domenica 3 luglio 2022

Di nuovo Simenon - 03 luglio 2022

Dopo che molto tempo addietro ho tramato i 75 romanzi di Maigret-Simenon, veniamo ora ad una selezione di quelli che il grande scrittore belga produceva per entrare nel novero della grande letteratura. Sono in genere anche dei gialli, ma dove l’attenzione dello scrittore è più portata ad analizzare i personaggi ed i loro comportamenti, quasi a tornare al pallino del commissario di tenere conto degli uomini per capire le loro azioni. Questa prima tornata passa in rassegna cinque romanzi pubblicati tra il ’32 ed il ’34, quindi nel periodo in cui Simenon era ancora alle prese con il suo editore storico, Fayard, prima di passare nella scuderia Gallimard.

Sono ancora abbastanza “acerbi”, attestandosi poco sotto una buona sufficienza, fatta eccezione del bellissimo quarto romanzo, “Il grande male”. Come nelle precedenti storie, ho messo in calce ai romanzi una sinossi dei luoghi e dei personaggi.

Georges Simenon “Il passeggero del ‘Polarlys’” Repubblica Simenon 18 euro 9,90

[A: 24/01/2020 – I: 26/01/2022 – T: 27/01/2022] - && e ½

[tit. or.: Le passager du «Polarlys»; ling. or.: francese; pagine: 158; anno 1932]

Cominciamo con questo libro, una rassegna dei libri del grande scrittore belga non appartenenti al filone “Maigret”. Una fetta di libri pubblicati da GEDI dietro licenza dell’Adelphi, che spaziano dall’inizio degli Anni Trenta sino alla metà degli Anni Sessanta.

Abbiamo già intrecciato la vita di Simenon con i 75 romanzi Maigret da lui pubblicati, ma riprendiamo qui un raccordo, tanto per fare un richiamo sulla figura dello scrittore. Simenon va verso i 27 anni, ed ha pubblicato già molte opere, utilizzando tuttavia sempre degli pseudonimi. Durante l’inverno del ’29 fa un giro verso Capo Nord su una nave della compagnia Hurtigruten, probabilmente proprio la SS Polarlys (che poi è il nome norvegese dell’aurora boreale, traducibile letteralmente come “luce polare”). Inciso: primo ho fatto anch’io un giro per i fiordi con una nave Hurtigruten, senza ricavarne un grande trastullo, e, secondo, il vapore SS Polarlys fu costruito nel 1912, con un’altezza sulla linea di galleggiamento di 63 metri, fu poi venduto alla Marina Reale norvegese nel 1952 e demolito nel 1964.

Inoltre, nel corso del 1930, dopo aver preso il brevetto di pilota marittimo, dopo aver sposato la sua prima moglie, “Tigy”, ha intrapreso un vagabondare per le acque del Nord dell’Europa sulla sua barca, l’Ostrogoth. Nel corso dell’autunno, si deve però fermare a Delfzijl, in Olanda, per delle riparazioni. Ed è lì che scrive il suo primo Maigret (ne ricordo il titolo “Pietro il lettone”).

Riparata la barca, si dirige di nuovo in Francia, e di ferma a Morsang-sur-Seine, a sud di Parigi. Sarà lì, ancorato al molo di “La Four à Chaux” sul fiume Essonne, che scriverà il suo primo romanzo “non-Maigret”, questo che stiamo commentando. Ancora insicuro della sua forza, deciderà di pubblicarlo a puntate sul quotidiano “L'Œuvre” con il titolo “Un crime à bord…” e firmandolo Georges Sim, uno dei suoi più usati nom-de-plume. Sarà solo un paio di anni dopo, ormai legato all’editore Fayard, che il testo, un po’ rivisto, uscirà in volume con il titolo attuale.

La trama è abbastanza semplice, pur nelle solite circonvoluzioni alla Simenon. Rimarcando anche alcune caratteristiche che, con il tempo, saranno proprie di Maigret: non c’è bisogno di colpire tutti, se le colpe commesse sono veniali e/o poco influenti. Per l’impianto del giallo, poi, siamo in un tipico esempio di “giallo della camera chiusa”, anche se invece che in una stanza, siamo su di una nave, dove, come si sa, non sempre è facile eclissarsi, specie in mare aperto.

La nave Polarlys lascia Amburgo in Germania diretta a Kirkenes in Norvegia, quasi al confine con l’URSS. Nella prima notte di viaggio viene assassinato il consigliere di polizia von Sternberg, imbarcatosi di nascosto ai passeggeri durante le concitate manovra di partenza. Nelle carte rinvenute in cabina, il capitano Petersen trova un articolo riguardante la morte per overdose di morfina di una giovane francese, Marie Baron, avvenuta in uno studio di artisti a Montparnasse.

Noi seguiamo la trama con gli occhi e le parole del capitano che sospetta subito che i due delitti siano collegati, e che quindi il duplice assassino sia presente a bordo. Ecco allora che, a varie riprese, Petersen analizza i diversi possibili sospetti. Cornelius Vriens, il terzo ufficiale di bordo, olandese di diciannove anni appena uscito dall'Accademia navale al suo primo imbarco; Peter Krull, avvocato decaduto ed ex-detenuto che si imbarca come aiuto fuochista; Eriksen, un viaggiatore irreperibile, presente solo tramite un bagaglio custodito in una cabina; Arnold Schuttinger, un ingegnere tedesco particolarmente sgradevole e Katia Storm, una donna giovane e molto nervosa.

Attraverso diversi momenti topici, Petersen scopre le diverse mosse del colpevole. Prima, facendo convergere i sospetti su Eriksen, fino però a scoprire che questi non è mai esistito. Poi i sospetti cadono su Vriens, quando nel suo bagaglio viene trovata una refurtiva sottratta ad un altro passeggero. Infine, sul fuochista Krull, che si eclissa durante un furioso temporale.

Giocando sul fatto che Vriens ha un debole per Katia, il capitano lo mette alle strette, e la matassa comincia a sgarbugliarsi. Vriens conosce Katia ad Amburgo, se ne innamora, e contribuisce, con lei e Arnold, all’invenzione dell’inesistente Eriksen. Arnold e Katia sono in realtà i fratelli Rudolf ed Else Silberman, ed è proprio Arnold ad aver provocato la morte di Marie. I due cercano di fuggire verso l’URSS, ma l’arrivo di von Sternberg modifica i piani. Infatti, questi è uno zio di Rudolf, che decide di eliminarlo per non essere arrestato. Tutto avrebbe potuto svolgersi in modo più tranquillo se Krull, da ex-drogato, non avesse capito l’agire di Rudolf, cominciando a ricattarlo. Ma Krull, dopo la tempesta, viene preso e confessa. Rudolf cerca di fuggire a nuoto, essendo vicini alla costa, ma muore assiderato nel tentativo.

Arrivati a Kirkenes, Petersen chiude un occhio sulla fuga di Katia-Else, colpevole solo di aver cercato di aiutare il fratello.

Siamo ancora lontani dalle trame forti sia del Maigret della maturità, sia degli altri romanzi di Simenon, che saranno pieni di altre e più mirate introspezioni. Qui, i vari caratteri sono solo abbozzati, c’è qualche buono spunto “umano” (la presa di coscienza di Vriens, ad esempio), ma il testo è fragile. Non c’è un elemento che attiri le nostre simpatie, e che Arnold-Rudolf sia il più sospettabile si capisce sin dalle prime battute.

Per concludere, oltre le particolarità sulla nave sopracitate, notiamo che Vriens si diploma a Delfzijl, sovente scalo di Simenon. Inoltre, l’anno di pubblicazione, l’editore Fayard lo candida per il Premio Renaudot. Tuttavia, poiché il Premio Goncourt di quell’anno venne dato sorprendentemente ad un quasi sconosciuto Guy Mazeline, il Renaudot venne attribuito, a scapito di Simenon, al libro chiave uscito quell’anno, cioè “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Sulla nave Polarlys seguendo l’itinerario da Amburgo alla costa norvegese, sino a Kirkenes

Petersen, capitano del Polarlys, sposato con figli, maturo d’età.

Cornelius Vriens, 19 anni, olandese, appena uscito dalla Scuola Navale, terzo ufficiale a bordo

Arnold Schuttinger, alias Rudolf Silberman, ingegnere tedesco, tossicomane

Katia Storm alias Else Silberman, sorella di Rudolf

Peter Krull, ex-avvocato, ex-detenuto, carbonaio a bordo del Polarlys

Settimane (da metà febbraio)

Inverno

 

Georges Simenon “Il fidanzamento del signor Hire” Repubblica Simenon 22 euro 9,90

[A: 21/02/2020 – I: 01/02/2022 – T: 03/02/2022] - && e ½

[tit. or.: Les Fiançailles de M. Hire; ling. or.: francese; pagine: 139; anno 1933]

Passiamo ora al terzo romanzo “non Maigret”, che Simenon scrive nei primi anni Trenta, per poi pubblicarlo nel ’33 presso l’editore delle sue prime opere in volume, Fayard. Seguendo l’andamento della sua scrittura, la redazione dovrebbe essere stata eseguita a “La Richardière” una villa di campagna sita a Marsilly nella Charente Marittima. Era una villa in cui si era istallato con la famiglia, stanco del vagabondare con la sua Ostrogoth. Probabilmente dopo l’estate, al ritorno da un lungo giro in Africa partendo dall’Egitto, attraversando il Sudan per arrivare in Congo Belga, dove risiedeva il fratello.

Seppur di base nella villa con vista sull’Atlantico, sono frequenti i suoi ritorni a Parigi, in special modo per assistere alla prima di film tratti dai suoi primi Maigret. Comunque, ormai è sicuro dei suoi mezzi, non si nasconde dietro pseudonimi vari, anche se ha lunghe discussioni con Fayard che continua a pubblicizzarlo come romanziere “polar” (termine francese per “policier noir”) mentre lui vorrebbe scrollarsi l’etichetta dalle spalle. Nasce così il dualismo, che descriverà nelle sue memorie, tra i romanzi Maigret, e gli altri che battezzerà “romans durs”.

Ovvio che sono d’accordo con il grande, che, ad esempio, questo è tutt’altro che un romanzo poliziesco. Certo, c’è la presenza di un omicidio, c’è una sorta (ma neanche tanto palese) d’inchiesta. Ma tutto è giocato sulla psicologia, sui rapporti, sulle persone, tanto che qualche critico ben addentro al mestiere sostiene che il protagonista del libro sia “l’atmosfera”.

In effetti, la trama, in sé, è abbastanza scarna. A Villejuif, nella banlieue parigina, viene trovata uccisa e derubata una prostituta. In base a labili indizi, tra cui una non veritiera accusa della portiera dello stabile in cui abita, la polizia è convinta che sia coinvolto nel crimine il signor Hire. Questi è un figlio di immigrati ebrei lituani, di nome Hirovitch, che ha cambiato il cognome una volta divenuto cittadino. Hire è un piccolo truffatore dai mille mestieri, che ha trovato un suo spazio smerciando materiale pornografico. Dopo sei mesi di prigione, si dedica a lucrose truffe postali chiedendo invii in denaro in cambio di materiale da quattro soldi. Lavoro oneroso ma dentro i labili confini della legge. Hire è un solitario, non ha molti rapporti umani, frequenta saltuariamente un bordello, una volta a settimana frequenta con successo una sala da bowling, dove si spaccia per ufficiale di polizia. È anche un timido guardone, che fa convogliare le sue occhiate sulla prosperosa commessa Alice.

Proprio guardandola dal buio della sua stanza, scopre che l’assassino è il di lei amante Émile. Ma lui si innamora di Alice, non denuncia il giovane, anzi propone ad Alice di fuggire con lui in Svizzera, avendo lui accumulato una piccola fortuna con i suoi traffici.

Hire attende “la sua fidanzata” per tutta la notte, poi deluso torna verso casa, dove la stessa Alice ha nascosta una prova per incastrarlo. Hire trova allora ad aspettarlo una folla inferocita che lo vuole giustiziare sul posto. Fugge sui tetti, scivola e resta sospeso sul tetto. Mentre un pompiere tenta di salvarlo, Hire ha un infarto e muore. Émile, liberatosi dell’unico che può incolparlo, abbandona Alice, che rimane sola e negletta. Mentre il corpo viene portato via, la gente riprende la propria vita.

Vedete che non c’è suspense, se non quella di seguire il progressivo incartarsi su sé stesso del povero signor Hire. Ma ci sono tanti spunti cari a Simenon, che lui descrive con maestria e trasporto, usando una scrittura molto ellittica, che non descrive puntualmente le cose, ma le fa affiorare per accenni e sovrapposizioni, per comportamenti.

Ad esempio, Hire non viene mai descritto, sappiamo solo che ha dei baffetti neri, ed è un po’ pingue. Lo immaginiamo, e forse lo vedeva così anche lui, un po’ come il Peter Lorre del film “M, il mostro di Düsseldorf” di Fritz Lang, uscito l’anno precedente e di sicuro visto da Simenon. Nelle righe dello scrittore vediamo la gente che si aggira per le strade e che intasa autobus e metro, vediamo la vita di un caseggiato di periferia, con i vari inquilini ed i loro piccoli e grandi problemi. C’è la descrizione della fatica della gente che lavora, il routinario lavoro delle signorine dei bordelli e di quelli che fanno bere i clienti al bar, la confusione mista a speranza delle stazioni ferroviari. C’è infine, una polizia che è ben diversa da quella di Maigret: i poliziotti bevono impunemente, cercano di mettere le mani sulla procace Alice, sono inclini a dar seguito alla falsa denuncia, usando prove vere o inventate per incastrare Hire.

Non dimentichiamoci inoltre che siamo nel ’33, e che Hire è ebreo. Tra l’altro, la scena della fuga sui tetti ripercorre un’esperienza del sedicenne Simenon, che nel ’19, nella natia Liegi assistette ad una lite che portò un uomo a fuggire sui tetti. I “rumors” della folla dicevano che fosse una spia tedesca e incitavano al linciaggio. Situazione risolta solo con l’arrivo dei pompieri.

Due ultime considerazioni. Con l’andare del testo, Hire all’inizio è trattato con freddezza da Simenon, per poi cambiare pagina dopo pagina. Non che diventi un eroe, ma la sua patetica figura diventa un capro espiatorio, che Simenon non può che guardare con occhio più benevolo. Laddove gli strali della cattiveria si riversano su Alice. Con quell’ironico rovesciamento operato nel titolo. Hire vorrebbe Alice come fidanzata, ma il fidanzamento è solo nella sua testa.

L’altra è una mia idea di connessioni. Hire che guarda Alice di qua dal vetro, mi rimanda la visione del commissario Ricciardi affacciato alla sua finestra scrutare la vita di Enrica. Di certo sono espressioni e momenti diversi, ma la scena è stranamente simile.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Villejuif, banlieue di Parigi

Mr. Hire, (nato Hirovitch), figlio di un sarto ebreo di Vilnius, celibe, senza lavoro fisso.

Alice, giovane commessa di una latteria

Émile, giovane meccanico che si accompagna ad Alice

La portiera

Alcuni giorni

Inverno

 

Georges Simenon “Le finestre di fronte” Repubblica Simenon 22 euro 9,90

[A: 15/11/2019 – I: 08/02/2022 – T: 10/02/2022] - && 

[tit. or.: Les Gens d’en face; ling. or.: francese; pagine: 154; anno 1933]

Siamo ora presenti ad uno dei primi “romanzi duri” (vedi trame precedenti) di Simenon, che non solo non appartengono a Maigret, ma che sono anche abbastanza lontani dal genere poliziesco. È un romanzo di personaggi, anche se poi sono ridotti a due: una persona ed un’atmosfera. Un romanzo che viene a valle di un lungo giro in Europa di Simenon, che portò a molti articoli giornalistici (in pubblicazione ora e con merito presso Adelphi). Perché Simenon era (anche) un grande viaggiatore, tanto che, secondo i suoi più acclarati biografi, ha visitato circa 1800 località.

Nella primavera del ’33, in un’Europa turbolenta, dopo un giro in Europa continentale (inciso: pare che a Berlino abbia casualmente incontrato Hitler in un ascensore), si imbarca in una navigazione nel Mar Nero, su battelli sovietici e italiani.

Si ferma otto giorni a Odessa (ora in Ucraina) all’Hotel London, dove concepirà la struttura di questo romanzo. Poi gira per Yalta, Sebastopoli, Sochi (ora russa), Batoum (ora in Georgia), per poi passare in Turchia (Trebisonda, poi Istanbul verso di nuovo la Francia). Non senza, l’8 giugno, in una delle ultime tappe, nell’Isola dei Principi di fronte a Istanbul, incontrare ed intervistare Trotskij (intervista poi pubblicata in “Paris Soir” la settimana seguente).

Come detto il punto di maggior riflessione lo ebbe a Odessa, dove, volendo girare per la città, gli fu assegnata una guida di nome Sonia, da parte dell’Intourist, l’agenzia che si occupava degli stranieri. Con Sonia gira e vede, focalizza, riflette. Poi nel passaggio da Batoum a Trebisonda, cioè dalla Georgia alla Turchia, definisce nei suoi appunti gli ultimi elementi del testo. La cui redazione, in ogni caso, avverrà al ritorno in Francia, nella sua tenuta de “La Richardière”, a Marsilly, di cui ho scritto nella trama precedente.

Il romanzo, tuttavia, non riesce pienamente come nelle intenzioni dell’autore. Simenon prova a rimandarci il senso della nascita di un nuovo paese, ma che si scontra con le resistenze del vecchio esistente. Non può fare a meno di sottolineare la povertà, quasi l’indigenza, del popolo, contrapposta ad una notevole agiatezza degli stranieri, e ad una nascita di elementi che, approfittando del nuovo potere che hanno in mano, cercano di trovare il loro posto, anche a scapito dei propri compaesani.

La storia in sé è abbastanza scarna. Adil Bey, turco di mezz’età, viene nominato console nella città di Batoum, vicina al confine e quindi piena di problematiche di gente che non sa se è ancora turca o già sovietica. Adil si scontra subito con gli altri stranieri altolocati, cui non entra in sintonia. Non sa una parola di russo, e si deve affidare alla sua segretaria Sonia (stesso nome della guida di Simenon a Odessa), segretaria anche del precedente console, misteriosamente morto. Non capisce, Adil, neanche la burocrazia russa, che, per ogni cosa, chiede lumi a Mosca. D’altra parte, siamo negli anni dei Piani Quinquennali, ed ogni iniziativa personale è vista con sospetto.

Tutta la parte centrale del testo, è una discesa in cui seguiamo Adil nell’incomprensione di ciò che lo circonda, nella fame che vede, nella difficoltà di trovare cibo che lo soddisfi, negli scontri ripetuti con chi dovrebbe tutelare i migranti locali. Accompagnato in queste difficoltà da Sonia, che, pur nell’aiuto, si trincera ogni volta in una lode velata al nuovo sistema. Ha dei momenti di ripresa in un’avventura con Narjil, ritenuta moglie del console persiano, ma quando questi viene espulso per traffici illeciti, si scopre che è solo una escort d’alto livello.

Rimane il rapporto con Sonia, da cui è ossessionato, anche perché lei abita nel palazzo di fronte, insieme al fratello, funzionario della Polizia Segreta (allora GPU, confluita nel ’34 nell’NKVD e nel ’46 del KGB). Questa è “La gens d’en face”, i dirimpettai del titolo originale, che in italiano poi viene riportato come “Le finestre di fronte”, trasformando luoghi in persone.

Adil guarda Sonia ed i suoi, li spia (ripercorrendo in parte il percorso di Mr. Hire del precedente romanzo), cerca di capire il loro vivere normale, mentre lui non fa che deperire e intristirsi. Qui Simenon fa un cenno anche ai liberi costumi dei nuovi sovietici. Sonia va a letto con degli amici, senza particolari remore (eppure siamo nel ’30), poi, anche se freddamente, diviene amante pure di Adil. Che tuttavia non esce dalle sue paturnie solitarie.

Né gli è di conforto l’interessata amicizia di un americano, John, funzionario di una compagnia petrolifera, da quattro anni sul posto. Uno che conosce tutti, e che, forse, è anche un agente per i russi. Quando, a fronte di una visita medica, Adil capisce che il suo malessere può essere provocato artificialmente, affronta in un redde rationem la bella Sonia.

Veniamo quindi a sapere che lei ha avvelenato con l’arsenico il precedente console, che ne aveva sfrontatamente sfruttato il corpo per i suoi piaceri. E stava facendo altrettanto con Adil, ma qualcosa l’ha frenata. Grandi discussioni (qui Simenon cade un po’ di tono), rivelazioni, pianti e riconciliazioni. Al fine Adil confessa il suo amore, Sonia cede, decidono di scappare insieme.

Adil chiede aiuto a John, ma all’appuntamento Sonia non viene, le finestre di fronte sono chiuse. Cosa è successo? Questo ve lo lascio leggere, con buona pace di chi in rete scrive anche il finale delle storie.

Certo le finestre del titolo sono un topos di Simenon: si spia, si cerca un barlume d’intimità con altri, laddove si è soli e senza capire perché, finestre che, rimanendo chiuse, segnano la sconfitta di chi cerca una ribellione laddove non c’è speranza di vittoria.

Ricorderei anche, di passaggio, che Batoum (che è citata nelle mappe come Batumi) ora è una fiorente cittadina georgiana, dalle grandi prospettive, tanto da essere soprannominata la “Las Vegas del Mar Nero”, piena di spiagge, hotel di lusso e casinò.

Finisco ricordando che è uno degli ultimi scritti pubblicati da Simenon con l’editore Fayard, visto che nell’ottobre del ’33 comincerà la fruttuosa collaborazione con Gallimard. Inoltre, fatto abbastanza atipica, la prima edizione esce con una prefazione di Simenon, dove spiega alcuni elementi per la comprensione (storica) del testo. Finendo con una bellissima frase: “il tutto è vero e ogni dettaglio è falso”.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Batum, città dell’URSS sul Mar Nero, ora in Georgia

Adil Bey, console turco

Sonia, segretaria del console

Narjil, presunta moglie del console persiano

John, uomo d’affari americano

Alcuni mesi

Nel 1930

 

Georges Simenon “Il grande male” Repubblica Simenon 17 euro 9,90

[A: 22/01/2020 – I: 14/02/2022 – T: 15/02/2022] - &&&&

[tit. or.: Le haut mal; ling. or.: francese; pagine: 153; anno 1933]

Siamo ancora nel ’33, un anno importante per Georges Simenon: la diffusione della produzione Maigret stava diventando importante e l’uscita di un buon numero di “romanzi duri” aveva cominciato a far ripensare alla critica sulle reali qualità letterarie dell’autore. Si cominciano a palesare le sue doti narrative, le precise ambientazioni, la psicologia dei personaggi. I critici sono ancora dubbiosi sulla velocità di scrittura (dall’equazione scrivi in fretta à scrivi male). Velocità dovuta, benché ancora trentenne, all’apprendistato nei romanzi popolari, dove scrivere in fretta significa produrre di più, quindi guadagnare di più. Ma ancor di più, la velocità è dovuta all’immersione totale di Simenon quando si pone alla macchina da scrivere.

Come detto, aveva l’anno precedente acquistato una fattoria, “La Richardière”, ubicata a Marsilly, nei dintorni di La Rochelle. È lì che, dopo i viaggi e i reportage in giro per il mondo, si riposa con la famiglia, cioè con la moglie Tigy che si dedica alla pittura e Boule continua a fare la cuoca, amante, tuttofare. Lui, prendendo a spunto tutto quello che lo contorna, scrive una serie di romanzi, i primi, tra cui questo, con Fayard, per poi passare finalmente con Gallimard.

Nella fattoria “Pré-aux-Boeufs” (cioè “Pascolo per il bestiame”), gestita dall’incapace Jean e da sua moglie Gilberte, il primo, sofferente d’epilessia, muore cadendo dal lucernario. Non è però una morte naturale, che a spingerlo di sotto è l’avida suocera Germaine Pontreau. In questo modo, la famiglia Pontreau eredita metà della fattoria, e, vedendola, rimette in sesto le sue dissestate finanze. Il gesto è tuttavia stato visto dalla fantesca Madame Naquet, che ne parla ad uno sbandato nullafacente.

Questi, messo alle strette, la denuncia, ma non ci sono prove, e Germaine ha facilmente l’agio di provare le menzogne del malcapitato. Tuttavia, la notizia compare sui giornali. Gilberte, che non si era mai ripresa dalla morte del marito, si suicida. Geneviève, la figlia cadetta, sconvolta, decide di fuggire con il suo fidanzato, con il quale si rifugia in Gabon. Hermine, la primogenita, che aveva tentato più volte di sottrarsi alle grinfie materne, rimane confinata con la madre, subendo l’ostilità del paese. E Madame Naquet, invece di denunciarla, si fa inserire nel ménage familiare, trovando il suo spazio nella cupa vecchiaia di casa Pontreau.

Tutto si svolge lì, nei dintorni di La Rochelle, con l’affastellarsi di notizie, cambi di prospettive, piccoli movimenti di camera, quasi fosse un film. Di cui scopriamo le battute finali quando Viève, dopo sei-sette anni, torna in Francia, con la famiglia, il marito e due figli, e vede, di lontano andare in chiesa la sorella, curva nella sua solitudine, scortata dalle due donne in nero.

È veramente un romanzo ben congeniato, con pochi tratti di penna, Simenon ci presenta tutti i personaggi della tragedia. I buoni e i cattivi. La vedova Pontreau, supponente, acida, ma lucidissima. Hermine debole ed inconcludente. Viève forte della sua giovinezza ribelle, pur se poco propositiva, ma salvata dall’amore e dalla piccola audacia del fidanzato, che si licenzia dalla banca e trova un posto molto remunerativo in Gabon. Madame Naquet, di poco intelletto, ma che riesce nel suo obiettivo di sistemarsi, pur aggirandosi a mo’ di folle per il paese.

Ma anche gli altri ben riescono dalle pagine ad installarsi nella cartolina paesana che viene disegnata. Il padre del morto, chiuso nel suo rancore, che aspetta la giustizia divina, ubriacandosi da svenire nella locale osteria. Léon, l’oste, che tutto guarda, e segna i debiti sulla sua lavagnetta. Il dottore che certifica le morti e le malattie, e discute gli avvenimenti con il giudice mandamentale. Lo sbandato Gerard che cerca di uscire dall’anonima vita di malandrino di piccola tacca, ma finirà solo all’ospedale. Le messe domenicali, i funerali, la corriera per la grande città. Un microcosmo che Simenon, come detto, ci presenta con grande abilità letteraria. Ricostruiamo la storia, anche se, senza avvertirci, lo scrittore salta avanti e indietro nel tempo e nelle descrizioni. Il trentenne autore si sta facendo le ossa.

Due piccoli commenti personali. “Le haut mal” del titolo (che in italiano viene tradotto come “Il grande male”) forse sarebbe stato il caso di specificare che, negli anni Trenta, con quel termine veniva indicata l’epilessia. Altrimenti ci si aspetta per tutto il testo che questo grande male venga fuori, mentre l’epilessia si presenta e si esaurisce nel primo capitolo. Tutto il resto ne è conseguenza.

Il secondo un piccolo gioco fonetico di Simenon nella contrapposizione tra la vedova Pontreau (foneticamente “veev”) e la figlia più giovane (foneticamente “vieev”). Io sono strano, ma mi ha divertito.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

“Pré-aux-Boeufs” fattoria tra Esnandes e La Pallice, dintorni di La Rochelle

Germaine Pontreau, 50 anni, vedova, senza professione, tre figlie

Hermine Pontreau, primogenita, 30 anni, celibe

Gilberte Pontreau, secondogenita, 25 anni, moglie di Jean Nalliers

Geneviève Pontreau, detta Viève, la cadetta, 18 anni, nubile, lavora a La Rochelle

Jean Nalliers, fattore, genero dei Pontreau, 28 anni

Madame Naquet, donna delle pulizie, 60 anni

Alcuni mesi e poi anni

Inizio anni Trenta

 

Georges Simenon “Il pensionante” Repubblica Simenon 34 euro 9,90

[A: 19/05/2020 – I: 25/03/2022 – T: 27/03/2022] - &&

[tit. or.: Le locataire; ling. or.: francese; pagine: 168; anno 1934]

Siamo ancora, per quanto riguarda la scrittura, nella seconda parte del 1933. E Simenon, dopo il gran tour europeo, sta ancora riposandosi nella bella villa di La Richardiére, nei sobborghi di La Rochelle. Ha avuto delusioni, quest’anno. I suoi tentativi di giornalismo d’inchiesta hanno poco successo, e meglio vanno invece i reportage d’ambiente e di viaggio. Inoltre, comincia a sviluppare un astio sotterrane per Maigret, che reputa ancora troppo vicino alla letteratura popolare, lui che aspira ad essere considerato uno scrittore a tutto tondo.

Così, dopo i due precedenti, si impegna nella scrittura di questo “inquilino”, che sarà il primo volume ad uscire dal suo nuovo editore. Infatti, in ottobre firma un contratto per Gallimard, ben più redditizio di quello con Fayard. Per il vecchio editore scriverà ancora qualcosa, ed in particolare un Maigret che, nelle sue intenzioni, dove essere l’ultimo del commissario (per chi avesse perduto il conto, quel romanzo era il diciannovesimo della serie che arriverà fino a … settantacinque romanzi).

Nella linea dei cosiddetti “romanzi duri”, quello che interessa Simenon non è l’intreccio giallo, pur presente e scatenante l’intreccio, ma la psicologia dei personaggi, il loro muoversi nel mondo, di rapportarsi tra loro. Tant’è che tutta la parte centrale è dedicata alla ricerca di entrare, il più possibile, nei panni di Élie, di Sylvie e della signora Baron.

Intanto, notiamo l’atmosfera generale. Simenon sta nella sua villa al sole dell’Atlantico, e ci scrive dei posti della sua giovinezza, tristi come lo erano sempre stati. Una Bruxelles opaca, dove seguiamo i protagonisti per le vie del centro, anche se non si entra mai nella Grand Place. E poi Charleroi, fredda città mineraria, intorpidita dalla neve e dal ghiaccio (a lungo, l’autore tiene a ricordare che il termometro va sottozero).

Il personaggio centrale è per l’appunto Élie, un turco d’ascendenza portoghese, proveniente da una famiglia un tempo agiata, poi andata perdendo soldi e potere. Ad Istambul, vivono ancora la madre ed una sorella. Nelle note di colore, Simenon fa ricordare al giovane le estati sull’isola di Prinkipo, quella dell’intervista sua a Trotskij.

Ora il giovane si deve arrangiare, investe in una partita di tappeti, che dovrebbe smerciare nella strada tra la Turchia ed il Nord. Ma l’impresa fallisce, anche se sulla strada lui incontra la bella Sylvie, escort di medio lusso, con la quale si accompagna sino a Bruxelles. Dove, finiti i soldi, deve pensare a trovare il modo di sbarcare il lunario.

I due adocchiano un ricco olandese. Ed ecco che Élie lo segue sul treno per Parigi, lo uccide con una chiave inglese, lo deruba di un be po’ di soldi e prende un nuovo treno per tornare in Belgio. Tutto semplice, tutto facile. Peccato che Élie si ammali, e cominci a non esser più lucido. Così Sylvie lo convince ad andare a Charleroi, presso la pensione gestita dalla madre di lei, la signora Baron. Per nascondersi e far perdere le tracce.

Da qui, il romanzo cambia tono. Si perdono le insidie del giallo e si passa al registro descrittivo, ai personaggi. Ad Élie che nella pensione Baron cerca di ritrovare il calore materno, abbandonandosi a ricordi ed a narrazioni sulla sua giovinezza, sulle sue avventure, sui tempi passati. Lui dimentica, e Simenon gli dà manforte, di essere un assassino ricercato dalla polizia. Alla signora Baron che accudisce Élie malato, e lo trova di certo più interessante dei suoi scalcagnati studenti a pensione.

La capacità di Simenon qui è di farci entrare in questo nuovo registro: la routine quotidiana della pensione, con le coalizioni, i pranzi, le cene, povere per gli studenti e ricche per Élie che paga con i soldi rubati. Vediamo al solito, attraverso le parole dell’autore, una scena che sembra più una sceneggiatura. Sentiamo il fischio del bollitore, sentiamo l’orologio che batte il suo tempo sopra la mensola del caminetto. I pasti, con il rumore dei coltelli e dei bicchieri.

C’è il signor Baron, spesso assente per lavoro, ma che, quando c’è troneggia sulla sua sedia di vimini. C’è lo studente ebreo povero, che non ha i soldi per il carbone e studia in cappotto. C’è il polacco un po’ con la puzza sotto il naso. C’è il rumeno che spende i pochi soldi che ha in donne ed avventure, ed è sempre alla ricerca di altro denaro. C’è Antoinette, la piccola Baron, che fa i piccoli mestieri, e che Élie sembra quasi concupire. Anche perché, nessuno sa che Élie è stato mandato lì da Sylvie.

Mentre tutto si srotola come se fosse una descrizione di uno spaccato del mondo operaio belga, il cerchio intorno all’assassino comincia a stringersi. Se ne legge sui giornali locali, con il timore, per Élie, di poter essere condannato a morte, visto che il delitto è stato commesso in Francia. Sylvie cerca di scuoterlo, di avvertirlo. Ma è come se Élie trovasse nel rifugio di casa Baron una promessa di accudimento che non trova altrove.

Anche le donne della famiglia, pur una volta saputa la verità, sembrano scindere quanto ha fatto Élie, da quello che Élie ora è nella loro casa, nella loro vita.

Un tocco di “psicologismo freudiano” si consente alla fine Simenon. Élie viene arrestato, condannato alla deportazione. Sul molo di La Rochelle dove si imbarcherà insieme ad altri detenuti per “l’isola del diavolo”, nella folla grande di parenti e amici, ci sono la sorella di Élie e la signora Baron. Che non riescono a salutarlo, e che torneranno verso Parigi e verso i loro mondi, sullo stesso treno, senza sapere l’una dell’altra.

Le vite che hanno toccato Élie rimarranno distinte e distanti.

Sebbene fior di critici, ed André Gide su tutti, lo indichino come uno dei migliori libri di Simenon, a me, pur piaciuto, non lascia ricordi indimenticabili. Manca lo scatto che ci fa empatici verso Élie, o verso la signora Baron. Un bel ritratto psicologico, invero, ma cui manca ancora qualcosa del Simenon maturo.

Due notazioni finali. L’olandese si chiama Van der Cruyssen, ed i nostri ladri assassini, per deriderlo lo chiamano, in francese, Van der Chose, che nella traduzione italiana viene chiamato Van der Coso.

Nel 1982, il regista della Nouvelle Vague francese, Pierre Granier-Deferre ne fa una trasposizione abbastanza libera, dove Élie è interpretato da Philippe Noiret e la signora Baron da Simone Signoret. Il film si intitola “L'Étoile du Nord”.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Bruxelles, Charleroi, La Rochelle

Élie Nagéar, turco d’origine portoghese, 35 anni, celibe

Van der Cruyssen, finanziere olandese, il morto

Sylvie Baron, entraîneuse belga, amica di Élie

Antoinette Baron, sorella di Sylvie

M. e Mme Baron, genitori delle sorelle affittacamere

Alcuni mesi

Nel 1930

 

Siamo alla prima trama di luglio, quindi passiamo in veloce rassegna i 17 libri letti in aprile, tutti di una buona media di lettura, con il primo Calvino ed uno dei romanzi “duri” di Simenon che si elevano sopra la media.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Jessica Fellowes

L’assassinio di Florence Nightingale Shore

Repubblica Noir

7,90

2

2

Georges Simenon

I Pitard

Repubblica

9,90

3

3

Katerina Diamond

Lo studente modello

Repubblica Noir

7,90

2,5

4

Georges Simenon

I clienti di Avrenos

Repubblica

9,90

2

5

Wulf Dorn

La psichiatra

Corriere Thriller

7,90

2

6

Valentina Cebeni

Una nuova vita

Sperling&Kupfer

s.p.

3

7

Georges Simenon

Le signorine di Concarneau

Repubblica

9,90

3

8

Gaetano Savatteri

Il delitto di Kolymberta

Sellerio

14

3

9

Italo Calvino

Il sentiero dei nidi di ragno

Repubblica

9,90

4

10

Georges Simenon

Il testamento Donadieu

Repubblica

9,90

4

11

Pietro De Santis

C’era una città

Armando editore

s.p.

3

12

Alberto Beretta Anguissola

Il romanzo francese dell’Ottocento

Carocci editore

s.p.

3,5

13

Gabriella Genisi

Terrarossa

Sonzogno

15

3

14

Georges Simenon

L’assassino

Repubblica

9,90

2,5

15

Veronica Raimo

Niente di vero

Einaudi

18

3

16

Tess Gerritsen

Il battito del sangue

Corriere Thriller

7,90

3

17

Giovanni Cocco & Amneris Magella

Ombre sul lago

Feltrinelli

10

3

 

Per il resto, vi introduco l’estate con una citazione di uno dei miei autori preferiti, il cileno Roberto Bolaño che nel suo “Stella distante” ci ricorda: “era come un sogno, o più esattamente, come la chiave che ci avrebbe aperto la porta dei sogni, gli unici per cui valesse la pena di vivere” (17).

Un’idea che ci porta diritti ai motivi del nostro continuare ad essere ed a fare, ora che passato è l’intermezzo portoghese. Un buon viaggio, con dei bei ricordi, di ripasso di tante gite lusitane (senza dimenticare i “pasteis de nata”). Rovinato solo da un disastroso ritorno mal gestito dalla TAP, la compagnia portoghese. Non solo ritardi, anche se generalizzati, ma soprattutto cancellazioni, che hanno costretto qualcuno a restare sul suolo di Lisbona più del lecito.

Speriamo che il resto dell’estate migliori, negli spostamenti, e massimamente nel caldo, qui a Roma talmente “forte”, che a fatica riesco a mandarvi un abbraccio. 

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