Thomas Tryon “L’altro”
Fazi euro 16,50 (consigliato da Robinson)
[A: 10/03/2021 – I: 21/10/2021 – T:
23/10/2021] & e ½
[titolo: The Other; lingua: inglese; pagine: 349; anno:
1971]
Non è che sia un libro particolarmente
brutto, ma sicuramente datato, attualmente sopravalutato. Nella mia esperienza
di lettore, infatti, ho visto libri che, nel contesto dell’epoca della loro
scrittura, hanno un senso ed un valore. Che poi magari perdono nel corso del
tempo. Mentre i libri che io chiamo “solidi” mantengono il loro fascino
attraverso gli anni.
Intanto, parliamo dell’autore. Che nasce in
realtà come attore, ruolo che svolge per una ventina di anni, con non
tantissime fortune. Laddove i suoi maggiori risultati furono in una serie
western della Disney, non approdata in Italia, e nel ruolo di protagonista nel
film “Il cardinale” di Otto Preminger. Proprio lì comincia la sua crisi. Il
regista, insoddisfatto, lo licenzia. Poi, pressato dalla produzione, lo
riprende. Ma l’umiliazione lascia il segno, e pian pianino, abbandona il regno
di celluloide, per dedicarsi a quello della carta stampata.
In quegli anni si appassiona alle tematiche
horror anche a fronte del suo grande amore per il film di Polanski “Rosmary’s
Baby”. Inoltre, svela finalmente la sua vita sessuale, confessando di essere
gay. Un rapporto profondo ma tormentato con il pornodivo Casey Donovan gli farà
contrarre l’AIDS, di cui morirà sessantacinquenne.
Ma veniamo al libro. Che cerca, appunto, di
proporci atmosfere cupe, momenti che forse, scritti da Stephen King, avrebbero
raggiunto maggiori intensità. Qui si fanno lettura, ma non passione. Qui si
seguono, ma, come direbbe Holiday Hall nel suo unico libro, “La fine è nota”.
Intanto, si parla di gemelli, e quando si
parla di gemelli già sappiamo che c’è qualche gioco di “nascondino”, di
mescolamento delle situazioni. Unico elemento gradevole e gradito, è il fatto
che i due, come Gastone e Giuliano, sono “gemelli diversi”. Cioè sono nati a
cavallo della mezzanotte, così che festeggiano il compleanno in due giorni
diversi. Non solo, essendo il giorno a cavallo del 20 marzo, Holland è del
segno dei Pesci, come loro sfuggente, e Niels del segno dell’Ariete, che carica
a testa bassa e cozza contro ogni ostacolo (citazione parafrasata di pagina
75).
Il gioco è fin dall’inizio abbastanza
scoperto: c’è un gemello cattivo ed uno buono, o almeno così ce li presenta
Tryon. Ma soprattutto c’è la casa Perry, così il nome dei gemelli, funestata da
una serie di incidenti, apparentemente casuali, ma forse causali.
Si inizia prima dell’inizio del libro, con
la morte del padre dei gemelli, cui casca intesta una botola, che lo fa
precipitare dalle scale. Poi c’è la morte del gatto di casa, impiccato nel
pozzo da Holland, che nel farlo precipita anche lui, con ferite anche serie.
Ora entriamo nella scena, dove vediamo (e
sentiamo) sempre Niels agire sul proscenio, mentre Holland lavora nell’ombra.
Niels che ha una scatola con strani reperti, tra cui un dito umano. Niels che
indossa l’anello di famiglia (il “Falcon Perry”, dove è inciso appunto il falco
pellegrino, ed è di proprietà del primo maschio Perry). Vediamo il cugino
Russell che vuole sbugiardare una menzogna di Niels, precipitare in un covone
di fieno e rimane infilzato in un forcone. Vediamo la vicina dei Perry, che
aveva fatto malevoli insinuazioni, morire di infarto a seguito di un gioco
organizzato da un gemello.
Sui misteri della casa aleggia l’ombra di
nonna Ada, immigrata russa, con poteri divinatori, poteri che sembra aver
trasmesso ai gemelli. Tanto che Niels, a volte, si immedesima in cose altre, un
fiore, una nuvola, immaginiamo anche una persona.
L’apice si ha alla nascita della nipote
Eugenia, figlia di Torrie, la sorellastra dei gemelli. Siamo nel 1936, e
sull’onda del processo per il rapimento Lindbergh, anche Eugenia viene rapita,
e trovata morta in una botte di vino.
Finalmente Ada capisce la verità, fa
confessare a Niels che Holland non fu ferito nella caduta, ma ne morì. E
citando la Brunilde wagneriana cerca di purificare con il fuoco tutta la
vicenda. Ma solo lei muore.
Che noi sappiamo, sin dalle prime righe, che
un gemello da anni vive in una casa di cura. Quello che non sappiamo, quello
che avvolge di un piccolo thriller la poco thrilleriana vicenda è chi sia il
gemello: Niels o Holland?
La scrittura tenta di svariare su molti
fronti, tenta di portarci elementi cupi, descrive circhi che vanno su e giù per
gli States, descrive un treno che porta a Babylon (elemento immaginifico di una
città favolosa) ma che forse porta solo all’ospedale psichiatrico. Certo, per
un libro di cinquanta anni fa, poteva avere ed essere d’impatto. Letto ora,
spinti dalle recensioni di “Robinson”, non fa lo stesso effetto, lasciandomi
moderatamente deluso.
Qiu
Xiaolong “Processo a Shanghai” Feltrinelli Marsilio s.p. (Regalo di
Mario&Ines)
[A: 25/01/2022 – I: 09/03/2022 – T:
10/03/2022] - &&
[tit. or.: Inspector Chen and Judge Dee; ling. or.: inglese; pagine: 269; anno 2020]
Mi
sa che, oltre al fatto di essere il dodicesimo ed ultimo uscito volume delle
serie dell’ispettore Chen, sarà forse (e non ci mancherà di certo) anche
l’ultimo ad uscire, dove credo che ormai la serie abbia dato tutto il
possibile.
Abbiamo
seguito nelle undici puntate precedenti tutta la parabola di Chen Cao.
Poliziotto, investigatore, poeta e letterato, risolve i primi gialli,
cominciando da subito ad entrare in conflitto con il potere cinese, come
d’altra parte ci aspettiamo tranquillamente, visto che Qiu è da anni riparato
in America, e non è certo tenero con la patria lontana. Utilizza la scrittura
per porre critiche, anche sensate, all’oligarchia in patria, deliziandoci anche
con delle belle poesie, seppur per me non sempre di facile comprensione.
Chen
all’inizio è protetto dalla fidanzata, ma poi si lasciano. Poi da alcuni
“ricconi” tornati in patria e beneficianti di alcune sue ben congeniate
indagini. Ma più si va avanti, meno protezioni riceve, ed anche se non è facile
emarginarlo, dopo l’ultima indagine sui “prìncipi” del potere, viene promosso
da ispettore a direttore dell’Ufficio per la riforma del sistema giudiziario.
Promoveatur ut amoveatur, ovvio.
Per
far sì che possa avere un senso Qiu si immagina una buona trama, facendo un
parallelo, e citando a mani basse, i romanzi del sinologo Robert Van Gulick.
Questo diplomatico olandese, profondo conoscitore della lingua e delle
tradizioni orientali, prese spunto dalle storie tradizionali di un magistrato
cinese vissuto prima del 1000 d.C., Di
Renjie, ne romanzò le storie e pubblicò una ventina di romanzi radunati sotto
il titolo “I casi del giudice Dee”.
Qui,
ci si pone subito un interrogativo: Qiu, infatti, titola il romanzo
“L’ispettore Chen ed il giudice Dee”, proprio per sottolineare questo aspetto.
In italiano, compare un “processo a Shanghai” che è di nulla pertinente al
testo. Quando si riuscirà a rispettare gli autori?
Il
parallelo, comunque, che fa Qiu lega l’ultimo libro di Van Gulick “Poeti e
assassini” (pubblicato solo nel 2013 in Italia dalla “O barra O” edizioni) alla
vicenda che segue, obtorto collo, spinto più dal suo antico sodale, il Vecchio
Cacciatore, padre di Yu, il collega di Chen che lo ha sostituito nel
Dipartimento di Polizia.
Brevemente
il mistero riguarda la morte di una cuoca della cortigiana Min. Questa, come
alcune escort altolocate fanno in Cina, organizza banchetti suntuosi e
ristretti, dal costo proibitivo. Dato il successo, Min si fa aiutare
dall’assistente Qing. Dopo un banchetto, Qing viene trovata uccisa, e Min,
ubriaca e sconnessa.
Da
qui, il potere cinese tenta di incastrare Min, anche per fermare quel tipo di
attività. Mentre Chen viene coinvolto, di lontano, per provarne l’innocenza.
Benché, come detto, non sia più un ispettore. Nelle sue ricerche si muove tra
vecchi amici e mondi che ben conosce, aiutato, inaspettatamente, dalla sua
nuova segretaria Jin, carina, volitiva, intraprendente. Insomma, pronta per
finire nel letto di Chen, forse.
Muovendosi
ai bordi della burocrazia, interpolando la lettura di Van Gulick alla realtà,
alla fine, non potrà che risolvere brillantemente il caso. Ovviamente,
continuando ad inimicarsi il potere, per cui, dopo il romanzo, Chen (mie
ipotesi) avrà davanti due alternative: ritirarsi in buon ordine o emigrare. Per
questo, ipotizzo sia la sua ultima avventura. Anche perché, da mie ricerche, il
nuovo libro di Qiu narra un’avventura del giudice Dee. Sarà un caso?
Comunque,
la scrittura di Qiu è sempre abbastanza gradevole (e ben tradotta), anche se i
“cinesismi” che Qiu utilizza nella versione inglese, a volte, nella traduzione
italiana risultano fuori posto, come se si leggesse un testo di narrativa
ottocentesco. Inoltre, seppur sempre presente, la parte poetica, che
sicuramente ha un senso per l’autore, profondo conoscitore sia della poesia
cinese che di quella occidentale, a me lasciano un senso di incomprensibilità
totale. Come la poesia che riporto in fondo.
È
stato bello viaggiare con te, ispettore Chen, ma è giunto il tempo dei saluti.
“A
Zi’an guardando l’altra riva del fiume, addolorata
Mille
foglie d’acero / E poi ancora mille / Si stagliano contro il ponte, / poche
vele rientrano attardate, nel crepuscolo.
Quanto
mi manchi? / I miei pensieri scorrono / Come l’acqua del fiume Occidentale, /
che fluisce verso est, incessante, / giorno e notte.” (265)
Robert
Ludlum “Ascendente Bourne” Repubblica Spy 7 euro 7,90
[A:
24/02/2019 – I: 04/07/2022 – T: 06/07/2022] - &&
---
[tit. or.: The Bourne Ascendancy; ling. or.: inglese; pagine: 461; anno 2015]
Robert Ludlum negli anni ’80 del secolo scorso
comincia una serie di libri d’azione, poi definiti meglio come “spy stories”
incentrati su di un personaggio che si presenta amnesico (come il sergente Monk
di Anne Perry) e poi, riacquistando in parte o totalmente la memoria, diventa
una spia al servizio di quasi tutti. Non entro in questa descrizione che non fa
parte di questo contesto.
Comunque,
Ludlum muore d’infarto nel 2001, mentre Matt Damon stava girando come Jason
Bourne il primo film tratto dalla scrittura seriale della spia. Visto poi il
successo del film, oltre a metterne in cantiere altri, la “Ludlum Company”
comincia a cercare un “ghost writer” per continuare le gesta di Jason.
Scrittore che viene trovato in Eric Van Lustbader, il cui nome comparirà in
piccolo nelle copertine dei libri della serie “Bourne” dal 2004 al 2017.
La
serie continua ancora, con altro autore, ma non credo che andrò oltre questo
libro, letto per interesse di collana.
Intanto
cerchiamo di capire il titolo, che in italiano rimane un po’ anodino.
L’ascendente Bourne sembra in italiano qualcosa legato al panorama dei rapporti
del protagonista, quasi fosse una stella ed avesse influssi come in una
costellazione zodiacale. In inglese il termine “ascendancy” ha un significato
più stringente, legato in particolare al potere di controllo che si può
esercitare su altri, o alla conquista di qualcosa. Una frase tipica presa dal
calcio è ad esempio “Manchester gained the ascendancy after half-time” cioè
“Manchester prese il sopravvento nel secondo tempo”.
Ma
veniamo al testo. Un tipico esempio di storia di spionaggio di forte impronta
americana, che riprende le gesta di Jason Bourne, senza però entrare troppo nel
suo passato (cioè nei precedenti undici libri). Sappiamo tuttavia (magari
avendo visto i film) che Jason è un agente “solitario”, una volta legato ai
meccanismi spionistici americani, poi, per motivi che qui non sono chiari,
allontanandosene e diventando una sorta di battitore libero.
Nel
contorno dei personaggi che vengono dal passato, qui abbiamo una donna che
potrebbe aver avuto una storia con lui, tal Soraya, ma che ora è sposata con un
diplomatico francese ed ha una figlia di due anni, Sonya. Sodale a Jason, c’è
poi Sara/Rebecka, astuta agente del Mossad, che invece è la storia attuale di
Jason, anche se si paleserà apertamente solo a pagina 459. Quello che c’era
prima, non è dato sapere.
La
storia complicata ruota intorno ad un complotto ordito, forse, da qualche
terrorista islamico, o di matrice islamica, guidata da tal El Ghadan (in arabo
“Il Domani”). Un gruppo che coinvolge arabi di diversa fattura, ma anche
ceceni, nonché un trafficante internazionale, Josip Broz, uno che agisce per i
soldi e non per l’ideologia.
El
Ghadan ha imbastito un complottone, per arrivare ad uccidere il presidente
americano. Luogo finale sarà Singapore, dove si dovrebbe tenere un summit di
pace tra israeliani e palestinesi sotto l’egida degli Stati Uniti. L’idea del
turpe è di coinvolgere Bourne nella trama, facendo in modo che sia lui ad uccidere
il Presidente. Per far ciò rapisce Soraya e famiglia, uccide il marito ed usa
la signora e la figlia per far pressione sul nostro.
Jason
non può tirarsi indietro, e si imbarca in complicate vicende tra il Qatar, il
Waziristan (regione pakistana) e Singapore. Ovviamente coinvolge Sara, che si
inventa una sottotrama per agganciare El Ghadan. Dall’altro lato, i Servizi
Segreti americani (o meglio quelli deviati dice l’autore) sanno quasi tutto e
tentano un aggancio alla trama, inviando il capo dei Servizi, la bella Camilla,
a Singapore con lo scopo di uccidere Bourne. Ma anche con il sottoscopo di
uccidere Camilla, che stava vivendo una sorta di amore trasgressivo con il
Presidente.
L’asso
nella manica di Bourne sarà invece trovare, durante i vari attentati, il figlio
di El Ghadan, Asir, che si era allontanato dal padre, in quanto omosessuale e
ovviamente poco amato dai fondamentalisti arabi modello talebani.
L’autore
fa tutto un papocchio per arrivare al finale che ovviamente sarà in gloria ed
amor dei, ma che non vi svelo sia perché arzigogolato nello svolgimento, sia
perché a volte tendo a spoilerare troppo. L’unico commento è che la fotografia
del tutto che esce fuori è molto filoisraeliana, più che filoamericana, anche
se qua e là compaiono “arabi buoni”. Ma è una trama di matrice molto
conservativa.
Un
appunto finale all’editing del libro, che non ha curato la correzione di palesi
errori. Ne cito solo un paio, a pagina 208, dove sta agendo Sara, che la riga
seguente viene chiamata Camilla. E poche pagine dopo, compare un “penando”
laddove ci doveva essere un “pensando” in una frase che sul libro risulta
“Stava penando a Nighthawks, il famoso dipinto di Edward Hopper”.
Incuria massima.
S.
K. Tremayne “La gemella silenziosa” Corriere Thriller 7 euro 7,90
[A: 01/10/2018 – I: 06/07/2022 – T: 08/07/2022]
- & --
[tit. or.: The Iced Twins; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2015]
Come si intuisce dalla costruzione del nome,
questo “S.K. Tremayne” non può che essere uno pseudonimo. Come infatti è,
laddove lì si nasconde tal Sean Thomas, prima giornalista e poi scrittore, ma
in particolare figlio di D. M. Thomas, autore di un unico importante romanzo,
che ho letto e che non mi è mai piaciuto. Parlo de “L’albergo bianco” del 1981,
uno dei primi esempi di quel “realismo magico europeo” con cui non sono mai
andato d’accordo.
Non ho altre particolari notizie sull’autore,
ma basandomi su questo libro non è che mi abbia convinto granché. Tuttavia,
cominciamo al solito con le note non positive relative al titolo ed alla sua
traduzione, che sapete essere un mio pallino ormai storico. Il titolo originale
parla di gemelle di ghiaccio (Iced Twins) soprannome dato alle due gemelle
Kirstie e Lydia dal nonno materno. In italiano si sposta l’accento su una delle
due, ribattezzandola “silenziosa” forse in contrasto con l’altra
“chiacchierosa”. O, peggio ancora, già buttando il lettore nel caos della
gemellitudine, e del fatto che un anno circa prima dell’inizio del racconto una
gemella muore in maniera tragica. Ed essendo morta, non può che essere
silenziosa (a meno che non parlino i morti, cosa che non crediamo né ci sembra
credibile far credere).
Il
tentativo dell’autore, invece, era quello di mescolare molto le carte
istillando dubbi su tutto quanto avviene durante il periodo, breve, di
svolgimento del nucleo della trama. Sarah e Angus erano una coppia
apparentemente normale, con due gemelle sui sei anni. In apparenza che entrambi
non avevano probabilmente superato il trauma della gestione dei figli. L’una e
l’altro in sofferenza ed in progressivo distacco dal lavoro. Tutto precipita
con la morte di una delle due gemelle, che precipita dal balcone della casa dei
nonni.
Angus
si dà all’alcol e viene licenziato. Sarah ha un blocco mentale sugli
avvenimenti funebri e riversa il suo affetto sulla gemella vivente. Qui c’è il
solo “colpo di genio” dell’autore. Kirstie sostiene di essere Lydia, la morta,
e che i genitori si sono sbagliati. Ovvio che anche la piccola ha i suoi
traumi, e cerca di esorcizzarli in qualche modo. Ma la sua affermazione fa
cadere nel panico Sarah. Anche perché, pur avendo studi recenti mostrato la
possibilità attraverso particolari analisi di dirimere l’identità di gemelli
monozigoti, l’autore sembra ignorarlo e per complicare il tutto ci dice che
Lydia è stata cremata. Quindi chi è viva e chi è morta? Ma soprattutto quanto
tutto ciò è veramente importante?
Ora,
io non ho un’esperienza gigante in materia, pur avendo conoscenze gemellari.
Sia le mie carissime cugine, sia le mie amiche dell’università, sia, pur se
molto recenti, i miei ultimi nipoti. In tutti i casi, ho sempre avuto chiaro la
differenza tra i due, o le due. Immagino che un genitore che per cinque-sei
anni vive a contatto diretto con dei gemelli non abbia, o non debba avere, di
questi “tormenti”.
Thomas
confonde ancor di più le acque con un lascito di una nonna di Angus nella
lontana Scozia, una casa in cui i nostri tre si trasferiscono (essendo ormai in
grosse difficoltà economiche). Ovvio che persone diversamente disturbate, poste
in un ambiente dalla natura ostile, tendano ad accentuare le loro paranoie.
Così vediamo progressivamente la famiglia Moorcroft incartarsi in paure ed
atteggiamenti ai limiti della paranoia.
Vogliamo
complicare ancor più le cose? Come spesso accade, Sarah e Angus avevano
sviluppato un affetto differenziato verso le gemelle, lei propendendo per la
studiosa Lydia, lui per la turbolente Kirstie. Sarà Angus che avendo non
provati atteggiamenti pedofili provoca la morte di Lydia? Sarà Kirstie, gelosa
della gemella, che ne provoca la morte per riconquistare l’affetto materno?
Sarà Sarah che allontanandosi da Lydia ne provoca risentimento e tentativo mal
riuscito di imitare la sorella?
L’autore
tenta di coinvolgerci in tutte queste domande, usando spesso la soggettiva di
Sarah, ma passando anche ad una terza persona che, nelle sue ipotesi,
servirebbe a creare un distacco di comprensione con il testo. Ma tra brutto
tempo scozzese (dove se non piove, tira vento, o viceversa), malumori,
incapacità di aprirsi, tradimenti veri o presunti, agnizioni, ed altri
tentativi di volgere il dramma in un racconto sulla psicologia dei personaggi,
la scrittura scivola via, verso una conclusione che chiarisce tutti i
“misteri”, ma che non solleva il romanzo da una difficile digestione
letteraria.
Insomma,
continua la caduta di tono della collana, con, ad ora, poche possibilità di
risollevarsi.
Amy Gentry “La ragazza del passato” Corriere
Thriller Psicologici 16 euro 7,90
[A: 19/11/2018 – I: 14/07/2022 – T:
16/07/2022] & e ½
[titolo: Good as Gone; lingua: inglese; pagine: 253; anno:
2016]
Continuiamo
a non risalire, con autrici poco note (ma questo non sempre è un difetto,
anzi), di cui poco si trova in rete, ma con delle trame che sembrano quasi
delle piccole “variazioni Goldberg” (e mi scuso dell’aulico paragone). Sarà un
caso ma le ultime letture di questa collana parlano praticamente solo di
sorelle (normali o gemelle), dove una delle due ha dei problemi (muore,
sparisce, o altro). Gentry, texana da anni impegnata come volontaria nell’aiuto
ai casi di violenza domestica, introduce alcune tematiche nuove, che avrebbero
potuto essere interessanti, ma che, alla fine, sono poco significative.
Come
poco significativo è il tentativo di “raddrizzare” un testo utilizzando un
“catch title”, un titolo acchiappino diremmo noi, visto che nello stesso anno
di questo esce un titolo che ha molto successo (“La ragazza del treno”).
Peccato che l’autrice avesse voluto fare un appello al cielo, invocando un
clima (che in realtà pervade il testo) “come se non ci fosse Dio”. Titolo senza
dubbio più pertinente e coeso con il testo scritto.
Il
nucleo della storia, che si svolge ad Austin nel Texas, dai primi di maggio a
giugno inoltrato, ruota intorno al personaggio di Julie Whitaker. Una ragazza
misteriosamente scomparsa otto anni prima dell’inizio del libro, mentre i
genitori dormivano e la sorella Jane guardava nascosta in un armadio. Ed il
libro inizia con il ritorno a casa di una ragazza. Julie o non Julie?
A
domandarselo fin dall’inizio è la madre Anna, docente universitaria d’inglese,
che, pur contenta del ritorno a casa di Julie, si interroga sui suoi
comportamenti forse non in linea con quello che lei ricordava della Julie
tredicenne. Ora, in otto anni adolescenziali, si cambia in maniera spaventosa,
anche senza sparire di casa; quindi, noi lettori non ci si meraviglia più di
tanto che la “nuova” Julie sia diversa.
Non
se lo chiede invece il padre Tom, anche per una serie di motivi non inerenti al
corpo del racconto, e che neanche vi accenno. Non se lo chiede la sorella Jane,
sia perché non si è ancora rimessa dal trauma subito otto anni prima, che l’ha
fatta diventare una ragazza scontrosa e ribelle, sia perché, non si sa bene per
quale motivo, è intimamente convinta che la neoarrivata sia Julie.
Facendo
una parentesi, senza tanti fronzoli, noi lettori di gialli da anni, avremmo
fatto subito un’analisi del DNA, e via con i dubbi fugati. Ma questo avrebbe
ristretto molto l’ambito del racconto. Invece, bisogna scrivere, coinvolgere il
lettore ed allargare il tiro.
Così
Amy si inventa la solita scrittura a due vie. Da un lato i capitoli in
soggettiva di Anna, con le sue azioni, i suoi dubbi, e tutto il resto.
Dall’altro una serie di capitoli in cui in soggettiva compare la storia di una
ragazza, ogni volta con un nome diverso, ed ogni volta più giovane. Il
tentativo è di istillare il seguente dubbio: è sempre Julie di cui si racconta
la storia, o sono comunque una o più ragazze, magari coinvolte nella stessa
tresca, con tutto il corredo di violenze, stupri, morti ed altre nefandezze
(facilmente ipotizzabili).
Il
tutto poi conduce sempre, Julie e non Julie, Anna e non Anna, ad una strana
setta religiosa, presente lì nel Texas, soprannominata “la Porta”, un’enorme
costruzione religiosa, dove si celebra il rito “Cerchio della guarigione”, dove
il capo setta, l’ex-sacerdote Maxwell, celebra una meditazione di gruppo, tesa
a guarire i fedeli dai problemi che provengono dalla vita quotidiana. Facile
capire che siano (o siano stati) problemi. Anche se quali non è dato subito
saperlo.
Il
peccato del libro è soprattutto, a parte le scelte fatte su alcuni passi, che
sembrano poco comprensibili a noi smaliziati giallisti, che, dopo una partenza
di buon ritmo, l’introduzione di tutti quei giovani personaggi femminili,
rallenta il ritmo e toglie suspense ad un possibile giallo basato sulla ricerca
della vera identità di Julie.
L’altro
punto, che poteva essere forte, ma che poi si annacqua, è l’elaborazione del
lutto dovuto alla perdita, alla scomparsa di una persona cara. Scomparse che in
America sono molto più frequenti di quanto si pensi, e che portano ad una
casistica cruda: il rapitore è spesso una persona nota al rapito, il rapito
viene ucciso nei primi tre giorni dal rapimento, la famiglia del rapito si
scioglie come neve al sole, non riscattandosi quasi mai dalla perdita e da una
elaborazione comune.
Quindi,
un romanzo con molte potenzialità, ma che alla fine delude abbastanza,
“Perché
hai sempre bisogno di una citazione per capire le cose? Tutto ciò che ho sono
le parole degli altri.” (253)
Come
avete potuto vedere da queste trame post-islandesi, ancora non ho ripreso il
ritmo abituale di scansione tra nuovi arrivi, vecchie proposte ed altri
commenti. Dovrete avere ancora un po’ di pazienza, che anche questo settembre è
a scartamento ridotto, dovendo, come spero ricorderete, festeggiare il primo
anno.
Intanto, non vi faccio mancare una frase che
rimane come una bolla sulla memoria. Anche perché viene da uno dei personaggi
da me più amati in gioventù. Lo scrittore, jazzista, chansonnier nonché esistenzialista
e francese Boris Vian. In un gradito e lontano regalo della mia
amica Nico, “La schiuma dei
giorni” il nostro chiosava in
finale, anche con un po’ ai amarezza: “L’amore … vale la pena di essere
vissuto solo perché è amore, sebbene, anch’esso, come tutto, sia perituro.”
(263)
Quindi ci deve senz’altro ritrovare intorno alle castagne, sperando che caldo e pioggia non ci rovinino la festa. Ma noi tutti, si sa, siamo sempre ottimisti. Quindi, un abbraccio e una caldarrosta a tutti.
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