domenica 10 luglio 2022

Seriali di Repubblica - 10 luglio 2022

Continuiamo questa calda estate con alcuni noir italiani delle collezioni proposte dalle edizioni di Repubblica. Non una riuscita proprio esaltante, ma una buona lettura estiva. In particolare, con l’ispettore Mirko Stucky, un seriale del poliedrico Fulvio Ervas. Anche gli altri sono personaggi seriali, ma l’’unica che si eleva un po’ sopra l’ordinario è il PM Imma Tatarianni di Mariolina Venezia, forte anche delle uscite televisive. Sulla soglia della leggibilità la psicologa Anna Pavesi di Alessandro Perissinotto e l’ex-carabiniere Corrado Genito di Piero Colaprico. Ancor più distante la “Squadra Speciale Minestrina in Brodo” di Roberto Centazzo.

Fulvio Ervas “Pericolo giallo” Repubblica Passione Noir 18 euro 7,90

[A: 15/10/2018 – I: 01/10/2021 – T: 03/10/2021] &&& 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 221; anno: 2016]

Un’altra lettura veloce durante il breve ma intenso viaggio di nozze. E sempre con al centro lo strambo ispettore Stucky. È anche il terzo libro degli otto che Ervas dedica all’ispettore che leggo, e stranamente, rispetto alle mie abitudini, non ne ho letto in maniera ordinata, anche se pur sempre sequenziale. Ho letto, infatti, il terzo, il sesto e questo che è il settimo. Letto anche in buona pace, cullato dal rumore delle onde su di un lettino in una grande spiaggia di Ibiza. Un riposo meritato, per un libro che migliora il gradimento verso l’autore.

Ervas, di cui prima o poi leggeremo anche le opere non “poliziesche”, parte da un fatto di cronaca reale per costruire una riflessione su di un pezzo d’Italia che, tramortito dalla crisi economica (che forte era già nel 2016) viene aggredito, sbranato e riproposto su altre vie da una consorteria criminale che mette le radici fuori dall’Italia, vuoi nei paesi slavi, vuoi, e molto, dalla lontana Cina. Lì, appunto, dove nasce il “pericolo giallo”.

Il fatto di cronaca è un’Audi gialla che sfreccia a velocità elevata per la Marca Trevigiana, senza riuscire ad essere fermata, forse mettendo a segno rapine. Solo con fatica, dopo che l’auto stessa viene trovata bruciata, attraverso il DNA sul volante, verrà arrestato e condannato un albanese che risultava al volante. Ma questa è cronaca.

Ervas, da questo spunto, mette su un romanzo che si svolge su più piani. Certo, c’è l’Audi gialla che nessuno ferma. Audi con targa svizzera, rubata alla Malpensa, che provoca incidenti, anche mortali, e, forse, prepara rapine. Ma c’è anche una consorteria cinese che si fonda su di una rete di bordelli con prostitute asiatiche. In questa rete cerca di entrare il nostro ispettore Mirko Stucky, sempre affascinante, sempre elegante con le sue scarpe a punta, sempre misteriosi come le sue origini persiane, che spesso ritroviamo quando va a trovare lo zio Cyrus.

A questi due piani, si aggiunge il terzo elemento di ricerca poliziesche. Che Stucky viene coinvolto dalla sua amica e collega veneziana, Laura Bertelli, nella ricerca di un senso all’omicidio-suicidio del suo collega Manuel e della moglie Veronica. Indagine complicata sia dall’indole di Laura, che pende dalla parte delle donne, sia dalla presenza, anche qui, anche a Marghera, di possibili connessioni con mafiosi cinesi.

Ovvio che i tre piani, le tre inchieste, meritano una soluzione. Ma Ervas è troppo fine conoscitore del nostro mondo italico (e della Marca Trevigiana) per non condurci verso una fine che non potrà essere un finale. L’Audi verrà trovata, come nella realtà, anche se gli scorrazzatori finiranno per andare via, forse presi, forse altrove.

In quel di Venezia, Stucky scopre il gioco fine del cinese Wang, bel tipo di ingegnere, con una propensione al gioco (al go in particolare) ed alle belle donne. Con l’aiuto di una delle ragazze del bordello, lo metterà davanti alla conclusione della vicenda di Manuel e di Vittoria. Lei si era invaghita di Wang, Manuel era decisamente borderline mentalmente, Vittoria non voleva tornare indietro. Manuel fa la sua scelta, e Wang dovrà comprenderla.

Anche sul fronte prostituzione, Stucky fa i suoi passi, sventando varie situazioni, ma, e lo sappiamo, e lo vediamo, si può chiudere qualcosa ma non fermare un fenomeno talmente vasto, che, come la fenice, risorge dalle ceneri per prosperare in altro luogo.

Quello che resta sono i momenti marginali, le figure di contorno, soprattutto quelle ricorrenti. Lo zio Cyrus, in primo piano, ma anche il cane Argo (sul quale non aggiungo commenti, troppo scontati), oppure Sandra e Veronica, le terribili sorelle di vicolo Dotti. Mi ha anche divertito come Ervas tramuta gli insuccessi della polizia in oggetto di scommessa dei buontemponi trevigiani radunati a bere ombre in osteria. Nonché, e non è poco per me, un ricordo di paesaggi italiani, anche questi da rivedere si spera tra poco: Treviso, Mestre, ed ovviamente Venezia.

Ervas è sempre efficace nello stendere una fotografia della nostra Italia da una prospettiva diversa, ma forse non per questo meno vera, meno rispondente alla realtà. Poi, come detto, si leggerà anche il resto della sua produzione, avendone forse voglia se non tempo.

Roberto Centazzo “Operazione Portofino” Repubblica Passione Noir 25 euro 7,90

[A: 01/12/2018 – I: 15/02/2022 – T: 16/02/2022] && -- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233; anno: 2017]

Non è che sia personalmente un grande fan di Centazzo, ma Repubblica, nelle sue serie su polizieschi e dintorni, continua a riproporlo. Ed allora io continuo a leggerlo.

Qui siamo alla seconda puntata del suo seriale “noironico”, mio neologismo ad indicare un noir che tenta di fare ironia. Infatti, come dice il sottotitolo, seguiamo le nuove avventure della “Squadra Speciale Minestrina in Brodo”. L’idea, come avevo accennato nel primo libro, è di prendere tre pensionati ex-poliziotti, che non si rassegnano a stare con le mani in mano (o di mettersi a vedere i lavori della metropolitana, se ce ne fosse a Genova), ed invece di impegnarsi in attività altre, tentano (e riescono) di inserirsi nelle pieghe delle indagini, per dare il loro apporto. Che non a caso risulta sempre decisivo. I poliziotti in servizio, legati dalle pastoie burocratiche, non portano a compimento le indagini? Ecco che i nostri, con più libertà di tempo e di spazio, ricucire le magagne e risolvere i casi. Mi sembra in ogni caso, una critica ingiusta al funzionamento investigativo italiano.

In ogni caso, abbiamo i nostri neopensionati, Ferruccio Pammattone, detto Semolino, Eugenio Mignogna, detto Kukident, e Luc Santoro, detto Maalox, che si imbarcano in una nuova impresa, il cui maggior pregio è la localizzazione, tra la Liguria, da Genova a Portofino, senza scordare la mia Varazze, e la Costa Azzurra, ricordando Antibes dai recenti trascorsi epifanici.

Per non confonderci con nomi ed altro, useremo direttamente i soprannomi dei nostri. Semolino, di costituzione forte, è aduso al mangiar troppo, dopo di che, per rimetterlo in riga, la sua compagna lo forza ad una dieta di semolino. Compagna ben più giovane di lui, di colore, e di nome Jasmina.

Kukident, vedovo con figlia da qualche parte, ha ovvi problemi di dentizione, ma è l’unico che vorrebbe fare altro. Il suo sogno è comprarsi un camion attrezzato, e girare per fiere vendendo pane e porchetta (ma non sa che noi mangiamo solo quella sorianese).

Maalox invece ha problemi digestivi, che tutto gli rema contro, in particolare la figlia, che fintamente lo induce a credere di voler sposare un marocchino, che noi capiamo subito sia una bufala. Talmente evidente che, quando Maalox cerca di vedere il bluff, capiamo subito che il trucco serve a nascondere tendenze sessuali falsamente ritenute non ortodosse.

La storia gialla in sé è risibile, e non porta particolari patemi d’animo nel suo svolgimento. I nostri vengono coinvolti nella ricerca di un bandolo ad una matassa di furti d’auto di pregio ed eventuali riciclaggio di motori rubati. Sappiamo ben presto uno dei bandoli della matassa, legato, guarda caso, ad un titolare di un salone di automobili. Dobbiamo solo capire chi altro c’è nel giro, e come avviene.

Il primo dubbio è presto sciolto: ovvio che ci sia di mezzo un carrozziere. Inoltre, dato che molti furti avvengono in Costa Azzurra, è lì che bisogna cercare e trovare il terzo uomo. detto fatto, Semolino (il più acuto dei tre) organizza un trappolone, e tutto si risolve. Facendo i nostri un passo indietro, che altrimenti la polizia ci sforma.

L’unico momento interessante sono gli spiegoni di un ladro di automobili e di un informatico specializzato su come avvengono i furti delle auto, usando “disturbatori di frequenza” ed altri meccanismi che hanno ragione degli inutili mezzi di sicurezza. E su come tracciare telefonate da cellulare, utilizzando triangolazioni, celle agganciate ed altri tracciamenti.

Tutto il resto è la storia dei nostri, dentro e fuori le indagini. Con qualche salto nel passato, per illustrarne passi di quando avevano le divise. Vite private, problemi con cani e con figlie, ed altre amenità. Con il dolente accenno, che ci sia una sorta di piccolo risentimento verso i diversi in qualche cosa. Magari è un impressione, ma Jasmina, la coloured, al massimo fa la donna di pulizie ad ore, non parla ancora bene l’italiano. Anche se quando serve per le indagini è di sicuro più sul pezzo di altri poliziotti. Lo stesso dicasi del poco rilievo verso immigrati o donne dedite alla professione più antica del mondo.

Centazzo ha comunque agio di scrivere così in modo ironico, essendo anche lui stesso Ispettore di Polizia. Per cui accettiamo questi pseudo-scivoloni come tentativi di dire altro, di dare forma diversa al pensiero. Io almeno lo credo, anche se non sempre la scrittura riesce a tramutarsi in una effettiva ironia.

“Gli scemi sono come le piume: più sono leggeri, più volano in alto.” (150) [una fulminante fotografia del mondo attuale]

Piero Colaprico “La strategia del gambero” Repubblica Passione Noir 11 euro 7,90

[A: 10/09/2018 – I: 17/03/2022 – T: 18/03/2022] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 406; anno: 2017]

Cominciamo subito entrando nel merito senza tanti giri di parole: in fondo, mi ha un po’ deluso. Colaprico ne leggevo su “La Repubblica” quando comperavo ancora quel giornale (qui si aprirebbe una parentesi diversa che non è per queste righe), e ne leggevo piacevolmente. Altrettanto gradevoli, con spunti stimolanti, anche le prime storie gialle, quando Colaprico elaborava le storie del commissario Binda, di cui parlava a ruota libera Pietro Valpreda. Storie che rimasero interessanti, anche quando alla scrittura il nostro si dedicò in solitaria.

Qui, volendo mettere troppa carne al fuoco, si toccano tanti punti, si gira, si va avanti indietro, nel crimine e nelle trame criminali, nere, mafiose o altro che siano. Ma proprio questo alla fine non dà un senso robusto alla scrittura. Anche perché non ci si riesce ad empatizzare con il personaggio principale, il famoso (famigerato) ex capitano dei Carabinieri, Corrado Genito.

L’impianto generale pensato (e descritto) da Colaprico prevede la costruzione di un complesso quadro criminale, nell’ambito di quella provincia lombarda, che il nostro conosce bene, e dell’ampia rete di infiltrazioni mafiose e collusioni varie, pane quotidiano della fotografia del luogo in tempi pre-pandemici.

Ci troviamo a Ranirate, fittizio (credo) paesino del Varesotto. Il bello ed il cattivo tempo lo fanno due famiglie d’origine calabrese, gli Spanò, gestori di spaccio e prostituzione, ed i Corallo, dediti all’usura. Il via viene dato dall’uccisione di un geometra, abbastanza corrotto, pare, ma della cui morte non sembra beneficiare nessuno. Tra l’altro, le due famiglie sono in vena di accordo, visto che si vogliono celebrare le nozze tra Leo “Kurt” Spanò e Ada Corallo.

Per mettere ordine, sbaragliare il campo dei mafiosi, insomma fare polizia, i Servizi guidati da Milo “Osso” Carannante ingaggiano il nostro Corrado. Ex-capitano, capitato in brutte acque, dai modi poco felici (in generale) e tormentato dalla morte del collega Francesco, di cui si sente (è) responsabile. L’hanno incastrato, Corrado. Ma Osso gli promette mano libera e libertà futura se riesce nell’operazione pulizia.

Quindi, Corrado si mette sul sentiero di guerra, utilizzando le armi che sa. Rete di amici, sempre ai margini tra il bianco ed il nero. Usando una strategia, che Colaprico attribuisce al gambero, ma che, a ben vedere, non è altro che mettere le due fazioni una contro l’altra, attribuendo ad ognuna delle parti delle colpe (morti, furti o altro) che è lo stesso Corrado a gestire.

E mentre monta le sue trappole, altri altari si scoperchiano. Che la morte del geometra è sempre fuori fuoco. Finché non si coinvolge la moglie, finché partendo dai fili che lei gli suggerisce, escono fuori altri intrecci. Esce fuori un politico potente, con delle idee sue e di suoi amici, su Ranirate e dintorni. Escono fuori anche i Servizi, laddove Osso, che mai pulito sembra, forse è ancora meno pulito.

Troppi fili scoperchia Corrado, che alla fine rischia (o riesce?) a bruciarsi anche lui. La capacità, questa sì derivante dal suo buon giornalismo, di Colaprico è, tenendo sempre alta la barra di navigazione di Corrado, mettere sotto l’occhio della sua prosa i vari elementi del puzzle. Un po’ sui malviventi venuti dal Sud (ma solo per motivi geografici, senza giudizi di sorta). Un po’ sulla cerchia che attornia Corrado. Un po’ sui politici che hanno usato mezzi e mazzetti per collocarsi in alto. Un po’ sui Servizi, che si sentono sempre sopra ed oltre la legge, ma che, dal ’69 in poi, hanno spesso fatto altro che il bene del Paese.

Se il discorso parte piano, e bene, nella prima parte, il voler dire tanto e su tutto, nelle ultime due sezioni, ingarbuglia il discorso. Così, una narrazione che poteva essere agile, si perde in molti rivoli per descrivere cattiverie, per disegnare complessi piani, per i cattivi e per i buoni. Che ci si domanda se esistono. Tra tutti colpevoli quindi nessun colpevole, ed un’onesta verità, ci dovrebbe essere un modo per salvare qualcuno. E qualcuno si salva, ma non vi dico chi né come.

“Se vuoi andare veloce, vai da solo, se vuoi arrivare, trovati degli amici.” (96)

Alessandro Perissinotto “L’ultima notte bianca” Repubblica Passione Noir 30 euro 7,90

[A: 07/01/2019 – I: 27/03/2022 – T: 28/03/2022] &&+ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 238; anno: 2007]

Se i miei appunti non mentono, credo che il primo libro che lessi di Perissinotto risalga al 2009. Ed era anche lì, come questa, una storia della psicologa Anna Pavesi. In mezzo, le tre letture dei “gialli storici” dello scrittore torinese. Gialli che ho ben gradito e ben descritto a suo tempo, e credo siano il meglio della sua produzione.

Oltre a quelli, ed alle storie della Pavesi, l’autore ha scritto altro, magari anche premiato, ma non ne ho avuto ritorni personali interessanti. Dove devo confessare che anche questo libro, pur con delle punte di interesse, ed a volte di divertimento, non mi ha entusiasmato. Forse anche per il clima che n viene descritto, ormai perduto nella memoria, e relativo alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006.

Sebbene abbia anche gradito il primo libro della trilogia di Anna (“Una piccola storia ignobile”), questo secondo episodio è meno riuscito, anche se, come detto, con alcuni spunti. Il primo libro, forte anche degli incarichi universitari dell’autore, ci rimandava un’interessante Bergamo, quasi invogliando una visita. Qui, tornato all’Alma Mater di sociologia in quel di Torino, è proprio della città natale che si narra, ed il filo narrativo, come da suo retroterra, lavora sul doppio (o triplo) filone: il contrasto cittadino tra l’opulenza olimpica e la miseria delle periferie, la psicologia e la povera vita degli emarginati, nonché (seppur non riuscitissima) la trama “noir”.

Intanto ritroviamo Anna Pavesi, la psicologa fuggita da Torino dopo i fallimenti matrimoniali, che viene ingaggiata da una sua vecchia sodale torinese per la ricerca di una persona scomparsa. Germana è un’operatrice sociale, che si adopera, con la struttura cooperativa cui appartiene, per cercare di alleviare e, forse, di tirar fuori dalla palude, emarginati e drogati. Germana misteriosamente scompare, ed Anna fatica a trovarne traccia.

Nulla sa la (presunta) amica Maddalena, per un certo periodo nodo delle ricerche, che però dalla metà del libro in poi si perde tra le pieghe della trama. Nulla sa Piera la responsabile della cooperativa. Qualcosa forse sa Andrea, amico di Germana, reticente nel suo parlare. Più di qualcosa sa Elsi, una svizzera che dorme dove capita con i suoi tre cani. Centra forse la sua amica Kathrina, invischiata in un rapporto mortifero con il drogato-pusher Franco. Centra di sicuro Franco che viene trovato morto lo stesso giorno della scomparsa. Ma la ricerca di Germana, che verrà trovata, alla fine, e di cui verrà spiegata la storia della scomparsa e della fuga, serve più che altro da sfondo agli altri due filoni del racconto.

Quello più in prima luce, è la descrizione del mondo degli emarginati, dei drogati, della prostituzione, che lo sfavillio olimpico cerca di nascondere, ma che è ben presente, allora come ora. È facile per l’autore parlarcene, con tutti gli orrori che ne conseguono: donne che si vendono per una dose, drogati ammalianti che regalano le prime spade per irretire i malcapitati in una rete da cui si esce solo con i piedi in avanti. Mentre Anna, cercando Germana, gira per questo sottobosco, lei stessa deve attraversare il bagliore olimpico, le “Medal Cerimonies”, il caffè con il cioccolato, i lungopò (che strano vederli scritti, noi abituati ai lungotevere…), i parchi.

Facendo i suoi giri e le sue ricerche, Anna incontra donne perdute, come Jennifer, prostituta, drogata, massacrata di botte dal suo cosiddetto protettore. O come la stessa Elsi, una specie di punkabestia colta e ripulita, che rifiuta società e benessere, preferendo dedicarsi a letture rubate, ed ai suoi cani. Anche il mondo che gira di notte intorno al camper della cooperativa, che cerca dosi di metadone, o siringhe pulite o preservativi efficaci, è ben descritto.

Per non farci mancare anche qualche lato umano, c’è l’incontro di Anna con l’ex-marito e la sua nuova compagna, ci sono le telefonate di Anna con il suo nuovo amore bergamasco (che però è sposato con figlio). C’è infine, e questo ben lo ricordo nei miei studi con la carissima Maria Luisa, il burnout, lo stress cronico associato al contesto lavorativo, quando, non riuscendo a gestirlo, la gente prende strade, forse, senza uscite: depressioni, isolamenti, scelte sbagliate.

Un discorso che Perissinotto tocca, che forse vorrebbe più centrale al romanzo, ma che non esce bene dalle pieghe della trama. Quali sono le scelte non dico corrette, ma meno dannose, da fare in momenti di incapacità di reazione? Questa la domanda che dovrebbe venire fuori, ed a cui Germana e Anna danno la loro risposta, che non vi dico e che andrete a leggere.

Due notazioni finali. Tutta una buona parte delle storie del libro vengono etichettate come “Metodo Keyser Söze”, nome ben noto ai cinefili per essere il perno della trama del film “I soliti sospetti”. Un colpo di genio di Perissinotto, che però non vi delucido, che servirebbe ad entrare troppo dentro la trama.

Il secondo punto è il piatto che Anna mangia a casa di Piera: le rolatine. Io non ne conoscevo il nome, ma leggendo la ricetta è un piatto che ha attraversato tutta la mia infanzia, il piatto preferito da mia madre, che però chiamava “i messicani”: involtini di vitello, ripieni di prosciutto e fontina. Anche se, spesso, da noi si usavano le sottilette. Una sottile madeleine mi ha accarezzato durante la lettura.

Mariolina Venezia “Maltempo. Imma Tataranni e gli inciampi del presente” Repubblica Emozione Noir 24 euro 7,90

[A: 26/11/2019 – I: 28/05/2022 – T: 29/05/2022] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 250; anno: 2013]

Come dicevo quasi cinque anni fa, una scrittura interessante che allora pensavo di lasciar perdere, in attesa di leggere il suo libro d’esordio. Invece, come accaduto per il commissario Lobosco, come anche per Mina Settembre, il PM Immacolata Tataranni, detta Imma, ha avuto un discreto successo televisivo, per cui ho deciso di percorrerne anche le orme letterarie.

Non entro quindi nel merito dell’esposizione della scrittura di Mariolina, che rimanderemo ad altri momenti. Ci limitiamo a queste che sono servite di base per gli sceneggiati televisivi, senza tuttavia entrare nel merito se e come questi e quelli divergano o adottino soluzioni differenti. Noi stiamo sullo scritto, e di quello parliamo.

Come già nella prima puntata (“Come piante fra i sassi”) la scrittura si muove su diversi piani che si intrecciano. La vicenda personale, il privato diremmo, di Imma. La vicenda noir, laddove comunque c’è un morto, anzi, una morta. E la terra in cui ci si muove, la Basilicata, che tutti, da Imma a Mariolina, a Donata (la morta) e a Valentina (la figlia di Imma) amano dell’amore che si dà alla propria terra, a chi la abita, a chi la vive ancora come se il tempo fosse immoto.

Come, ad esempio, per le indicazioni stradali, che mi ricordano quelle dei primi tempi dell’estate a Tortoreto, e dove appunto, una vecchia dice a Imma: «Vai dove una volta stava il mulino, gira al serbatoio, oltrepassa la chiesa caduta – ecco le loro indicazioni. Come se vivessero in un paese fatto solo di ricordi».

L’azione si svolge nel 2005, quando si comincia a scoprire la Basilicata come terra di possibili sbocchi industriali. Laddove, solo l’anno prima si era cominciato il boom della regione, dopo il film di Mel Gibson, tanto che la stessa Imma riflette così: “Un tempo la Basilicata, o Lucania, la gente non sapeva nemmeno dove stesse, tranne qualcuno che aveva letto Cristo si è fermato a Eboli. C’erano voluti gli americani per scoprirla: si può dire che la regione avesse iniziato a esistere a tutti gli effetti dopo che Mel Gibson ci aveva girato La passione di Cristo.”

Ma prima c’è il personaggio Imma, con i suoi vestiti dai colori improbabili, con quelle scarpe con il tacco altissimo per sopperire ad una non certo elevata altezza. Un personaggio che deve essere duro a forza, visto che deve farsi largo in un mondo di uomini, e spesso di maschilisti senza remore. Lei, PM in quel di Matera, a lottare con la pletora di donne dell’ufficio, che non vedono di buon occhio la sua rettitudine. Come non la vede il suo capo, sempre pronto a toglierle le indagini, quando queste si avvicinano troppo a potenti, locali e nazionali. Lei con una figlia pronta alle nuove aperture sociali, con un marito a volte estraneo, a volte troppo assillante. Lei che ha una sua scivolata sentimentale verso il carabiniere Ippazio Calogiuri, anche se si ferma sempre in tempo, pur continuando a sognarlo eroticamente.

La vicenda nera che tutto lega ruota intorno a Donata Miulli, ragazza giovane, amante della sua terra, che viene trovata morta ai piedi di un viadotto. Un suicidio abbastanza probabile se non fosse che…

Se non fosse che Donata aveva cercato Imma per rivelarle alcuni imbrogli sulle trivellazioni dei petroli in Val d’Agri (scoperto nel 1987, nel territorio viene trovato il più grande giacimento terrestre europeo, e dato in concessione ad una società 2/3 ENI ed 1/3 Shell), sulla costruzione dell’oleodotto e sugli intrecci con i politici, tra cui un Onorevole candidato alla Regione. Imma, quindi, sente puzza di bruciato.

Puzza che aumenta quando Donata risulta essere stata vista in giro, dopo l’ora della morte. Puzza che aumenta quando si scopre che l’Onorevole non solo era stato per alcuni mesi amante di Donata, ma che in gioventù era stato anche l’amante della madre di Donata. Tanto che è convinto di esserne il padre (convinzione che viene dopo il periodo d’amore).

Ci si sballotta sempre tra le due possibili verità, sulla scomparsa di un registratore che contiene ammissioni morali compromettenti, sulla presenza e la scomparsa verso la Spagna di tal Maddalena Bartoli conosciuta come Lolita Tiger. Una Lolita sempre alla ricerca di soldi, e molto assomigliante a Donata.

Con l’aiuto di Calogiuri, con trasferte a Roma (dove assistiamo ad un remake del film con Audrey Hepburn), ed una puntata sino a Barcellona, Imma riesce a sbandolare una matassa che di sicuro non era verso un suicidio, ma forse neanche troppo verso una morte voluta.

La scrittura si sente piena d’amore per questa terra troppo presto abbandonata dai giovani (e verso quell’abbandono Donata lottava con tutte le sue forze), anche se il risultato finale non è completamente riuscito. Anche perché la storia noir si ingarbuglia un po’ troppo, e la sua risoluzione finale arriva un po’ smozzicato. Ma, a parte tutto, Matera ne esce bene, e se non l’avete vista ancora, sbrigatevi a farvi un tour.

Il bello di avere una routine consolidata di scrittura che si ripropone settimana dopo settimana da più di dieci anni, è che si può cambiare ogni tanto. Non la struttura, non i riferimenti, ma questo caldo luglio fa obnubilare il cervello. Quindi, niente allegati, nessuna citazione, solo un pensiero (ancora) al Portogallo fresco da poco lasciato, ed uno a possibili riposi campagnoli, che colorano di verde il nostro agosto.

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