Sono ancora
abbastanza “acerbi”, attestandosi poco sotto una buona sufficienza, fatta
eccezione del bellissimo quarto romanzo, “Il grande male”. Come nelle
precedenti storie, ho messo in calce ai romanzi una sinossi dei luoghi e dei
personaggi.
Georges Simenon “Il passeggero del
‘Polarlys’” Repubblica Simenon 18 euro 9,90
[A:
24/01/2020 – I: 26/01/2022 – T: 27/01/2022] - && e
½
[tit.
or.: Le
passager du «Polarlys»;
ling. or.: francese;
pagine: 158;
anno 1932]
Cominciamo
con questo libro, una rassegna dei libri del grande scrittore belga non
appartenenti al filone “Maigret”. Una fetta di libri pubblicati da GEDI dietro
licenza dell’Adelphi, che spaziano dall’inizio degli Anni Trenta sino alla metà
degli Anni Sessanta.
Abbiamo
già intrecciato la vita di Simenon con i 75 romanzi Maigret da lui pubblicati,
ma riprendiamo qui un raccordo, tanto per fare un richiamo sulla figura dello
scrittore. Simenon va verso i 27 anni, ed ha pubblicato già molte opere,
utilizzando tuttavia sempre degli pseudonimi. Durante l’inverno del ’29 fa un
giro verso Capo Nord su una nave della compagnia Hurtigruten, probabilmente
proprio la SS Polarlys (che poi è il nome norvegese dell’aurora boreale,
traducibile letteralmente come “luce polare”). Inciso: primo ho fatto anch’io
un giro per i fiordi con una nave Hurtigruten, senza ricavarne un grande
trastullo, e, secondo, il vapore SS Polarlys fu costruito nel 1912, con
un’altezza sulla linea di galleggiamento di 63 metri, fu poi venduto alla
Marina Reale norvegese nel 1952 e demolito nel 1964.
Inoltre,
nel corso del 1930, dopo aver preso il brevetto di pilota marittimo, dopo aver
sposato la sua prima moglie, “Tigy”, ha intrapreso un vagabondare per le acque
del Nord dell’Europa sulla sua barca, l’Ostrogoth. Nel corso dell’autunno, si
deve però fermare a Delfzijl, in Olanda, per delle riparazioni.
Ed è lì che scrive il suo primo Maigret (ne ricordo il titolo “Pietro il
lettone”).
Riparata la barca, si dirige di nuovo in
Francia, e di ferma a Morsang-sur-Seine, a sud di Parigi. Sarà lì, ancorato al
molo di “La Four à Chaux” sul fiume Essonne, che scriverà il suo primo romanzo
“non-Maigret”, questo che stiamo commentando. Ancora insicuro della sua forza,
deciderà di pubblicarlo a puntate sul quotidiano “L'Œuvre” con il titolo “Un
crime à bord…” e firmandolo Georges Sim, uno dei suoi più usati nom-de-plume.
Sarà solo un paio di anni dopo, ormai legato all’editore Fayard, che il testo,
un po’ rivisto, uscirà in volume con il titolo attuale.
La trama è abbastanza semplice, pur nelle
solite circonvoluzioni alla Simenon. Rimarcando anche alcune caratteristiche
che, con il tempo, saranno proprie di Maigret: non c’è bisogno di colpire
tutti, se le colpe commesse sono veniali e/o poco influenti. Per l’impianto del
giallo, poi, siamo in un tipico esempio di “giallo della camera chiusa”, anche
se invece che in una stanza, siamo su di una nave, dove, come si sa, non sempre
è facile eclissarsi, specie in mare aperto.
La nave Polarlys lascia Amburgo in Germania
diretta a Kirkenes in Norvegia, quasi al confine con l’URSS. Nella prima notte
di viaggio viene assassinato il consigliere di polizia von Sternberg,
imbarcatosi di nascosto ai passeggeri durante le concitate manovra di partenza.
Nelle carte rinvenute in cabina, il capitano Petersen trova un articolo
riguardante la morte per overdose di morfina di una giovane francese, Marie
Baron, avvenuta in uno studio di artisti a Montparnasse.
Noi seguiamo la trama con gli occhi e le
parole del capitano che sospetta subito che i due delitti siano collegati, e
che quindi il duplice assassino sia presente a bordo. Ecco allora che, a varie
riprese, Petersen analizza i diversi possibili sospetti. Cornelius
Vriens, il terzo ufficiale di bordo, olandese di diciannove anni appena uscito
dall'Accademia navale al suo primo imbarco; Peter Krull, avvocato decaduto ed
ex-detenuto che si imbarca come aiuto fuochista; Eriksen, un viaggiatore irreperibile,
presente solo tramite un bagaglio custodito in una cabina; Arnold Schuttinger,
un ingegnere tedesco particolarmente sgradevole e Katia Storm, una donna
giovane e molto nervosa.
Attraverso diversi momenti topici, Petersen
scopre le diverse mosse del colpevole. Prima, facendo convergere i sospetti su
Eriksen, fino però a scoprire che questi non è mai esistito. Poi i sospetti
cadono su Vriens, quando nel suo bagaglio viene trovata una refurtiva sottratta
ad un altro passeggero. Infine, sul fuochista Krull, che si eclissa durante un
furioso temporale.
Giocando sul fatto che Vriens ha un debole
per Katia, il capitano lo mette alle strette, e la matassa comincia a
sgarbugliarsi. Vriens conosce Katia ad Amburgo, se ne innamora, e contribuisce,
con lei e Arnold, all’invenzione dell’inesistente Eriksen. Arnold e Katia sono
in realtà i fratelli Rudolf ed Else Silberman, ed è proprio Arnold ad aver
provocato la morte di Marie. I due cercano di fuggire verso l’URSS, ma l’arrivo
di von Sternberg modifica i piani. Infatti, questi è uno zio di Rudolf, che
decide di eliminarlo per non essere arrestato. Tutto avrebbe potuto svolgersi
in modo più tranquillo se Krull, da ex-drogato, non avesse capito l’agire di
Rudolf, cominciando a ricattarlo. Ma Krull, dopo la tempesta, viene preso e
confessa. Rudolf cerca di fuggire a nuoto, essendo vicini alla costa, ma muore
assiderato nel tentativo.
Arrivati a Kirkenes, Petersen chiude un
occhio sulla fuga di Katia-Else, colpevole solo di aver cercato di aiutare il
fratello.
Siamo ancora lontani dalle trame forti sia
del Maigret della maturità, sia degli altri romanzi di Simenon, che saranno
pieni di altre e più mirate introspezioni. Qui, i vari caratteri sono solo
abbozzati, c’è qualche buono spunto “umano” (la presa di coscienza di Vriens,
ad esempio), ma il testo è fragile. Non c’è un elemento che attiri le nostre
simpatie, e che Arnold-Rudolf sia il più sospettabile si capisce sin dalle
prime battute.
Per
concludere, oltre le particolarità sulla nave sopracitate, notiamo che Vriens
si diploma a Delfzijl, sovente scalo di Simenon. Inoltre, l’anno di
pubblicazione, l’editore Fayard lo candida per il Premio Renaudot. Tuttavia,
poiché il Premio Goncourt di quell’anno venne dato sorprendentemente ad un
quasi sconosciuto Guy Mazeline, il Renaudot venne attribuito, a scapito di
Simenon, al libro chiave uscito quell’anno, cioè “Viaggio al termine della
notte” di Louis-Ferdinand Céline.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Sulla nave Polarlys seguendo l’itinerario da
Amburgo alla costa norvegese, sino a Kirkenes |
Petersen, capitano del Polarlys, sposato con figli,
maturo d’età. |
Cornelius
Vriens, 19 anni, olandese, appena uscito dalla
Scuola Navale, terzo ufficiale a bordo Arnold
Schuttinger, alias
Rudolf Silberman, ingegnere tedesco, tossicomane Katia
Storm alias
Else Silberman, sorella di Rudolf Peter
Krull, ex-avvocato,
ex-detenuto, carbonaio a bordo del Polarlys |
Settimane (da metà febbraio) |
Inverno |
Georges Simenon “Il fidanzamento del signor
Hire” Repubblica Simenon 22 euro 9,90
[A: 21/02/2020 – I: 01/02/2022 – T: 03/02/2022] - && e ½
[tit. or.: Les Fiançailles de M. Hire; ling. or.: francese; pagine: 139; anno 1933]
Passiamo
ora al terzo romanzo “non Maigret”, che Simenon scrive nei primi anni Trenta,
per poi pubblicarlo nel ’33 presso l’editore delle sue prime opere in volume,
Fayard. Seguendo l’andamento della sua scrittura, la redazione dovrebbe essere
stata eseguita a “La Richardière” una villa di campagna sita a Marsilly nella
Charente Marittima. Era una villa in cui si era istallato con la famiglia,
stanco del vagabondare con la sua Ostrogoth. Probabilmente dopo l’estate, al
ritorno da un lungo giro in Africa partendo dall’Egitto, attraversando il Sudan
per arrivare in Congo Belga, dove risiedeva il fratello.
Seppur
di base nella villa con vista sull’Atlantico, sono frequenti i suoi ritorni a
Parigi, in special modo per assistere alla prima di film tratti dai suoi primi
Maigret. Comunque, ormai è sicuro dei suoi mezzi, non si nasconde dietro
pseudonimi vari, anche se ha lunghe discussioni con Fayard che continua a
pubblicizzarlo come romanziere “polar” (termine francese per “policier noir”)
mentre lui vorrebbe scrollarsi l’etichetta dalle spalle. Nasce così il
dualismo, che descriverà nelle sue memorie, tra i romanzi Maigret, e gli altri
che battezzerà “romans durs”.
Ovvio
che sono d’accordo con il grande, che, ad esempio, questo è tutt’altro che un
romanzo poliziesco. Certo, c’è la presenza di un omicidio, c’è una sorta (ma
neanche tanto palese) d’inchiesta. Ma tutto è giocato sulla psicologia, sui
rapporti, sulle persone, tanto che qualche critico ben addentro al mestiere
sostiene che il protagonista del libro sia “l’atmosfera”.
In
effetti, la trama, in sé, è abbastanza scarna. A Villejuif, nella banlieue
parigina, viene trovata uccisa e derubata una prostituta. In base a labili
indizi, tra cui una non veritiera accusa della portiera dello stabile in cui
abita, la polizia è convinta che sia coinvolto nel crimine il signor Hire.
Questi è un figlio di immigrati ebrei lituani, di nome Hirovitch, che ha
cambiato il cognome una volta divenuto cittadino. Hire è un piccolo truffatore
dai mille mestieri, che ha trovato un suo spazio smerciando materiale pornografico.
Dopo sei mesi di prigione, si dedica a lucrose truffe postali chiedendo invii
in denaro in cambio di materiale da quattro soldi. Lavoro oneroso ma dentro i
labili confini della legge. Hire è un solitario, non ha molti rapporti umani,
frequenta saltuariamente un bordello, una volta a settimana frequenta con
successo una sala da bowling, dove si spaccia per ufficiale di polizia. È anche
un timido guardone, che fa convogliare le sue occhiate sulla prosperosa
commessa Alice.
Proprio
guardandola dal buio della sua stanza, scopre che l’assassino è il di lei
amante Émile. Ma lui si innamora di Alice, non denuncia il giovane, anzi
propone ad Alice di fuggire con lui in Svizzera, avendo lui accumulato una
piccola fortuna con i suoi traffici.
Hire
attende “la sua fidanzata” per tutta la notte, poi deluso torna verso casa,
dove la stessa Alice ha nascosta una prova per incastrarlo. Hire trova allora
ad aspettarlo una folla inferocita che lo vuole giustiziare sul posto. Fugge
sui tetti, scivola e resta sospeso sul tetto. Mentre un pompiere tenta di
salvarlo, Hire ha un infarto e muore. Émile, liberatosi
dell’unico che può incolparlo, abbandona Alice, che rimane sola e negletta.
Mentre il corpo viene portato via, la gente riprende la propria vita.
Vedete che non c’è
suspense, se non quella di seguire il progressivo incartarsi su sé stesso del
povero signor Hire. Ma ci sono tanti spunti cari a Simenon, che lui descrive
con maestria e trasporto, usando una scrittura molto ellittica, che non
descrive puntualmente le cose, ma le fa affiorare per accenni e
sovrapposizioni, per comportamenti.
Ad esempio, Hire
non viene mai descritto, sappiamo solo che ha dei baffetti neri, ed è un po’
pingue. Lo immaginiamo, e forse lo vedeva così anche lui, un po’ come il Peter
Lorre del film “M, il mostro di Düsseldorf” di Fritz Lang, uscito l’anno
precedente e di sicuro visto da Simenon. Nelle righe dello scrittore vediamo la
gente che si aggira per le strade e che intasa autobus e metro, vediamo la vita
di un caseggiato di periferia, con i vari inquilini ed i loro piccoli e grandi
problemi. C’è la descrizione della fatica della gente che lavora, il routinario
lavoro delle signorine dei bordelli e di quelli che fanno bere i clienti al
bar, la confusione mista a speranza delle stazioni ferroviari. C’è infine, una
polizia che è ben diversa da quella di Maigret: i poliziotti bevono
impunemente, cercano di mettere le mani sulla procace Alice, sono inclini a dar
seguito alla falsa denuncia, usando prove vere o inventate per incastrare Hire.
Non
dimentichiamoci inoltre che siamo nel ’33, e che Hire è ebreo. Tra l’altro, la
scena della fuga sui tetti ripercorre un’esperienza del sedicenne Simenon, che
nel ’19, nella natia Liegi assistette ad una lite che portò un uomo a fuggire
sui tetti. I “rumors” della folla dicevano che fosse una spia tedesca e
incitavano al linciaggio. Situazione risolta solo con l’arrivo dei pompieri.
Due
ultime considerazioni. Con l’andare del testo, Hire all’inizio è trattato con
freddezza da Simenon, per poi cambiare pagina dopo pagina. Non che diventi un
eroe, ma la sua patetica figura diventa un capro espiatorio, che Simenon non
può che guardare con occhio più benevolo. Laddove gli strali della cattiveria
si riversano su Alice. Con quell’ironico rovesciamento operato nel titolo. Hire
vorrebbe Alice come fidanzata, ma il fidanzamento è solo nella sua testa.
L’altra
è una mia idea di connessioni. Hire che guarda Alice di qua dal vetro, mi
rimanda la visione del commissario Ricciardi affacciato alla sua finestra
scrutare la vita di Enrica. Di certo sono espressioni e momenti diversi, ma la
scena è stranamente simile.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Villejuif, banlieue di Parigi |
Mr.
Hire, (nato Hirovitch), figlio di un sarto
ebreo di Vilnius, celibe, senza lavoro fisso. |
Alice,
giovane commessa di una latteria Émile,
giovane meccanico che si accompagna ad
Alice La
portiera |
Alcuni giorni |
Inverno |
Georges Simenon “Le finestre di fronte” Repubblica
Simenon 22 euro 9,90
[A: 15/11/2019 – I: 08/02/2022 – T: 10/02/2022] - &&
[tit. or.: Les Gens d’en face; ling. or.: francese; pagine: 154; anno 1933]
Siamo
ora presenti ad uno dei primi “romanzi duri” (vedi trame precedenti) di
Simenon, che non solo non appartengono a Maigret, ma che sono anche abbastanza
lontani dal genere poliziesco. È un romanzo di personaggi, anche se poi sono
ridotti a due: una persona ed un’atmosfera. Un romanzo che viene a valle di un
lungo giro in Europa di Simenon, che portò a molti articoli giornalistici (in
pubblicazione ora e con merito presso Adelphi). Perché Simenon era (anche) un
grande viaggiatore, tanto che, secondo i suoi più acclarati biografi, ha
visitato circa 1800 località.
Nella
primavera del ’33, in un’Europa turbolenta, dopo un giro in Europa continentale
(inciso: pare che a Berlino abbia casualmente incontrato Hitler in un
ascensore), si imbarca in una navigazione nel Mar Nero, su battelli sovietici e
italiani.
Si
ferma otto giorni a Odessa (ora in Ucraina) all’Hotel London, dove concepirà la
struttura di questo romanzo. Poi gira per Yalta, Sebastopoli, Sochi (ora
russa), Batoum (ora in Georgia), per poi passare in Turchia (Trebisonda, poi
Istanbul verso di nuovo la Francia). Non senza, l’8 giugno, in una delle ultime
tappe, nell’Isola dei Principi di fronte a Istanbul, incontrare ed intervistare
Trotskij (intervista poi pubblicata in “Paris Soir” la settimana seguente).
Come
detto il punto di maggior riflessione lo ebbe a Odessa, dove, volendo girare
per la città, gli fu assegnata una guida di nome Sonia, da parte
dell’Intourist, l’agenzia che si occupava degli stranieri. Con Sonia gira e
vede, focalizza, riflette. Poi nel passaggio da Batoum a Trebisonda, cioè dalla
Georgia alla Turchia, definisce nei suoi appunti gli ultimi elementi del testo.
La cui redazione, in ogni caso, avverrà al ritorno in Francia, nella sua tenuta
de “La Richardière”, a Marsilly, di cui ho scritto nella trama precedente.
Il
romanzo, tuttavia, non riesce pienamente come nelle intenzioni dell’autore.
Simenon prova a rimandarci il senso della nascita di un nuovo paese, ma che si
scontra con le resistenze del vecchio esistente. Non può fare a meno di
sottolineare la povertà, quasi l’indigenza, del popolo, contrapposta ad una
notevole agiatezza degli stranieri, e ad una nascita di elementi che,
approfittando del nuovo potere che hanno in mano, cercano di trovare il loro
posto, anche a scapito dei propri compaesani.
La
storia in sé è abbastanza scarna. Adil Bey, turco di mezz’età, viene nominato
console nella città di Batoum, vicina al confine e quindi piena di
problematiche di gente che non sa se è ancora turca o già sovietica. Adil si
scontra subito con gli altri stranieri altolocati, cui non entra in sintonia.
Non sa una parola di russo, e si deve affidare alla sua segretaria Sonia
(stesso nome della guida di Simenon a Odessa), segretaria anche del precedente
console, misteriosamente morto. Non capisce, Adil, neanche la burocrazia russa,
che, per ogni cosa, chiede lumi a Mosca. D’altra parte, siamo negli anni dei
Piani Quinquennali, ed ogni iniziativa personale è vista con sospetto.
Tutta
la parte centrale del testo, è una discesa in cui seguiamo Adil
nell’incomprensione di ciò che lo circonda, nella fame che vede, nella
difficoltà di trovare cibo che lo soddisfi, negli scontri ripetuti con chi
dovrebbe tutelare i migranti locali. Accompagnato in queste difficoltà da
Sonia, che, pur nell’aiuto, si trincera ogni volta in una lode velata al nuovo
sistema. Ha dei momenti di ripresa in un’avventura con Narjil, ritenuta moglie
del console persiano, ma quando questi viene espulso per traffici illeciti, si
scopre che è solo una escort d’alto livello.
Rimane
il rapporto con Sonia, da cui è ossessionato, anche perché lei abita nel
palazzo di fronte, insieme al fratello, funzionario della Polizia Segreta
(allora GPU, confluita nel ’34 nell’NKVD e nel ’46 del KGB). Questa è “La gens
d’en face”, i dirimpettai del titolo originale, che in italiano poi viene
riportato come “Le finestre di fronte”, trasformando luoghi in persone.
Adil
guarda Sonia ed i suoi, li spia (ripercorrendo in parte il percorso di Mr. Hire
del precedente romanzo), cerca di capire il loro vivere normale, mentre lui non
fa che deperire e intristirsi. Qui Simenon fa un cenno anche ai liberi costumi
dei nuovi sovietici. Sonia va a letto con degli amici, senza particolari remore
(eppure siamo nel ’30), poi, anche se freddamente, diviene amante pure di Adil.
Che tuttavia non esce dalle sue paturnie solitarie.
Né
gli è di conforto l’interessata amicizia di un americano, John, funzionario di
una compagnia petrolifera, da quattro anni sul posto. Uno che conosce tutti, e
che, forse, è anche un agente per i russi. Quando, a fronte di una visita
medica, Adil capisce che il suo malessere può essere provocato artificialmente,
affronta in un redde rationem la bella Sonia.
Veniamo
quindi a sapere che lei ha avvelenato con l’arsenico il precedente console, che
ne aveva sfrontatamente sfruttato il corpo per i suoi piaceri. E stava facendo
altrettanto con Adil, ma qualcosa l’ha frenata. Grandi discussioni (qui Simenon
cade un po’ di tono), rivelazioni, pianti e riconciliazioni. Al fine Adil
confessa il suo amore, Sonia cede, decidono di scappare insieme.
Adil
chiede aiuto a John, ma all’appuntamento Sonia non viene, le finestre di fronte
sono chiuse. Cosa è successo? Questo ve lo lascio leggere, con buona pace di
chi in rete scrive anche il finale delle storie.
Certo
le finestre del titolo sono un topos di Simenon: si spia, si cerca un barlume
d’intimità con altri, laddove si è soli e senza capire perché, finestre che,
rimanendo chiuse, segnano la sconfitta di chi cerca una ribellione laddove non
c’è speranza di vittoria.
Ricorderei
anche, di passaggio, che Batoum (che è citata nelle mappe come Batumi) ora è
una fiorente cittadina georgiana, dalle grandi prospettive, tanto da essere
soprannominata la “Las Vegas del Mar Nero”, piena di spiagge, hotel di lusso e
casinò.
Finisco
ricordando che è uno degli ultimi scritti pubblicati da Simenon con l’editore
Fayard, visto che nell’ottobre del ’33 comincerà la fruttuosa collaborazione
con Gallimard. Inoltre, fatto abbastanza atipica, la prima edizione esce con
una prefazione di Simenon, dove spiega alcuni elementi per la comprensione
(storica) del testo. Finendo con una bellissima frase: “il tutto è vero e ogni
dettaglio è falso”.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Batum, città dell’URSS sul Mar Nero, ora in
Georgia |
Adil
Bey, console turco |
Sonia,
segretaria del
console Narjil,
presunta moglie
del console persiano John,
uomo d’affari
americano |
Alcuni mesi |
Nel 1930 |
Georges Simenon “Il grande male” Repubblica
Simenon 17 euro 9,90
[A: 22/01/2020 – I: 14/02/2022 – T: 15/02/2022] - &&&&
[tit. or.: Le haut mal; ling. or.: francese; pagine: 153; anno 1933]
Siamo
ancora nel ’33, un anno importante per Georges Simenon: la diffusione della
produzione Maigret stava diventando importante e l’uscita di un buon numero di
“romanzi duri” aveva cominciato a far ripensare alla critica sulle reali
qualità letterarie dell’autore. Si cominciano a palesare le sue doti narrative,
le precise ambientazioni, la psicologia dei personaggi. I critici sono ancora
dubbiosi sulla velocità di scrittura (dall’equazione scrivi in fretta à
scrivi male). Velocità dovuta, benché ancora trentenne, all’apprendistato nei
romanzi popolari, dove scrivere in fretta significa produrre di più, quindi
guadagnare di più. Ma ancor di più, la velocità è dovuta all’immersione totale
di Simenon quando si pone alla macchina da scrivere.
Come
detto, aveva l’anno precedente acquistato una fattoria, “La Richardière”, ubicata
a Marsilly, nei dintorni di La Rochelle. È lì che, dopo i viaggi e i reportage
in giro per il mondo, si riposa con la famiglia, cioè con la moglie Tigy che si
dedica alla pittura e Boule continua a fare la cuoca, amante, tuttofare. Lui,
prendendo a spunto tutto quello che lo contorna, scrive una serie di romanzi, i
primi, tra cui questo, con Fayard, per poi passare finalmente con Gallimard.
Nella
fattoria “Pré-aux-Boeufs” (cioè “Pascolo per il
bestiame”), gestita dall’incapace Jean e da sua moglie Gilberte, il primo,
sofferente d’epilessia, muore cadendo dal lucernario. Non è però una morte
naturale, che a spingerlo di sotto è l’avida suocera Germaine Pontreau. In
questo modo, la famiglia Pontreau eredita metà della fattoria, e, vedendola,
rimette in sesto le sue dissestate finanze. Il gesto è tuttavia stato visto
dalla fantesca Madame Naquet, che ne parla ad uno sbandato nullafacente.
Questi, messo alle strette, la denuncia, ma
non ci sono prove, e Germaine ha facilmente l’agio di provare le menzogne del
malcapitato. Tuttavia, la notizia compare sui giornali. Gilberte, che non si
era mai ripresa dalla morte del marito, si suicida. Geneviève, la figlia
cadetta, sconvolta, decide di fuggire con il suo fidanzato, con il quale si
rifugia in Gabon. Hermine, la primogenita, che aveva tentato più volte di
sottrarsi alle grinfie materne, rimane confinata con la madre, subendo
l’ostilità del paese. E Madame Naquet, invece di denunciarla, si fa inserire
nel ménage familiare, trovando il suo spazio nella cupa vecchiaia di casa
Pontreau.
Tutto si svolge lì, nei dintorni di La
Rochelle, con l’affastellarsi di notizie, cambi di prospettive, piccoli
movimenti di camera, quasi fosse un film. Di cui scopriamo le battute finali
quando Viève, dopo sei-sette anni, torna in Francia, con la famiglia, il marito
e due figli, e vede, di lontano andare in chiesa la sorella, curva nella sua
solitudine, scortata dalle due donne in nero.
È veramente un romanzo ben congeniato, con
pochi tratti di penna, Simenon ci presenta tutti i personaggi della tragedia. I
buoni e i cattivi. La vedova Pontreau, supponente, acida, ma lucidissima.
Hermine debole ed inconcludente. Viève forte della sua giovinezza ribelle, pur
se poco propositiva, ma salvata dall’amore e dalla piccola audacia del fidanzato,
che si licenzia dalla banca e trova un posto molto remunerativo in Gabon.
Madame Naquet, di poco intelletto, ma che riesce nel suo obiettivo di
sistemarsi, pur aggirandosi a mo’ di folle per il paese.
Ma anche gli altri ben riescono dalle pagine
ad installarsi nella cartolina paesana che viene disegnata. Il padre del morto,
chiuso nel suo rancore, che aspetta la giustizia divina, ubriacandosi da
svenire nella locale osteria. Léon, l’oste, che tutto guarda, e segna i debiti
sulla sua lavagnetta. Il dottore che certifica le morti e le malattie, e
discute gli avvenimenti con il giudice mandamentale. Lo sbandato Gerard che
cerca di uscire dall’anonima vita di malandrino di piccola tacca, ma finirà
solo all’ospedale. Le messe domenicali, i funerali, la corriera per la grande
città. Un microcosmo che Simenon, come detto, ci presenta con grande abilità
letteraria. Ricostruiamo la storia, anche se, senza avvertirci, lo scrittore
salta avanti e indietro nel tempo e nelle descrizioni. Il trentenne autore si
sta facendo le ossa.
Due piccoli commenti personali. “Le haut mal”
del titolo (che in italiano viene tradotto come “Il grande male”) forse sarebbe
stato il caso di specificare che, negli anni Trenta, con quel termine veniva
indicata l’epilessia. Altrimenti ci si aspetta per tutto il testo che questo
grande male venga fuori, mentre l’epilessia si presenta e si esaurisce nel
primo capitolo. Tutto il resto ne è conseguenza.
Il
secondo un piccolo gioco fonetico di Simenon nella contrapposizione tra la vedova
Pontreau (foneticamente “veev”) e la figlia più giovane (foneticamente
“vieev”). Io sono strano, ma mi ha divertito.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
“Pré-aux-Boeufs” fattoria tra Esnandes e La
Pallice, dintorni di La Rochelle |
Germaine
Pontreau, 50 anni, vedova, senza professione, tre
figlie |
Hermine
Pontreau, primogenita, 30
anni, celibe Gilberte
Pontreau, secondogenita, 25
anni, moglie di Jean Nalliers Geneviève
Pontreau, detta
Viève, la cadetta, 18
anni, nubile, lavora a La Rochelle Jean Nalliers, fattore, genero dei Pontreau, 28 anni Madame Naquet, donna delle pulizie, 60 anni |
Alcuni mesi e poi anni |
Inizio anni Trenta |
Georges Simenon “Il pensionante” Repubblica
Simenon 34 euro 9,90
[A:
19/05/2020 – I: 25/03/2022 – T: 27/03/2022] - &&
[tit.
or.: Le
locataire;
ling. or.: francese;
pagine: 168;
anno 1934]
Siamo
ancora, per quanto riguarda la scrittura, nella seconda parte del 1933. E
Simenon, dopo il gran tour europeo, sta ancora riposandosi nella bella villa di
La Richardiére, nei sobborghi di La Rochelle. Ha avuto delusioni, quest’anno. I
suoi tentativi di giornalismo d’inchiesta hanno poco successo, e meglio vanno
invece i reportage d’ambiente e di viaggio. Inoltre, comincia a sviluppare un
astio sotterrane per Maigret, che reputa ancora troppo vicino alla letteratura
popolare, lui che aspira ad essere considerato uno scrittore a tutto tondo.
Così,
dopo i due precedenti, si impegna nella scrittura di questo “inquilino”, che
sarà il primo volume ad uscire dal suo nuovo editore. Infatti, in ottobre firma
un contratto per Gallimard, ben più redditizio di quello con Fayard. Per il
vecchio editore scriverà ancora qualcosa, ed in particolare un Maigret che,
nelle sue intenzioni, dove essere l’ultimo del commissario (per chi avesse
perduto il conto, quel romanzo era il diciannovesimo della serie che arriverà
fino a … settantacinque romanzi).
Nella
linea dei cosiddetti “romanzi duri”, quello che interessa Simenon non è
l’intreccio giallo, pur presente e scatenante l’intreccio, ma la psicologia dei
personaggi, il loro muoversi nel mondo, di rapportarsi tra loro. Tant’è che
tutta la parte centrale è dedicata alla ricerca di entrare, il più possibile, nei
panni di Élie, di Sylvie e della signora Baron.
Intanto,
notiamo l’atmosfera generale. Simenon sta nella sua villa al sole
dell’Atlantico, e ci scrive dei posti della sua giovinezza, tristi come lo
erano sempre stati. Una Bruxelles opaca, dove seguiamo i protagonisti per le
vie del centro, anche se non si entra mai nella Grand Place. E poi Charleroi,
fredda città mineraria, intorpidita dalla neve e dal ghiaccio (a lungo,
l’autore tiene a ricordare che il termometro va sottozero).
Il
personaggio centrale è per l’appunto Élie, un turco d’ascendenza portoghese,
proveniente da una famiglia un tempo agiata, poi andata perdendo soldi e
potere. Ad Istambul, vivono ancora la madre ed una sorella. Nelle note di
colore, Simenon fa ricordare al giovane le estati sull’isola di Prinkipo,
quella dell’intervista sua a Trotskij.
Ora
il giovane si deve arrangiare, investe in una partita di tappeti, che dovrebbe
smerciare nella strada tra la Turchia ed il Nord. Ma l’impresa fallisce, anche
se sulla strada lui incontra la bella Sylvie, escort di medio lusso, con la
quale si accompagna sino a Bruxelles. Dove, finiti i soldi, deve pensare a
trovare il modo di sbarcare il lunario.
I
due adocchiano un ricco olandese. Ed ecco che Élie lo segue sul
treno per Parigi, lo uccide con una chiave inglese, lo deruba di un be po’ di
soldi e prende un nuovo treno per tornare in Belgio. Tutto semplice, tutto
facile. Peccato che Élie si ammali, e cominci a non esser più lucido. Così
Sylvie lo convince ad andare a Charleroi, presso la pensione gestita dalla
madre di lei, la signora Baron. Per nascondersi e far perdere le tracce.
Da qui, il romanzo
cambia tono. Si perdono le insidie del giallo e si passa al registro
descrittivo, ai personaggi. Ad Élie che nella pensione Baron cerca di ritrovare
il calore materno, abbandonandosi a ricordi ed a narrazioni sulla sua
giovinezza, sulle sue avventure, sui tempi passati. Lui dimentica, e Simenon
gli dà manforte, di essere un assassino ricercato dalla polizia. Alla signora
Baron che accudisce Élie malato, e lo trova di certo più interessante dei suoi
scalcagnati studenti a pensione.
La capacità di
Simenon qui è di farci entrare in questo nuovo registro: la routine quotidiana
della pensione, con le coalizioni, i pranzi, le cene, povere per gli studenti e
ricche per Élie che paga con i soldi rubati. Vediamo al solito, attraverso le
parole dell’autore, una scena che sembra più una sceneggiatura. Sentiamo il
fischio del bollitore, sentiamo l’orologio che batte il suo tempo sopra la
mensola del caminetto. I pasti, con il rumore dei coltelli e dei bicchieri.
C’è il signor
Baron, spesso assente per lavoro, ma che, quando c’è troneggia sulla sua sedia
di vimini. C’è lo studente ebreo povero, che non ha i soldi per il carbone e
studia in cappotto. C’è il polacco un po’ con la puzza sotto il naso. C’è il
rumeno che spende i pochi soldi che ha in donne ed avventure, ed è sempre alla
ricerca di altro denaro. C’è Antoinette, la piccola Baron, che fa i piccoli
mestieri, e che Élie sembra quasi concupire. Anche perché, nessuno sa che Élie
è stato mandato lì da Sylvie.
Mentre tutto si
srotola come se fosse una descrizione di uno spaccato del mondo operaio belga,
il cerchio intorno all’assassino comincia a stringersi. Se ne legge sui
giornali locali, con il timore, per Élie, di poter essere condannato a morte,
visto che il delitto è stato commesso in Francia. Sylvie cerca di scuoterlo, di
avvertirlo. Ma è come se Élie trovasse nel rifugio di casa Baron una promessa
di accudimento che non trova altrove.
Anche le donne
della famiglia, pur una volta saputa la verità, sembrano scindere quanto ha
fatto Élie, da quello che Élie ora è nella loro casa, nella loro vita.
Un tocco di
“psicologismo freudiano” si consente alla fine Simenon. Élie viene arrestato,
condannato alla deportazione. Sul molo di La Rochelle dove si imbarcherà insieme
ad altri detenuti per “l’isola del diavolo”, nella folla grande di parenti e
amici, ci sono la sorella di Élie e la signora Baron. Che non riescono a
salutarlo, e che torneranno verso Parigi e verso i loro mondi, sullo stesso
treno, senza sapere l’una dell’altra.
Le vite che hanno
toccato Élie rimarranno distinte e distanti.
Sebbene
fior di critici, ed André Gide su tutti, lo indichino come uno dei migliori
libri di Simenon, a me, pur piaciuto, non lascia ricordi indimenticabili. Manca
lo scatto che ci fa empatici verso Élie, o verso la
signora Baron. Un bel ritratto psicologico, invero, ma cui manca ancora
qualcosa del Simenon maturo.
Due notazioni
finali. L’olandese si chiama Van der Cruyssen, ed i nostri ladri
assassini, per deriderlo lo chiamano, in francese, Van der Chose, che nella
traduzione italiana viene chiamato Van der Coso.
Nel
1982, il regista della Nouvelle Vague francese, Pierre Granier-Deferre ne fa
una trasposizione abbastanza libera, dove Élie è interpretato
da Philippe Noiret e la signora Baron da Simone Signoret. Il film si intitola
“L'Étoile du Nord”.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Bruxelles, Charleroi, La Rochelle |
Élie Nagéar, turco d’origine portoghese, 35 anni,
celibe |
Van
der Cruyssen, finanziere
olandese, il morto Sylvie
Baron, entraîneuse belga, amica di
Élie Antoinette
Baron, sorella di Sylvie M.
e Mme Baron, genitori delle
sorelle affittacamere |
Alcuni mesi |
Nel 1930 |
Siamo
alla prima trama di luglio, quindi passiamo in veloce rassegna i 17 libri letti
in aprile, tutti di una buona media di lettura, con il primo Calvino ed uno dei
romanzi “duri” di Simenon che si elevano sopra la media.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Jessica Fellowes |
L’assassinio di Florence Nightingale Shore |
Repubblica Noir |
7,90 |
2 |
2 |
Georges Simenon |
I Pitard |
Repubblica |
9,90 |
3 |
3 |
Katerina Diamond |
Lo studente modello |
Repubblica Noir |
7,90 |
2,5 |
4 |
Georges Simenon |
I clienti di Avrenos |
Repubblica |
9,90 |
2 |
5 |
Wulf
Dorn |
La
psichiatra |
Corriere Thriller |
7,90 |
2 |
6 |
Valentina Cebeni |
Una nuova vita |
Sperling&Kupfer |
s.p. |
3 |
7 |
Georges Simenon |
Le signorine di Concarneau |
Repubblica |
9,90 |
3 |
8 |
Gaetano Savatteri |
Il delitto di Kolymberta |
Sellerio |
14 |
3 |
9 |
Italo Calvino |
Il sentiero dei nidi di ragno |
Repubblica |
9,90 |
4 |
10 |
Georges Simenon |
Il testamento Donadieu |
Repubblica |
9,90 |
4 |
11 |
Pietro De Santis |
C’era una città |
Armando editore |
s.p. |
3 |
12 |
Alberto Beretta Anguissola |
Il romanzo francese dell’Ottocento |
Carocci editore |
s.p. |
3,5 |
13 |
Gabriella Genisi |
Terrarossa |
Sonzogno |
15
|
3 |
14 |
Georges Simenon |
L’assassino |
Repubblica |
9,90 |
2,5 |
15 |
Veronica Raimo |
Niente di vero |
Einaudi |
18 |
3 |
16 |
Tess
Gerritsen |
Il
battito del sangue |
Corriere Thriller |
7,90 |
3 |
17 |
Giovanni Cocco & Amneris Magella |
Ombre sul lago |
Feltrinelli |
10 |
3 |
Per il resto, vi introduco l’estate con una
citazione di uno dei miei autori preferiti, il cileno Roberto Bolaño che nel suo “Stella
distante” ci ricorda: “era come un sogno, o più
esattamente, come la chiave che ci avrebbe aperto la porta dei sogni, gli unici
per cui valesse la pena di vivere” (17).
Un’idea
che ci porta diritti ai motivi del nostro continuare ad essere ed a fare, ora
che passato è l’intermezzo portoghese. Un buon viaggio, con dei bei ricordi, di
ripasso di tante gite lusitane (senza dimenticare i “pasteis de nata”). Rovinato
solo da un disastroso ritorno mal gestito dalla TAP, la compagnia portoghese. Non
solo ritardi, anche se generalizzati, ma soprattutto cancellazioni, che hanno
costretto qualcuno a restare sul suolo di Lisbona più del lecito.
Speriamo che il resto dell’estate migliori, negli spostamenti, e massimamente nel caldo, qui a Roma talmente “forte”, che a fatica riesco a mandarvi un abbraccio.
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