
Dionigi presso l'Università di Bologna. È sempre gradevole, ripeto, leggere di
Eco (e dolersi della sua scomparsa) e del modo anche ironico di affrontare temi
a volte di una serietà impressionante. Come ad esempio, proprio l’incipit, lì
in un taxi a New York, dove un immigrato pakistano cerca di capire perché
questo strano europeo affermi che il suo piccolo stato, Italia, non abbia
nemici, non abbia popoli con cui essere in guerra, o in rivendicazioni
territoriali. Mezza paginetta che ci fa piombare immediatamente nel corpo della
questione.
Primo,
seppur vero che non abbiamo nemici esterni, è pur vero che, da sempre, abbiamo
“nemici interni”. Abbiamo divisioni che fin dall’antichità lacerano il tessuto
sociale e politico: Pisa contro Livorno, Guelfi contro Ghibellini, fascisti
contro partigiani, mafia contro stato, a cui aggiungerei, con un po’ di
leggerezza, che so, romanisti contro laziali, e tutti contro juventini.
La
mancanza attuale di un nemico è forse una delle debolezze attuali dell’Italia.
Solo identificando un nemico, l’Italia ha fatto passi storici, positivi o
negativi. L’unità d’Italia costruita contro la presenza austriaca o il consenso
mussoliniano dipingendo la cattiveria, verso il nostro Paese, delle democrazie
pluto-giudaiche. Come scordare poi la “necessità” dell’arrivo di Bin Laden per
rinsaldare il tessuto americano dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
L’assunto
di Eco è quindi che al fine di definirci con una nostra identità, bisogna avere
un nemico. E se non c’è bisogna costruirlo. Come? Deve essere diverso da noi,
avere dei costumi che non siano i nostri (vedi gli ebrei che mangiano pane
azzimo, o i cristiani che ai tempi dei romani non veneravano l’imperatore). Non
è importante che sia realmente minaccioso, ma che ci sia qualcuno che voglia
rappresentarcelo così. Con una costruzione di frase ad effetto, non è
importante che la sua minacciosità ne esalti la diversità, quanto la diversità
diventi minaccia.
Il
percorso di Eco è di lenta evoluzione ma arriva anche lì, anche quasi quindici
anni fa, ad un punto che sempre è una costante nei suoi ragionamenti. Portando
sempre più avanti il discorso ed il parallelismo, il diverso, la minaccia, non
viene più da fuori, ma da chi vive vicino a noi, che magari non parla bene la
nostra lingua, che ha una diversa sfumatura di pelle. Insomma, l’immigrato in
tutte le sue accezioni. Soprattutto perché viene dipinto brutto (per i nostri
canoni). Mentre chi è bello, sempre secondo la mentalità occidentale, deve
essere anche buono.
Il
ragionamento di Eco, poi, come sempre nei suoi discorsi e nei suoi scritti, è
infarcito di citazioni, che spaziano in tutto l’arco del sapere. Dalle
descrizioni di Giovenale del greco furbo e truffaldino, alla poesia del Giusti
con quei crucchi che sanno di sego. Impressionante è la tirata di Wagner contro
gli ebrei o la descrizione di Franti nel libro “Cuore” di De Amicis. Passando
per la costruzione delle streghe e del processo di indottrinamento per cui il
nemico viene convinto di essere “brutto, sporco e cattivo”.
Certo,
per il mio difficile seguire questi voli, coerenti ma comunque impegnativi, a
volte citazioni e rimandi rimangono leggermente ostici. Ma non posso che
convenire con Eco, nell’esasperazione finale dell’altro, del nemico, del
diverso da noi, quando chiude passando a Sarte, al suo magistrale “A porte
chiuse” (testo teatrale del 1944), che contiene la lapidaria frase: "l'enfer,
c'est les autres" [“L'inferno sono gli altri”].
Insomma,
un testo abbastanza agile, discretamente seguibile nella sua evoluzione, forse
(al solito per questi opuscoli) solo leggermente corto. Magari sarebbe il caso
poi di approfondirlo nel saggio più corposo “Costruire il nemico e altri
scritti occasionali”.
Umberto
Eco “Perché i libri allungano la vita” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)
[A:
21/02/2021 – I: 13/03/2021 – T: 13/03/2021] &&&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 45; anno: 1999]
Un
ottimo piccolo libro. Come al solito quando Eco si propone al meglio. Misurato
eppure pieno di idee, di rimandi, di suggerimenti, di pensieri. Anche la
confezione, estratta da quel mare magnum delle “Bustine di Minerva” scritte per
anni sull’ultima pagina dell’Espresso, è congruente. Ordine cronologiche, tematica
mantenuta per tutta la raccolta. Un bel modo per iniziare l’ultima tranche dei
libri in omaggio con Repubblica.
Calzante
anche il sottotitolo “Spigolature di lettere e arti”. Perché il termine, come
lemma secondario del Devoto – Oli, recita: “raccolta di notizie o argomenti
d'interesse secondario, presentati come curiosità”. Perché da lì nasceva l’Eco
migliore. Dalle “Bustine”, miniature che dovevano entrare in una pagina del
settimanale. Miniature perché in quel poco Eco riusciva a dire tanto. Applicando
al massimo il dettato di Flaubert: scrivere tutto, e poi togliere, togliere, e
togliere. Arrivando a lasciare l’essenziale. Anche, appunto, partendo da
dettagli marginali.
Come
fece nel suo capolavoro “Diario minimo (1963)”, con l’inarrivabile “Fenomenologia
di Mike Bongiorno”. Ma sto uscendo dal seminato, che di questo si dovrebbe
sapere molto se non tutto. Mentre queste pagine, florilegio sommo, sono
concentrate sui libri, su chi li scrive e su chi li legge. E su qualche critica
di costume.
Come
il raffronto tra Totò e Chaplin, dove, in veramente poche battute caratterizza
l’episodicità di Totò verso l’Universalità di Chaplin. O ancora nella diatriba
tra nozioni e nozionismi, dove, ed io sono totalmente d’accordo, non è
necessario sapere tutto sulla storia della Somalia, ma sapere, almeno, dove sta
la Somalia e dove cercarne se si vuole approfondire il tema.
Ma
ovvio che la parte che mi ha più preso riguarda i libri. I libri che allungano
la vita, non in senso temporale, ma in senso quantitativo. Che leggendo si
vivono mille vite, anche quando, come faccio io a volte, si rimane a
passeggiare nell’ambito investigativo. Però (se l’autore è decente, e questi lo
sono), si passeggia lungo la Senna con Maigret, si attraversa la pinetina
versiliana con Malvaldi, si guardano le massaie che fanno le orecchiette nella
Barivecchia con Lolita, si scalano (piano, però) alcuni monti con Rocco in Val
d’Aosta, si prende il sole sulle spiagge di Ragusa con Montalbano. Solo per
citare a memoria qualcosa a fior di mente.
Con
un altro salto da ironico battutista, mi delizio a sentire Eco parlare degli
intellettuali, delle “persone colte”, cui viene chiesto di tutto. Ad esempio,
chiedendo ad un esimio storico, come il mio amico Luciano, quale vaccino sia
scientificamente migliore. Ovvio che uno storico, sul lato “scienza”, potrà
dare lo stesso contributo che darei io se mi facessero la domanda. Diverso di
certo se ad uno storico venisse chiesto un raffronto tra pandemie ed epidemie
nel corso dei secoli. Magari anche cercando di risalire a come venne affrontata
“la spagnola” cento anni fa. Perché, dice Eco e noi con lui, il primo dovere
degli intellettuali è quello di stare zitti se non si ha niente da dire.
L’altro
dovere, per chi come me, ad esempio, non deve dar conto a nessuno, è quello di
poter dire, e di dire: questo mi piace e questo no. Come ho fatto, e ripeterei,
con un libro di Buzzati che non ho gradito, o con il primo scritto di Roberto
Bolaño, autore che adoro, ma dove il suo “Anversa” poteva anche non essere scritto.
Infine,
e lo metto in finale di trama che merita la sua chiosa migliore, Eco si chiede,
a fronte di una non meglio ricordata inchiesta, quanti libri “non” abbiamo
letto. Ricordo sempre a questo proposito la battuta di Troisi, fulminante (“io
sono uno a leggere e voi siete milioni a scrivere”). Ma Eco ci porta con mano
là dove l’importante non è quanto si legge, ma come si legge. Certo, detto da
me che sono un “lettore compulsivo” può sembrare riduttivo. Ma è
intrinsecamente vero, anche per chi, come me, legge una quindicina di libri al
mese. Perché ho la capacità, nella lettura, di escludere il resto, e di farmi
trasportare là dove l’autore passeggia con le sue parole. Ovvio, io, come
tutti, ho letto ma ho anche non letto. Non ho letto (ancora) l’Ulisse di Joyce
e molto Dostoevskij. Ho anche abbondonato letture che non mi prendevano, anche
se poche, come “Lolita” di Nabokov. Siamo tutti umani, ma siamo anche ancorati
alla battuta finale che riporto sotto,
Qui,
come altrove, come sempre quando leggo Eco, mi piace la sua capacità di
semplificare e, semplificando, di divulgare. Sono passati cinque anni dalla sua
morte, ma ci manca come se fosse andato via oggi.
“D’altra
parte, a leggere troppo, come Don Chisciotte, va il cervello in acqua.” (38)
“Si
può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro.”
(41)
Umberto
Eco “Le magnifiche sorti e progressive” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)
[A:
21/02/2021 – I: 17/03/2021 – T: 17/03/2021] &&&-
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 44; anno: 1999]
Non è
che mi sia piaciuto tantissimo, che speravo, come ultimo libretto omaggio di
Repubblica, di finire in bellezza, con questa seconda tornata di “Bustine di
Minerva” scritte prima del 2000.
Come
detto nel precedente, le “Bustine di Minerva” sono quell’ultima pagina del
settimanale “L’Espresso”, dove Eco, settimanalmente prima e quindicinalmente
poi, infiorettava pensieri e commenti sul mondo che lo circonda.
Tra
le tante bustine, in questo florilegio il curatore ha inserito quelle che
cercavano di mettere in evidenza cosa stava accadendo in quella fine del XX
secolo, e quanto era presumibile accadesse nel futuro secolo XXI. Perché da
sempre, in tutti i suoi scritti, è presente la volontà di non rifiutare la storia,
il passato, ma si prenderla, ereditarla in qualche modo, combinare passato e
presente per vedere cosa potrebbe riservarci il futuro. Non negazione totale
del passato, ma neanche acritica accettazione del presente, ma un possibile
equilibrio tra i due.
Così,
in queste pagine Eco affronta, discute, analizza una serie di problemi di cui
tanto si parla e poco si fa: le sorti del pianeta, l’ecologia, l’immigrazione,
la guerra, la scienza, la cultura, la società, la religione, la famiglia, la
scuola, i giovani. Con il suo fine garbo umoristico ci vuole avvertire sui
pericoli che minacciano un mondo che sembra aver perso la misura, il senso
della responsabilità.
Ripeto,
con umorismo, che la maggior parte delle magnifiche sorti è affrontata con
l’ironia di cui Eco era sempre capace. Come nella bustina in cui affronta il
problema di una sua ipotetica clonazione (erano i tempi della pecora Dolly).
Problema che smonta in poche righe: possiamo riprodurre cellule “identiche”, ma
dalle cellule di questo Eco attuale, non potrà mai venire un “nuovo Eco”, che
la “persona Eco” è frutto, anche e soprattutto, di tutto quello che ha vissuto
nei lunghi anni della sua vita. Ed una cellula che si forma nella fine degli
anni ’90 del secolo scorso, non avrà vissuto il fascismo, non avrà sofferto la
fame durante la guerra. Ma in particolar modo, non avrà avuto due genitori come
quelli di Eco. Basta rifletterci un attimo e siamo d’accordo con lui.
Come
anche in quella intitolata "Quanti alberi butto via in un anno?",
dove prende in giro un certo ecologismo radicale, che si scagliava
luddisticamente contro i computer (è una bustina del 1992), mentre sono (erano)
molto più anti-ecologici ad esempio i fax, che raddoppiando l’uso della carta,
distruggevano molto più alberi amazzonici.
Come,
infine, in quell’ultimo capolavoro di ironia e preveggenza, nell’ultima bustina
“Come prepararsi serenamente alla morte”. Dove in un dialogo pseudo-platonico
il saggio Critone convince il suo allievo che l’unico modo di prepararsi ad una
morte serena è quella di convincersi "che tutti gli altri siano dei
coglioni". Quando anche l’ultimo amico verrà ritenuto coglione, possiamo
serenamente lasciare questo mondo.
Ma,
ovvio, che non sempre è solo ironico. In una dolente bustina del ’95 “Mamma,
cosa vuol dire ‘fratello’?”, interrogandosi sul nascente fenomeno dei migranti,
ma anche sulla sovrappopolazione, e sulla diminuzione delle risorse, nonché sul
conseguente sfruttamento delle risorse, finisce con la seguente frase: “A meno
che la provvidenza, o la natura, intervengano a riequilibrare i pesi [della
bilancia dell’esistenza, n.d.r.] attraverso robuste pestilenze”. Non penso di
dover aggiungere una riga a questo commento, ora, a 25 anni di distanza, in un
mondo in piena crisi virale.
Al
solito, la mia più grande critica all’operazione, non a Eco, è la mancanza di
un approccio costruttivo esterno di chi ha scelto cosa pubblicare e come.
Certo, ripeto, si basa tutto sul sottotitolo “Anticipazioni sul Terzo
Millennio”. Ma le bustine non sono sempre cronologiche, quindi si mescolano a
volta toni che sarebbero stati spiegati altrove o in altro tempo. Pur
riconoscendo che leggere di Eco è sempre stimolante per i nostri pochi neuroni,
mezza pagina di spiegone non sarebbe dispiaciuta.
Ma se
non c’è spiegone, c’è un personale commento a tutta “l’operazione Eco”,
parafrasando la “scala di Wittgenstein”. Al fine di crescere verso altre
altezze, occorre costruire una scala, che sia solida e non ci lasci durante il
cammino. Poi, quando l’avremo percorsa tutta, possiamo anche distruggerla.
L’abbiamo usata, ci è servita, ci ha portato in cima. Ci ha aperto lo sguardo e
la mente a nuovi panorami [dalla proposizione 6.54 del “Tractatus” di
Wittgenstein].
Ugualmente
dobbiamo fare con Eco, nel piccolo e nel grande, nell’ironia e nella
semeiotica.
Prima
trama delle ferie agostane, quindi un ripasso della buona massa (22) dei libri
di maggio. Con alcuni buoni picchi: un Simenon che non conoscevo, ma
soprattutto due autori della “Biblioteca del Mondo” molto interessanti: la
kossovara Elvira Dones e lo spagnolo (basco) Fernando Aramburu. Ma anche con
due grosse delusioni: Dan Brown al suo peggio con l’ennesima storia di misteri
e Andrè Aciman poco convincente se non lo chiamiamo con il suo nome.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Juliet
Lapidos |
Talento |
Bompiani
|
17 |
2 |
2 |
Halldór Laxness |
Gente indipendente |
Corriere
Boreali |
8,90 |
3 |
3 |
Dan
Brown |
Origin |
Mondadori |
7,90 |
1 |
4 |
Peter
Biskind |
A
pranzo con Orson |
Adelphi
|
13 |
3,5 |
5 |
Enrico
Luceri |
Linea
retta |
Mondadori |
5,90 |
2 |
6 |
André Aciman |
Notti bianche |
Repubblica
New York |
9,90 |
1 |
7 |
Qiu
Xiaolong |
Il
poliziotto di Shanghai |
Feltrinelli |
9,50 |
2 |
8 |
Elvira
Dones |
Piccola
guerra perfetta |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
4 |
9 |
Brian
Morton |
Florence
Gordon |
Repubblica
New York |
9,90 |
3 |
10 |
Andrea
Camilleri |
Doppia
indagine |
Repubblica
Investigatori |
s.p. |
2 |
11 |
Anne
Perry |
Scandalo a Cardington Crescent |
Mondadori |
2,50 |
2,5 |
12 |
Han Kang |
La vegetariana |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
3,5 |
13 |
Agatha
Christie |
Morte
per annegamento |
Repubblica
Investigatori |
s.p. |
2,5 |
14 |
Chimamanda Ngozi Adichie |
Metà di un sole giallo |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
3 |
15 |
Anne
Perry |
L’infamia
di Lancaster Gate |
Mondadori |
5,90 |
2 |
16 |
Antonio
Manzini |
L’eremita |
Repubblica
Investigatori |
s.p. |
2,5 |
17 |
Fernando
Aramburu |
Patria |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
4 |
18 |
Robert
James Waller |
I
ponti di Madison County |
RCS
Media Group |
8,90 |
2 |
19 |
Qiu
Xiaolong |
L’ultimo
respiro del drago |
Feltrinelli |
s.p. |
2 |
20 |
Héctor Abad |
L’oblio che saremo |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
3 |
21 |
Georges
Simenon |
La testimonianza
del chierichetto |
Repubblica
Investigatori |
s.p. |
4 |
22 |
Anne
Perry |
Omicidio
sul Serpentine |
Mondadori |
5,90 |
2 |
Comincia
il mese d’agosto, risparmiandovi la facile citazione di Achille Campanile, mi
rivolgo invece, insospettatamente, a Søren Kierkegaard che in un suo
libro filosofico all’interno della grande opera “Aut-Aut”, scriveva: “Io ho un
solo amico: l'eco. E perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco
non me lo toglie. Io ho un solo confidente: il silenzio della notte. E perché è
il mio confidente? Perché il silenzio tace.” Era il “Diario del seduttore”.
Rimango
ancora son le mie domande della settimana scorsa, sull’incertezza, e, scansando
il danese seduttore, sull’amicizia. Ai quali, amici miei, invia un abbraccio e
Giovanni
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