Georges
Simenon “I Pitard” Repubblica Simenon 11 euro 9,90
[A: 02/12/2019 –
I: 02/04/2022 – T: 03/04/2022] - &&& +
[tit. or.: Les Pitard; ling. or.: francese; pagine: 140; anno 1935]
Questa pur interessante collana sui “romanzi
duri” di Simenon non prevede tutti e 118 romanzi di questa tipologia. Così
dobbiamo anche fare qualche raccordo. Il precedente romanzo era stato scritto
nella magione di La Rochelle, dove videro la luce anche il romanzo “Maigret”,
ultimo pubblicato con Fayard, ed il romanzo “Les suicidés” (in italiano “La
fuga”). Dopo di che Simenon è preso da alcune inchieste giornalistiche di
scarso successo (all’epoca), così che nella primavera del ’34 si trasferisce al
sud, a Porquerolles, nell’isola scoperta da lui e dalla moglie ai tempi dello scoppio
del grande amore.
Qui, nella villa “Les Roberts” si rimette a
scrivere di buona lena, completando alcuni romanzi. Questo sarà il terzo dei 44
che usciranno per Gallimard nei 13 anni del loro rapporto. Sarà anche il primo
ad essere pubblicato con il classico look dell’editore: copertina bianca,
titolo in colore, i nomi dell'autore e dell'editore in nero.
Anche se non è ancora entrato nella cerchia
dei “grandi scrittori Gallimard”, i suoi testi circolano fra le migliori penne
francese, tant’è che questo romanzo verrà indicato come il romanzo preferito da
Louis-Ferdinand Celine.
In un certo senso, è anche un romanzo
atipico, quasi un racconto d’avventura, che molto attinge ai ricordi
dell’autore delle sue scorribande marine con la sua prima barca, l’Ostrogoth.
Tant’è che nella primissima parte c’è una discesa dalla Senna verso il mare a
Le Havre (percorso che Simenon fece spesso). Poi un paio di settimane per
raggiungere, costa, Amburgo. Quindi la grande traversata dalla Germania
all’Islanda, affrontando i pericoli invernali del Mare del Nord.
Se guardate un planisfero, avrete anche la
sensazione del grande giro che fanno il capitano Emile Lannec e la sua barca
“Fulmine di Dio” (in originale, “Tonnere-de-Dieu”, che più si avvicina alle
esclamazioni che un marinaio con anni di navigazione possa esclamare in mare).
Un elemento poi molto particolare è il
titolo. In effetti, tutto il romanzo si basa sulle avventure in mare del
comandante, e solo di riflesso, e non di colpo, ma a poco a poco, esce
dall’ombra la famiglia Pitard. Che alla fine, con la sua presenza lontana, con
quanto è, o potrebbe essere, avvenuto prima della grande navigazione, dà un
senso al titolo. Come quando si uniscono i puntini in un disegno della
Settimana Enigmistica, solo alla fine si capisce cosa si stia guardando.
La grande epopea del comandante Lannec
comincia in pompa magna: dopo anni di capitanato presso varie compagnie, ha
finalmente una nave di sua proprietà, e si appresta a fare il primo viaggio.
Avendo dovuto fare un mutuo, è dovuto ricorrere alla firma di garanzia della
suocera, la madre di sua moglie Mathilde. Madame Pitard convince allora la
figlia a seguire il marito in questo primo imbarco, per controllare la bontà
dell’investimento.
Ma tutti sanno che una donna a bordo di una
nave commerciale porta solo guai. Ed è così sin dall’inizio. Mathilde si
lamenta della sporcizia, poi della compagnia rozza dei marinai, ed altre
piccole cose, che guastano il clima cameratesco dei marinai in mare. Emile è
anche innervosito da piccoli problemi, una lettera oscura di minacce, il
comportamento poco lineare del nostromo. Ed è così che si trova presto ai ferri
corti con Mathilde, lanciandosi a vicenda strali durissimi.
Saltando verso punti salienti, la nave si
trova in rotta verso l’Islanda, quando riceve una richiesta di soccorso di un
mercantile in avaria. Emile decide di andare al salvataggio, nonostante il mare
impossibile. Si avranno scene truculente di morti in mare, di onde giganti,
tanto che Mathilde esce completamente fuori di testa. Lannec riesce a salvare
una dozzina dei trenta marinai, ma avrà ancora problemi a Reykjavík, per i
ritardi ed altre rogne commerciali.
Il dramma marino si trasforma, nelle mani di
Simenon, in un dramma psicologico, con Emile e Mathilde sempre più invischiati
nelle loro paure, così diverse, ma così drammaticamente simili. Tanta è
l’azione che Simenon riesce a stipare in così poche pagine: un fantasma che si
aggira per la nave rubando prosciutti, traversine ferroviere che sciabordano
nella stiva, una quasi collisione, una barca da pesca in balia di onde alte più
di otto metri, boe volanti per il salvataggio di marinai che cadono o saltano
in mare. Insomma, un repertorio di tutto quanto può andare di traverso. Ma
quello che Simenon ci vuol far vedere è il controluce.
Senza altri particolari, è l’ombra cattiva
di mamma Pitard che avvelena tutto il viaggio, dove alla fine, pur ribellatosi
alle brutture, Lannec si dimostra fragile, e molto più innamorato di quanto lui
stesso pensasse.
È un bell’esercizio di stile, questo. Che
prende anche per la sua semplicità, ma che colpisce per l’efficacia di Simenon.
È sempre lui, perché anche in Maigret c’è molta narrazione che si basa sulla
psicologia dei personaggi. Qui non c’è il giallo, ma c’è un bel romanzo breve.
Una piccola nota filologica, dalla lettura
di estratti originali e note maigrettiane. Nel gergo marinaro francese, il
nostromo è chiamato “bosco”. Simenon, invece, nel manoscritto sbaglia
ortografia e scrive “boscot”, che invece, colloquialmente, indica una persona
con una piccola gobba. In italiano, non c’è stato problema, che sempre nostromo
è stato utilizzato.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
A
bordo del “Fulmine di Dio”. Senna, Amburgo, Mare del Nord sino a Reykjavík |
Emile Lannec,
comandante della nave, sposato, senza figli |
Mathilde Pitard, sposa di Emile, appartenente ad una ricca famiglia
di Caen |
Un
paio di mesi |
Anni
Trenta |
Georges Simenon “I clienti di Avrenos” Repubblica
Simenon 25 euro 9,90
[A: 13/03/2020 –
I: 05/04/2022 – T: 06/04/2022] - && +
[tit. or.: Les clients
d’Avrenos; ling. or.: francese; pagine: 155; anno 1935]
Siamo ancora a metà del 1934, a
Porquerolles, l’isola tanto cara a Simenon, dove lo scrittore belga continua a
comporre tasselli della sua storia letteraria. Ovvio che, conoscendo il
personaggio, si appoggi alle cose che ha visto e vissuto, soprattutto avendo da
poco fatto quel gran giro in Europa, con una lunga puntata in Turchia. Inoltre,
ha passato mesi a scrivere articoli per i giornali, pur senza particolare
successo, quindi, gli rimane in punta di penna sia l’esotico sia la descrizione
di personaggi vicini ai suoi incontri in giro per l’Europa.
Nasce così questo romanzo, un fine esercizio
di psicologia, vista con gli occhi del protagonista, Bernard de Jonsac, ma dove
l’occhio di Simenon si appunta a lungo sull’interprete femminile, la giovane e
per alcuni versi misteriosi Nouchi.
Anche se l’azione inizia ad Ankara, il terzo
protagonista ombra è poi la città di Istanbul, dove si svolge la maggior parte
della trama, e dove ne vediamo aspetti diversi, anche inconsueti per il modo di
scrivere del tempo. Certo, Simenon sa, anche solo per averne parlato, di Pierre
Loti e dei suoi scritti stanbulioti, ma ci dà la sua visione della città.
Mentre seguiamo le storie di Bernard e dei suoi sodali, vediamo la città,
giriamo per i vicoli di Galata, entriamo nelle ville di Tarabya affacciate sul
Bosforo, passeggiamo al chiaro di luna nel cimitero di Eyup, entriamo e usciamo
dai grandi alberghi, ed in particolare dal Pera Palas, dove ricordo aveva una
stanza fissa la grande Agatha Christie.
Questa è anche la mia Istanbul, con i
traghetti verso la zona orientale, l’ayran per togliere il piccante dalle
polpette, gli affreschi di San Salvatore in Chora, il perdersi in Aghia Sofia.
Tuttavia, poiché non scriviamo di me, torniamo a Simenon.
Allora, siamo in Turchia, dove l’azione si
svolge sicuramente dopo il 1923, quando avviene la presa del potere di Mustafa
Kemal, e prima del ’35, quando Kemal divenne Ataturk, cioè il padre di tutti i
turchi. Un periodo in cui, invece, Kemal era solo soprannominato “Gazi” cioè
“il Vittorioso”. Un nome che poi scompare nelle pieghe del successo di Kemal,
ma che all’epoca era ben presente, tanto che Simenon lo usa spesso.
Vediamo i nostri protagonisti incontrarsi
nel cabaret “Le Chat Noir” di Ankara, dove Nouchi danza e usa le sue doti per
far bere i clienti. Poco gli riesce con quel tipo distinto, francese con il
monocolo, che si presenta col suo nome, Bernard de Jonsac. Nouchi pensa subito
che un nome nobiliare, unito alle entrature di Bernard nelle ambasciate, possa
fare la sua fortuna, e convince il nostro a portarla con sé ad Istanbul.
Qui, con gli occhi di Bernard, seguiamo le
vicende degli sbandati, squattrinati, finti bohemien, della città. Ci sono
nobili decaduti, artisti, ex-banchieri, giornalisti, tutti dediti all'alcool e
a fumare hascisc. Nouchi si muove leggiadra in questo ambiente, flirtando con
tutti, senza concedersi a nessuno. Mentre Bernard, attratto da lei, non si dà
pace, finendo le serate sempre con troppo raki.
La nostra banda fa tappa fissa al ristorante
di Avrenos, da cui il titolo. Bernard ogni tanto deve lavorare per
l’ambasciata, nel suo ruolo di dragomanno. Ora con questo nome venivano
indicati personaggi, ruotanti intorno ai potenti, in particolare con incarichi
di interprete, come Bernard che ben conosce il turco, tanto da meravigliare i
suoi sodali declamando poeti locali.
Grazie ad un diplomatico svedese, Bernard e
Nouchi trovano una casa. Non solo ma di nascosto si sposano, onde evitare a
Nouchi l’espulsione dal paese. Ma senza mai consumare il pegno d’amore. Un
bastone tra le ruote di questo “bel mondo”, viene quando nel loro giro si
inserisce una giovane turca di origini italiane, Leila Pastore. Che ne viene
travolta, non ha le caratteristiche dei flâneur locali, o come dice Simenon, i
drogati di “kief”. Che detto così sembra un richiamo a qualche derivato della
cannabis. In realtà, il sostantivo esatto sarebbe “keyif”, che in generale
indica gioia, e che in Turchia assume il significato di “piacevole condizione
di relax”.
Noi stiamo sempre dietro a Bernard, il cui
unico scopo sembra portarsi a letto o Leila o Nouchi, o entrambe. Ne seguiamo i
patimenti maschilisti senza però farcene partecipi. In fondo, il personaggio
meglio riuscito è proprio Nouchi, non ancora maggiorenne, ma con una idea ben
precisa in mente: fuggire per sempre dalla povertà. Farà di tutto, bordeggiando
fra i vari corteggiatori, magari cedendo qualcosa, ma riuscendo sempre ad
uscirne a testa alta. E Simenon riesce a rendercela viva e palpitante, meglio
delle altre figure di contorno.
Tra tanto esotismo, tra alcune macchie di
colore di questa fauna che, un tempo agiata, ora cerca solo la sopravvivenza,
in una Turchia in rapido cambiamento, Simenon sembra suggerirci una chiave di
lettura: è il destino che aleggia dentro ed intorno a noi. Solo guardandoci
dentro e sapendo chi siamo e cosa vogliamo, il destino non ci travolgerà. Non
lo sanno fare né Leila né Bernard. Lo fa, e bene, Nouchi.
Per inciso, negli anni ’90 in Francia ne
venne tratto un film televisivo, alla cui sceneggiatura lavorò Emmanuel
Carrère. Inoltre, a pagina 30, Simenon parla di “mezè” come di “antipasti
turchi”. In realtà, il termine indica più genericamente una serie di piccoli
piattini di consistenza varia, che possono servire da antipasto, ma anche, se
variati ed aumentati, da pasto vero e proprio. Essendo poi una caratteristica
di tutta la cucina mediorientale (ed anche greca). Io una volta, a Beirut, feci
una cena con 35 antipasti!!
Un ultimo accenno ad un episodio marginale
nell’economia del romanzo, che si svolge all’inizio in quel di Ankara. Nouchi
ed altre signorine dello “Chat Noir” vengono invitate da Kemal Gazi e dai suoi
sodali ad una notte in una villa altolocata. Simenon, per bocca di Nouchi, ce
ne fa partecipe e passa oltre. Berlusconi, sessanta anni dopo, ci ha costruito
sopra molte delle sue fortune (o almeno così si dice).
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Ankara,
Istanbul, quartiere Tarabya |
Bernard de Jonsac,
francese, dragomanno, 40 anni |
Nouchi, danzatrice ungherese, 17 anni Lelia Pastore, giovane figlia appartenente ad una ricca
famiglia turca con parenti italiani, 23 anni |
Alcuni
mesi |
Sotto
il regime di Kemal Ataturk (quindi dopo il 1923) |
Georges Simenon “Le signorine di Concarneau” Repubblica
Simenon 16 euro 9,90
[A: 22/01/2020 –
I: 10/04/2022 – T: 11/04/2022] - &&& --
[tit. or.: Les demoiselles de
Concarneau; ling. or.: francese; pagine: 137; anno 1936]
Facciamo una precisazione doverosa: l’anno
che indico è sempre quello della pubblicazione in volume del romanzo, non
quello della scrittura, né quello dell’uscita a puntate in rivista.
Intanto, il 12 dicembre del ’34 decide di
realizzare un suo sogno, il giro del mondo, che compirà in 155 giorni (sino al
15 maggio 1935) e che gli frutterà numerosi spunti sia per diversi reportage
per “Paris Soir” sia per romanzi (sei) e racconti (otto). Inizia con la
traversata da Le Havre a New York a bordo della “La Fayette”, poi verso sud,
attraversando il Canale di Panama, e fermandosi prima a Buenaventura (Colombia)
poi a Guayaquil (Ecuador) dove si ferma per indagare un misterioso dramma
avvenuto alle Galapagos. Quindi a Papeete (Tahiti) su di un mercantile, ed a
Tahiti si fermerà due mesi. Quindi traversata da Papeete a Sydney, con soste
alle Isole Cook ed in Nuova Zelanda a bordo della nave americana “Makura”. Da
lì, il lungo ritorno in Europa sul transatlantico britannico “Mooltan”,
attraverso il Mar di Timor, l'Oceano Indiano (scali a Ceylon e Bombay), il Mar
Rosso e il Canale di Suez (ultima tappa ad Alessandria e Malta). Ritornato in
Francia, cambia residenza, e si installa nel castello “La Cour-Dieu” nella
cittadina di Ingrannes, a poca distanza da Orléans. Ed è qui, che, prendendo in
mano gli appunti di viaggio, completa anche questo romanzo.
Uno strano romanzo, che sa molto di mare,
non tanto come per “I Pitard” che in mare si svolgeva, ma perché tutti i
personaggi hanno un rapporto con il mare, e vicino al mare vivono. Come dice il
titolo, infatti, siamo a Concarneau, in Bretagna, luogo che Simenon conosce sia
per averci vissuto alcuni mesi nel ’30, sia per averlo usato come sfondo per
“Il cane giallo”, uno dei più riusciti Maigret della serie “Fayard”. Tra
l’altro, visto che spesso Simenon ricicla le sue note, nel Maigret uno dei
personaggi si chiama Léon Le Guérec, e qui, tutta la storia gira intorno a
Jules Guérec e le sue sorelle.
È anche uno dei primi tentativi, riuscito
discretamente, di entrare direttamente nella psicologia dei personaggi. C’è un
po’ di azione, ma è marginale. In pratica, solo nel primo capitolo, quando
vediamo il capitano Jules Guérec tornare a casa alticcio da Quimper, dove ha
anche frequentato qualche donnina allegra. Jules guida una macchina, ma nella
notte non si accorge di un bambino che attraversa la strada. Lo investe e
Joseph Papin muore.
Dalla crisi che Jules ha da questo momento
in poi, entriamo nelle vicende e nei rapporti della famiglia Guérec. Le
sorelle, commercianti di buona resa, che tirano redini strette a Jules, che, in
realtà, ben presto orfano, non è mai cresciuto. Con tre sorelle in casa, ha
sempre un rapporto difficile con le donne. Tanto che in gioventù, sbadatamente,
mette in cinta una ragazza di non propria specchiata moralità. Saranno i soldi
di Céline a tacitare la cosa, ma come conseguenza, Jules viene sempre tenuto
sotto controllo.
Jules è anche tormentato dal rimorso
dell’investimento, così che si avvicina senza confessare il misfatto, alla
madre Marie Papin. A casa Papin trova certo un diverso clima, con Marie che lo
ignora, ma che per lui diventa fonte di relax. Così che decide di assumere il
figlio ritardato di Marti perché lo aiuti sulla sua barca da pesca. Così che,
tormento dopo tormento, decide che l’unico modo di espiare le sue colpe è
sposare Marie.
Ma Céline vigila, ha capito tutto, e blocca
le mire di Jules. Paga anche Marie, per tacitarne ritorsioni. Tuttavia,
saputolo, Jules entra in un conflitto duro con le sorelle, perdendo la ragione
davanti ad altri, mettendo le mani su Céline. Insomma, un parapiglia. Non solo,
Concarneau è una piccola città, tutto si viene a sapere, ed il commercio dei
Guérec comincia ad andar male. Così vendono tutto, girano un po’ per la
provincia francese, finendo a Versailles, a far piccoli lavori. Françoise muore
e Jules viene a sapere che Marie, con i loro soldi, ha trovato un bravo giovane
che l’ha sposata ed ha messo su famiglia.
Come si diceva, la psicologia. Partendo
dall’omicidio involontario (e dai sensi di colpa) Simenon si concentra sui
complicati complessi di colpa intrecciati tra Jules e le sue sorelle,
portandolo alle estreme conseguenze, allo scoppio del dramma, ed allo scivolare
infine verso una vita che più triste non si può. Eccoci, quindi, nel tipico
mondo dei “romanzi duri” di Simenon. Vite tristi senza speranza, ambienti
familiari più opprimenti che consolatori. Ed i riti quotidiani: le pantofole di
legno con della cenere per scaldarsi, la cena tutti insieme, e quando non c’è,
se ne sente la mancanza. Nessun conforto, solo una descrizione delle debolezze
umane: così le vediamo e magari cerchiamo di capire come porvi rimedio.
Un’ultima considerazione, un po’ come in uno
dei precedenti romanzi, il titolo serve quasi a fuorviare il lettore. Anche
qui, si cerca di mettere sotto i riflettori le signorine (o forse sarebbe
meglio dire le zitelle) di Concarneau, e poi al centro del romanzo c’è lui,
Jules, il fratello.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Concarneau, Rennes, Quimper, Versailles |
Jules
Guérec, capitano di pescherecci, celibe, 40 anni |
Françoise Guérec, sui cinquant’anni, sorella di Jules, commerciante Céline Guérec, 42 anni, sorella di Jules, commerciante Marthe et Emile Gloaguen, sorella e cognato di Jules Marie Papin, 22 anni, nubile, madre
di Edgard e Joseph Philippe, fratello di Marie,
tuttofare un po’ ritardato |
Alcuni
mesi, con coda |
Epoca
contemporanea |
Georges Simenon “Il testamento Donadieu” Repubblica
Simenon 1 euro 9,90
[A: 28/09/2019 – I: 15/04/2022 – T:
18/04/2022] - &&&&
[tit. or.: Le testament Donadieu; ling. or.: francese; pagine: 428; anno 1937]
Dopo la breve sosta vicino ad Orléans (che
tuttavia rimase nei suoi appunti per alcuni schizzi campestri dei successivi
romanzi), Simenon si sposta nei pressi di Saint-Raphaël, nella villa “Le
Lézardière (la lucertola)” ad Anthéor, dove scrive alcuni romanzi ad inizio del
1936.
Ma con l’avvicinarsi dell’estate ritorna
potente la passione per l’isola di Porquerolles, dove affitta la Villa “Les
Tamaris (le tamerici)”. È sempre prodigo di inviti, sempre alla ricerca di
consensi nel mondo dell’editore Gallimard, così che nella villa si succedono
grandi incontri, e giornate di meditazione e scrittura. Certo, Gide, la punta
di diamante di Gallimard, apprezza alcune sue scritture, ma Simenon non è
soddisfatto, vuole finalmente comporre un romanzo che colga nel segno. Non
solo, ma la sua speranza è che queste scritture di “romanzi duri” gli possano
addirittura portare il Nobel.
Nasce così, commissionato dal quotidiano “Le
Petit parisien”, questo lungo romanzo, forse il più lungo tra gli scritti di
Simenon. Un drammone a tinte fosche, che rimanda a Balzac per la complessità
della materia dove si narra della disgregazione di una famiglia, attraverso lo
studio psicologico dei vari membri del clan. Ma anche per quel dualismo
città-campagna, o meglio tra arrivismo provinciale e successo parigino.
Poiché Simenon parte sempre da un’idea e da
uno schema, ecco che abbiamo, nella prima parte un morto, e nella suddivisione
generale, la tripartizione in tre diverse tipologie di domenica: quella dura e
lavorativa di La Rochelle, quella marina e quasi vacanziera di Saint-Raphaël, quella
mondana ma sempre sul filo della tragedia di Parigi.
Seguiamo così il declino inarrestabile della
famiglia Donadieu. Si comincia con la morte, che non sapremo mai se per
accidente, per suicidio o per suicidio, del capofamiglia Oscar Donadieu. Uno che
era diventato una potenza a La Rochelle (siamo nella prima parte), con la sua
flotta, sia marinara che di trasporti. Oscar comanda tutti a bacchetta, sa che
il primo figlio è senza midollo, che la moglie preferirebbe organizzare feste e
mondanità, che i più piccoli sono facilmente suggestionabili. Così che nel suo
testamento lascia tutto a Michel e Marthe, relegando la moglie al ruolo di
garante dei più piccoli.
Tutto ciò non fa che innestare una girandola
di avvenimenti. Martine si invaghisce di Philippe, che però, attraverso di lei,
cerca solo di impadronirsi delle fortune dei Donadieu, da lui ritenuti
responsabili della rovina del padre Frédéric. Che tra l’altro era ed è rimasto
in buoni rapporti sia con la regina madre, sia con Eva, la moglie di Michel.
Comunque, Philippe rapisce Martine, la mette incinta, e la famiglia è costretta
a prendere una decisione.
Contemporaneamente, si scopre che Michel ha
messo incinta la sua segretaria Odette, l’ha costretta ad abortire, mettendo in
subbuglio anche il padre di lei. Per placare le acque, Michel viene mandato a
Saint-Raphaël, la moglie Eva ripara in Svizzera con i figli. Sulla Costa,
Michel viene poi raggiunto da Martine, incinta e sempre più prossima al parto,
e da Kiki, che trova sostegno nel suo precettore, e che con lui, gay senza
dirlo esplicitamente, fuggirà in America.
La seconda parte delle domeniche è quella
che vede l’ascesa di Philippe nell’azienda di famiglia, dove prende il posto di
Michel, che sulla Costa non trova di meglio che insidiare signorina a go-go,
facendo sempre figure meschine. Il problema di Philippe è che, per accrescere
il patrimonio in tempi brevi, non lesina di imbarcarsi in imprese rischiose,
dove l’unica possibilità di salvezza è continuare ad allargare le attività,
chiedendo sempre più prestiti alle banche. Le domeniche sulla Costa si chiudono
con la nascita del piccolo Claude, e con il definitivo abbandono di Eva.
La terza parte si svolge cinque anni dopo,
con la maggior parte delle attività “Donadieu” ormai trasferite a Parigi, dove
Philippe fa la bella vita, mettendosi accanto l’imbelle Albert. Solo perché è
prossimo ad ereditare milioni di franchi che serviranno a rimettere in sesta
l’azienda, che si avvicina pericolosamente alla bancarotta. Per cercare di
legare Albert a sé, Philippe non trova di meglio che circuire anche la di lui
moglie Paulette, una donna semplice, ma che pensa di aver trovato il grande
amore. Martine capisce quindi che Philippe ha finto l’amore solo per i suoi
scopi, mentre lei (e Simenon riesce a tratteggiarne mirabilmente i momenti) ne
è innamorata persa.
Intanto, vediamo la china degli altri.
Michel non chiede altro che soldi per pagare le sue scappatelle, Marthe ed il
marito sono rimasti a La Rochelle e poco contano e conteranno, Frédéric, per i
casi contorti della vita, ha conosciuto Odette ed ha deciso di vivere con lei.
In questo lento e lugubre romanzo ci stiamo
avvicinando alla fine, che si risolve nelle ultime cinquanta pagine, forse un
po’ frettolosamente rispetto alla lentezza del resto del testo. Sarà un finale
a sorpresa, nello stile del miglior Simenon. Taluni ne hanno parlato male, io
ritengo che abbia fondato le basi del miglior Simenon, anche di quello
“Maigret”, anche se i personaggi, a parte Frédéric, sono tutti piuttosto
negativi.
Inoltre, l’atipicità della scrittura di
questo libro (e di altri) scritti a cavallo della metà degli anni Trenta, è che
c’è una sorta di continuità, nascosta o palese tra diversi romanzi. Infatti,
nel libro precedente al testamento, intitolato “45° all’ombra” (a volte citato
anche come “A bordo dell’Aquitania”), ed ambientato su di una nave, il
protagonista è un medico, il dottor Donadieu. Non solo, ma, caso unico nella
scrittura dello scrittore belga, l’anno successivo pubblica il libro “Turista
da banane” che racconta la storia di Kiki Donadieu, dopo la fine di questo
libro. Tra l’altro il cognome del titolo gli era rimasto quando, lavorando
ventenne per il marchese di Tracy leggeva sul giornale la pubblicità di un
commerciante di vino e birra di nome … Donadieu.
In modo iperbolico, poi, ad un certo punto
ci narra che le figlie di Paulette stanno dal suocero, in boulevard
Richard-Lenoir (che tutti sanno essere da sempre e per sempre la strada dove
abita Jules Maigret).
Inoltre, come non pensare che, in modo velato
e trasposto, l’antagonismo tra Albert e Philippe, che, ovvio, è solo nella
testa di Philippe, non adombri quel rapporto d’amore e odio che si stava
instaurando tra Gide e lo stesso Simenon. Con quei tratti cinicamente puntuali:
il fascino verso le donne di Philippe-Georges e la triste serietà di
Albert-André. Ma forse stiamo andando troppo in là con la fantasia, bastando
qui rimanere con i piedi per terra, in un romanzo non sempre ben accolto, ma
che, per me, mostra alcune delle caratteristiche proprie e fondamentali della
scrittura di Simenon: la capacità di descrizione dei personaggi, l’entrata a
piè giunti nella loro psicologia, la presenza di qualche elemento scatenante
esterno, spesso non voluto, e non spiegato.
Il balzacchiano testamento rimane di certo
un esempio classico di Simenon e della sua bravura.
“Philippe poteva coricarsi tardi,
rientrare all’alba, ma si alzava invariabilmente alle sette e non appena apriva
gli occhi ritrovava una completa lucidità.” (322)
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
La Rochelle, Saint-Raphaël, Paris. |
Philippe Dargens, figlio di
Frédéric; celibe, poi sposa Martine Donadieu. Ad inizio romanzo ha 25 anni |
Mme Donadieu, vedova di Oscar
Donadieu, chiamata la “regina madre” Michel Donadieu, primogenito, 37
anni, con la sposa Eva Grazielli Marthe Donadieu, sorella di Michel,
32 anni, e suo marito Jean Olsen, norvegese Martine Donadieu, 17 anni, sorella
di Marthe e di Michel Oscar Donadieu, detto Kiki, 15
anni, il figlio minore Odette Baillet, segretaria di
Michel, 22 anni, e suo padre François Baillet Frédéric Dargens, cinquantenne,
banchiere in rovina, padre di Philippe Albert Grindorge e sua moglie Paulette,
amici di Philippe |
Cinque
anni tra l’inizio e la fine |
Epoca
contemporanea |
Georges
Simenon “L’assassino” Repubblica Simenon 30 euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 20/04/2022 – T:
22/04/2022] - && e ½
[tit. or.: L’assassin; ling. or.: francese; pagine: 156; anno 1937]
Ancora per mettere ordine, questo libro
risulta scritto prima del precedente (cioè nel 1935), ma viene pubblicato solo
dopo da Gallimard (come indicato nel 1937).
Simenon è ancora sotto l’influsso del lungo
giro del mondo, ed è, al solito, inquieto nelle sue scelte alloggiative. Sta
cercando casa a Parigi, non è soddisfatto di Orléans. Allora, nel dicembre del
’35 si risolve a passare l’inverno in montagna, in Alta Savoia. Qui, insieme
alla famiglia, alloggia nell’Hotel P.L.M. di Comboux. Questo era un albergo
savoiardo storico, costruito nei primi del Novecento con il nome di Hotel Mont
Blanc. Poi acquistato nel ’23 dalla società PLM (Paris- Lyon - Méditerranée).
Oltre al corpo centrale, l’albergo immerso in un parco, dove, in una delle
cinque villette indipendenti, alloggiano i Simenon.
Come spesso accade ai testi di Simenon, la
prima apparizione sarà a puntate su “Le Figaro”. Quando poi Gallimard ne decide
l’uscita in volume, l’editore chiede allo stesso Simenon di redigere la quarta
di copertina. Dove l’autore così descrive il romanzo: "L'azione si svolge
in una piccola città olandese colpita da pioggia e neve dove la gente, per
guardarsi riflessa nei vetri deve spazzare via la nebbia. C'era, mi ricordo,
una ragazzina che suonava il pianoforte. Poi qualcun altro che giocava al
biliardo. Quanto alle vittime, che sono due, siccome le si conoscevano poco,
non hanno granché importanza".
Simenon parla di azione, laddove tuttavia
non ce n’è molta. Visto che il romanzo si svolge quasi tutto a Sneek, nella
Frisia olandese, dove vive il protagonista, Hans Kupérus, medico di 45 anni,
grigio, con una vita ordinata, scandita, oltre che dalle visite dei malati,
dalla quotidianità con la moglie Alice, dalle partite a biliardo e da una gita
periodica, il primo martedì del mese, ad Amsterdam. Quando una lettera anonima
gli svela il tradimento della moglie, proprio nei martedì, con una decisione
improvvisa, compra una pistola, rientra nottetempo a Sneek, sorprende i due
amanti, e li uccide.
Pensava poi di suicidarsi, invece, riprende
la sua routine abituale. Si reca al biliardo, gioca, visita. L’unico
cambiamento, oltre i morti, è la decisione di prendersi Neel, la cameriera,
come amante. I morti verranno scoperti solo dopo del tempo, e le prove contro
Hans saranno ormai scomparse. Ma il nostro assassino ha varcato una linea, e
questo passaggio porta Simenon ad indagare sulla psicologia e sui comportamenti
del dottore.
Che cerca di riprendere la sua vita, ma la
sua ansia ed il clima che si instaura in città non lo aiutano. Gli amici lo
scansano. Lui si sente sempre più solo. Nessuno lo accusa apertamente, ma, con
il passare dei mesi, la gente comincia a sospettarne il coinvolgimento. Un
amico di famiglia, il giudice Groven, che indaga sul caso, gli suggerisce di
allontanarsi da Sneek. Anche un altro medico, cui chiede un consulto, gli dice
che non ha bisogno di medicine ma di una vacanza. Il suo storico amico,
l’avvocato Van Malderen, rifiuta di patrocinarlo in una causa. Insomma, si fa
il vuoto intorno a lui.
Gli resta solo Neel, la cameriera, ora
amante, cui lui vorrebbe far prendere il posto della moglie. Dormono, pranzano,
vivono insieme, fanno l'amore, anche se Neel ha un suo amante tedesco. Con
agghiacciante crudeltà veniamo poi a sapere la nascita di tutta la storia.
Alice aveva rifiutato di risarcire Neel di un mezzo fiorino di una spesa, e
Neel, per ripicca, scrivere la lettera che scatena l’assassinio degli amanti.
Motivi futili che fanno scattare conseguenze imprevedibili.
Ma Hans non vuole fuggire, come invece fanno
altri personaggi di Simenon in difficoltà (penso all’uomo che guardava i
treni). Vuole ricreare intorno a sé una normalità che non potrà più esistere.
Solo Neel, forse per pietà, gli rimane vicino, anche se, quando lui sembra
voglia abbandonare tutto, gli risponde che non lascerà mai Sneek, che anche lei
lo abbandonerebbe.
La bellezza del romanzo, che tuttavia non
ritengo tra i più riusciti, è proprio in tutta l’introspezione psicologica che
Simenon mette nel tratteggiarci la “discesa all’inferno” del medico. In quel
suo guardarsi allo specchio per vedere se sia cambiato dopo l’assassinio. Nel
suo tentativo di continuare a giocare a biliardo, quando nessuno vuole più
giocare con lui. Nonché nel rapporto quasi di amore e repulsione con Neel. E la
bravura dell’autore è nel riportare momenti di vita della piccola città,
facendone risaltare la quotidiana semplicità, in quel grigiore stringente che
le illusioni di Hans avrebbero voluto ribaltare.
Al fine di rendere più accentuato il
carattere di Hans, Simenon utilizza molto dei monologhi dell’assassino.
Inoltre, usa una tecnica particolare, concentrando in tre giorni, all’inizio,
l’assassinio e le indagini. Dilatando poi i tempi del romanzo nei sei mesi
successivi per dar modo all’aspetto psicologico di prendere il sopravvento.
Qualcuno, infine, adombra che Neel possa
essere uno specchio deformato di Boule, la cameriera-amante di Simenon. Ma Neel
è chiusa, reticente, impaurita, mentre Boule è solare, trasparente, farebbe di
tutto per Georges, e soprattutto, non prenderebbe mai il posto di nessuna delle
mogli di Simenon. È e sarà solo e sempre un’amante fedele e fidata.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Sneek (Frisia olandese), Amsterdam. |
Hans Kupérus, 45 anni, medico,
sposato con Alice. |
Neel, cameriera di casa Kuperus Karl Vorberg, amante di Neel Alice, 35 anni, moglie di Hans Cornélius de Schutter, 45 anni,
amante di Alice |
Da
gennaio a luglio |
Epoca
contemporanea |
Direi
che per questo mese di riposo e di campagna può essere sufficiente. Alcuni saluti
finali, il primo sempre con “Fahrenheit
451” di Ray Bradbury: “Guy voi avete davanti un vigliacco. Io vedevo la
piega che stavano sempre più prendendo le cose, ma molto tempo fa; ma non ho
detto nulla; sono uno degli innocenti che avrebbero potuto parlare chiaro e
tondo quando nessuno era disposto a dar retta al ‘colpevole’ ma non ho aperto
bocca, diventando così colpevole a mia volta.” (96)
Penso sia una frase che faccia riflettere tutti noi. In modo che si possa ripartire da domani, con vivacità e vigore. Dovremmo affrontare lunghi mesi che non sembrano, ad ora, tra i più sereni. Ed anche se serve a poco, diamoci conforto con tanti abbracci.