In questa tornata, segnalo come si stacchino
dal gruppo sia “La Camera azzurra” che “Le campane di Bicêtre”, dove si va
sempre più mostrando come, quando impegna testa e cuore, Simenon riesca a tirar
fuori romanzi interessanti.
Georges
Simenon “Il presidente” Repubblica Simenon 28 euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 03/12/2022 – T:
04/12/2022] - && e ½
[tit. or.: Le Président; ling. or.: francese; pagine: 156; anno 1958]
Gli ultimi romanzi duri della collana di
Repubblica si vanno rarefacendo, tanto che passa diverso tempo tra l’uno e
l’altro. Abbiamo così un bel buco temporale da riempire. Un lasso di tempo che,
se da una parte sembra portare ad assestamenti familiari, dall’altra ci si
accorge che è solo una calma di facciata.
Nelle colline sopra Cannes, continua a
scrivere, tiene a Nizza una conferenza sul futuro del romanzo e tra il febbraio
’56 ed il giugno ’57 scrive sei romanzi. Ma non è a suo agio nella Francia che
tanto l’ha deluso dalla fine della guerra. E nella primavera del ’57, a bordo
della sua Mercedes Cabrio, gira in lungo e largo per la Svizzera, dove nel
luglio del ’57 trova una nuova sistemazione, il castello di Échandens chiamato
“Noland” nel cantone di Vaud a pochi chilometri da Losanna. Sarà lì che
soggiornerà per sei anni, producendo 25 romanzi.
Come si diceva, però, la calma è apparente.
Simenon è sempre più dipendente da alcool e sesso, e Denyse non solo lo segue
in questa china, ma il bere accentua le sue turbe psicologiche. Che di certo
non vengono placate dal fatto che lo scrittore dedica le sue risorse sessuali a
qualsiasi gonnellina si presenti all’orizzonte.
Qui, a Noland, dall’8 al 14 ottobre del ’57
produce questo che sarà uno dei suoi pochi romanzi politici. Perché si parla,
anche se non indicandone i nomi, di atmosfere e situazioni che coinvolgono
personaggi della scena politica, mostrandone i limiti, le miserie, e, su questo
ci torneremo, la solitudine della vecchiaia.
L’azione, se così si può dire, visto che ci
si muove veramente poco, si svolge in una villa, “Les Ebergues”, situata su una
falesia i Normandia, pochi chilometri a nord di Le Havre. Già il nome è
significante sia nella sua accezione comunemente nota agli abitanti locali,
dove, in normanno, il nome sta per "alcuni pezzi di merluzzo preparati in
modo da servire da esca per la pesca". Ma anche nel suo significato
primario, quando l’abitante della villa scopre che il vero nome della villa è
"Les Ebernes", nome che indica le popolane predisposte a pulire gli
escrementi dei bambini. Entrambi i significati, traslati, hanno un senso nel
romanzo.
Il protagonista della storia viene indicato
solo con il nome, Augustine. E subito noi si va con la mente ad un Maigret di
pochi anni prima, anche quello “politico”, con al centro il Ministro dei Lavori
Pubblici, Auguste Point. Uomo onesto quello, ed in fondo, anche discretamente
onesto il vecchio Augustine. Ormai raggiunti gli 82 anni, è da tempo lontano
dalla politica, e tra ricordi e piccoli e grandi acciacchi, si avvia verso la
fine della sua vita.
Nella villa è accudito da una segretaria, la
signorina Milleran (con un nome vicino al futuro presidente della Repubblica),
da Blanche, l’infermiera e da Emile, l’autista. Ha sempre un orecchio verso
Parigi, verso la politica attiva che per tanto tempo l’ha visto protagonista.
In fondo, è stato Presidente del Consiglio, anche se, per una serie di motivi,
pur provandoci, non è mai riuscito a diventare Presidente della Repubblica.
È ovviamente un uomo solo, vedovo, con figlia
persa chissà dove, con il personale della casa che si ingegna a fargli seguire
il più possibile una routine di minimo sforzo. Anche perché è in realtà
nullatenente, ed è la politica nazionale che paga tutto per lui, come fosse un
pensionato di lusso.
La zeppa, l’inciampo che Simenon pone sulla
strada di Augustine è la notizia che il suo ex-segretario, Philippe Chaumont,
potrebbe essere incaricato come prossimo Presidente del Consiglio. Il fatto
scatena l’onda dei ricordi di Augustine. Un filone è legato proprio a Philippe,
che lui considerava suo delfino, ma che, durante una crisi economica,
approfitta delle informazioni confidenziali che giungono ad Augustine, per
effettuare una speculazione in borsa. Che lo rende discretamente agiato, ma che
lo fa licenziare da Augustine, che gli fa anche firmare un documento di
confessione delle malefatte.
Documento che, insieme ad altre carte
“sensibili”, Augustine ha disseminato all’interno della sua vasta libreria,
minacciando Philippe, ed altri, di renderli pubblici. In questo modo, Augustine
si illude di poter avere ancora un peso nella politica francese.
L’altro filone è più privato. Ci riporta
all’infanzia del nostro ad Evreux (un centinaio di chilometri a sud
dell’attuale villa). Dove lui aveva studiato, e da dove sbuca un suo vecchio
compagno di classe, Xavier. Insieme avevano fatto una burla feroce, che aveva
portato all’espulsione di Xavier dalla scuola. Ma non di Augustine, che Xavier
aveva taciuto il nome del complice. Quando Augustine diventa un personaggio in
vista, Xavier tenta svariate volte di avere il suo appoggio in affari più o
meno leciti. Pur riconoscente, l’onesto Augustine non si piega, rimanendo ai
due un gioco crudele, in cui si sfidano l’un l’altro a partecipare al funerale
del sodale.
Questa vicenda riporta alla mente, invece,
l’unico momento di cedimento verso il “poco onesto”, quando, giovane avvocato
senza esperienza politica, si faceva mantenere dalla bella e colta Marthe de
Créveaux. Fino a che questa non lo scopre a fr sesso con la sua dama di
compagnia e lo caccia.
I due filoni si intrecciano nel lungo giorno
dell’incarico a Philippe. Augustine pensa che il suo vecchio segretario venga a
Canossa. Ma non sarà così, e lui scoprirà che è rimasto veramente solo, e che
anche il personale della casa è al servizio di qualche d’un altro.
In fondo, quindi, il tema centrale, più che
politico, è la vecchiaia, la solitudine, la rassegnazione ad essere messo in disparte.
È una storia che Simenon tratta con la consueta abilità, e con i consueti
agganci al reale. Le dipendenze sessuali di Augustine non possono che rimandare
a Simenon stesso. Mentre i giochi politici e la corruzione presente, era di
allora ma anche di oggi. Un romanzo in cui si sente che anche lo scrittore, non
ancora sessantenne, sente avanzare il peso dell’età. E si domanda se anche lui
dovrà soccombere alla tristezza ed all’isolamento. Se tutto il mondo che dice
di “volergli bene” è solo una chimera esteriore.
Il libro, rispetto ad altri, ci mise un po’ per uscire, quasi un anno, cosa insolita per le stampe della “Presses de la Cité”. Poi però, tre anni dopo, ebbe un gran balzo di interesse, quando Henry Verneuil ne trasse un film, interpretato in maniera sublime da Jean Gabin nel ruolo di Augustine e da Bernard Blier in quello di Philippe.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Les
Ebergues (fattoria in Bénouville nella Normandia) |
Augustin,
(mai indicato il cognome), ex-presidente
del Consiglio dei ministri, vedovo, 82 anni |
Philippe
Chalamont, un tempo segretario e stretto collaboratore
del Presidente, deputato, capogruppo degli Indipendenti di Sinistra,
Presidente del Consiglio incaricato Il
personale della casa: Mme
Milleran, segretaria, Émile, l’autista; Mlle
Blanche, l'infermiera; le docteur Gaffé, il medico; Gabrielle,
la cuoca; Marie, la cameriera Xavier
Malate, vecchio compagno di classe Marthe de Créveaux, la sua “pigmaliona” |
Poco
più di 24 ore |
Epoca
contemporanea |
Georges Simenon “Betty” Repubblica Simenon 28 euro 9,90
[A: 08/09/2019 – I: 06/12/2022 – T:
08/12/2022] - &&&
[tit. or.:
Betty; ling.
or.: francese; pagine: 141; anno 1961]
Devo ripetermi, costando come i libri di
questa collana sono sempre più distanziati. Anche se la vita della famiglia
Simenon procede inalterata nella villa “Noland” a Échandens nel cantone
francofono di Vaud in Svizzera, dove prosegue a pieno ritmo la sua opera di
scrittore, alternando “romanzi duri” a Maigret (che gli consentono i maggiori
incassi).
Il 1958 sembra tuttavia un anno di quiete. Fa
due visite ufficiali a Bruxelles, una per presiedere il locale festival del
cinema, l’altra per l’inaugurazione dell’Expo, quella che ricordiamo ancora per
la presenza del suo simbolo, l’Atomium. Ma anche di svago, una crociera estiva
per i canali olandesi a bordo di un tjalk (la barca a fondo curvo, molto in
voga per le crociere fluviali) ed una vacanza in dicembre a Venezia con
Denyse.
Anche il ’59 scorre abbastanza tranquillo,
punteggiato dalla nascita in maggio di Pierre, suo terzo figlio con Denyse, e
da un soggiorno forzato a Lione per tre mesi, quando Pierre è in cure
ospedaliere per problemi ematologici. Continua l’assidua frequentazione con
l’amico editore Sven, con il quale progetta una edizione completa delle sue
opere, progetto però che finirà presto nel dimenticatoio.
Tuttavia, il fuoco cova sotto la cenere, ed i
suoi rapporti con la moglie si fanno sempre più burrascosi, anche per le crisi
depressive di quest’ultima. Non è un caso che Simenon dedichi molto tempo a
leggere trattati psicoanalitici (che influenzeranno diverse opere di questo
periodo). Ma è anche un uomo molto corteggiato dai media, in particolare per
l’uscita di diversi film tratti dalle sue opere (tra cui ricordiamo “La ragazza
del peccato” con Jean Gabin e Brigitte Bardot).
Anche il 1960 è denso di attività
extra-letterarie. Ad inizio anno segue, giornalisticamente, le vicende del
processo Jaccoud, un avvocato accusato di omicidio, condannato ma forse
innocente. Poi in maggio presiede il festival di Cannes, contribuendo alla
vittoria della Palma d’Oro del film di Fellini “La dolce vita”. Sul fronte
familiare in aprile si sposa il figlio Marc, in estate torna a Venezia, soggiornando
all’Hotel Excelsior del Lido con la famiglia. Da settembre, invece, comincia ad
avere problemi di salute. Prima un’appendicectomia, con convalescente di un
mese a Versailles, poi consulti a Parigi per curare la sindrome di
Ménière di cui è affetto.
Sarà proprio la convalescenza a Versailles
che gli fornisce alcuni spunti che subito dopo, tornato a Noland, lo portano
dal 5 al 12 ottobre alla redazione di “Betty”, uno dei migliori ritratti
femminili usciti dalla sua penna. Libro che vedrà le stampe nel primo trimestre
dell’anno dopo.
Il libro è incentrato sulla figura di
Élisabeth Étamble nota come Betty, una donna di 28 anni che cominciamo a
conoscere pagina dopo pagina, scoprendone un vissuto che sembra contrastare la
prima immagine che abbiamo di lei.
Intanto, è un romanzo molto alcolico (ed
anche Simenon beve molto), dove i personaggi bevono whisky a go-go, e sono per
due terzi del libro, ubriachi e sull’orlo dell’ubriachezza. Betty la vediamo
entrata nel locale “La Buca” di proprietà di Mario, già ebbra, pensando alle
smagliature del collant, all’uomo che l’ha portata lì, strano tipo che vede
vermi e lepri ovunque, ed agli storditi che frequentano lo strano locale. Andrà
fuori di testa, e troverà conforto nella quasi cinquantenne Laure, che la porta
nel suo albergo, e l’accudisce.
Nello sbilanciato rapporto tra le due, si
sviluppa tutto il pathos del romanzo. Che Laure è accudente (vedova di un
medico, sa prendersi cura degli altri) e Betty da sempre non ha mai avuto
nessuno che le sia vicino per sé stessa.
Veniamo così scoprendo che Betty viene da una
famiglia umile, con grossi problemi giovanili alle spalle. Padre ucciso dai tedeschi,
madre che si arrabatta, ma soprattutto ambiente promiscuo, in cui scopre lo zio
adescare e “trastullarsi” con la quindicenne cugina. Una ferita che le si apre
nell’animo, e che l’accompagnerà per tutta la vita.
Anche quando di lei si innamora il ricco Guy
Étamble, rampollo di una ricca famiglia. Ma Guy vede in lei solo una bella
donna e la madre dei suoi figli (nasceranno due femmine, ma non il maschio). E
non vede oltre. Betty invece cerca altro, non si ritrova nei riti borghesi
degli Étamble, nell’algidità della suocera, nella passività della cognata.
Continua a “ferirsi”, cercando un riscatto, ma solo verso l’abisso, nell’alcool
e nel sesso. Sarà scoperta, e cacciata dalla famiglia, ed è per questo che la
vediamo ora trascinarsi di bar in bar, cercare un piccolo spiraglio di serenità
con Laure.
Il dolore di Betty è lì, anche con Laure. Si,
viene accudita, sì rifiuta i compromessi con il marito, ma è di fronte ad un
bivio: riuscirà a trovare le forze per uscire? Sarà la dolce vicinanza del
barista Mario che le dà una spinta, anche perché riesce a strappare Mario a
Laure. Perché è quello il dilemma finale: una delle due uscirà sconfitta.
Vincerà Betty o vincerà Laure?
È forte il personaggio di Betty, è per
Simenon una figura emblematica di donna, i cui dolori e problemi vengono dal
passato ed influenzano il presente. Certo frutto delle letture junghiane, ma
anche della dolorosa storia con Denyse, di cui forse non c’è traccia fisica nel
libro, ma c’è una forte traccia morale. Anche perché, e lo sappiamo, i demoni
del nostro sono sesso ed alcool, e sesso ed alcool imbevono di sé tutto il
romanzo.
La scrittura, se vogliamo, si fa anche più
rarefatta, con piccoli “flussi di coscienza” che ci permettono di scavare nel
passato dei protagonisti. Anche se, alla fine, non mi prende come altri romanzi
in cui vediamo, e con più cognizione, il protagonista attraversare la sua
conradiana linea d’ombra.
Ricordiamo in finale che trent’anni dopo l’uscita del libro (e quindi anche trent’anni fa), Claude Chabrol ne trasse un dolente film interpretato dalla bravissima Marie Trintignant, un’altra donna con un passato ed un futuro dolente e doloroso, fino all’assurda morte. Ma questo è materia di altri scritti.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Parigi
(Champs-Elysées) |
Élisabeth Étamble,
nata Fayet, conosciuta come Betty, 28
anni, due figlie |
Laure
Lavancher, vedova di un professore di medicina di
Lione, 48 anni, amante di Mario Mario,
proprietario del bar “La Buca” Guy
Étamble, marito di Betty, ingegnere, 35 anni Madame
Étamble, suocera di Betty, vedova del generale
Étamble |
Alcuni
giorni |
Epoca
contemporanea |
Georges Simenon “Le campane di Bicêtre” Repubblica Simenon 31 euro 9,90
[A: 06/05/2020 –
I: 20/12/2022 – T: 22/12/2022] - &&&&
[tit. or.: Les anneaux de
Bicêtre; ling. or.: francese; pagine: 267; anno 1963]
Anni densi questi
per Simenon, ed anni lunghi tra un romanzo e l’altro della collana che stiamo
seguendo. Il nostro sta ancora a Échandens nel Cantone di Vaud, dove nel
novembre del ’60 a trovare Henry Miller e la famiglia Chaplin. Ma la famiglia
non disdegna di muoversi. Nelle due estati del ’61 e del ’62, passano il luglio
a Bürgenstock, sul Lago dei Quattro Cantoni (detto anche Lago di Lucerna).
L’economia familiare va a gonfie vele, tanto
che a marzo, al Salone di Ginevra, regala a Denyse una Chrysler-Ghia, e lui si
concede l’auto dei suoi sogni, una Rolls-Royce “Blue Mist”. L’anno dopo, il 27
marzo (giorno eponimo anche nella mia cerchia amicale) nasce il figlio di Marc,
così che Simenon diventa nonno.
Sono però tre gli elementi forti di questo
biennio. Stanno costruendo un’autostrada vicino a Noland, così che, per la
prima volta, Simenon decide di farsi costruire una casa, che verrà messa in
cantiere a Épalinges, simmetricamente posta alla stessa distanza da Losanna.
Il secondo è il progressivo aggravarsi della
depressione di Denyse, nonostante un controllo effettuato ad inizio anno a
Cannes. Ma Denyse comincia anche a bere sempre più, tanto che per curarsi, nel
giugno del ’62, si ricovera nella clinica “Rives de Prangines” a Nyon, nei
sobborghi di Ginevra.
Il terzo, e più importante, avvenimento si
verifica nell’autunno del ’61, quando Simenon chiede alla segretaria di Arnoldo
Mondadori di procurargli un’aiutante casalinga per Denyse. Così, il 14
dicembre, entrerà nella casa familiare e nella vita di Simenon, Teresa
Sburelin, la donna che diventerà la sua amante ombra e che starà con lui fino
alla sua morte.
Ma il ’62 è l’anno cui il nostro dedica
lunghi pensieri e preparazione per quello che nelle sue intenzioni è “IL” libro
che vuole scrivere, il libro che gli darà i riconoscimenti cui ambisce da
sempre. Tanto che in settembre fa un lungo soggiorno a Parigi per raccogliere
informazioni per la stesura del libro. Intervista ben tre diversi neurologi. Ad
uno di questi invia un questionario con lunghe domande sulle diverse fasi della
malattia, dalla fase acuta al successivo, ed eventuale, recupero. Visita anche
l’ospedale di Bicêtre, prendendo appunti sulla vita quotidiana dei malati,
sull’organizzazione dell’ospedale, sulle modalità permanenza nella struttura
dei lungodegenti. Arrivando anche a passare alcune ore in un letto
dell’ospedale, ascoltando i rumori che ritmano la vita dei malati.
Alla fine, ne esce questo libro, che ha anche
una lunga scrittura, per i suoi standard, visto che invece della solita
settimana, impiega ben 23 giorni a scrivere il manoscritto, passarlo alla
macchina da scrivere, poi altri giorni per rivederlo. Uno sforzo veramente
inusuale.
Ed è uno sforzo coronato dal successo, un
libro che segue le vicende di René Maugras, eminente direttore di un grande
giornale, colpito da un ictus e ricoverato a Bicêtre, dove lo segue nelle cure
il neurologo professor Audoire ed è assistito dal suo amico nonché medico di
successo Pierre Besson d’Argoulet.
Pur essendo scritto in terza persona, è
tuttavia un lungo flusso di coscienza, lungo anche per gli standard di Simenon,
visto che si superano le 250 pagine. Così nella malattia di Renè, seguiamo in
realtà la ricapitolazione di tutta una vita. Un ripasso che, neanche tanto
velatamente, ripercorre anche le tappe dell’autore, ne riporta i dubbi e le
domande, ne analizza le decisioni, portando anche alla luce il rapporto tra
René e la moglie Lina, che sa molto della relazione tra Georges e Denyse.
Simenon usa anche, oltre quanto sopra
accennato, i suoi stati d’animo vissuti all’inizio degli anni ’40, quando,
sbagliando, gli diagnosticarono una fine imminente.
Quindi leggiamo la vita di René un po’ come
quella di Simenon. Un’infanzia povera, vissuta in provincia (qui a Fécamp,
sopra Le Havre), per poi gettarsi, senza arte né parte, nella bolgia parigina,
sperando di diventare giornalista. Percorso analogo a Georges, con uguale
successo. René, che sostiene di non saper scrivere ma di aver talento nelle
relazioni per scovare fatti che diventano articoli di successo, percorre tutta
la gavetta, si unisce ad un gruppo variegato di persone che avranno successo.
Scrittori, giornalisti, politici, nonché Pierre un medico che diventerà il suo
maggior sodale. Gruppo che decide di riunirsi periodicamente, prima in birrerie
poi sempre più su, fino ad approdare ad un ristorante di lusso, “Le Grand
Véfour” (tenete a mente il nome). Dove, in un malcapitato mercoledì 3 febbraio
viene colto da un ictus.
Qui comincia il romanzo, con René che si
sveglia in un letto di ospedale, emiplegico. E da lì ripercorre la vita
precedente, il matrimonio con un’attrice (al contrario di Tigy, la prima moglie
di Simenon, aspirante pittrice), che finirà con una separazione senza traumi,
anche dopo la nascita di Colette, una figlia nata con una malformazione al
piede sinistro. La scalata al successo, e l’incontro con Lina, una donna che
colpisce René, anche se non ha nessuna virtù specifica, né capacità
particolari. Vedete bene quanto si ricalchi con Denyse, visto che entrambe poi,
per star vicino al loro grande uomo, non avranno altra soluzione che darsi
all’alcool.
Tanti sarebbero gli ulteriori accenni del
parallelismo tra scrittore e protagonista, basti uno, la passione per l’isola
di Porquerolles sotto Marsiglia. Ma a noi interessa maggiormente il percorso
interiore. René si domanda non tanto se riprenderà tutte le funzioni corporee,
ma se la vita che ha vissuto fino ad ora abbia un senso. Se il successo, la
frequentazione di ambiente altolocati, la ricchezza, insomma tutto l’insieme di
quello che, a 60 anni Simenon è diventato, sia qualcosa che segni positivamente
la vita del protagonista.
Tutti, gli amici, la moglie, i collaboratori
al giornale, vorrebbero spingerlo a tornare nel mondo che anche lui ha
contribuito a costruire. Ma René si domanda il motivo per cui farlo, ora che da
un letto d’ospedale a quel mondo non crede più. Crede forse meglio alle piccole
cose, a Blanche, la giovane infermiera che lo accudisce, ai malati che vede
muoversi per l’ospedale, ai rumori che sente. In special modo, al rituale
mattutino, quando si pone in ascolto delle campane di una chiesa vicina. Le
onde sonore, concentriche, arrivano alla sua mente come anelli sonori, che lo
riportano all’infanzia, agli anelli che immaginava sentendo le campane nella
natia Fécamp. Tant’è che anelli si riporta nel titolo, e come una curva si
completa in un anello, anche la crisi di coscienza di René completa il suo
ciclo meditativo con la fine della malattia.
Proprio perché ha investito tanto di
personale nella storia di René, anche il percorso editoriale, dopo l’uscita del
libro, fu diverso dal solito. Non solo interviste sui giornali, apparizioni in
televisione, nonché una conferenza stampa, guarda caso, nel “Le Grand Véfour”.
Ma anche l’invio in anteprima ad un centinaio di medici, di cui molti
neurologi. Tanto che alcuni di essi inserirono il testo tra i libri da leggere
degli studenti dei loro corsi, al fine di farsi un’idea della vita ospedaliera
dal punto di vista di un degente. Un battage pubblicitario che portò a
recensioni di alto livello su molti giornali, da “Le Monde” al “Times Literary
Supplement” fino al “New York Times”, che lo include nella lista dei libri che
vanno assolutamente letti. Con interventi di rilievo, non ultimo quello di
François Mauriac. Per inciso, una volta, nella mia vita lavorativa, fui invitato
a mangiare in questo ristorante, che trovai decente, ma non superlativo.
Finisco con un piccolo accenno al titolo.
Solo in Francia, il libro esce con il titolo che riporto in alto (“Les anneaux
de Bicêtre”) dovuto a quel ricordo delle campane
dell’infanzia mescolate alle campane di Bicêtre. Nei fogli manoscritti che lo
accompagnano, tuttavia, Simenon indica e cambia diversi titoli. Sul
frontespizio riporta “Les cloches de Bicêtre”, mentre nelle note preparatorie
lo modifica in “Le Grand Véfour ou Les cloches de Bicêtre” (capite perché vi ho
detto di ricordarvi del ristorante). Poi altri appunti via via cancellati: “La
cloche de Bicêtre” (al singolare), “Les voix de Bicêtre”, “Les bruits de
Bicêtre”. Per poi fermarsi agli anelli. Questo perché i titoli legati alle
campane avevano due controindicazioni in francese. La prima è che cloche è
molto vicino a clochard, e poteva ingenerare confusione. La seconda viene dal
linguaggio colloquiale, dove dire ad una persona “T’es une cloche” significa,
detto eufemisticamente, dargli dello stupido. Comunque, in tutte le lingue in
cui poi venne tradotto, si tornò a parlare di campane.
Alla
fine, per me, è stato un bel libro, pieno anche di risvolti personali, pensando
all’emiplegia di mio padre. ma, a prescindere, un libro scritto di alto
livello.
“Si può essere ammalati senza saperlo, covare per anni un malanno grave continuando a restare un uomo come gli altri … poi, per un’inezia … si va dal dottore … e si diventa un malato che non vedrà mai più la vita sotto la stessa luce.” (117)
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Parigi
(ospedale di Bicêtre) |
René
Maugras, direttore di un grande giornale parigino,
divorziato, risposato, 54 anni |
Mlle
Blanche, infermiera Lina,
seconda moglie di Maugras da circa 8 anni Pierre
Besson d'Argoulet,
medico e amico di Maugras Le professeur Audoire, neurologo a Bicêtre Joséfa, infermiera di notte Colette, figlia di primo letto di
Maugras, 30 anni |
Parte
principale 8 giorni, poi alcuni mesi |
Epoca
contemporanea |
Georges Simenon “La camera azzurra” Repubblica Simenon 4 euro 9,90
[A: 18/10/2019 – I: 07/01/2023 – T:
08/01/2023] - &&&& e ½
[tit. or.: La chambre bleue; ling. or.: francese; pagine: 155; anno 1964]
Dopo una serie di romanzi intervallati da
lunghe pause (ma solo per la loro presenza nella mia libreria), ecco che passano
pochi mesi tra l’elaborazione di questo e del precedente romanzo. Un periodo di
tempo, in cui, dal punto di vista extra-letterario accade ben poco.
Praticamente, l’unica cosa che Simenon fa, oltre a scrivere, è seguire il
cantiere della sua nuova casa a Épalinges, dove si trasferirà a fine del ‘64.
L’altro elemento che occupa la mente di Simenon è il progressivo peggioramento
della salute di Denyse. Non siamo ancora ai livelli finali ed irreparabili, ma
la situazione sta degradandosi notevolmente.
Questo dà anche modo allo scrittore di
riflettere sui rapporti umani, sul rovello che sin da giovane lo attanaglia,
riguardo ai rapporti tra uomo e donna, ed in particolare, ai rapporti
extra-coniugali. Rimanendo poi sempre presente quel libro di Conrad che segna
gran parte della sua produzione. L’attraversamento di quella “linea d’ombra”
che separa due stati della persona, cercando di interpretare i motivi del
passaggio, e le modifiche che portano all’animo umano.
Così è ancora a Noland, nel cantone di Vaud,
che redige il manoscritto del romanzo. Come spesso accade, è un romanzo che
girava nella sua testa da un po’ e che poi si riversa sulla pagina in poco
tempo. Anche se, rispetto all’usuale settimana di lavoro, qui impiega ben 12
giorni per portare a termine l’opera, dal 24 maggio al 5 giugno del ’63. Sarà
poi pubblicata solo nel gennaio seguente, non tanto per essere rivista, ma per
darle una veste editoriale ed una collocazione tra le uscite letterarie consone
al risultato raggiunto. Che anche l’amico Sven aveva capito come questo fosse
uno dei punti più alti della produzione dello scrittore.
È senza dubbio, personalmente, una delle
opere più riuscite. Per la costruzione della trama, per la caratterizzazione
dei personaggi, in poche battute, ma in maniera precisa e puntuale, per il modo
di raccontare la storia, sempre da un osservatore esterno, ma utilizzando una
duplice prospettiva: il discorso diretto e le risposte di Tony agli
interrogatori. Dall’intreccio dei vari piani, ricostruiamo la storia, sia quella
del presente, sia tutto quanto ha portato al momento attuale.
La trama in sé è discretamente semplice.
Abbiamo due amanti, Tony e Andrée, entrambi sposati. Lui, un po’ macchietta di
un immigrato italiano, che tiene alla famiglia, ma non sa tenere i suoi
attributi dentro i pantaloni. Lei, quasi una novella Bovary, ma più focosamente
determinata. Dopo alcuni mesi di scorribande amorose, Tony, timoroso di essere
scoperto e di mettere nei guai moglie e figlia, si tira indietro. Andrée
probabilmente no.
Nicolas, il marito di Andrée, è cagionevole
di salute, e quando muore, lei, cui Tony aveva sopra pensiero detto di amarla,
gli butta lì il pallino. “Io sono libera. E tu?”. Tony continua a nascondersi,
ma un giorno, recatosi obtorto collo nella drogheria di lei, Andrée gli dà una
marmellata di prugne che Gisèle, la moglie di Tony, aveva ordinato. Marmellata
avvelenata, che porta alla morte di Gisèle ed all’arresto di Tony, una volta
scoperta la moglie morta per avvelenamento.
Arresto che porta all’esumazione di Nicolas,
che si scopre anche lui avvelenato, con conseguente arresto anche di Andrée.
Interrogatori (ben congeniati, che trent’anni
di Maigret sono serviti di certo), reticenze, omissioni, debolezze. Tutto un
campionario di bravura nella scrittura e nell’emergere dei lati deboli di Tony.
Ma anche di quelli forti di Andrée.
Simenon mostra la costruzione di un caso
tutto attraverso prove indiziarie, senza nessun reale riscontro, anzi con un
incastro inestricabile anche per false testimonianze scientemente perpetrate.
Tony non esce mai dall’apatia, è una figura debole, non fa mai quello scatto
per uscire dall’ombra in cui è entrato. Quasi si sentisse comunque colpevole
della relazione con Andrée (e questo ci sta), e che per questo dovesse pagare
anche il fio di azioni non commesse.
Noi, smaliziati lettori, possiamo ipotizzare
come sono andati realmente i fatti. Ma non è quello che interessa lo scrittore.
Che vuole solo entrare a fondo nel “personaggio Tony”, mostrandoci attraverso
le sue riflessioni, la nascita della furia d’amore nell’amante.
Alla fine a me Tony non dico risulti
simpatico, ma quanto meno ho provato pena per la sua ignavia. Avrei voluto
prenderlo a pizzichi e dirgli di svegliarsi. Mentre Andrée non mi è mai stata
simpatica. Capisco che Simenon abbia voluto ritrarre una passione cieca e
totalizzante (ricordo delle sue pulsioni verso Denyse? Verso Teresa? ormai
mitigate dall’età e dall’esperienza), ma, con la lettura del poi, mi fa venire
in mente la sdrammatizzazione di Alessandro Robecchi e del suo “Cosa fa fare
l’amore?”.
Un intreccio perfetto che non cala mai di
tensione. Anche quando ripete scene già narrate, il sorgere di nuovo delle
immagini serve a dare una visione a tutto tondo dei personaggi. Soprattutto
Tony, che ogni tanto ripercorre la scena dell’ultimo incontro, delle domande di
Andrée, senza riflettere che lui ha sempre pensato a sé, senza la cognizione di
dove lo portavano le sue parole.
Per finire, non è un caso che inizialmente, Simenon avesse pensato come titolo a “Les Amants frénétiques”, e solo dopo un’attenta riflessione e revisione del testo, avesse capito che l’elemento caratterizzante, quella che indirizza tutta la narrazione, è proprio l’inizio. Quelle poche descrizioni dell’ultimo incontro tra Tony e Andrée, avvenuto nell’Hotel del fratello, sempre nella loro “camera azzurra”.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Saint-Justin-du-Loup
(paese fittizio vicino Poitiers) |
Antoine
“Tony” Falcone, venditore
di macchine agricole, sposato con Gisèle |
Andrée
Despierre, moglie di Nicolas e amante di Tony Gisèle
Falcone, moglie di Tony Nicolas
Despierre, marito di Andrée Vincent
Falcone, fratello di Tony, proprietario
dell’albergo con la “camera azzurra” |
Un
anno |
Epoca
contemporanea |
Georges Simenon “Il gatto” Repubblica Simenon 24 euro 9,90
[A: 08/03/2020 – I: 18/06/2023 – T:
20/06/2023] - &&&
[tit. or.: Le chat; ling. or.: francese; pagine: 166; anno 1967]
E con questo abbiamo finito la prima tornata
dei capolavori di Simenon, in attesa di passare alla seconda, pubblicata solo
quest’anno, sempre da Repubblica. Prima di passare al libro, ricordo, ai meno
attenti alla scrittura di Simenon, che a lui, scritti con la sua firma, sono
assegnati 75 romanzi con protagonista Maigret (tutti presenti nella mia
biblioteca) e 118 romanzi cosiddetti “duri” (di cui ne possiedo 50).
Come detto, è l’ultimo della prima serie,
anche perché è uno degli ultimi che scrive il nostro scrittore belga. Sappiamo
che da anni vive in Svizzera, ed in questi anni, tra “La camera azzurra” e
questo gatto, ci saranno alcune svolte grandi per lui. Diventa due volte nonno
con i figli di Marc, nel ’64 Denyse viene di nuovo ricoverata in clinica e non
tornerà più a casa, e lui continuerà ad avere la sua “storia segreta” con
Teresa. Altro elemento che lo colpisce è finalmente il trasloco nella sua
trentunesima ed ultima casa, quella che lui si è fatto costruire a Èpalinges, e
dove vivrà sino alla morte. Ed è proprio lì che nel novembre del ’65 lo viene a
trovare la madre Henriette.
Sappiamo, da sempre, che i suoi rapporti con
lei non furono mai sereni. Georges la accusava di aver sempre voluto più bene
al fratello Christian (anche se ormai morto da venti anni). Non solo, ma di
aver sempre osteggiato la sua carriera di scrittore, che Henriette avrebbe
voluto che diventasse pasticciere, e che insieme gestissero un locale a Liegi.
Inoltre, non aveva mai digerito fino in fondo il secondo matrimonio della madre
con il ferroviere Joseph André. Non ne aveva mai capito i motivi, le dinamiche,
i percorsi.
Come tutti i grandi, pensando e ripensando,
alla fine trova che il modo migliore di esorcizzare i suoi dolori personali,
sia di scriverne. Nasce così l’impianto di questo cupo romanzo, non certo, per
me, tra quelli che più mi hanno coinvolto, anche se non nego, che alla fine,
leggendolo in controluce con le sue vicende personali, assume aspetti non dico
migliori ma più interessanti.
Facendo le debite proporzioni, qui si narra
della cupa vecchiaia di Émile Bouin, tutta in sua soggettiva, ma anche per
questo ben riuscita dal punto della resa dei temi e delle situazioni.
Émile era un uomo che si era fatto da sé, che
lavora, studia per migliorarsi, anche se rimane sempre a livelli basici di
cultura. Ma, dopo aver sposato Angèle, riesce a diventare supervisore ai lavori
di commesse pubbliche. Angèle è anche lei del popolo, cassiera fino ad
incontrare Émile. Insieme costruiscono una vita non sempre felice, ma in cui si
ritrovano, ridono, condividono. Poi Angèle viene investita da un bus, sta due
anni su di una sedia a rotelle prima di morire, ed il nostro si ritrova, solo,
pensionato, e decisamente triste. Non foss’altro per un gatto, che chiama
Joseph, che gli tiene compagnia, seguendolo ovunque.
Va a vivere in una strada, l’impasse Sèbastien-Doise,
dedicata ad un grande industriale di dolci, andato in rovina, di cui rimangono
solo le case dell’impasse, gestite dalla figlia Marguerite. Lei è di buona
cultura, di buoni natali, sposati per anni e anni con un violinista dell’Opera.
Anche lui da qualche anno, morto. I due sono dirimpettai, e Marguerite, dipinta
anche un po’ avara, oltre che donna di poca manualità, non riesce a trovare il
modo di gestire la sua solitudine. Pensa, di sicuro erroneamente, che da due
solitudini, possa avere da Émile l’aiuto per andare avanti nella loro
vecchiaia. Così, le di 63 e lui di 65, si sposano e vanno a vivere nella casa
di lei.
Ma due solitudini, senza interessi
convergenti, non fanno un’unione felice. Con Marguerite che osteggia Joseph e
ne provoca la morte, e con Émile che si vendica sul pappagallo della signora.
Da quel punto in poi, i due comunicheranno solo con bigliettini, senza
rivolgersi più la parola. Quando li incontriamo, sono ormai quattro anni che
vanno avanti così, con piccole cattiverie quotidiane, con lei che invita
signore antipatiche per dargli noia, con lui che frequenta per un po’ una
signora compiacente. Ma il “gioco”, come lo chiamano, è comunque il modo di
sentirsi vivi, di proseguire il cammino verso la morte, facendo finta di
odiarsi, ma, in fondo, avendo bisogno l’uno dell’altra. Ma la morte prima o poi
arriva, e chi rimane sente che non ha più motivi di continuare ancora.
C’è tanto del personale di Simenon in tutto
ciò. Non tanto per alcuni accenni (come quello dei dolci), quanto perché anche
Henriette e Joseph (il marito non il gatto) dopo un’iniziale convergenza,
arrivarono all’insopportazione reciproca. Ed anche loro, da un certo anno in
poi, cominciarono a parlarsi tramite biglietti.
Se poi vogliamo estrapolarci dal contesto per
tornare al testo, molti sono i momenti di riflessione che ci propone Simenon.
Le differenze sociali tra i due protagonisti, il rimpianto per i rispettivi
coniugi, idealizzati dopo morti in contrapposizione con il deludente presente.
Inoltre, Simenon si avvia anche lui all’età avanzata (ha voltato la boa dei
sessantaquattro anni, grazie Beatles), ai doloretti (anche forti, come le coste
che si è rotto l’anno prima della scrittura cadendo nel bagno). Ed è in questa
riflessione che riesce a comunicarci i sentimenti di una persona di età adulta
che si avvia alla vecchiaia, anche se, distratto dalle cose della vita, non si
è nemmeno accorto di invecchiare. Come molti dei suoi romanzi “duri” c’è quindi
anche qui un passaggio oltre la linea d’ombra. Anche se non più dalla
giovinezza alla maturità, ma da un’età indefinita alla consapevolezza che
esiste una fine.
E non a caso, l’azione centrale del romanzo
si svolge in un triste novembre.
Come molti romanzi, anche questo divenne ben
presto (solo tre anni dopo) un film, anche se cambiando molto il retroterra dei
due personaggi. Non la sostanza, che alla fine, risulta uno dei film più fedeli
tra quelli realizzati. Ovvio che molto dipende dai due grandi interpreti del
grande schermo: Jean Gabin e Simone Signoret.
Ora, ma forse tra qualche anno, dati i miei tempi, ci aspetta la seconda tornata dei suoi romanzi in uscita con Repubblica.
Dove |
Protagonista |
Altri interpreti |
Durata |
Tempo |
Paris, impasse Sébastien-Doise (si affaccia su
rue de la Santé) |
Émile Bouin,
supervisore di lavori urbani in pensione,
vedovo e risposato, 73 anni |
Marguerite
Doise, vedova e risposta con Émile Bouin, 71
anni |
Alcuni
anni |
Epoca
contemporanea |
Visto che siamo sul bordo tra noir e colori diversi, anche qui andrò diritto con una sola citazione del giornalista-scrittore di Repubblica Massimo Lugli, che, in un libro non particolarmente riuscito, “L’istinto del Lupo”, ci dà un ammonimento quasi evangelico: “Avevo imparato l’unica regola … che si era dimenticato di insegnarmi: un favore non si rifiuta mai, un aiuto non si contraccambia e non si paga. Si accetta” (251).
Siamo
già alla seconda domenica di luglio, e, come molti sanno, le prossime mi
vedranno lontano da Roma e dal mio computer. Onde speriamo di tornare a
frequentare consone scritture sia alla fine del mese di Cesare sia, e con
dovizia, nel mese di Augusto.
Altro dire non vo’, ma non tutti coglieranno, quindi, per non farvi sentire soli, vi abbraccio.
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