Fulvio Ervas
“Pericolo giallo” Repubblica Passione Noir 18 euro 7,90
[A: 15/10/2018
– I: 01/10/2021 – T: 03/10/2021] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 221; anno: 2016]
Un’altra lettura veloce durante il breve ma
intenso viaggio di nozze. E sempre con al centro lo strambo ispettore Stucky. È
anche il terzo libro degli otto che Ervas dedica all’ispettore che leggo, e
stranamente, rispetto alle mie abitudini, non ne ho letto in maniera ordinata,
anche se pur sempre sequenziale. Ho letto, infatti, il terzo, il sesto e questo
che è il settimo. Letto anche in buona pace, cullato dal rumore delle onde su
di un lettino in una grande spiaggia di Ibiza. Un riposo meritato, per un libro
che migliora il gradimento verso l’autore.
Ervas, di cui prima o poi leggeremo anche
le opere non “poliziesche”, parte da un fatto di cronaca reale per costruire
una riflessione su di un pezzo d’Italia che, tramortito dalla crisi economica
(che forte era già nel 2016) viene aggredito, sbranato e riproposto su altre
vie da una consorteria criminale che mette le radici fuori dall’Italia, vuoi
nei paesi slavi, vuoi, e molto, dalla lontana Cina. Lì, appunto, dove nasce il
“pericolo giallo”.
Il fatto di cronaca è un’Audi gialla che
sfreccia a velocità elevata per la Marca Trevigiana, senza riuscire ad essere
fermata, forse mettendo a segno rapine. Solo con fatica, dopo che l’auto stessa
viene trovata bruciata, attraverso il DNA sul volante, verrà arrestato e
condannato un albanese che risultava al volante. Ma questa è cronaca.
Ervas, da questo spunto, mette su un
romanzo che si svolge su più piani. Certo, c’è l’Audi gialla che nessuno ferma.
Audi con targa svizzera, rubata alla Malpensa, che provoca incidenti, anche
mortali, e, forse, prepara rapine. Ma c’è anche una consorteria cinese che si
fonda su di una rete di bordelli con prostitute asiatiche. In questa rete cerca
di entrare il nostro ispettore Mirko Stucky, sempre affascinante, sempre
elegante con le sue scarpe a punta, sempre misteriosi come le sue origini persiane,
che spesso ritroviamo quando va a trovare lo zio Cyrus.
A questi due piani, si aggiunge il terzo
elemento di ricerca poliziesche. Che Stucky viene coinvolto dalla sua amica e
collega veneziana, Laura Bertelli, nella ricerca di un senso all’omicidio-suicidio
del suo collega Manuel e della moglie Veronica. Indagine complicata sia
dall’indole di Laura, che pende dalla parte delle donne, sia dalla presenza,
anche qui, anche a Marghera, di possibili connessioni con mafiosi cinesi.
Ovvio che i tre piani, le tre inchieste,
meritano una soluzione. Ma Ervas è troppo fine conoscitore del nostro mondo
italico (e della Marca Trevigiana) per non condurci verso una fine che non
potrà essere un finale. L’Audi verrà trovata, come nella realtà, anche se gli
scorrazzatori finiranno per andare via, forse presi, forse altrove.
In quel di Venezia, Stucky scopre il gioco
fine del cinese Wang, bel tipo di ingegnere, con una propensione al gioco (al
go in particolare) ed alle belle donne. Con l’aiuto di una delle ragazze del bordello,
lo metterà davanti alla conclusione della vicenda di Manuel e di Vittoria. Lei
si era invaghita di Wang, Manuel era decisamente borderline mentalmente,
Vittoria non voleva tornare indietro. Manuel fa la sua scelta, e Wang dovrà
comprenderla.
Anche sul fronte prostituzione, Stucky fa i
suoi passi, sventando varie situazioni, ma, e lo sappiamo, e lo vediamo, si può
chiudere qualcosa ma non fermare un fenomeno talmente vasto, che, come la
fenice, risorge dalle ceneri per prosperare in altro luogo.
Quello che resta sono i momenti marginali,
le figure di contorno, soprattutto quelle ricorrenti. Lo zio Cyrus, in primo
piano, ma anche il cane Argo (sul quale non aggiungo commenti, troppo
scontati), oppure Sandra e Veronica, le terribili sorelle di vicolo Dotti. Mi
ha anche divertito come Ervas tramuta gli insuccessi della polizia in oggetto
di scommessa dei buontemponi trevigiani radunati a bere ombre in osteria.
Nonché, e non è poco per me, un ricordo di paesaggi italiani, anche questi da
rivedere si spera tra poco: Treviso, Mestre, ed ovviamente Venezia.
Ervas è sempre efficace nello stendere una
fotografia della nostra Italia da una prospettiva diversa, ma forse non per
questo meno vera, meno rispondente alla realtà. Poi, come detto, si leggerà
anche il resto della sua produzione, avendone forse voglia se non tempo.
Roberto
Centazzo “Operazione Portofino” Repubblica Passione Noir 25 euro 7,90
[A: 01/12/2018
– I: 15/02/2022 – T: 16/02/2022] &&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 233; anno: 2017]
Non è che sia personalmente un grande fan di
Centazzo, ma Repubblica, nelle sue serie su polizieschi e dintorni, continua a riproporlo.
Ed allora io continuo a leggerlo.
Qui siamo alla seconda puntata del suo
seriale “noironico”, mio neologismo ad indicare un noir che tenta di fare
ironia. Infatti, come dice il sottotitolo, seguiamo le nuove avventure della
“Squadra Speciale Minestrina in Brodo”. L’idea, come avevo accennato nel primo
libro, è di prendere tre pensionati ex-poliziotti, che non si rassegnano a
stare con le mani in mano (o di mettersi a vedere i lavori della metropolitana,
se ce ne fosse a Genova), ed invece di impegnarsi in attività altre, tentano (e
riescono) di inserirsi nelle pieghe delle indagini, per dare il loro apporto.
Che non a caso risulta sempre decisivo. I poliziotti in servizio, legati dalle
pastoie burocratiche, non portano a compimento le indagini? Ecco che i nostri,
con più libertà di tempo e di spazio, ricucire le magagne e risolvere i casi.
Mi sembra in ogni caso, una critica ingiusta al funzionamento investigativo
italiano.
In ogni caso, abbiamo i nostri neopensionati,
Ferruccio Pammattone, detto Semolino, Eugenio Mignogna, detto Kukident, e Luc
Santoro, detto Maalox, che si imbarcano in una nuova impresa, il cui maggior pregio
è la localizzazione, tra la Liguria, da Genova a Portofino, senza scordare la
mia Varazze, e la Costa Azzurra, ricordando Antibes dai recenti trascorsi epifanici.
Per non confonderci con nomi ed altro,
useremo direttamente i soprannomi dei nostri. Semolino, di costituzione forte,
è aduso al mangiar troppo, dopo di che, per rimetterlo in riga, la sua compagna
lo forza ad una dieta di semolino. Compagna ben più giovane di lui, di colore,
e di nome Jasmina.
Kukident, vedovo con figlia da qualche parte,
ha ovvi problemi di dentizione, ma è l’unico che vorrebbe fare altro. Il suo
sogno è comprarsi un camion attrezzato, e girare per fiere vendendo pane e porchetta
(ma non sa che noi mangiamo solo quella sorianese).
Maalox invece ha problemi digestivi, che tutto
gli rema contro, in particolare la figlia, che fintamente lo induce a credere
di voler sposare un marocchino, che noi capiamo subito sia una bufala. Talmente
evidente che, quando Maalox cerca di vedere il bluff, capiamo subito che il
trucco serve a nascondere tendenze sessuali falsamente ritenute non ortodosse.
La storia gialla in sé è risibile, e non
porta particolari patemi d’animo nel suo svolgimento. I nostri vengono
coinvolti nella ricerca di un bandolo ad una matassa di furti d’auto di pregio
ed eventuali riciclaggio di motori rubati. Sappiamo ben presto uno dei bandoli
della matassa, legato, guarda caso, ad un titolare di un salone di automobili.
Dobbiamo solo capire chi altro c’è nel giro, e come avviene.
Il primo dubbio è presto sciolto: ovvio che
ci sia di mezzo un carrozziere. Inoltre, dato che molti furti avvengono in
Costa Azzurra, è lì che bisogna cercare e trovare il terzo uomo. detto fatto,
Semolino (il più acuto dei tre) organizza un trappolone, e tutto si risolve. Facendo
i nostri un passo indietro, che altrimenti la polizia ci sforma.
L’unico momento interessante sono gli
spiegoni di un ladro di automobili e di un informatico specializzato su come
avvengono i furti delle auto, usando “disturbatori di frequenza” ed altri
meccanismi che hanno ragione degli inutili mezzi di sicurezza. E su come
tracciare telefonate da cellulare, utilizzando triangolazioni, celle agganciate
ed altri tracciamenti.
Tutto il resto è la storia dei nostri, dentro
e fuori le indagini. Con qualche salto nel passato, per illustrarne passi di
quando avevano le divise. Vite private, problemi con cani e con figlie, ed
altre amenità. Con il dolente accenno, che ci sia una sorta di piccolo
risentimento verso i diversi in qualche cosa. Magari è un impressione, ma
Jasmina, la coloured, al massimo fa la donna di pulizie ad ore, non parla
ancora bene l’italiano. Anche se quando serve per le indagini è di sicuro più
sul pezzo di altri poliziotti. Lo stesso dicasi del poco rilievo verso
immigrati o donne dedite alla professione più antica del mondo.
Centazzo ha comunque agio di scrivere così in
modo ironico, essendo anche lui stesso Ispettore di Polizia. Per cui accettiamo
questi pseudo-scivoloni come tentativi di dire altro, di dare forma diversa al
pensiero. Io almeno lo credo, anche se non sempre la scrittura riesce a
tramutarsi in una effettiva ironia.
“Gli scemi sono come le piume: più sono
leggeri, più volano in alto.” (150) [una fulminante fotografia del mondo
attuale]
Piero
Colaprico “La strategia del gambero” Repubblica Passione Noir 11 euro 7,90
[A: 10/09/2018
– I: 17/03/2022 – T: 18/03/2022] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 406; anno: 2017]
Cominciamo
subito entrando nel merito senza tanti giri di parole: in fondo, mi ha un po’
deluso. Colaprico ne leggevo su “La Repubblica” quando comperavo ancora quel
giornale (qui si aprirebbe una parentesi diversa che non è per queste righe), e
ne leggevo piacevolmente. Altrettanto gradevoli, con spunti stimolanti, anche
le prime storie gialle, quando Colaprico elaborava le storie del commissario
Binda, di cui parlava a ruota libera Pietro Valpreda. Storie che rimasero
interessanti, anche quando alla scrittura il nostro si dedicò in solitaria.
Qui,
volendo mettere troppa carne al fuoco, si toccano tanti punti, si gira, si va
avanti indietro, nel crimine e nelle trame criminali, nere, mafiose o altro che
siano. Ma proprio questo alla fine non dà un senso robusto alla scrittura.
Anche perché non ci si riesce ad empatizzare con il personaggio principale, il
famoso (famigerato) ex capitano dei Carabinieri, Corrado Genito.
L’impianto
generale pensato (e descritto) da Colaprico prevede la costruzione di un
complesso quadro criminale, nell’ambito di quella provincia lombarda, che il
nostro conosce bene, e dell’ampia rete di infiltrazioni mafiose e collusioni
varie, pane quotidiano della fotografia del luogo in tempi pre-pandemici.
Ci
troviamo a Ranirate, fittizio (credo) paesino del Varesotto. Il bello ed il cattivo
tempo lo fanno due famiglie d’origine calabrese, gli Spanò, gestori di spaccio
e prostituzione, ed i Corallo, dediti all’usura. Il via viene dato
dall’uccisione di un geometra, abbastanza corrotto, pare, ma della cui morte
non sembra beneficiare nessuno. Tra l’altro, le due famiglie sono in vena di
accordo, visto che si vogliono celebrare le nozze tra Leo “Kurt” Spanò e Ada
Corallo.
Per
mettere ordine, sbaragliare il campo dei mafiosi, insomma fare polizia, i
Servizi guidati da Milo “Osso” Carannante ingaggiano il nostro Corrado.
Ex-capitano, capitato in brutte acque, dai modi poco felici (in generale) e tormentato
dalla morte del collega Francesco, di cui si sente (è) responsabile. L’hanno
incastrato, Corrado. Ma Osso gli promette mano libera e libertà futura se
riesce nell’operazione pulizia.
Quindi,
Corrado si mette sul sentiero di guerra, utilizzando le armi che sa. Rete di
amici, sempre ai margini tra il bianco ed il nero. Usando una strategia, che
Colaprico attribuisce al gambero, ma che, a ben vedere, non è altro che mettere
le due fazioni una contro l’altra, attribuendo ad ognuna delle parti delle
colpe (morti, furti o altro) che è lo stesso Corrado a gestire.
E
mentre monta le sue trappole, altri altari si scoperchiano. Che la morte del
geometra è sempre fuori fuoco. Finché non si coinvolge la moglie, finché
partendo dai fili che lei gli suggerisce, escono fuori altri intrecci. Esce
fuori un politico potente, con delle idee sue e di suoi amici, su Ranirate e
dintorni. Escono fuori anche i Servizi, laddove Osso, che mai pulito sembra,
forse è ancora meno pulito.
Troppi
fili scoperchia Corrado, che alla fine rischia (o riesce?) a bruciarsi anche
lui. La capacità, questa sì derivante dal suo buon giornalismo, di Colaprico è,
tenendo sempre alta la barra di navigazione di Corrado, mettere sotto l’occhio
della sua prosa i vari elementi del puzzle. Un po’ sui malviventi venuti dal
Sud (ma solo per motivi geografici, senza giudizi di sorta). Un po’ sulla
cerchia che attornia Corrado. Un po’ sui politici che hanno usato mezzi e
mazzetti per collocarsi in alto. Un po’ sui Servizi, che si sentono sempre
sopra ed oltre la legge, ma che, dal ’69 in poi, hanno spesso fatto altro che
il bene del Paese.
Se
il discorso parte piano, e bene, nella prima parte, il voler dire tanto e su
tutto, nelle ultime due sezioni, ingarbuglia il discorso. Così, una narrazione
che poteva essere agile, si perde in molti rivoli per descrivere cattiverie,
per disegnare complessi piani, per i cattivi e per i buoni. Che ci si domanda se
esistono. Tra tutti colpevoli quindi nessun colpevole, ed un’onesta verità, ci
dovrebbe essere un modo per salvare qualcuno. E qualcuno si salva, ma non vi
dico chi né come.
“Se
vuoi andare veloce, vai da solo, se vuoi arrivare, trovati degli amici.” (96)
Alessandro
Perissinotto “L’ultima notte bianca” Repubblica Passione Noir 30 euro 7,90
[A: 07/01/2019
– I: 27/03/2022 – T: 28/03/2022] &&+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 238; anno: 2007]
Se i miei appunti non mentono, credo che il primo
libro che lessi di Perissinotto risalga al 2009. Ed era anche lì, come questa,
una storia della psicologa Anna Pavesi. In mezzo, le tre letture dei “gialli
storici” dello scrittore torinese. Gialli che ho ben gradito e ben descritto a
suo tempo, e credo siano il meglio della sua produzione.
Oltre a quelli, ed alle storie della Pavesi,
l’autore ha scritto altro, magari anche premiato, ma non ne ho avuto ritorni
personali interessanti. Dove devo confessare che anche questo libro, pur con
delle punte di interesse, ed a volte di divertimento, non mi ha entusiasmato.
Forse anche per il clima che n viene descritto, ormai perduto nella memoria, e relativo
alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006.
Sebbene abbia anche gradito il primo libro
della trilogia di Anna (“Una piccola storia ignobile”), questo secondo episodio
è meno riuscito, anche se, come detto, con alcuni spunti. Il primo libro, forte
anche degli incarichi universitari dell’autore, ci rimandava un’interessante
Bergamo, quasi invogliando una visita. Qui, tornato all’Alma Mater di
sociologia in quel di Torino, è proprio della città natale che si narra, ed il
filo narrativo, come da suo retroterra, lavora sul doppio (o triplo) filone: il
contrasto cittadino tra l’opulenza olimpica e la miseria delle periferie, la
psicologia e la povera vita degli emarginati, nonché (seppur non riuscitissima)
la trama “noir”.
Intanto ritroviamo Anna Pavesi, la psicologa
fuggita da Torino dopo i fallimenti matrimoniali, che viene ingaggiata da una
sua vecchia sodale torinese per la ricerca di una persona scomparsa. Germana è
un’operatrice sociale, che si adopera, con la struttura cooperativa cui
appartiene, per cercare di alleviare e, forse, di tirar fuori dalla palude,
emarginati e drogati. Germana misteriosamente scompare, ed Anna fatica a
trovarne traccia.
Nulla sa la (presunta) amica Maddalena, per
un certo periodo nodo delle ricerche, che però dalla metà del libro in poi si
perde tra le pieghe della trama. Nulla sa Piera la responsabile della
cooperativa. Qualcosa forse sa Andrea, amico di Germana, reticente nel suo
parlare. Più di qualcosa sa Elsi, una svizzera che dorme dove capita con i suoi
tre cani. Centra forse la sua amica Kathrina, invischiata in un rapporto
mortifero con il drogato-pusher Franco. Centra di sicuro Franco che viene
trovato morto lo stesso giorno della scomparsa. Ma la ricerca di Germana, che
verrà trovata, alla fine, e di cui verrà spiegata la storia della scomparsa e
della fuga, serve più che altro da sfondo agli altri due filoni del racconto.
Quello più in prima luce, è la descrizione
del mondo degli emarginati, dei drogati, della prostituzione, che lo sfavillio
olimpico cerca di nascondere, ma che è ben presente, allora come ora. È facile
per l’autore parlarcene, con tutti gli orrori che ne conseguono: donne che si
vendono per una dose, drogati ammalianti che regalano le prime spade per
irretire i malcapitati in una rete da cui si esce solo con i piedi in avanti.
Mentre Anna, cercando Germana, gira per questo sottobosco, lei stessa deve
attraversare il bagliore olimpico, le “Medal Cerimonies”, il caffè con il
cioccolato, i lungopò (che strano vederli scritti, noi abituati ai
lungotevere…), i parchi.
Facendo i suoi giri e le sue ricerche, Anna
incontra donne perdute, come Jennifer, prostituta, drogata, massacrata di botte
dal suo cosiddetto protettore. O come la stessa Elsi, una specie di punkabestia
colta e ripulita, che rifiuta società e benessere, preferendo dedicarsi a
letture rubate, ed ai suoi cani. Anche il mondo che gira di notte intorno al
camper della cooperativa, che cerca dosi di metadone, o siringhe pulite o
preservativi efficaci, è ben descritto.
Per non farci mancare anche qualche lato
umano, c’è l’incontro di Anna con l’ex-marito e la sua nuova compagna, ci sono
le telefonate di Anna con il suo nuovo amore bergamasco (che però è sposato con
figlio). C’è infine, e questo ben lo ricordo nei miei studi con la carissima
Maria Luisa, il burnout, lo stress cronico associato al contesto lavorativo, quando,
non riuscendo a gestirlo, la gente prende strade, forse, senza uscite:
depressioni, isolamenti, scelte sbagliate.
Un discorso che Perissinotto tocca, che
forse vorrebbe più centrale al romanzo, ma che non esce bene dalle pieghe della
trama. Quali sono le scelte non dico corrette, ma meno dannose, da fare in
momenti di incapacità di reazione? Questa la domanda che dovrebbe venire fuori,
ed a cui Germana e Anna danno la loro risposta, che non vi dico e che andrete a
leggere.
Due notazioni finali. Tutta una buona parte
delle storie del libro vengono etichettate come “Metodo Keyser Söze”, nome ben
noto ai cinefili per essere il perno della trama del film “I soliti sospetti”.
Un colpo di genio di Perissinotto, che però non vi delucido, che servirebbe ad
entrare troppo dentro la trama.
Il secondo punto è il piatto che Anna mangia
a casa di Piera: le rolatine. Io non ne conoscevo il nome, ma leggendo la
ricetta è un piatto che ha attraversato tutta la mia infanzia, il piatto
preferito da mia madre, che però chiamava “i messicani”: involtini di vitello,
ripieni di prosciutto e fontina. Anche se, spesso, da noi si usavano le
sottilette. Una sottile madeleine mi ha accarezzato durante la lettura.
Mariolina
Venezia “Maltempo. Imma Tataranni e gli inciampi del presente” Repubblica
Emozione Noir 24 euro 7,90
[A: 26/11/2019
– I: 28/05/2022 – T: 29/05/2022] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 250; anno: 2013]
Come dicevo quasi cinque anni fa, una
scrittura interessante che allora pensavo di lasciar perdere, in attesa di
leggere il suo libro d’esordio. Invece, come accaduto per il commissario
Lobosco, come anche per Mina Settembre, il PM Immacolata Tataranni, detta Imma,
ha avuto un discreto successo televisivo, per cui ho deciso di percorrerne
anche le orme letterarie.
Non entro quindi nel merito dell’esposizione
della scrittura di Mariolina, che rimanderemo ad altri momenti. Ci limitiamo a
queste che sono servite di base per gli sceneggiati televisivi, senza tuttavia
entrare nel merito se e come questi e quelli divergano o adottino soluzioni
differenti. Noi stiamo sullo scritto, e di quello parliamo.
Come già nella prima puntata (“Come piante
fra i sassi”) la scrittura si muove su diversi piani che si intrecciano. La
vicenda personale, il privato diremmo, di Imma. La vicenda noir, laddove comunque
c’è un morto, anzi, una morta. E la terra in cui ci si muove, la Basilicata,
che tutti, da Imma a Mariolina, a Donata (la morta) e a Valentina (la figlia di
Imma) amano dell’amore che si dà alla propria terra, a chi la abita, a chi la
vive ancora come se il tempo fosse immoto.
Come, ad esempio, per le indicazioni
stradali, che mi ricordano quelle dei primi tempi dell’estate a Tortoreto, e
dove appunto, una vecchia dice a Imma: «Vai dove una volta stava il mulino,
gira al serbatoio, oltrepassa la chiesa caduta – ecco le loro indicazioni. Come
se vivessero in un paese fatto solo di ricordi».
L’azione si svolge nel 2005, quando si
comincia a scoprire la Basilicata come terra di possibili sbocchi industriali.
Laddove, solo l’anno prima si era cominciato il boom della regione, dopo il
film di Mel Gibson, tanto che la stessa Imma riflette così: “Un tempo la
Basilicata, o Lucania, la gente non sapeva nemmeno dove stesse, tranne qualcuno
che aveva letto Cristo si è fermato a Eboli. C’erano voluti gli americani per
scoprirla: si può dire che la regione avesse iniziato a esistere a tutti gli
effetti dopo che Mel Gibson ci aveva girato La passione di Cristo.”
Ma prima c’è il personaggio Imma, con i
suoi vestiti dai colori improbabili, con quelle scarpe con il tacco altissimo
per sopperire ad una non certo elevata altezza. Un personaggio che deve essere
duro a forza, visto che deve farsi largo in un mondo di uomini, e spesso di
maschilisti senza remore. Lei, PM in quel di Matera, a lottare con la pletora
di donne dell’ufficio, che non vedono di buon occhio la sua rettitudine. Come
non la vede il suo capo, sempre pronto a toglierle le indagini, quando queste
si avvicinano troppo a potenti, locali e nazionali. Lei con una figlia pronta
alle nuove aperture sociali, con un marito a volte estraneo, a volte troppo
assillante. Lei che ha una sua scivolata sentimentale verso il carabiniere
Ippazio Calogiuri, anche se si ferma sempre in tempo, pur continuando a
sognarlo eroticamente.
La vicenda nera che tutto lega ruota
intorno a Donata Miulli, ragazza giovane, amante della sua terra, che viene
trovata morta ai piedi di un viadotto. Un suicidio abbastanza probabile se non
fosse che…
Se non fosse che Donata aveva cercato Imma
per rivelarle alcuni imbrogli sulle trivellazioni dei petroli in Val d’Agri
(scoperto nel 1987, nel territorio viene trovato il più grande giacimento
terrestre europeo, e dato in concessione ad una società 2/3 ENI ed 1/3 Shell),
sulla costruzione dell’oleodotto e sugli intrecci con i politici, tra cui un
Onorevole candidato alla Regione. Imma, quindi, sente puzza di bruciato.
Puzza che aumenta quando Donata risulta
essere stata vista in giro, dopo l’ora della morte. Puzza che aumenta quando si
scopre che l’Onorevole non solo era stato per alcuni mesi amante di Donata, ma
che in gioventù era stato anche l’amante della madre di Donata. Tanto che è
convinto di esserne il padre (convinzione che viene dopo il periodo d’amore).
Ci si sballotta sempre tra le due possibili
verità, sulla scomparsa di un registratore che contiene ammissioni morali
compromettenti, sulla presenza e la scomparsa verso la Spagna di tal Maddalena
Bartoli conosciuta come Lolita Tiger. Una Lolita sempre alla ricerca di soldi,
e molto assomigliante a Donata.
Con l’aiuto di Calogiuri, con trasferte a
Roma (dove assistiamo ad un remake del film con Audrey Hepburn), ed una puntata
sino a Barcellona, Imma riesce a sbandolare una matassa che di sicuro non era
verso un suicidio, ma forse neanche troppo verso una morte voluta.
La scrittura si sente piena d’amore per
questa terra troppo presto abbandonata dai giovani (e verso quell’abbandono
Donata lottava con tutte le sue forze), anche se il risultato finale non è
completamente riuscito. Anche perché la storia noir si ingarbuglia un po’
troppo, e la sua risoluzione finale arriva un po’ smozzicato. Ma, a parte
tutto, Matera ne esce bene, e se non l’avete vista ancora, sbrigatevi a farvi
un tour.
Il bello di avere una routine consolidata di scrittura che si ripropone settimana dopo settimana da più di dieci anni, è che si può cambiare ogni tanto. Non la struttura, non i riferimenti, ma questo caldo luglio fa obnubilare il cervello. Quindi, niente allegati, nessuna citazione, solo un pensiero (ancora) al Portogallo fresco da poco lasciato, ed uno a possibili riposi campagnoli, che colorano di verde il nostro agosto.
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