domenica 2 ottobre 2022

Psychotriller deludenti - 02 ottobre 2022

Dato che vi sono mancato come un mal di denti a mezzanotte, eccoci qui, di ritorno da un viaggio anniversario bello, intenso e faticoso, a riproporre nuove trame e vecchi pensieri. Una settimana dedicata alla non troppo eccelsa collana del Corriere, poco thriller e poco psicologica, illuminata solo dalla presenza di un mostro sacro del genere, Patricia Highsmith con il suo intramontabile Mr. Ripley. Per il resto poche e dimenticabili cose.

Wulf Dorn “La psichiatra” Corriere Thriller Psicologici 5 euro 7,90

[A: 05/09/2018 – I: 06/04/2022 – T: 08/04/2022] - &&

[tit. or.: Trigger; ling. or.: tedesco; pagine: 395; anno 2009]

Sembra, da queste prime letture, che gli scrittori di lingua tedesca abbiano una predominanza nello scrivere di psicologia mescolata al giallo. Tant’è che più del 50% delle mie prime letture di questa collana provengono da scrittori di origine germanica. In più ci si mettono i traduttori dei titoli in italiano che mettono in prima linea la dottoressa protagonista del romanzo, la psichiatra, appunto. Quando poi, andiamo a vedere il titolo originale, dove si parla di un preciso termine tecnico.

“Trigger”, infatti, indica l’elemento scatenante di una patologia psicologico. Seppur intraducibile, visto che si potrebbe usare il termine “grilletto”, mostra un avvenimento che, in modo inaspettato, fa scatenare effetti psicologici non previsti, né prevedibili. Un titolo più vicino, se non si vuol mantenere il termine che comunque è usabile, potrebbe appunto essere “Effetto scatenante”. Ma io sono solo un forte lettore, non un critico, né tantomeno un traduttore.

Per cominciare, visto che poche sono le notizie che se ne ricavano dal risvolto di copertina, diciamo che Dorn è un esperto di problemi psicologici, avendo anche lavorato a lungo come logopedista, prima di cominciare, verso i quarant’anni, il suo percorso letterario. Dato il retroterra culturale, quindi, niente ci sorprende che abbia innestato le sue conoscenze dei percorsi cerebrali su trame “thriller”.

Qui, ci sarebbe in pratica un doppio binario da seguire. C’è la storia di Lara, abbozzata nel prologo e sviluppata nella seconda parte. Una bambina che, per sfida, si intrufola in una casa considerata maledetta, dove uno psicopatico aveva sterminato la famiglia prima di uccidersi. Lara è molto suggestionabile, e, sola in un ambiente sicuramente pauroso, ha un grosso shock mentale.

In tutta la prima parte, ed in gran parte della seconda, invece, seguiamo la vicenda della dottoressa Ellen. Che lavora in un ospedale psichiatrico, compagna di un dottore anche lui nel ramo, che tuttavia è partito in vacanza e non è raggiungibile.

Ellen è di sicuro sulle corde, al limite del burn out. Troppe responsabilità, troppi casi difficili. Tra l’altro, la vediamo insieme ad un altro dottore, Mark, affrontare un paio di situazioni assai complicate, con pazienti che danno fuori di matto, arrivando quasi al suicidio. Pazienti cui, per l’appunto, scatta quell’effetto scatenante che tira fuori di tutto. E dove Ellen e Mark se ne domandano la natura.

In più, Ellen ha per le mani un caso particolarmente intrigante. Una donna, sporca e maltrattata, si lamenta di essere inseguita ed insidiata da un cattivo, che lei chiama “Uomo Nero”. Che la vuole uccidere, e che ucciderà tutti quelli che l’aiuteranno, compresa Ellen. Potrebbe essere la famigerata Lara della storia parallela?

Il problema è che questa donna scompare prima che qualche d’un altro le possa parlare. Comincia così un gioco di ricerca e spavento. Ellen non sa a chi rivolgersi. Che la polizia la snobba, il personale dell’ospedale pensa che abbia le visioni. Pare che solo Mark supponga ci sia qualcosa nei racconti di Ellen. Ma, ed è ovvio dal modo di porre il racconto da parte di Dorn, Ellen non riesce a fidarsi di nessuno. Sospetta di tutti. Di Mark, che compare nei luoghi più impensati, magari a sproposito. Del suo compagno, di cui comincia a dubitare la reale partenza per l’altro capo del mondo.

Purtroppo, la trama, o il modo di porgerla di Dorn, non riesce a decollare. Non ci sono indizi particolari sui possibili sviluppi. Così che si arriva allo scioglimento del thriller, senza che il lettore ne sia coinvolto, né dal punto di vista drammaturgico, né, e ci dispiace, dal punto di vista emotivo. Tant’è che alla fine, la soluzione si prospetta abbastanza aperta da far supporre la possibilità di una nuova avventura.

Poco altro rimane nella mente, forse solo l’accenno a pagina 288, quando Mark ed Ellen sono in macchina, che i due ascoltano la musica di Angelo Badalamenti. Che tutti sanno, ovviamente, essere l’autore delle colonne sonore dei film di David Lynch. Facendoci quindi immaginare che, sotto la superficie del racconto, ci siano misteri come nelle opere del maestro del cinema. Non molto per salvare il romanzo.

Forse, l’unico altro punto, per chi non è vicino a tematiche psicologiche, è il cercare di rendere visibili al grande pubblico, termini e temi poco noti, come l’effetto trigger o il burn out. Comunque, sempre troppo poco.

Tess Gerritsen “Il battito del sangue” Corriere Thriller Psicologici 13 euro 7,90

[A: 01/11/2018 – I: 26/04/2022 – T: 28/04/2022] &&& ----

[titolo: Playing with Fire; lingua: inglese; pagine: 275; anno: 2015]

Aspettavo con curiosità che i miei complessi algoritmi di lettura mi portassero a leggere di Tess. Perché sapevo che l’autrice (il cui vero nome è Terry Tom ed è di origine cinese) era l’ideatrice dei libri della serie “Rizzoli&Isles” (nonché sceneggiatrice della serie TV). Una serie che ho sempre gustato con la serenità di vedere un buon prodotto, ben recitato e con alcuni spunti anche ironici.

Purtroppo, questo non è un libro della serie, e, benché abbia alcuni punti forti, la resa, sia dal punto di vista thriller che dal punto di vista psicologico, non è elevata.

Intanto, rileviamo la solita forzatura del titolo, dove ad un onesto “Scherzando col fuoco” (sinonimo di avvicinarsi a cose pericolose), si è sostituito quel “battito del sangue”, che non sembra avere né capo né coda, se non per cercare di forzare l’attenzione del lettore in una direzione specifica, magari a scapito di attenzione e pensieri verso la vicenda complessiva. Tra l’altro, proprio per tornare al fuoco, un punto centrale è uno spartito musicale di un brano per violino e violoncello, intitolato “Incendio”. Infine, Tess è anche musicista, ed ha realmente composto il brano sopra indicato.

Ma torniamo al testo, anche perché (ed è il motivo dell’inclusione in questa collana) si cerca di forzare il lato psicologico, cercando di portare il lettore ad immaginare che ci sia (che ci possa essere) una spiegazione al di là del normale di quanto sta accadendo. Mentre alla fine, è il lato thriller che non solo prevale, ma che resta il solo ad occupare la scena.

Dicevo dei punti forti, che sono sul versante della storia passata. Che anche qui, come spesso accade, si trattano due racconti che convergeranno, uno nell’oggi, ed uno tra il ’38 ed il ’44. Il pugno dello stomaco viene dal passato, laddove dobbiamo ad una scrittrice sino-americana la voglia di inserire il ricordo di una dei più efferati campi di sterminio situati in Italia, la Risiera di San Sabba. Perché nel passato si seguono le vicende del violinista Lorenzo Todesco, ebreo veneziano, del suo amore per la cattolica Laura, l’internamento nella Risiera, dove si salva in quanto musicista, laddove i tedeschi (e questa è storia) usavano un ensemble sinfonico per coprire le urla dei torturati. Lorenzo lì compone il maledetto valzer “Incendio” destinato a ricordare gli avvenimenti di San Sabba.

Qui la vicenda romanzesca si stacca dalla realtà, che il gestore della banda musicale era il commissario Gaetano Collotti, che non riuscì a fuggire, come si dice nel libro. Ma venne preso durante la fuga dai partigiani, e giustiziato nella cartiera di Mignagola. Qui, invece, fa comodo portarlo in salvo, farlo vivere sotto falso nome vicino a Roma, disperdendo i suoi beni alla morte. Beni comprendenti lo spartito di cui sopra, che viene rinvenuto dalla violinista americana Julia, da dove parte l’altra vicenda.

Julia è affascinata dalla bellezza del valzer, ma ogni volta che lo suona succede qualcosa di terribile, soprattutto quando arriva alle parti finali. La prima volta muore il gatto. La seconda si ferisce ad una gamba. La terza cade dalle scale. Ed ogni volta, presenta sulla scena, ed osservandola con i suoi occhi impenetrabili, c’è Lily la figlia di tre anni.

Qui ci si porta a far credere che ci sia una sorta di filo rosso tra le note e la pazzia, di Lily o di Julia. Oppure una rincarnazione malefica dello spirito degli aguzzini nazisti. Di certo, questo tentativo non è orchestrato al meglio, ed alla fine scopriremo che la realtà è molto più prosaica, e consequenziale. Certo, ci saranno dei misteri da scoprire, delle rivelazioni che risalgono anche al passato di Julia. Ma non c’è ritmo, non c’è la nascita di una vera suspense. Tutto converge, e tutto si risolve.

Rimangono, ed è un bene, alcune scene italiane che non dimentichiamo. Le passeggiate per Roma, probabilmente nelle viuzze dei dintorni di Piazza Navona. I giri, di rimembranza giovanile, tra Dorsoduro e Cannaregio. Senza dimenticare una sosta nel Campo del Ghetto Nuovo, epicentro della zona ebraica di Venezia. Nonché, leggendo la postfazione dell’autrice, il riferimento al libro che le ha fornito materiale per la parte storica: “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo” di Renzo De Felice, uno storico che rimarrà sempre nelle nostri menti, per la brillantezza di uno dei suoi più promettenti allievi, nonché mio carissimo amico.

Michael Robotham “L’indiziato” Corriere Thriller Psicologici 7 euro 7,90

[A: 05/09/2018 – I: 06/05/2022 – T: 09/05/2022] &&

[titolo: The Suspect; lingua: inglese; pagine: 461; anno: 2004]

Eccoci di nuovo alle prese con un autore di thriller psicologici, che entra, molto, nel ramo psicologico, mentre mi lascia un po’ freddo sul lato thriller. Anche se la suspence non manca. Robotham nasce in Australia, ma dai 25 ai 36 anni vive a Londra, facendo un po’ il giornalista ed un po’ il ghostwriter, attività questa che gli permette di farsi una piccola rendita e di tornare in patria per fare quello che aveva sempre voluto, scrivere per passione. Per inciso è anche il padre di una nota songwriter australiana, Alex Hope. Ma queste sono altre storie.

La storia, venendo da uno che scrive da sempre, è decisamente scorrevole, con anche alcuni spunti ironici, ma appesantita dalla troppa simpatia verso il protagonista e da un finale forse troppo veloce.

La vicenda è narrata in prima persona da uno psicologo, Joseph O’Loughlin, detto Joe, che, prima che sia sconvolta, ha una vita da “Mulino Bianco”: un buon lavoro in cui ha successo, una moglie che lo segue anche nelle sue follie (come cospargere di foglie la tomba della nonna) ed una figlia adorabile. Nella prima parte, lo vediamo come un eroe. Appunto, famiglia felice, salvataggio di un paziente disturbato, ed altro. Poi cominciano le crepe: scopriamo che, nonostante la giovane età, ha un inizio di Parkinson, che per sfogarsi, invece delle braccia della moglie, ha preferito quella di una prostituta sua carissima amica.

Non solo, quando tal Catherine viene trovata morta, si impantana in depistaggi che lo mettono in cattiva luce. La ragazza viene trovata vicino alla tomba delle foglie di cui sopra, ma quando l’ispettore Ruiz lo coinvolge nella ricerca di un profilo della morte, lui non dice che conosce la tipa, che l’ha avuta come paziente, che la tipa stessa aveva tentato un approccio sessuale nei suoi confronti, da lui respinto.

Tutti motivi che portano Ruiz a sospettare di lui. Così ci incamminiamo nella seconda parte, quella dove il nostro eroe diventa il principale sospettato. C’è infatti un altro suo paziente, Bobby, che si comporta in modo molto ambiguo. Qui ci si immerge nella parte più scontata della storia, anche se Robotham cerca di complicarla ad ogni piè sospinto. Bobby non solo è ambiguo, ma viene da una storia strana, con una famiglia disturbata alle spalle, un padre che pare si sia suicidato dopo aver avuto un giudizio di instabilità emotiva da parte di un’equipe di psicologici. Bobby che ha un fratello maggiore, scomparso da tempo nel sud-est asiatico.

Insomma, ci sono tutti i prodromi perché Joe si intestardisca a ritenere, senza prove provate, che Bobby sia il motore delle sue disgrazie. Ma Bobby ha sempre un alibi per tutte le possibili morti (ce ne sono altre ma le sorvoliamo piacevolmente), così che è facile capire come Ruiz pensi sia tutta farina di Joe che cerca di intorbidire le acque dell’indagine.

Ecco allora che Joe non può far altro che mettersi in prima persona ad indagare, fuggendo dalla giustizia ma dovendo fare i conti con la sua vita. La moglie non accetta il suo tradimento, il cerchio delle prostitute non riesce a trovare il modo di aiutarlo, gli psicologici, colleghi e superiori, cominciano a scansarlo.

Ma, ed eccoci nella terza parte, dove il fuggiasco Joe ritorna a fare l’eroe della prima parte. Il tutto quando scopre che la perizia che ha provocato la catena di avvenimenti che hanno portato alla morte del padre di Bobby è stata firmata da lui, anche se solo come sostituto di un suo collega, momentaneamente non disponibile. Da qui, in quel finale un po’ troppo veloce, arriveremo alla conclusione, alla riabilitazione di Joe, alla riappacificazione con la famiglia, nonché alla confessione che, appunto, deve tenere sotto controllo il Parkinson.

D’altra parte, Joe è troppo simpatico per essere cattivo, anche se gli autori di thriller ci hanno abituato a scherzetti poco simpatici. Il punto forte del romanzo è questo coinvolgimento che un paziente instabile induce nel suo terapeuta. E noi che abbiamo visto dal di dentro quel mondo, lo capiamo bene. Bello anche lo sfondo metropolitano di Londra dove si svolge il dramma e che Robotham ben conosce. Vediamo Joe, i suoi amici, i suoi colleghi, anche i poliziotti, a volte non dire per non essere coinvolti, come riporta l’autore laddove sostiene che “non conta quello che si dice ma quello che si tace”.

Ma se la parte psicologica ha appunto dei plus, la parte thriller, alla fine, ricalca dei cliché abbastanza scontati, portandoci a conclusioni che sono anch’esse prevedibili. Insomma, leggibile, ma non molto di più.

“Anche l’ora peggiore della tua vita non dura più di sessanta minuti.” (377)

Claire Douglas “Le sorelle” Corriere Thriller Psicologici 9 euro 7,90

[A: 17/09/2018 – I: 19/05/2022 – T: 21/05/2022] & e ½ 

[titolo: The Sisters; lingua: inglese; pagine: 332; anno: 2015]

Poche sono le notizie che si riescono a trovare dell’autrice e dei suoi scritti. Viene etichettata come giornalista in riviste femminili, nonché vincitrice di un “Marie Claire Debut Novel Award”. Le edizioni TEA hanno in catalogo quattro suoi libri, nessuno che abbia ricevuto particolari notorietà. Ultimo dato noto, vive a Bath, ed a Bath è ambientato questo romanzo.

A parte le notazioni ambientali (molto Bath, qualche accenno in giro per l’isola inglese ed un po’ di Londra), come tutte le ambientazioni psicologiche in genere si svolge al chiuso. Di una stanza, di una casa, di un ospedale, al limite di una mente. Anche qui non si sfugge agli stereotipi, ma c’è un grande punto interrogativo che precede ogni critica.

Nell’ambito del thriller, la branca intitolato “thriller piscologico”, si fonda su di una trama dove, accadendo qualche atto criminale, si pone l’accento sulle condizioni mentali dei personaggi, sulle loro emozioni e possibili stati di follia, paura o alterazione di qualche tipo. Secondo elemento distintivo, proprio per mandare fuori strada il lettore, spesso è narrato in prima persona, da un “narratore inaffidabile” che, basandosi sulle proprie emozioni e sensazioni, porta il lettore fuori strada. O dovrebbe portarlo.

Ora qui, c’è solo un elemento, pur se doppio. Infatti, manca un atto criminoso vero e proprio. Anzi, per quanto si capisce, non c’è nessuna vera azione criminosa. Ci sono rapporti umani, tentativi di questo o quello di mandare qualche d’un altro fuori di testa, gelosie, amori e rancori. L’elemento doppio è che la narrazione è affidata alternativamente ad Abi (di vero nome Abigail) e Bea (di vero nome Beatrice). Ed entrambe, con più o meno ampiezza, ci dicono la loro e noi stiamo lì ad aspettare che venga sciolto il nodo.

Che non si scioglie, ma che mi pone una domanda: perché blog esperti di “noir” parlano di questo come uno dei migliori esempi del genere? Come direbbe Ruggeri: “Mistero!”.

Ridotta all’osso, seguiamo Abi, casco biondo, sconvolta dall’aver provocato un incidente di macchina dove muore la sua gemella Lucy, che vedendo una persona che assomiglia a Lucy (ed a lei, in quanto gemella) l’avvicina ed instaura un primo contatto. Lei è Bea, creatrice di gioielli a tempo perso, straricca, nonché gemella essa stessa di Ben (anche lui biondo, e come molti, in una sovrabbondanza di lettere “B”).

Senza motivi apparenti, Bea invita la sconosciuta Abi a venire a vivere nella sua villa con giardino. Abi, senza conoscere un briciolo delle storie di Bea e Ben, accetta, visto anche che non le chiedono neanche l’affitto. Già qui rasentiamo l’assurdo. Poi, com’è ovvio, Abi si innamora di Ben. Ma nella casa non ci dovrebbero essere rapporti tra coinquilini (decide Bea). Comincia così il gioco di cattiverie. Abi pensa che Bea le faccia dispetti perché gelosa della sua prossimità con Ben. Bea pensa che Abi voglia rompere il patto solidale tra lei e Ben. Non stenta a comprendere che la realtà è una terza via, quando si scopre una madre di Ben che non è madre di Bea, anche se i due sono realmente gemelli.

Visto tutta l’ansia che ognuno emana, la soluzione primaria sarebbe che Abi faccia subito fagotto e vada via. Ma è come guardare quei film battezzati “horror” dove quattro ragazzi inseguiti magari da zombie cattivissimi che fanno? Chiudono casa a chiave e si rifuggono in mansarda, così che faranno presto la fine del topo. Fine che, moralmente, faranno i protagonisti della storia. Che finisce senza nessun vero atto criminale, ma con delle parole che, nella mente della scrittrice, vorrebbero insinuare dei dubbi.

Comunque, le sorelle del titolo praticamente non esistono, visto che Lucy muore prima dell’inizio ed ha poco peso nella storia, se non nell’ingarbugliarla. Poi Bea e Ben sarebbero fratello e sorella, anche se c’è del torbido nel loro legarsi vicendevole. Inoltre, all’inizio vediamo Bea leggere ritagli di giornale con la storia di Abi e Lucy, così che ci figuriamo il suo invito ad Abi di venire a vivere in villa abbia radici lontane. Ovviamente, speranza illusoria.

Sperando che poi sia calata un’ondata di consapevolezza, magari tra originale e traduzione, anche se ne dubito, una delle migliori chicche è la seguente frase: “Il rombo di un tuono è seguito dall’immancabile fulmine che illumina tutto il cortile.” Penso che anche i meno dotti in fisica siano a questo punto inorriditi. Ecco, rimanete così e lasciate perdere questo libro.

Patricia Highsmith “Il talento di Mr. Ripley” Corriere Thriller Psicologici 8 euro 7,90

[A: 13/09/2018 – I: 24/05/2022 – T: 27/05/2022] &&& e ½ 

[titolo: The Talented Mr. Ripley; lingua: inglese; pagine: 412; anno: 1955]

Avere quasi settanta anni e non dimostrarli. Ecco il miglior commento a questo libro della grande scrittrice americana, ma che di americano ha poco. Patricia Highsmith è di certo un personaggio strano, scomodo, ma con un talento innato per inventarsi trame che pongono prima agli attori sulla carta e poi a noi lettori, domande e dubbi.

Omosessuale dichiarata, piena di idee contrastanti su molte materie, dagli anni Sessanta decide di lasciare gli Stati Uniti e si stabilisce in Svizzera, lei, i suoi gatti, e le occasionali relazioni, dove a 75 anni muore. Nasce in Texas con il nome di Mary Patricia Plangman, e rimarrà sempre segnata dalla vicenda della nascita: i genitori divorziano sette giorni prima della nascita e la madre tenta di abortire bevendo trementina. Prenderà poi il cognome del patrigno Stanley Highsmith, a ribadire il distacco totale verso il padre e la madre.

La popolarità nasce dal suo primo romanzo, criticato in patria, ed osannato da Truman Capote, quando il grande Hitchcock lo porta sullo schermo: “Sconosciuti in treno”. Se non lo avete letto, ve lo consiglio.

In questo, che è il suo quarto romanzo, inizia quella che verrà considerata “la saga di Ripley”, anche se il secondo dei cinque romanzi sarà pubblicato solo quindici anni dopo. Essenzialmente, e fino in fondo, è un “noir” che di psicologico ha solo l’analisi del personaggio principale, le motivazioni del suo agire, i suoi pensieri. Inoltre, c’è una grande differenza tra leggerlo ora ed averlo letto a suo tempo. Nel secondo caso, ci si aspetta un colpo di scena, un modo, al fine, di trovare un modo di scontare le malefatte che vediamo accumularsi pagina dopo pagina. Nel primo, si cerca di capire dove scatterà, fino in fondo, l’ingegno di Tom Ripley.

Perché d’ingegno si tratta, come direbbe meglio il titolo inglese, pedissequamente interpretabile come “L’ingegnoso mr. Ripley”, piuttosto che andare alla ricerca di un suo talento. Dato che, forse, l’unico vero talento di Tom è quello di escogitare vie d’uscita improbabili quanto efficaci a quanto va facendo durante questa sua giovinezza.

Vediamo infatti (e lo seguiremo così per un quarto del libro) Tom alle prese con mille modi, al limite ed al di là della legge, per sbarcare il lunario. Imbarcandosi in comitive tutte un po’ ai limiti, dove riesce, più male che bene, a tirare avanti. Proprio in una di queste scorribande giovanili Tom conosce Dickie Greenleaf, un americano che decide di trasferirsi in Italia, nel fittizio paesino campano di Mongibello.

Tom viene avvicinato dal padre di Dickie che lo convince ad andare in Italia per convincere il figlio a tornare. Comincia così la seconda parte, dove vediamo Tom in Italia, girare prima spaesato da usi e costumi diversi, poi sempre più integrato. Lo vediamo accodarsi a Dickie, diventarne amico, mettersi in mezzo tra lui e la sua possibile fiamma Marge. Latentemente, sembra che Patricia voglia farci vedere Tom un po’ omosessuale, anche se, per gli standard degli anni ’50, sarebbe un po’ politicamente scorretto.

Vedendo di non riuscire a convincere Dickie al ritorno, e capendo anche che i soldi dei Greenleaf non sono eterni, in un lampo di quasi follia, decide di ucciderlo, e di prenderne il posto. Qui comincia la terza parte del libro, con Tom che impersona Dickie, che sfugge tutti gli amici per non farsi riconoscere, che imita la firma per riscuotere la rendita mensile, che scrive lettere a Marge ed al padre, facendo vedere che Dickie e Tom sono in giro per l’Italia.

Nonostante tutte le sue attenzioni, a Roma viene ritrovato da Freddie, che lo conosce come Tom, ma che sospetta qualcosa. Niente di meglio che uccidere anche Freddie, simulando quasi che possa essere stato Dickie. Per poi confondere le acque, della polizia e di Marge, mescolando sapientemente Tom e Dickie.

Quando però le firme false vengono riconosciute, Tom non può che tornare Tom, cercando di (e riuscendo a) convincere tutti che Dickie, in balia alla depressione, si sia suicidato. Questa è una delle parti migliori del trattato psicologico “Ripley”. Fare il doppio, costruire prove per incastrare ora l’uno ora l’altro, nonché, e questo mi è piaciuto molto fuori dagli schemi, girare per l’Italia, e presentarci Roma, Napoli, Palermo, Venezia, con gli occhi di un’americana europeizzata.

Noi si aspetta sempre il colpo di scena, un errore che metta fine alla carriera criminale di Tom, anche se lui non ha mai un attimo di pentimento per le morti perpetrate. È la vita americana, la vittoria del più smaliziato, piuttosto che del più forte. Quando tutto sembra poter collassare, trovando la polizia i beni di Dickie in un deposito, le impronte digitali sono uguali a quelle lasciate nell’albergo a Roma. Entrambe sono di Tom, ma per la polizia, l’albergo era abitato da Dickie, e quindi il nostro simpatico furfante non verrà mai incriminato di nessuna morte.

Un meccanismo ad incastro talmente noto che non mi dispiace averlo seguito fino in fondo. Certo, per la scrittura di Patricia si vede che sono passati settanta anni, ma il rompicapo è ingegnoso (”talented” appunto). Non solo, ma, pur con veloci tratti, vediamo i vari personaggi svelati nelle loro intime elucubrazioni. Molti sono marginali, Tom è un ritratto fantastico. Un cattivo a tutto tondo, che si lascia trascinare dagli eventi, trovando il bandolo per uscire dalle difficoltà, con il suo talento per le soluzioni improbabili. Talento che troveremo anche negli altri quattro romanzi.

Il talento di Patricia (che dirà Tom essere quasi un suo alter ego psicologico) è quello che induce il lettore a fare il tifo per un assassino sociopatico, completamente privo di empatia per gli altri (dirà sempre di voler stare con gli altri e si troverà sempre solo), oscillando in ogni sua azione tra l’attrazione e l’odio. Un talento che la farà battezzare da Graham Greene “poetessa dell’inquietudine”.

“Aveva talento per la matematica, perché diavolo non c’era nessuno disposto a pagarlo per questo?” (12)

Prima trama del nuovo mese, quindi con l’elenco dei titoli di luglio, che, benché impreziositi dal bel viaggio islandese, raggiungono la normale cifra di 15 letture. Non eccelse, se non menzionando l’ennesimo buon libro di Simenon e la bella scrittura caraibica di Jean Rhys. In fondo alla scala il solito, poco leggibile, thriller psicologico di Tremayne.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Leonardo Sciascia

Il contesto

Repubblica

8,90

3

2

Italo Calvino

L’entrata in guerra

Repubblica

9,90

2,5

3

Ragnar Jónasson

Notturno islandese

Feltrinelli

s.p.

2,5

4

Robert Ludlum

Ascendente Bourne

Repubblica Spy

7,90

2

5

Georges Simenon

La verità su Bébé Donge

Repubblica

9,90

3,5

6

S. K. Tremayne

La gemella silenziosa

Corriere Thriller

7,90

1

7

Jean Rhys

Buongiorno, mezzanotte

Adelphi

17

3,5

8

Guillaume Musso

E poi …

La nave di Teseo

12,50

2

9

Arnaldur Indridason

Il commesso viaggiatore

TEA

12

3

10

Maxence Fermine

Il palazzo delle ombre

Bompiani

9,90

3

11

Amy Gentry

La ragazza del passato

Corriere Thriller

7,90

1,5

12

Sarah Savioli

Le inchieste degli insospettabili

Feltrinelli

16

3

13

Ragnar Jónasson

La ragazza nella tormenta

Feltrinelli

10

3

14

Rosa Teruzzi

La sposa scomparsa

Feltrinelli

9

3

15

Rosa Teruzzi

La fioraia del Giambellino

Feltrinelli

9

3

Pescando nella fucina della memoria, inizio con riportarvi una frase tratta da un libro che regalai a mia madre tredici anni fa. “Le lunghe ombre della morte” del tedesco Veit Heinichen ed ambientato nella bella Trieste: Sapeva che c’erano cose che non gli avrebbe rivelato neppure a letto. Ma accettarlo era un altro paio di maniche” (332)

Come avete letto in alto, pur stanchi, siamo tornati felici dal giro sudamericano. Ed ora ci aspetta un ottobre di celebrazioni e riposo. Con tanti compleanni (Filippo, Ale, Pri, zia Paia, muhallima, Ulisse, Teresa ed il ricordo di mamma), tante feste (le castagne a Soriano, l’ottobrata toscana tra mare e campagna) e quindi tanti momenti relax.

In attesa di capire se, come e quando, non tanto ripartire, ma fare in modo che si rimarginino le ferite economiche di questi tempi guerreschi. Attendiamo con fiducia, gramscianamente, inviando a tutti e tutte un abbraccio.

 

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