Wulf Dorn “La psichiatra” Corriere Thriller
Psicologici 5 euro 7,90
[A:
05/09/2018 – I: 06/04/2022 – T: 08/04/2022] - &&
[tit.
or.: Trigger; ling. or.: tedesco; pagine: 395; anno 2009]
Sembra, da queste prime letture, che gli
scrittori di lingua tedesca abbiano una predominanza nello scrivere di
psicologia mescolata al giallo. Tant’è che più del 50% delle mie prime letture di
questa collana provengono da scrittori di origine germanica. In più ci si
mettono i traduttori dei titoli in italiano che mettono in prima linea la
dottoressa protagonista del romanzo, la psichiatra, appunto. Quando poi,
andiamo a vedere il titolo originale, dove si parla di un preciso termine
tecnico.
“Trigger”, infatti, indica l’elemento
scatenante di una patologia psicologico. Seppur intraducibile, visto che si
potrebbe usare il termine “grilletto”, mostra un avvenimento che, in modo
inaspettato, fa scatenare effetti psicologici non previsti, né prevedibili. Un
titolo più vicino, se non si vuol mantenere il termine che comunque è usabile,
potrebbe appunto essere “Effetto scatenante”. Ma io sono solo un forte lettore,
non un critico, né tantomeno un traduttore.
Per cominciare, visto che poche sono le
notizie che se ne ricavano dal risvolto di copertina, diciamo che Dorn è un
esperto di problemi psicologici, avendo anche lavorato a lungo come
logopedista, prima di cominciare, verso i quarant’anni, il suo percorso
letterario. Dato il retroterra culturale, quindi, niente ci sorprende che abbia
innestato le sue conoscenze dei percorsi cerebrali su trame “thriller”.
Qui, ci sarebbe in pratica un doppio binario
da seguire. C’è la storia di Lara, abbozzata nel prologo e sviluppata nella
seconda parte. Una bambina che, per sfida, si intrufola in una casa considerata
maledetta, dove uno psicopatico aveva sterminato la famiglia prima di
uccidersi. Lara è molto suggestionabile, e, sola in un ambiente sicuramente
pauroso, ha un grosso shock mentale.
In tutta la prima parte, ed in gran parte
della seconda, invece, seguiamo la vicenda della dottoressa Ellen. Che lavora
in un ospedale psichiatrico, compagna di un dottore anche lui nel ramo, che
tuttavia è partito in vacanza e non è raggiungibile.
Ellen è di sicuro sulle corde, al limite del
burn out. Troppe responsabilità, troppi casi difficili. Tra l’altro, la vediamo
insieme ad un altro dottore, Mark, affrontare un paio di situazioni assai
complicate, con pazienti che danno fuori di matto, arrivando quasi al suicidio.
Pazienti cui, per l’appunto, scatta quell’effetto scatenante che tira fuori di
tutto. E dove Ellen e Mark se ne domandano la natura.
In più, Ellen ha per le mani un caso
particolarmente intrigante. Una donna, sporca e maltrattata, si lamenta di
essere inseguita ed insidiata da un cattivo, che lei chiama “Uomo Nero”. Che la
vuole uccidere, e che ucciderà tutti quelli che l’aiuteranno, compresa Ellen.
Potrebbe essere la famigerata Lara della storia parallela?
Il problema è che questa donna scompare prima
che qualche d’un altro le possa parlare. Comincia così un gioco di ricerca e
spavento. Ellen non sa a chi rivolgersi. Che la polizia la snobba, il personale
dell’ospedale pensa che abbia le visioni. Pare che solo Mark supponga ci sia
qualcosa nei racconti di Ellen. Ma, ed è ovvio dal modo di porre il racconto da
parte di Dorn, Ellen non riesce a fidarsi di nessuno. Sospetta di tutti. Di
Mark, che compare nei luoghi più impensati, magari a sproposito. Del suo compagno,
di cui comincia a dubitare la reale partenza per l’altro capo del mondo.
Purtroppo, la trama, o il modo di porgerla di
Dorn, non riesce a decollare. Non ci sono indizi particolari sui possibili
sviluppi. Così che si arriva allo scioglimento del thriller, senza che il
lettore ne sia coinvolto, né dal punto di vista drammaturgico, né, e ci
dispiace, dal punto di vista emotivo. Tant’è che alla fine, la soluzione si
prospetta abbastanza aperta da far supporre la possibilità di una nuova
avventura.
Poco altro rimane nella mente, forse solo
l’accenno a pagina 288, quando Mark ed Ellen sono in macchina, che i due
ascoltano la musica di Angelo Badalamenti. Che tutti sanno, ovviamente, essere
l’autore delle colonne sonore dei film di David Lynch. Facendoci quindi
immaginare che, sotto la superficie del racconto, ci siano misteri come nelle
opere del maestro del cinema. Non molto per salvare il romanzo.
Forse, l’unico altro punto, per chi non è
vicino a tematiche psicologiche, è il cercare di rendere visibili al grande
pubblico, termini e temi poco noti, come l’effetto trigger o il burn out.
Comunque, sempre troppo poco.
Tess
Gerritsen “Il battito del sangue” Corriere Thriller Psicologici 13 euro 7,90
[A:
01/11/2018 – I: 26/04/2022 – T: 28/04/2022] &&&
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[titolo:
Playing with Fire; lingua: inglese; pagine: 275;
anno: 2015]
Aspettavo con curiosità che i miei complessi
algoritmi di lettura mi portassero a leggere di Tess. Perché sapevo che
l’autrice (il cui vero nome è Terry Tom ed è di origine cinese) era l’ideatrice
dei libri della serie “Rizzoli&Isles” (nonché sceneggiatrice della serie
TV). Una serie che ho sempre gustato con la serenità di vedere un buon
prodotto, ben recitato e con alcuni spunti anche ironici.
Purtroppo, questo non è un libro della serie,
e, benché abbia alcuni punti forti, la resa, sia dal punto di vista thriller
che dal punto di vista psicologico, non è elevata.
Intanto, rileviamo la solita forzatura del
titolo, dove ad un onesto “Scherzando col fuoco” (sinonimo di avvicinarsi a
cose pericolose), si è sostituito quel “battito del sangue”, che non sembra
avere né capo né coda, se non per cercare di forzare l’attenzione del lettore
in una direzione specifica, magari a scapito di attenzione e pensieri verso la
vicenda complessiva. Tra l’altro, proprio per tornare al fuoco, un punto
centrale è uno spartito musicale di un brano per violino e violoncello,
intitolato “Incendio”. Infine, Tess è anche musicista, ed ha realmente composto
il brano sopra indicato.
Ma torniamo al testo, anche perché (ed è il
motivo dell’inclusione in questa collana) si cerca di forzare il lato
psicologico, cercando di portare il lettore ad immaginare che ci sia (che ci
possa essere) una spiegazione al di là del normale di quanto sta accadendo.
Mentre alla fine, è il lato thriller che non solo prevale, ma che resta il solo
ad occupare la scena.
Dicevo dei punti forti, che sono sul versante
della storia passata. Che anche qui, come spesso accade, si trattano due
racconti che convergeranno, uno nell’oggi, ed uno tra il ’38 ed il ’44. Il
pugno dello stomaco viene dal passato, laddove dobbiamo ad una scrittrice
sino-americana la voglia di inserire il ricordo di una dei più efferati campi
di sterminio situati in Italia, la Risiera di San Sabba. Perché nel passato si
seguono le vicende del violinista Lorenzo Todesco, ebreo veneziano, del suo amore
per la cattolica Laura, l’internamento nella Risiera, dove si salva in quanto
musicista, laddove i tedeschi (e questa è storia) usavano un ensemble sinfonico
per coprire le urla dei torturati. Lorenzo lì compone il maledetto valzer
“Incendio” destinato a ricordare gli avvenimenti di San Sabba.
Qui la vicenda romanzesca si stacca dalla
realtà, che il gestore della banda musicale era il commissario Gaetano
Collotti, che non riuscì a fuggire, come si dice nel libro. Ma venne preso
durante la fuga dai partigiani, e giustiziato nella cartiera di Mignagola. Qui,
invece, fa comodo portarlo in salvo, farlo vivere sotto falso nome vicino a
Roma, disperdendo i suoi beni alla morte. Beni comprendenti lo spartito di cui
sopra, che viene rinvenuto dalla violinista americana Julia, da dove parte
l’altra vicenda.
Julia è affascinata dalla bellezza del
valzer, ma ogni volta che lo suona succede qualcosa di terribile, soprattutto
quando arriva alle parti finali. La prima volta muore il gatto. La seconda si
ferisce ad una gamba. La terza cade dalle scale. Ed ogni volta, presenta sulla
scena, ed osservandola con i suoi occhi impenetrabili, c’è Lily la figlia di
tre anni.
Qui ci si porta a far credere che ci sia una
sorta di filo rosso tra le note e la pazzia, di Lily o di Julia. Oppure una
rincarnazione malefica dello spirito degli aguzzini nazisti. Di certo, questo
tentativo non è orchestrato al meglio, ed alla fine scopriremo che la realtà è
molto più prosaica, e consequenziale. Certo, ci saranno dei misteri da
scoprire, delle rivelazioni che risalgono anche al passato di Julia. Ma non c’è
ritmo, non c’è la nascita di una vera suspense. Tutto converge, e tutto si
risolve.
Rimangono, ed è un bene, alcune scene italiane
che non dimentichiamo. Le passeggiate per Roma, probabilmente nelle viuzze dei
dintorni di Piazza Navona. I giri, di rimembranza giovanile, tra Dorsoduro e
Cannaregio. Senza dimenticare una sosta nel Campo del Ghetto Nuovo, epicentro
della zona ebraica di Venezia. Nonché, leggendo la postfazione dell’autrice, il
riferimento al libro che le ha fornito materiale per la parte storica: “Storia
degli ebrei italiani sotto il fascismo” di Renzo De Felice, uno storico che
rimarrà sempre nelle nostri menti, per la brillantezza di uno dei suoi più
promettenti allievi, nonché mio carissimo amico.
Michael
Robotham “L’indiziato” Corriere Thriller Psicologici 7 euro 7,90
[A:
05/09/2018 – I: 06/05/2022 – T: 09/05/2022] &&
[titolo:
The Suspect; lingua: inglese; pagine: 461; anno: 2004]
Eccoci di nuovo alle prese con un autore di
thriller psicologici, che entra, molto, nel ramo psicologico, mentre mi lascia
un po’ freddo sul lato thriller. Anche se la suspence non manca. Robotham nasce
in Australia, ma dai 25 ai 36 anni vive a Londra, facendo un po’ il giornalista
ed un po’ il ghostwriter, attività questa che gli permette di farsi una piccola
rendita e di tornare in patria per fare quello che aveva sempre voluto,
scrivere per passione. Per inciso è anche il padre di una nota songwriter
australiana, Alex Hope. Ma queste sono altre storie.
La storia, venendo da uno che scrive da
sempre, è decisamente scorrevole, con anche alcuni spunti ironici, ma
appesantita dalla troppa simpatia verso il protagonista e da un finale forse
troppo veloce.
La vicenda è narrata in prima persona da uno
psicologo, Joseph O’Loughlin, detto Joe, che, prima che sia sconvolta, ha una
vita da “Mulino Bianco”: un buon lavoro in cui ha successo, una moglie che lo
segue anche nelle sue follie (come cospargere di foglie la tomba della nonna)
ed una figlia adorabile. Nella prima parte, lo vediamo come un eroe. Appunto,
famiglia felice, salvataggio di un paziente disturbato, ed altro. Poi
cominciano le crepe: scopriamo che, nonostante la giovane età, ha un inizio di
Parkinson, che per sfogarsi, invece delle braccia della moglie, ha preferito
quella di una prostituta sua carissima amica.
Non solo, quando tal Catherine viene trovata
morta, si impantana in depistaggi che lo mettono in cattiva luce. La ragazza
viene trovata vicino alla tomba delle foglie di cui sopra, ma quando
l’ispettore Ruiz lo coinvolge nella ricerca di un profilo della morte, lui non
dice che conosce la tipa, che l’ha avuta come paziente, che la tipa stessa
aveva tentato un approccio sessuale nei suoi confronti, da lui respinto.
Tutti motivi che portano Ruiz a sospettare di
lui. Così ci incamminiamo nella seconda parte, quella dove il nostro eroe
diventa il principale sospettato. C’è infatti un altro suo paziente, Bobby, che
si comporta in modo molto ambiguo. Qui ci si immerge nella parte più scontata della
storia, anche se Robotham cerca di complicarla ad ogni piè sospinto. Bobby non
solo è ambiguo, ma viene da una storia strana, con una famiglia disturbata alle
spalle, un padre che pare si sia suicidato dopo aver avuto un giudizio di
instabilità emotiva da parte di un’equipe di psicologici. Bobby che ha un
fratello maggiore, scomparso da tempo nel sud-est asiatico.
Insomma, ci sono tutti i prodromi perché Joe
si intestardisca a ritenere, senza prove provate, che Bobby sia il motore delle
sue disgrazie. Ma Bobby ha sempre un alibi per tutte le possibili morti (ce ne
sono altre ma le sorvoliamo piacevolmente), così che è facile capire come Ruiz
pensi sia tutta farina di Joe che cerca di intorbidire le acque dell’indagine.
Ecco allora che Joe non può far altro che
mettersi in prima persona ad indagare, fuggendo dalla giustizia ma dovendo fare
i conti con la sua vita. La moglie non accetta il suo tradimento, il cerchio
delle prostitute non riesce a trovare il modo di aiutarlo, gli psicologici,
colleghi e superiori, cominciano a scansarlo.
Ma, ed eccoci nella terza parte, dove il
fuggiasco Joe ritorna a fare l’eroe della prima parte. Il tutto quando scopre
che la perizia che ha provocato la catena di avvenimenti che hanno portato alla
morte del padre di Bobby è stata firmata da lui, anche se solo come sostituto
di un suo collega, momentaneamente non disponibile. Da qui, in quel finale un
po’ troppo veloce, arriveremo alla conclusione, alla riabilitazione di Joe,
alla riappacificazione con la famiglia, nonché alla confessione che, appunto,
deve tenere sotto controllo il Parkinson.
D’altra parte, Joe è troppo simpatico per
essere cattivo, anche se gli autori di thriller ci hanno abituato a scherzetti
poco simpatici. Il punto forte del romanzo è questo coinvolgimento che un
paziente instabile induce nel suo terapeuta. E noi che abbiamo visto dal di
dentro quel mondo, lo capiamo bene. Bello anche lo sfondo metropolitano di
Londra dove si svolge il dramma e che Robotham ben conosce. Vediamo Joe, i suoi
amici, i suoi colleghi, anche i poliziotti, a volte non dire per non essere
coinvolti, come riporta l’autore laddove sostiene che “non conta quello che si
dice ma quello che si tace”.
Ma se la parte psicologica ha appunto dei
plus, la parte thriller, alla fine, ricalca dei cliché abbastanza scontati,
portandoci a conclusioni che sono anch’esse prevedibili. Insomma, leggibile, ma
non molto di più.
“Anche l’ora peggiore della tua vita non dura
più di sessanta minuti.” (377)
Claire
Douglas “Le sorelle” Corriere Thriller Psicologici 9 euro 7,90
[A:
17/09/2018 – I: 19/05/2022 – T: 21/05/2022] & e ½
[titolo:
The Sisters; lingua: inglese; pagine: 332; anno: 2015]
Poche sono le notizie che si riescono a
trovare dell’autrice e dei suoi scritti. Viene etichettata come giornalista in
riviste femminili, nonché vincitrice di un “Marie Claire Debut Novel Award”. Le
edizioni TEA hanno in catalogo quattro suoi libri, nessuno che abbia ricevuto
particolari notorietà. Ultimo dato noto, vive a Bath, ed a Bath è ambientato
questo romanzo.
A parte le notazioni ambientali (molto Bath,
qualche accenno in giro per l’isola inglese ed un po’ di Londra), come tutte le
ambientazioni psicologiche in genere si svolge al chiuso. Di una stanza, di una
casa, di un ospedale, al limite di una mente. Anche qui non si sfugge agli
stereotipi, ma c’è un grande punto interrogativo che precede ogni critica.
Nell’ambito del thriller, la branca
intitolato “thriller piscologico”, si fonda su di una trama dove, accadendo
qualche atto criminale, si pone l’accento sulle condizioni mentali dei
personaggi, sulle loro emozioni e possibili stati di follia, paura o
alterazione di qualche tipo. Secondo elemento distintivo, proprio per mandare
fuori strada il lettore, spesso è narrato in prima persona, da un “narratore
inaffidabile” che, basandosi sulle proprie emozioni e sensazioni, porta il
lettore fuori strada. O dovrebbe portarlo.
Ora qui, c’è solo un elemento, pur se doppio.
Infatti, manca un atto criminoso vero e proprio. Anzi, per quanto si capisce,
non c’è nessuna vera azione criminosa. Ci sono rapporti umani, tentativi di
questo o quello di mandare qualche d’un altro fuori di testa, gelosie, amori e
rancori. L’elemento doppio è che la narrazione è affidata alternativamente ad
Abi (di vero nome Abigail) e Bea (di vero nome Beatrice). Ed entrambe, con più
o meno ampiezza, ci dicono la loro e noi stiamo lì ad aspettare che venga
sciolto il nodo.
Che non si scioglie, ma che mi pone una
domanda: perché blog esperti di “noir” parlano di questo come uno dei migliori
esempi del genere? Come direbbe Ruggeri: “Mistero!”.
Ridotta all’osso, seguiamo Abi, casco biondo,
sconvolta dall’aver provocato un incidente di macchina dove muore la sua
gemella Lucy, che vedendo una persona che assomiglia a Lucy (ed a lei, in
quanto gemella) l’avvicina ed instaura un primo contatto. Lei è Bea, creatrice
di gioielli a tempo perso, straricca, nonché gemella essa stessa di Ben (anche
lui biondo, e come molti, in una sovrabbondanza di lettere “B”).
Senza motivi apparenti, Bea invita la sconosciuta
Abi a venire a vivere nella sua villa con giardino. Abi, senza conoscere un
briciolo delle storie di Bea e Ben, accetta, visto anche che non le chiedono
neanche l’affitto. Già qui rasentiamo l’assurdo. Poi, com’è ovvio, Abi si
innamora di Ben. Ma nella casa non ci dovrebbero essere rapporti tra
coinquilini (decide Bea). Comincia così il gioco di cattiverie. Abi pensa che
Bea le faccia dispetti perché gelosa della sua prossimità con Ben. Bea pensa
che Abi voglia rompere il patto solidale tra lei e Ben. Non stenta a
comprendere che la realtà è una terza via, quando si scopre una madre di Ben
che non è madre di Bea, anche se i due sono realmente gemelli.
Visto tutta l’ansia che ognuno emana, la
soluzione primaria sarebbe che Abi faccia subito fagotto e vada via. Ma è come
guardare quei film battezzati “horror” dove quattro ragazzi inseguiti magari da
zombie cattivissimi che fanno? Chiudono casa a chiave e si rifuggono in
mansarda, così che faranno presto la fine del topo. Fine che, moralmente,
faranno i protagonisti della storia. Che finisce senza nessun vero atto
criminale, ma con delle parole che, nella mente della scrittrice, vorrebbero
insinuare dei dubbi.
Comunque, le sorelle del titolo praticamente
non esistono, visto che Lucy muore prima dell’inizio ed ha poco peso nella
storia, se non nell’ingarbugliarla. Poi Bea e Ben sarebbero fratello e sorella,
anche se c’è del torbido nel loro legarsi vicendevole. Inoltre, all’inizio
vediamo Bea leggere ritagli di giornale con la storia di Abi e Lucy, così che
ci figuriamo il suo invito ad Abi di venire a vivere in villa abbia radici
lontane. Ovviamente, speranza illusoria.
Sperando che poi sia calata un’ondata di
consapevolezza, magari tra originale e traduzione, anche se ne dubito, una
delle migliori chicche è la seguente frase: “Il rombo di un tuono è seguito
dall’immancabile fulmine che illumina tutto il cortile.” Penso che anche i
meno dotti in fisica siano a questo punto inorriditi. Ecco, rimanete così e
lasciate perdere questo libro.
Patricia
Highsmith “Il talento di Mr. Ripley” Corriere Thriller Psicologici 8 euro 7,90
[A:
13/09/2018 – I: 24/05/2022 – T: 27/05/2022] &&&
e ½
[titolo:
The Talented Mr. Ripley; lingua: inglese; pagine: 412;
anno: 1955]
Avere quasi settanta anni e non dimostrarli.
Ecco il miglior commento a questo libro della grande scrittrice americana, ma
che di americano ha poco. Patricia Highsmith è di certo un personaggio strano,
scomodo, ma con un talento innato per inventarsi trame che pongono prima agli
attori sulla carta e poi a noi lettori, domande e dubbi.
Omosessuale dichiarata, piena di idee
contrastanti su molte materie, dagli anni Sessanta decide di lasciare gli Stati
Uniti e si stabilisce in Svizzera, lei, i suoi gatti, e le occasionali
relazioni, dove a 75 anni muore. Nasce in Texas con il nome di Mary Patricia
Plangman, e rimarrà sempre segnata dalla vicenda della nascita: i genitori
divorziano sette giorni prima della nascita e la madre tenta di abortire
bevendo trementina. Prenderà poi il cognome del patrigno Stanley Highsmith, a
ribadire il distacco totale verso il padre e la madre.
La popolarità nasce dal suo primo romanzo,
criticato in patria, ed osannato da Truman Capote, quando il grande Hitchcock
lo porta sullo schermo: “Sconosciuti in treno”. Se non lo avete letto, ve lo
consiglio.
In questo, che è il suo quarto romanzo,
inizia quella che verrà considerata “la saga di Ripley”, anche se il secondo
dei cinque romanzi sarà pubblicato solo quindici anni dopo. Essenzialmente, e
fino in fondo, è un “noir” che di psicologico ha solo l’analisi del personaggio
principale, le motivazioni del suo agire, i suoi pensieri. Inoltre, c’è una
grande differenza tra leggerlo ora ed averlo letto a suo tempo. Nel secondo
caso, ci si aspetta un colpo di scena, un modo, al fine, di trovare un modo di
scontare le malefatte che vediamo accumularsi pagina dopo pagina. Nel primo, si
cerca di capire dove scatterà, fino in fondo, l’ingegno di Tom Ripley.
Perché d’ingegno si tratta, come direbbe
meglio il titolo inglese, pedissequamente interpretabile come “L’ingegnoso mr.
Ripley”, piuttosto che andare alla ricerca di un suo talento. Dato che, forse,
l’unico vero talento di Tom è quello di escogitare vie d’uscita improbabili
quanto efficaci a quanto va facendo durante questa sua giovinezza.
Vediamo infatti (e lo seguiremo così per un
quarto del libro) Tom alle prese con mille modi, al limite ed al di là della
legge, per sbarcare il lunario. Imbarcandosi in comitive tutte un po’ ai
limiti, dove riesce, più male che bene, a tirare avanti. Proprio in una di
queste scorribande giovanili Tom conosce Dickie Greenleaf, un americano che
decide di trasferirsi in Italia, nel fittizio paesino campano di Mongibello.
Tom viene avvicinato dal padre di Dickie che
lo convince ad andare in Italia per convincere il figlio a tornare. Comincia
così la seconda parte, dove vediamo Tom in Italia, girare prima spaesato da usi
e costumi diversi, poi sempre più integrato. Lo vediamo accodarsi a Dickie,
diventarne amico, mettersi in mezzo tra lui e la sua possibile fiamma Marge. Latentemente,
sembra che Patricia voglia farci vedere Tom un po’ omosessuale, anche se, per
gli standard degli anni ’50, sarebbe un po’ politicamente scorretto.
Vedendo di non riuscire a convincere Dickie
al ritorno, e capendo anche che i soldi dei Greenleaf non sono eterni, in un
lampo di quasi follia, decide di ucciderlo, e di prenderne il posto. Qui
comincia la terza parte del libro, con Tom che impersona Dickie, che sfugge
tutti gli amici per non farsi riconoscere, che imita la firma per riscuotere la
rendita mensile, che scrive lettere a Marge ed al padre, facendo vedere che
Dickie e Tom sono in giro per l’Italia.
Nonostante tutte le sue attenzioni, a Roma
viene ritrovato da Freddie, che lo conosce come Tom, ma che sospetta qualcosa.
Niente di meglio che uccidere anche Freddie, simulando quasi che possa essere
stato Dickie. Per poi confondere le acque, della polizia e di Marge, mescolando
sapientemente Tom e Dickie.
Quando però le firme false vengono
riconosciute, Tom non può che tornare Tom, cercando di (e riuscendo a)
convincere tutti che Dickie, in balia alla depressione, si sia suicidato.
Questa è una delle parti migliori del trattato psicologico “Ripley”. Fare il
doppio, costruire prove per incastrare ora l’uno ora l’altro, nonché, e questo
mi è piaciuto molto fuori dagli schemi, girare per l’Italia, e presentarci
Roma, Napoli, Palermo, Venezia, con gli occhi di un’americana europeizzata.
Noi si aspetta sempre il colpo di scena, un
errore che metta fine alla carriera criminale di Tom, anche se lui non ha mai
un attimo di pentimento per le morti perpetrate. È la vita americana, la
vittoria del più smaliziato, piuttosto che del più forte. Quando tutto sembra
poter collassare, trovando la polizia i beni di Dickie in un deposito, le
impronte digitali sono uguali a quelle lasciate nell’albergo a Roma. Entrambe
sono di Tom, ma per la polizia, l’albergo era abitato da Dickie, e quindi il
nostro simpatico furfante non verrà mai incriminato di nessuna morte.
Un meccanismo ad incastro talmente noto che
non mi dispiace averlo seguito fino in fondo. Certo, per la scrittura di
Patricia si vede che sono passati settanta anni, ma il rompicapo è ingegnoso
(”talented” appunto). Non solo, ma, pur con veloci tratti, vediamo i vari
personaggi svelati nelle loro intime elucubrazioni. Molti sono marginali, Tom è
un ritratto fantastico. Un cattivo a tutto tondo, che si lascia trascinare
dagli eventi, trovando il bandolo per uscire dalle difficoltà, con il suo
talento per le soluzioni improbabili. Talento che troveremo anche negli altri
quattro romanzi.
Il talento di Patricia (che dirà Tom essere
quasi un suo alter ego psicologico) è quello che induce il lettore a fare il
tifo per un assassino sociopatico, completamente privo di empatia per gli altri
(dirà sempre di voler stare con gli altri e si troverà sempre solo), oscillando
in ogni sua azione tra l’attrazione e l’odio. Un talento che la farà battezzare
da Graham Greene “poetessa dell’inquietudine”.
“Aveva talento per la matematica, perché
diavolo non c’era nessuno disposto a pagarlo per questo?” (12)
Prima trama del nuovo mese, quindi con l’elenco
dei titoli di luglio, che, benché impreziositi dal bel viaggio islandese,
raggiungono la normale cifra di 15 letture. Non eccelse, se non menzionando l’ennesimo
buon libro di Simenon e la bella scrittura caraibica di Jean Rhys. In fondo
alla scala il solito, poco leggibile, thriller psicologico di Tremayne.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Leonardo Sciascia |
Il contesto |
Repubblica |
8,90 |
3 |
2 |
Italo Calvino |
L’entrata in guerra |
Repubblica |
9,90 |
2,5 |
3 |
Ragnar Jónasson |
Notturno islandese |
Feltrinelli |
s.p. |
2,5 |
4 |
Robert Ludlum |
Ascendente Bourne |
Repubblica Spy |
7,90 |
2 |
5 |
Georges Simenon |
La verità su Bébé Donge |
Repubblica |
9,90 |
3,5 |
6 |
S.
K. Tremayne |
La
gemella silenziosa |
Corriere Thriller |
7,90 |
1 |
7 |
Jean Rhys |
Buongiorno, mezzanotte |
Adelphi |
17
|
3,5 |
8 |
Guillaume
Musso |
E
poi … |
La nave di Teseo |
12,50 |
2 |
9 |
Arnaldur
Indridason |
Il
commesso viaggiatore |
TEA |
12 |
3 |
10 |
Maxence Fermine |
Il palazzo delle ombre |
Bompiani |
9,90 |
3 |
11 |
Amy
Gentry |
La
ragazza del passato |
Corriere Thriller |
7,90 |
1,5 |
12 |
Sarah Savioli |
Le inchieste degli insospettabili |
Feltrinelli |
16 |
3 |
13 |
Ragnar Jónasson |
La ragazza nella tormenta |
Feltrinelli |
10
|
3 |
14 |
Rosa Teruzzi |
La sposa scomparsa |
Feltrinelli |
9
|
3 |
15 |
Rosa Teruzzi |
La fioraia del Giambellino |
Feltrinelli |
9
|
3 |
Pescando
nella fucina della memoria, inizio con riportarvi una frase tratta da un libro
che regalai a mia madre tredici anni fa. “Le lunghe ombre della morte” del tedesco Veit Heinichen ed ambientato nella bella Trieste: “Sapeva
che c’erano cose che non gli avrebbe rivelato neppure a letto. Ma accettarlo
era un altro paio di maniche” (332)
Come avete letto in alto, pur stanchi, siamo
tornati felici dal giro sudamericano. Ed ora ci aspetta un ottobre di
celebrazioni e riposo. Con tanti compleanni (Filippo, Ale, Pri, zia Paia,
muhallima, Ulisse, Teresa ed il ricordo di mamma), tante feste (le castagne a
Soriano, l’ottobrata toscana tra mare e campagna) e quindi tanti momenti relax.
In attesa di capire se, come e quando, non tanto ripartire, ma fare in modo che si rimarginino le ferite economiche di questi tempi guerreschi. Attendiamo con fiducia, gramscianamente, inviando a tutti e tutte un abbraccio.
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