domenica 1 agosto 2021

Ultimo Eco d’Estate - 01 agosto 2021

Terminiamo con questa la disamina di scritti vari usciti nel quinto anniversario della morte del sommo semiologo. O forse sommo letterato. O forse solo sommo. Scritti di diverso peso, interessanti comunque, non sempre ben chiosati o ben assemblati da Repubblica. Soprattutto, non vi fate mancare lo scritto dedicato ai libri, veramente imperdibile.

Umberto Eco “Il complotto” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)

[A: 14/02/2021 – I: 25/02/2021 – T: 25/02/2021] && --

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 39; anno: 2015]

C’è un sentimento altalenante nella lettura di questo nuovo piccolo scritto di Eco. Perché quando ne leggo, c’è sempre il piacere di sentire una voce amica che ti racconta cosa che, sempre ed in ogni circostanza, coinvolgono il cervello. Accendono i neuroni.

D’altra parte, questo specifico testo è troppo breve e poco strutturato. Si risolve in una monomaniaca esposizione di una serie di fatti che non possono che trovarmi concorde. Ma senza farne un discorso di raccordo, una possibile teoria interpretativa, insomma un qualcosa che ne tenga unito il senso ed unitariamente ne dia uno sbocco.

Sembra quasi uno dei primi testi di Baumann, dove venivano dette cose egregie, ma senza che ne facesse seguito una sintesi operativa. Ora, sono d’accordo che si analizza la teoria complottistica è difficile arrivare ad una operatività, ad una proposta positiva. Tuttavia, la mera elencazione dei fatti, pur con delle inserzioni, che vedremo, gustosamente ironiche, lascia un po’ freddi, senza che il testo riesca ad elevarsi ad i soliti livelli dell’autore.

Certo, Eco parte alto, dalla psicologia del complotto, cioè da dove nascono le teorie complottistiche: la spiegazione di un accadimento non ci soddisfa, allora ci affidiamo ad una interpretazione “altra” purché verosimile. Inoltre, Eco non analizza, giustamente, i complotti veri, ma quelli di cui tanto si favoleggia in rete. Un complotto reale avrà sempre modo di essere svelato, che si troverà sempre, per gloria o per denaro, una falla del sistema. Come per il delitto perfetto: sarà sempre svelato, a meno che non sia talmente perfetto (o “diverso”) che anche l’autore dello stesso se ne disinteressa.

Quindi, niente complotti per uccidere Giulio Cesare, o Napoleone III, o financo il golpe Borghese, ma quelli veramente “falsi”: lo sbarco sulla luna, le torri gemelle, i protocolli di Sion.

Sui complotti reali, Eco riporta il giusto intervento del sociologo Simmel, in cui il segreto (o complotto) più intrigante è quello vuoto. Come spiegare altrimenti la seduzione che esercita su molta gente (follie?) la teoria del terrapiattismo? È un complotto per permettere alle potenze industriali di perpetrare i loro sperperi nella gestione del denaro pubblico.

Altro intervento giustamente smitizzante, nei complotti reali, la teoria del “Grande Vecchio” che guidava i burattini delle BR. Come riporta bene l’autore: “com’è possibile, ci si chiedeva, che dei trentenni abbiano potuto concepire un’azione così perfetta? Ci deve essere dietro un Cervello più avveduto. Senza pensare che in quel momento altri trentenni dirigevano aziende, guidavano jumbo jet o inventavano nuovi dispositivi elettronici”.

Con una esemplare prova unificante, Eco riconduce alla stessa causa risolutiva il complotto delle torri gemelle e dello sbarco sulla luna. Entrambi i fautori delle due tesi sull’11/9 possono essere confutati da quella che si definisce “prova del silenzio”. Anche qui riporto le parole di Eco: “Se la navicella americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di con-trollarlo e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i sovietici sono rimasti zitti, ecco la prova che sulla Luna gli americani ci sono andati davvero. Punto e basta.”

Fortunatamente poi, Eco ci delizia con la sua vena comica, laddove spiega il presunto messaggio subliminale dell’Ultima cena di Leonardo come messaggio dell’Apocalisse: l’analisi di Eco è ben lunga, io la sintetizzo qui, per mio gusto ed interesse. Ai lati di Gesù due Apostoli hanno le mani levate, uno con i palmi aperti (dieci dita) uno con l’indice (uno) quindi 11. La numerologia di Leonardo da Vinci (somma dei numeri associati alle lettere) è sempre 11. La moltiplicazione dei due fa 121, meno i dieci comandamenti fa 111. La numerologia di Giuda da 6, che moltiplicato per 111 fa 666, il numero dell’Apocalisse. Un complotto gigantesco.

Come giganteschi i complotti numerici tra Abramo Lincoln e JFK, dove, tanto per dirne una, oltre a mille possibilità, si ricorda che il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy, e quello di Kennedy si chiamava Lincoln. Complotto!

Per poi navigare tra i Protocolli di Sion, dove non entro in merito, e “è tutta colpa dei gesuiti!”, su cui stendo un velo pietoso. Certo, oltre al rimpianto di averlo perso ormai da cinque anni, mi avrebbe fatto piacere sentire la sua voce sui complotti odierni, in tempi pandemici. Sono sicura che avrebbe trovato modo di imbastire una parodia tra la numerologia di Covid (che fa 49 cioè la donna prosperosa) ed il 19 (la risata). Peccato non sentirti più.

Ma peccato anche questo libretto troppo scarno per esserci d’aiuto. E senza commenti intorno, risulta poco incisivo.

Umberto Eco “Costruire il nemico” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)

[A: 14/02/2021 – I: 06/03/2021 – T: 06/03/2021] &&&--

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 44; anno: 2008]

Secondo testo delle seconde uscite in omaggio con Repubblica, che in un certo qual modo completa un discorso iniziato nel precedente. Dopo aver analizzato la nascita dell’idea di complotto ed avercela raffigurata nelle sue sfaccettature, Eco affronta il tema della costruzione del nemico come momento fondante di una qualche forma identitaria.

Lo scritto è la riproposizione dell’intervento tenuto il 15 maggio 2008 a Bologna nell’ambito del ciclo di conferenze “Elogio della politica” curato da Ivano Dionigi presso l'Università di Bologna. È sempre gradevole, ripeto, leggere di Eco (e dolersi della sua scomparsa) e del modo anche ironico di affrontare temi a volte di una serietà impressionante. Come ad esempio, proprio l’incipit, lì in un taxi a New York, dove un immigrato pakistano cerca di capire perché questo strano europeo affermi che il suo piccolo stato, Italia, non abbia nemici, non abbia popoli con cui essere in guerra, o in rivendicazioni territoriali. Mezza paginetta che ci fa piombare immediatamente nel corpo della questione.

Primo, seppur vero che non abbiamo nemici esterni, è pur vero che, da sempre, abbiamo “nemici interni”. Abbiamo divisioni che fin dall’antichità lacerano il tessuto sociale e politico: Pisa contro Livorno, Guelfi contro Ghibellini, fascisti contro partigiani, mafia contro stato, a cui aggiungerei, con un po’ di leggerezza, che so, romanisti contro laziali, e tutti contro juventini.

La mancanza attuale di un nemico è forse una delle debolezze attuali dell’Italia. Solo identificando un nemico, l’Italia ha fatto passi storici, positivi o negativi. L’unità d’Italia costruita contro la presenza austriaca o il consenso mussoliniano dipingendo la cattiveria, verso il nostro Paese, delle democrazie pluto-giudaiche. Come scordare poi la “necessità” dell’arrivo di Bin Laden per rinsaldare il tessuto americano dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

L’assunto di Eco è quindi che al fine di definirci con una nostra identità, bisogna avere un nemico. E se non c’è bisogna costruirlo. Come? Deve essere diverso da noi, avere dei costumi che non siano i nostri (vedi gli ebrei che mangiano pane azzimo, o i cristiani che ai tempi dei romani non veneravano l’imperatore). Non è importante che sia realmente minaccioso, ma che ci sia qualcuno che voglia rappresentarcelo così. Con una costruzione di frase ad effetto, non è importante che la sua minacciosità ne esalti la diversità, quanto la diversità diventi minaccia.

Il percorso di Eco è di lenta evoluzione ma arriva anche lì, anche quasi quindici anni fa, ad un punto che sempre è una costante nei suoi ragionamenti. Portando sempre più avanti il discorso ed il parallelismo, il diverso, la minaccia, non viene più da fuori, ma da chi vive vicino a noi, che magari non parla bene la nostra lingua, che ha una diversa sfumatura di pelle. Insomma, l’immigrato in tutte le sue accezioni. Soprattutto perché viene dipinto brutto (per i nostri canoni). Mentre chi è bello, sempre secondo la mentalità occidentale, deve essere anche buono.

Il ragionamento di Eco, poi, come sempre nei suoi discorsi e nei suoi scritti, è infarcito di citazioni, che spaziano in tutto l’arco del sapere. Dalle descrizioni di Giovenale del greco furbo e truffaldino, alla poesia del Giusti con quei crucchi che sanno di sego. Impressionante è la tirata di Wagner contro gli ebrei o la descrizione di Franti nel libro “Cuore” di De Amicis. Passando per la costruzione delle streghe e del processo di indottrinamento per cui il nemico viene convinto di essere “brutto, sporco e cattivo”.

Certo, per il mio difficile seguire questi voli, coerenti ma comunque impegnativi, a volte citazioni e rimandi rimangono leggermente ostici. Ma non posso che convenire con Eco, nell’esasperazione finale dell’altro, del nemico, del diverso da noi, quando chiude passando a Sarte, al suo magistrale “A porte chiuse” (testo teatrale del 1944), che contiene la lapidaria frase: "l'enfer, c'est les autres" [“L'inferno sono gli altri”].

Insomma, un testo abbastanza agile, discretamente seguibile nella sua evoluzione, forse (al solito per questi opuscoli) solo leggermente corto. Magari sarebbe il caso poi di approfondirlo nel saggio più corposo “Costruire il nemico e altri scritti occasionali”.

Umberto Eco “Perché i libri allungano la vita” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)

[A: 21/02/2021 – I: 13/03/2021 – T: 13/03/2021] &&&&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 45; anno: 1999]

Un ottimo piccolo libro. Come al solito quando Eco si propone al meglio. Misurato eppure pieno di idee, di rimandi, di suggerimenti, di pensieri. Anche la confezione, estratta da quel mare magnum delle “Bustine di Minerva” scritte per anni sull’ultima pagina dell’Espresso, è congruente. Ordine cronologiche, tematica mantenuta per tutta la raccolta. Un bel modo per iniziare l’ultima tranche dei libri in omaggio con Repubblica.

Calzante anche il sottotitolo “Spigolature di lettere e arti”. Perché il termine, come lemma secondario del Devoto – Oli, recita: “raccolta di notizie o argomenti d'interesse secondario, presentati come curiosità”. Perché da lì nasceva l’Eco migliore. Dalle “Bustine”, miniature che dovevano entrare in una pagina del settimanale. Miniature perché in quel poco Eco riusciva a dire tanto. Applicando al massimo il dettato di Flaubert: scrivere tutto, e poi togliere, togliere, e togliere. Arrivando a lasciare l’essenziale. Anche, appunto, partendo da dettagli marginali.

Come fece nel suo capolavoro “Diario minimo (1963)”, con l’inarrivabile “Fenomenologia di Mike Bongiorno”. Ma sto uscendo dal seminato, che di questo si dovrebbe sapere molto se non tutto. Mentre queste pagine, florilegio sommo, sono concentrate sui libri, su chi li scrive e su chi li legge. E su qualche critica di costume.

Come il raffronto tra Totò e Chaplin, dove, in veramente poche battute caratterizza l’episodicità di Totò verso l’Universalità di Chaplin. O ancora nella diatriba tra nozioni e nozionismi, dove, ed io sono totalmente d’accordo, non è necessario sapere tutto sulla storia della Somalia, ma sapere, almeno, dove sta la Somalia e dove cercarne se si vuole approfondire il tema.

Ma ovvio che la parte che mi ha più preso riguarda i libri. I libri che allungano la vita, non in senso temporale, ma in senso quantitativo. Che leggendo si vivono mille vite, anche quando, come faccio io a volte, si rimane a passeggiare nell’ambito investigativo. Però (se l’autore è decente, e questi lo sono), si passeggia lungo la Senna con Maigret, si attraversa la pinetina versiliana con Malvaldi, si guardano le massaie che fanno le orecchiette nella Barivecchia con Lolita, si scalano (piano, però) alcuni monti con Rocco in Val d’Aosta, si prende il sole sulle spiagge di Ragusa con Montalbano. Solo per citare a memoria qualcosa a fior di mente.

Con un altro salto da ironico battutista, mi delizio a sentire Eco parlare degli intellettuali, delle “persone colte”, cui viene chiesto di tutto. Ad esempio, chiedendo ad un esimio storico, come il mio amico Luciano, quale vaccino sia scientificamente migliore. Ovvio che uno storico, sul lato “scienza”, potrà dare lo stesso contributo che darei io se mi facessero la domanda. Diverso di certo se ad uno storico venisse chiesto un raffronto tra pandemie ed epidemie nel corso dei secoli. Magari anche cercando di risalire a come venne affrontata “la spagnola” cento anni fa. Perché, dice Eco e noi con lui, il primo dovere degli intellettuali è quello di stare zitti se non si ha niente da dire.

L’altro dovere, per chi come me, ad esempio, non deve dar conto a nessuno, è quello di poter dire, e di dire: questo mi piace e questo no. Come ho fatto, e ripeterei, con un libro di Buzzati che non ho gradito, o con il primo scritto di Roberto Bolaño, autore che adoro, ma dove il suo “Anversa” poteva anche non essere scritto.

Infine, e lo metto in finale di trama che merita la sua chiosa migliore, Eco si chiede, a fronte di una non meglio ricordata inchiesta, quanti libri “non” abbiamo letto. Ricordo sempre a questo proposito la battuta di Troisi, fulminante (“io sono uno a leggere e voi siete milioni a scrivere”). Ma Eco ci porta con mano là dove l’importante non è quanto si legge, ma come si legge. Certo, detto da me che sono un “lettore compulsivo” può sembrare riduttivo. Ma è intrinsecamente vero, anche per chi, come me, legge una quindicina di libri al mese. Perché ho la capacità, nella lettura, di escludere il resto, e di farmi trasportare là dove l’autore passeggia con le sue parole. Ovvio, io, come tutti, ho letto ma ho anche non letto. Non ho letto (ancora) l’Ulisse di Joyce e molto Dostoevskij. Ho anche abbondonato letture che non mi prendevano, anche se poche, come “Lolita” di Nabokov. Siamo tutti umani, ma siamo anche ancorati alla battuta finale che riporto sotto,

Qui, come altrove, come sempre quando leggo Eco, mi piace la sua capacità di semplificare e, semplificando, di divulgare. Sono passati cinque anni dalla sua morte, ma ci manca come se fosse andato via oggi.

“D’altra parte, a leggere troppo, come Don Chisciotte, va il cervello in acqua.” (38)

“Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro.” (41)

Umberto Eco “Le magnifiche sorti e progressive” Repubblica s.p. (Omaggio di Repubblica)

[A: 21/02/2021 – I: 17/03/2021 – T: 17/03/2021] &&&-

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 44; anno: 1999]

Non è che mi sia piaciuto tantissimo, che speravo, come ultimo libretto omaggio di Repubblica, di finire in bellezza, con questa seconda tornata di “Bustine di Minerva” scritte prima del 2000.

Come detto nel precedente, le “Bustine di Minerva” sono quell’ultima pagina del settimanale “L’Espresso”, dove Eco, settimanalmente prima e quindicinalmente poi, infiorettava pensieri e commenti sul mondo che lo circonda.

Tra le tante bustine, in questo florilegio il curatore ha inserito quelle che cercavano di mettere in evidenza cosa stava accadendo in quella fine del XX secolo, e quanto era presumibile accadesse nel futuro secolo XXI. Perché da sempre, in tutti i suoi scritti, è presente la volontà di non rifiutare la storia, il passato, ma si prenderla, ereditarla in qualche modo, combinare passato e presente per vedere cosa potrebbe riservarci il futuro. Non negazione totale del passato, ma neanche acritica accettazione del presente, ma un possibile equilibrio tra i due.

Così, in queste pagine Eco affronta, discute, analizza una serie di problemi di cui tanto si parla e poco si fa: le sorti del pianeta, l’ecologia, l’immigrazione, la guerra, la scienza, la cultura, la società, la religione, la famiglia, la scuola, i giovani. Con il suo fine garbo umoristico ci vuole avvertire sui pericoli che minacciano un mondo che sembra aver perso la misura, il senso della responsabilità.

Ripeto, con umorismo, che la maggior parte delle magnifiche sorti è affrontata con l’ironia di cui Eco era sempre capace. Come nella bustina in cui affronta il problema di una sua ipotetica clonazione (erano i tempi della pecora Dolly). Problema che smonta in poche righe: possiamo riprodurre cellule “identiche”, ma dalle cellule di questo Eco attuale, non potrà mai venire un “nuovo Eco”, che la “persona Eco” è frutto, anche e soprattutto, di tutto quello che ha vissuto nei lunghi anni della sua vita. Ed una cellula che si forma nella fine degli anni ’90 del secolo scorso, non avrà vissuto il fascismo, non avrà sofferto la fame durante la guerra. Ma in particolar modo, non avrà avuto due genitori come quelli di Eco. Basta rifletterci un attimo e siamo d’accordo con lui.

Come anche in quella intitolata "Quanti alberi butto via in un anno?", dove prende in giro un certo ecologismo radicale, che si scagliava luddisticamente contro i computer (è una bustina del 1992), mentre sono (erano) molto più anti-ecologici ad esempio i fax, che raddoppiando l’uso della carta, distruggevano molto più alberi amazzonici.

Come, infine, in quell’ultimo capolavoro di ironia e preveggenza, nell’ultima bustina “Come prepararsi serenamente alla morte”. Dove in un dialogo pseudo-platonico il saggio Critone convince il suo allievo che l’unico modo di prepararsi ad una morte serena è quella di convincersi "che tutti gli altri siano dei coglioni". Quando anche l’ultimo amico verrà ritenuto coglione, possiamo serenamente lasciare questo mondo.

Ma, ovvio, che non sempre è solo ironico. In una dolente bustina del ’95 “Mamma, cosa vuol dire ‘fratello’?”, interrogandosi sul nascente fenomeno dei migranti, ma anche sulla sovrappopolazione, e sulla diminuzione delle risorse, nonché sul conseguente sfruttamento delle risorse, finisce con la seguente frase: “A meno che la provvidenza, o la natura, intervengano a riequilibrare i pesi [della bilancia dell’esistenza, n.d.r.] attraverso robuste pestilenze”. Non penso di dover aggiungere una riga a questo commento, ora, a 25 anni di distanza, in un mondo in piena crisi virale.

Al solito, la mia più grande critica all’operazione, non a Eco, è la mancanza di un approccio costruttivo esterno di chi ha scelto cosa pubblicare e come. Certo, ripeto, si basa tutto sul sottotitolo “Anticipazioni sul Terzo Millennio”. Ma le bustine non sono sempre cronologiche, quindi si mescolano a volta toni che sarebbero stati spiegati altrove o in altro tempo. Pur riconoscendo che leggere di Eco è sempre stimolante per i nostri pochi neuroni, mezza pagina di spiegone non sarebbe dispiaciuta.

Ma se non c’è spiegone, c’è un personale commento a tutta “l’operazione Eco”, parafrasando la “scala di Wittgenstein”. Al fine di crescere verso altre altezze, occorre costruire una scala, che sia solida e non ci lasci durante il cammino. Poi, quando l’avremo percorsa tutta, possiamo anche distruggerla. L’abbiamo usata, ci è servita, ci ha portato in cima. Ci ha aperto lo sguardo e la mente a nuovi panorami [dalla proposizione 6.54 del “Tractatus” di Wittgenstein].

Ugualmente dobbiamo fare con Eco, nel piccolo e nel grande, nell’ironia e nella semeiotica.

Prima trama delle ferie agostane, quindi un ripasso della buona massa (22) dei libri di maggio. Con alcuni buoni picchi: un Simenon che non conoscevo, ma soprattutto due autori della “Biblioteca del Mondo” molto interessanti: la kossovara Elvira Dones e lo spagnolo (basco) Fernando Aramburu. Ma anche con due grosse delusioni: Dan Brown al suo peggio con l’ennesima storia di misteri e Andrè Aciman poco convincente se non lo chiamiamo con il suo nome.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Juliet Lapidos

Talento

Bompiani

17

2

2

Halldór Laxness

Gente indipendente

Corriere Boreali

8,90

3

3

Dan Brown

Origin

Mondadori

7,90

1

4

Peter Biskind

A pranzo con Orson

Adelphi

13

3,5

5

Enrico Luceri

Linea retta

Mondadori

5,90

2

6

André Aciman

Notti bianche

Repubblica New York

9,90

1

7

Qiu Xiaolong

Il poliziotto di Shanghai

Feltrinelli

9,50

2

8

Elvira Dones

Piccola guerra perfetta

Repubblica Mondo

9,90

4

9

Brian Morton

Florence Gordon

Repubblica New York

9,90

3

10

Andrea Camilleri

Doppia indagine

Repubblica Investigatori

s.p.

2

11

Anne Perry

Scandalo a Cardington Crescent

Mondadori

2,50

2,5

12

Han Kang

La vegetariana

Repubblica Mondo

9,90

3,5

13

Agatha Christie

Morte per annegamento

Repubblica Investigatori

s.p.

2,5

14

Chimamanda Ngozi Adichie

Metà di un sole giallo

Repubblica Mondo

9,90

3

15

Anne Perry

L’infamia di Lancaster Gate

Mondadori

5,90

2

16

Antonio Manzini

L’eremita

Repubblica Investigatori

s.p.

2,5

17

Fernando Aramburu

Patria

Repubblica Mondo

9,90

4

18

Robert James Waller

I ponti di Madison County

RCS Media Group

8,90

2

19

Qiu Xiaolong

L’ultimo respiro del drago

Feltrinelli

s.p.

2

20

Héctor Abad

L’oblio che saremo

Repubblica Mondo

9,90

3

21

Georges Simenon

La testimonianza del chierichetto

Repubblica Investigatori

s.p.

4

22

Anne Perry

Omicidio sul Serpentine

Mondadori

5,90

2

Comincia il mese d’agosto, risparmiandovi la facile citazione di Achille Campanile, mi rivolgo invece, insospettatamente, a Søren Kierkegaard che in un suo libro filosofico all’interno della grande opera “Aut-Aut”, scriveva: “Io ho un solo amico: l'eco. E perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente: il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace.” Era il “Diario del seduttore”.

Rimango ancora son le mie domande della settimana scorsa, sull’incertezza, e, scansando il danese seduttore, sull’amicizia. Ai quali, amici miei, invia un abbraccio e

un bacio

Giovanni

 

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