domenica 2 luglio 2023

Thriller negativi - 02 luglio 2023

Sapete ovviamente che io leggo di tutto e di più, anche libri che promettono e non mantengono. Questa è la settimana del pollice verso per la collana del Corriere dedicata ai Thriller. Cinque libri che si attestano sul più basso gradino della scala e solo Belinda Bauer prende mezzo punto in più. Inoltre, è la settimana dei nomi “puntati”, un vezzo molto anglosassone, che trovo inutile se non dannoso. Costringe infatti il lettore che cerca di ampliare le sue conoscenze in letteratura a sforzi danteschi. Insomma, speriamo i responsabili editoriali del Corriere si dedichino a scelte più interessanti.

C. L. Taylor “Il confine del silenzio” Corriere Thriller 14 euro 7,90

[A: 01/11/2018 – I: 30/10/2022 – T: 31/10/2022] - &  

[tit. or.: The Accident; ling. or.: inglese; pagine: 307; anno 2014]

Carole Louise Taylor è una scrittrice inglese nata nel ’73, che dopo varie esperienze, ha dedicato il suo tempo alla scrittura, in particolare a romanzi di connotazione psicologica, con risvolti più o meno thriller, se non gialli. Ne ho sentito parlare, spesso anche in termini elogiativi, ma questo è il primo che leggo. E penso che sia anche l’ultimo.

Il libro non è né particolarmente bello, né particolarmente riuscito, inserito, giustamente, in una delle peggiori collane che siano uscite negli ultimi anni in Italia.

Intanto, anche dal titolo cominciano i problemi, che in inglese ci porta al filo rosso che percorre tutto il libro, l’incidente. In italiano trovano questo confine su cui si affaccia il silenzio di chi, per tutto il libro, in seguito all’incidente, appunto non parla. Spero che anche qui qualcuno riesca a parlarne e a spiegarmene i motivi.

Per il resto, la trama è abbastanza vista e rivista, e, a parte alcuni svolazzi di buone descrizioni ed interessanti ambientazioni londinesi, scontata, tal che ci accompagna verso un finale che si poteva predire e prevedere sin dal secondo capitolo. Anche se, forse per questo poi ho letto il libro, mi aspettavo anche un colpo di coda, un’impennata finale. Voi vi aspettate che, date le premesse annunciate, finisca così, ed invece … Invece finisce proprio così.

Il corpo narrativo segue due filoni: nel presente cominciamo con incontrare la famiglia Jackson distrutta e disgregantesi intorno al letto d’ospedale dove giace Charlotte in coma in seguito ad un incidente con un autobus. Incidente tipo Charlotte che inciampa e viene investita? Incidente tipo qualcuno spinge all’improvviso Charlotte sotto l’autobus? Incidente voluto che Charlotte si butta lei verso il mezzo?

Di questo si interrogano i genitori Brian e Susan, ognuno prendendo strade di riflessione opposte. Nel frattempo emergono vari personaggi di contorno: Oliver, il figlio del primo matrimoni di Brian, protettivo verso la sorellina, ma lontano fisicamente; Danny, l’amico intimo di Oliver, giovane già di successo nello show-business, che non ha mai convinto fino in fondo i Jackson; Keisha, una ex-prostituta (ma nessuno lo sa) ora ragazza di Denny; Liam, fino a due settimane prima il ragazzo di Charlotte, che da lei viene mollato senza ragione apparente; Ella, la migliore amica di Charlotte, da cui sembra essersi allontanata inopinatamente.

Brian è un eminente politico, e si mette un po’ tronfiamente ai margini, preoccupato solo che il dolore del coma possa portare Susan verso un crollo psicologico, come ne ha avuti in passato. Susan, invece, è convinta che qualcosa non torni, soprattutto a valle della lettura del diario di Charlotte, che contiene alcune confessioni ambigue. Così Susan indaga, scava, interroga, quasi perseguita i personaggi di cui sopra.

Scoprendo una Charlotte diversa da quella che si aspettava, scoprendo violenze verso le donne e le adolescenti, esempi di prostituzione minorile, legate a sprazzi di tipiche ribellioni da adolescenti, un mondo cresciuto sui social, dove apparire vicino ad un VIP è il massimo (e poi dovremmo capire il significato di VIP), dove si fa di tutto per avere apparenza dimenticando per sempre la sostanza. Un banale trionfo psicologico di chi nasconde la fragilità dietro la spavalderia, un tipico esempio, una fotografia di un Inghilterra attuale (anche molto post-Brexit) con molti addendi in situazione anche geograficamente più vicine.

Tutto sembrerebbe portare ad un corposo romanzo psicologico, se il racconto dell’oggi non fosse inframmezzato dal diario di Susan di venti anni prima, dopo vediamo la nascita del rapporto morboso tra lei ed un James, all’inizio dolcissimo, ma che dopo poche pagine si rivela uno psicopatico manipolatore che trascina Susan in un vortice che mina alla radice la psicologia della donna. Sappiamo che lei, ad un certo punto, riesce a fuggire ed a nascondersi da James.

Ma cosa sappiamo di lui? Tutti gli indizi portano a credere che, in qualche modo, sia tornato nella vita e nella prossimità di Susan. Certo l’autrice cerca di insinuarci il dubbio: Susan è pazza o il passato sta tornando sulle sue tracce?

Purtroppo, il finale arriva alla velocità della luce, chiudendo tanti cerchi senza darci il tempo di capirli a fondo. Quasi che la Taylor si fosse stancata del testo, ed avesse deciso che era ora di concludere. Unendo quindi un trattato psicologico mediocre con un finale thriller la cui suspence è del calore dello zero Fahrenheit.

Peccato che, invece, molte recensioni parlino bene del libro. Io mi sono mortalmente annoiato.

Michelle Frances “La fidanzata” Corriere Thriller 20 euro 7,90

[A: 07/12/2018 – I: 22/11/2022 – T: 24/11/2022] - &  

[tit. or.: The Girlfriend; ling. or.: inglese; pagine: 411; anno 2017]

Michelle Frances è inglese, vive nel Sussex, lavora nell’ambito di produzioni televisive, e questo è il suo primo romanzo, cui seguiranno altri quattro (uno all’anno). E questo è quanto di positivo si possa dire dell’autrice, del libro e della collana.

Una collana, e qui mi ripeto, che sembrava nata sotto buoni auspici ma che, penso anche per scelte editoriali, ha sfornato romanzi di livello al limite della leggibilità. Come questo che forse ha elementi da analisi psicologica nel rapporto tra i tre protagonisti (Daniel, il bello, Cherry, la fidanzata, Laura, la madre), ma evitiamo di pensare che ci sia un seppur lontano elemento di thriller. La trama scorre, cerca di farci impressione qua e là, aspettando un qualche colpo di scena, che, arrivati all’ultima pagina ci accorgiamo non esserci stato.

Certo, l’autrice che lavora nel campo degli sceneggiati, sa mettere le frasi al posto giusto, combinando descrizioni, scambi di battute, flash ambientali. Ma anche qui, non scatta mai quella molla che ci fa innamorare di un personaggio (anche cattivo, come a volte avviene). Tutti sono lì, presentati sul piatto delle vicende, che, piattamente si srotolano nel circa anno e mezzo in cui si svolgono le vicende del romanzo.

Di sfondo abbiamo una famiglia inglese ben fornita di soldi, con Laura, la madre, che lavora nel campo televisivo (ovvio data la provenienza dell’autrice), sposata a Richard, quello che sforna sterline come noccioline, ma che con la moglie non è più da anni in sintonia. Ha un’amante che, tocco magistrale qui, risulta meno attraente di Laura. Capiamo subito che Laura deve essere una piattola insopportabile. E c’è Daniel, il figlio che ha tutto, che sta diventando dottore, che nei suoi 23 anni ha girato mezzo mondo. Dovrebbe essere anche attraente, e non si capisce perché, alla sua veneranda età, sia ancora non dico single, ma senza nessuna storia alle spalle.

Sull’altro piatto della bilancia c’è Cherry, che proviene da ambienti poveri della periferia londinese, che ha talenti per cose marginali ma non ha studiato, né pare ne abbia mai avuto intenzioni serie, e si dibatte alla ricerca di un modo per uscire dalla povertà, ricorrendo a tutti i mezzi possibili, anche poco leciti.

Daniel e Cherry si incontrano, scocca una scintilla (sono ambedue piacenti), ma Cherry nasconde il suo essere povera, cerca di apparire all’altezza di Daniel, mettendosi psicologicamente in difficoltà. Bastava essere sinceri, forse, e la scintilla poteva tramutarsi in fuoco. Invece, Cherry cerca l’apparenza, dice bugie per nascondere l’appartamento in periferia, la madre che lavora in un supermercato, la scarsità di mezzi. Bugie all’inizio poco palesi, ma che insospettiscono Laura, la mamma chioccia che si vede portar via il figlio da un’arrampicatrice sociale.

Ecco nascere il possibile triangolo psicologico: Daniel che, abbagliato da Cherry, nasconde la testa nella sabbia, Laura che, viste le bugie di Cherry, cerca di stanarla, ma senza andare allo scontro, Cherry che continua a tirare colpi velenosi utilizzando la sua intelligenza animale.

Il nodo della vicenda avviene quando Daniel, durante un rafting sfortunato, batte la testa e cade in coma. Laura alza barricate intorno, e quando Cherry si allontana, spara la grossa bugia: Daniel è morto. Cherry, ovvio, si allontana e cade in depressione. Daniel, dopo mesi di coma, si riprende, ma la madre gli dice che Cherry lo ha lasciato.

Ovvio che quando Cherry scopre la bugia, comincia ad ordire una tremenda vendetta, coinvolgendo Daniel che si allontana dalla madre bugiarda. Ma invece di accontentarsi di una piccola vittoria, Cherry vuole un trionfo, e medita di distruggere la nemica Laura. Mette in cantiere quindi una serie di colpi bassi, che ovvio incastrano Laura in situazioni sempre più insostenibili. Fino al redde rationem finale: vae victis sarebbe sufficiente, ma Cherry vuole mortem victis.

Chi vincerà? Manzoni ci sorregge con il suo cinque maggio.

A parte tutte le ovvietà e le mancanze di approfondimento, nonché le scelte scellerate di atteggiamenti improbabili, un elemento mi ha disturbato alquanto. Daniel entra in coma il 22 agosto e ne esce il 3 marzo dell’anno seguente. E voi pensate che dopo sei mesi e mezzo di coma, dopo solo due mesi di fisioterapia, Daniel possa non solo nuotare come un pesce, ma riprendere il lavoro in ospedale? Penso sia un errore talmente marchiano che bolla in modo totale l’impresentabilità del libro stesso.

T. R. Richmond “Tutto ciò che resta” Corriere Thriller 19 euro 7,90

[A: 25/11/2018 – I: 05/01/2023 – T: 06/01/2023] - &  

[tit. or.: What She Left; ling. or.: inglese; pagine: 385; anno 2015]

T. R. Richmond è lo pseudonimo di un giornalista inglese, che notizie varie mi dicono sui 64 anni ora, ma di cui, fortunatamente, non si riesce a sapere l’esatta identità. Così potrà continuare a scrivere, sotto altri nomi, magari facendo dimenticare questa prova, opera prima non particolarmente riuscita.

Anche per una poco curata versione italiana. Cominciando dal titolo, trasformato da “Quello che lei ha lasciato” in questo “Tutto ciò che resta”. Soprattutto per la scomparsa di quel pronome femminile che indirizza molto il romanzo. L’incuria editoriale passa poi per le solite (scarse) revisioni, tipo il cane della protagonista che dal corretto Mr. Bau di pagina 9 diventa a pagina 23 Mr. Ban.

Veniamo ora, invece, alle scelte di scrittura dell’autore, che decide di non scrivere un romanzo da onnisciente osservatore dei fatti, ma di affastellare il racconto tramite lettere, brani di diari, sms, post, blog, interviste e simili frammentarietà. Ci potrebbe anche stare, ma questi brani si spandono tra il 2001 ed il 2013, ognuno con la sua indicazione temporale, ma presentati in ordine talmente sparso che si fa una fatica improba a capire cosa avvenga prima, dopo, durante.

Il libro viene poi presentato in ex ergo con una dedica di un libro scritto da uno dei personaggi, e che pervade tutto il libro stesso, dedica rivolta ad Alice Salmon con l’indicazione della data di morte. Così che capiamo subito che nelle prime pagine Alice muore, e ci si affanna per le altre quasi 400 pagine a capire cosa sia successo, prima, durante e dopo la sua morte. Questo, unito alla confusione temporale di cui sopra, aumenta l’entropia del tutto. Quasi a diventare una brutta copi di “Amabili resti” di (guarda, guarda) Alice Sebold.

C’è poi tutto un tentativo, sottotraccia, di fare il piacione, di buttare lì commenti ironici, frasi (quasi) comiche. Tutta una gara a lavorare con il cognome della protagonista, Salmon, sia, ad esempio, chiamandola “Faccia di Pesce”, sia facendo dire ad un suo collega “chi ti ha pescato per questo lavoro?”. Abbastanza penoso. Per non dire di citazioni, vere o a volte false, a volte citate con l’autore (e sarebbe doveroso), a volte buttate lì. Come quando Luke cita Alice che gli dice “Sono le tue chiavi o sei solo felice di vedermi?” a pagina 170, parafrasando senza citarla la famosa battuta di Mae West pronunciata pare a teatro nel 1944 (“Hai una pistola in tasca o sei semplicemente felice di vedermi?”). Molto scorretto.

Anche i personaggi sono molto “tipicizzati” quasi a volerne farne emblemi, ma che a volte si rivelano di un patetico spinto. Come il protagonista Jeremy che per tutto il libro scrive lettere ad uno suo amico di penna, Larry, per poi scoprire che è morto da sei mesi.

Il libro in sé è poi una specie di libro nel libro, dove andiamo vedendo la costruzione di un libro da parte dell’antropologo sessantenne malato di cancro alla prostata Jeremy Cooke intorno alla vita e soprattutto alla morte di Alice Salmon, annegata il 5 febbraio 2012. Attraverso tutti gli espedienti letterari sopra citati veniamo quindi a conoscere la vita di Alice, e dei suoi coetanei, tutti pare molto dediti al bere per affogare le crisi che li attanagliano. C’è Luke, il forse fidanzato di Alice, dove i due hanno momenti alti ma anche molto bassi. C’è Megan, la sua amica del cuore, con lei da quando avevano cinque anni, con cui ha diviso tutti i momenti alti e bassi della vita. C’è anche Elizabeth, la madre di Alice, protettrice forse anche troppo, un tempo anche lei molto dedita all’alcool. Certo, l’immagine che l’autore dà della gioventù ventenne londinese non è certo delle più esaltanti.

E poi c’è lui, il professor Jeremy Cooke. Che sembra colpito dalla morte di Alice più di quanto parrebbe giusto verso una sua ex-alunna. Jeremy che sta morendo per un cancro, che vuole ricostruire la vita e gli ultimi istanti di Alice. Scopriremo anche presto perché. Trent’anni prima, lui giovane docente, aveva avuto una storia travolgente con Elizabeth, la madre di Alice. Finita male per la sua incapacità di assumersi un ruolo attivo nella vita. Con Elizabeth che, dopo un tentativo di suicidio, fugge dall’Università, si sposa, mette al mondo due figli, ed una è la nostra Alice. Che seguiamo crescere, laurearsi, diventare giornalista. Scoprendo poi che, forse, anche lui ha avuto una storia di una notte di sesso, non si sa se volontaria o meno, con Jeremy. Questo spiega il morboso bisogno di Jeremy di scoprire la verità.

Soprattutto sulla morte della giovane. Tanto che, mail dopo mail, lettera dopo lettera, scopriamo anche che la famosa sera del 5 febbraio, lì al fiume dell’annegamento, Luke, Jeremy e Megan avevano incontrato, discusso e litigato con Alice, che era di per sé sconvolta dall’aver appena scoperto la liaison tra Jeremy e la madre.

La domanda, iniziale e finale del libro, è quindi: omicidio o suicidio?

Una domanda facile con una risposta che arriva dopo tante pagine di difficile lettura senza provocare molta voglia di capire come sono andate le cose. Verranno spiegate, ma senza tanto coinvolgimento emotivo.

Che poi l’unico coinvolgimento, quasi un sussulto, l’ho avuto quando Luke ricorda di aver incontrato Alice, al Covent Garden di Londra il … 7 maggio 2010. Beh, ci voleva un sussulto.

In conclusione, un libro assai deludente, che ha voluto mettere tanta carne al fuoco (i giovani, i social, l’università, il sesso, l’alcool) ma che alla fine colpisce pochi bersagli e malamente. È il penultimo libro dell’infausta collana di cui ho già parlato male. Dispiace che il curatore sia Mirko Zilahy, che in generale ritengo un degno scrittore, che ho letto con sufficiente piacere. Ma scegliere per la collana di cui sei il curatore un libro di cui sei il traduttore, quando il libro in sé è mediocre, mi sembra un po’ una forzatura.

Ultim’ora: ho trovato un sito tedesco che mi assicura il nostro autore chiamarsi Tim Relf (ecco spiegate le iniziali puntate)

Belinda Bauer “Negli occhi dell’assassino” Corriere Thriller 18 euro 7,90

[A: 25/11/2018 – I: 06/02/2023 – T: 08/02/2023] - & e ½   

[tit. or.: Darkside; ling. or.: inglese; pagine: 394; anno 2011]

Finalmente, e con sollievo, sono giunto all’ultimo volume di questa che ormai posso definire poco riuscita collana di “thriller”. Finiamo con una scrittrice anch’essa poco nota e non molto pubblicata in Italia. Ma non sarebbe certo un guaio se la scrittura fosse di buon livello. O quanto meno se le scelte editoriali del Corriere avessero una logica diversa da quella di un puro mercato senza altre componenti di ragionamento.

Belinda Bauer è una scrittrice inglese ora sessantenne, meglio nota come sceneggiatrice, che ha pubblicato una decina di libri a partire dal 2009. In particolare, la sua prima uscita è una trilogia, indicata come “Trilogia di Jonas Holly”. Ebbene i nostri illuminati uomini di market pensano bene di inserire in questa collana il secondo libro della trilogia. Così che, primo una serie di rimandi sfuggono alla comprensione, e secondo, visto che non viene accennato nulla del prima e del dopo, si rimane un po’ tra color che son sospesi.

Fatte salve queste critiche generali, più esterne che interne, non rimane che parlare del testo, e rilevarne la poca presa, una certa approssimazione dei personaggi, nonché, e questo è più grave, una fine veloce che in realtà non finisce, essendo demandata la fine reale al libro successivo.

La storia si svolge sempre in questa piccola città di Shipcott, nella Cornovaglia che si affaccia sul Canale di Bristol. Seguiamo le vicende che si dispiegano in città, molto in soggettiva (o quasi) della famiglia Holly. Dove appunto abbiamo il poliziotto della cittadina (in pratica l’unico presente) Jonas con la moglie Lucy affetta da distrofia muscolare; quindi, con una discesa versa la morte abbastanza segnata ed immutabile.

In questa cittadina cominciano a succedere omicidi verso persone anziane o disabili o disturbate. Prima un’anziana tetraplegica per una caduta, poi una donna affetta da Alzheimer. Tanto che viene inviata una squadra di detective dal capoluogo. Abbiamo qui l’altro corno della vicenda, laddove seguiamo il responsabile della squadra, l’ispettore Marvel, personaggio antipatico ed incapace, che, detenendo il potere si arroga di trattare tutti male, di indirizzare le indagini dove vuole, prendendo una cantonata dopo l’altro. Inoltre, è un alcolista di razza.

Mentre andiamo avanti con le morti (dopo le prime due, ce ne saranno altre, ma è inutile tenerne il conto), vediamo anche di entrare meglio nei vari protagonisti.

A parte Marvel, che prima uscisse di scena sarebbe meglio, ed invece lo dobbiamo sopportare per quasi tutto il libro, abbiamo Lucy. Malata, combatte la sua malattia, ma ne è anche stremata. Si appoggia a Jonas, quasi che solo in lui trovasse la forza di andare avanti. Quando però si accorge che la forza di Jonas è sorretta solo dalla necessità di non scoprire le proprie debolezze, anche la forza di Lucy comincia a venir meno, tanto che pensa con insistenza ad un suicidio assistito. Di cui forse non ci sarà bisogno.

Dall’altro seguiamo Jonas, e soprattutto, seguiamo la nascita delle vicende che vengono prima di questo libro. La giovinezza cittadina, che Jonas è sempre stato lì, bambino, adolescente ed ora adulto e poliziotto. L’amicizia con Denny, la spensieratezza di montare a cavallo. Poi, la vergogna di subire abusi (di cui sappiamo e non sappiamo), che anche Denny subisce. La rivolta dell’amico, la morte dei pony e dell’abusatore. Insomma, sia Denny che Jonas non è che siano proprio normali, ognuno nascondendo le proprie paure e vergogne dietro strati di non detto che non potranno, ognuno per proprio conto, portare a brutte avventure e finali dolorosi.

La scrittura è comunque talmente scoperta che i misteri non sono più tali già dalle prime dieci pagine (a volerle leggere bene). Poi, tutte le altre servono ad instillare dubbi e ripensamenti, fino al veloce scioglimento finale, che rimette tutto a posto. Cioè che ordina i fatti e ne cerca una spiegazione. Purtroppo, con scarsi risultati.

Inoltre, e per non appesantire il giudizio ne parlo solo alla fine, non capisco il motivo di cambiare il titolo originale che parla di “lato oscuro”, con un anodino “negli occhi dell’assassino”. Cioè? Qual è il rapporto tra i due titoli? Possibile che i detentori dei diritti editoriali italiani non sappiano rispettare né l’autore né il lettore?

A parte il resto, mi restano anche una serie di appunti generali e personali. Ne cito due, tanto per non affossare ancora di più il testo. A pagina 168 l’inutile Marvel fa un commento stigmatizzando una frase della ex-moglie come “stupidaggini new age alla Sting”. Ora, Sting non è che sia “new age”, ma di certo ha fatto, insieme ai Police, una serie di musiche che vengono etichettate “new age music” per l’aria che fanno respirare, più che per un’adesione di Sting a quella filosofia. Confondere appunto musica e filosofia mi pare forzato.

Sempre Marvel, a pagina 85, usa le pagine del sudoku del “Daily Mail” per asciugare le scarpe, etichettandole come “inutili”. Personalmente, una sonora bestemmia. Se poi vogliamo recuperare la scrittrice potremmo forse dire che queste “idee balzane” sono messe in bocca al personaggio più odioso del libro, forse per ridicolizzarlo ancor più. Ma la resa finale non è né ironica né al limite caricaturale. Sembra solo una scrittura sbagliata.

Comunque, la collana è finita, e cercheremo di stare più attenti alle prossime.

Piccolo commento sulla collana. Ne sono usciti 20 libri, il migliore essendo quello di Patricia Highsmith, ed avendo altri 4 libri sopra la sufficienza. Mediamente, un gradimento complessivo sotto i due librini, che per un numero così ampio di uscite è decisamente basso.

C. J. Tudor “L’uomo di gesso” Corriere Profondo Nero 27 euro 7,90

[A: 22/01/2020 – I: 21/06/2023 – T: 22/06/2023] - &  

[tit. or.: The Chalk Man; ling. or.: inglese; pagine: 347; anno 2017]

La nostra scrittrice di questa trama, dopo lunghe ricerche e tramite un sito polacco, ho scoperto chiamarsi per esteso Caroline Jane Tudor, ma che preferisce i puntati nella pubblicazione delle opere. È una cinquantenne (nata nel 1972) inglese originaria di Salisbury, mentre ora dovrebbe vivere a Nottingham. Dopo una difficile infanzia, in cui è riuscita a sconfiggere l’anoressia, fa molti lavori (doppiatrice, dog sitter, intervistatrice per Channel 4, un canale televisivo pubblico britannico in chiaro), fino sa trovare una sua strada nella scrittura.

Questo è il primo di, se non vado errato, cinque romanzi. Il sesto, come si estrapola da interviste su tabloid inglesi, è invece stato rifiutato dall’editore, ed ora non si sa se lo sta riscrivendo o ne sta scrivendo uno nuovo. Ma noi ci occupiamo di questo, che, alla resa dei conti, non mi è piaciuto gran che.

La storia è deboluccia, sentita e rimasticata spesso, con qualche tentativo, non grandemente riuscito, di modificarne il corso. Inoltre, come molte opere in cui non si riesce a tenere il filo narrativo, salta su e giù la linea temporale, dove gli avvenimenti del 1986 sono inizio di fiumi di dolore che si coagulano nel 2016.

Tra l’altro, l’idea è di scrivere tutto in soggettiva seguendo uno dei personaggi, fortunatamente il più simpatico del lotto, anche se imbranato ed irrisolto. Il problema è che in questo modo nel presente c’è un quarantenne che espone fatti, e segue ragionamenti, in maniera a volte poco lineare, ma ci può stare. Quando però si salta nel passato, dovrebbe essere un dodicenne che parla, e qui, la scrittura non sorregge l’autrice. Sì, ci sono passaggi propri di un dodicenne, ma ci sono anche riflessioni e considerazioni che vanno abbastanza al di là della sensibilità di un ragazzino.

Le sirene editoriali hanno anche cercato di accostarla a Stephen King, per il solo fatto che c’è una banda di giovani che si trova di fronte ad un problema, e questo problema, in vario modo, condizionerà la loro vita, per poi scatenarsi (e fortunatamente risolversi) trent’anni dopo. Devo dire un accostamento molto pubblicitario e poco realistico. Pur non essendo un estimatore di King, c’è un abisso tra le due scritture.

Quindi, nel passato c’è una banda di adolescenti, Eddie, il narratore, Gavin, David, Mickey ed una ragazza, Nicky. Autori di piccole bravate adolescenziali potrebbero andare avanti senza lasciare alcun segno. Ma ad una giostra, Eddie, con l’aiuto di un professore della scuola, slava la vita (anche se non la faccia) di una giovane ragazza travolta da un incidente in uno degli aggeggi del Luna Park.

Eddie rimane colpito dalla faccia della giovane, che rimarrà deturpata per sempre. Mentre il professore rimane quasi coinvolto dall’umanità della ragazza inferma.

Ad un certo punto si susseguono morti accidentali e no. Muore affogato il fratello bullo di Mickey. Viene trovata uccisa e smembrata la ragazza della giostra. Muore anche (suicidio? Omicidio?), anche il professore. Ma l’atmosfera della cittadina è anche surriscaldata dalla prossima apertura di una clinica in cui fare aborti, gestita dalla madre di Eddie ed osteggiata dal pastore padre di Nicky. C’è anche una sedicenne che rimane incinta. Nonché il pastore che viene trovato massacrato e ridotto ad un vegetale.

Passano gli anni. Nicky scompare dall’orizzonte. Gavin ha un incidente provocato da Mickey e rimarrà su di una sedia a rotella a gestire un pub insieme a David. Eddie diventa a sua volta professore, un po’ squattrinato, tanto da affittare una stanza ad una ragazza, Chloe, di dodici anni più giovane. Mickey si ricostruisce una vita, ma vuole scrivere la storia dei fatti dell’86, per cui torna. Ed ovviamente muore anche lui.

La nostra brava scrittrice tenta di ingarbugliare quanto succede, inserendo tutto un rituale basato su dei gessetti colorati, con l’unico risultato di complicare la trama e dare modo ai più smaliziati di capire con molto anticipo quanto sia successo. Arriveremo alla resa dei conti, con Eddie in prima linea, ma con una soluzione che è di una debolezza estrema. Direi quasi che non sta in piedi. Ma tant’è, bisognava arrivare alla fine.

Ora, la scrittura non è sciatta, regge abbastanza il ritmo. Però i personaggi sono piatti, ed Eddie non riesce ad entrare nel cuore del lettore. Un buon compitino, che ribadisce la poca cura con cui sia stata elaborata questa collana pubblicata dal Corriere.

“Nessuno viene ricordato per le cose che non ha fatto” (176) [brano della canzone “Peggy sang the Blues” di Frank Turner]

“Il funerale di mio padre è arrivato con molti anni di ritardo. L’uomo che conoscevo era morto molto tempo prima.” (264)

Passiamo allora alle copiose letture del mese di aprile, aumentate anche da una discreta pausa pasquale. Letture che portano due libri alla quasi eccellenza, un reportage su viaggi e numeri di Silvia Benvenuti (musica per le mie orecchie) ed il recupero del primo libro di Jeff Deaver sul suo detective tetraplegico. In fondo alla scala, due noir proposti da Repubblica, la spy di Martin Cruz Smith (ben lontano dai fasti di Gorki Park) ed il poco avvincente scandinavo di Minna Lindgren.

 

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Georges Simenon

Dietro le quinte della polizia

Adelphi

s.p.

3,5

2

Martin Cruz Smith

La ragazza di Venezia

Repubblica Spy

7,90

1,5

3

Giuseppina Torregrossa

Il basilico di Palazzo Galletti

Mondadori

11,50

3

4

Gianluca Gotto

Le coordinate della felicità

Mondadori

s.p.

3

5

Drago Hedl

Silenzio elettorale

Repubblica Noir

7,90

2,5

6

Guillaume Musso

La vita segreta degli scrittori

Repubblica Brivido Noir

8,90

2

7

Colum McCann

Apeirogon

Feltrinelli

s.p.

3,5

8

Filippo Iannarone

Il complotto Toscanini

Repubblica Noir

7,90

2,5

9

Giovanni Cocco & Amneris Magella

Morte a Bellagio

Marsilio

10

2,5

10

Silvia Benvenuti

In viaggio con i numeri

EDT

s.p.

4

11

Minna Lindgren

Mistero a Villa del Lieto Tramonto

Repubblica Noir

7,90

1,5

12

John Grisham

Theodore Boone – L’accusato

Mondadori

13

2

13

Federica Bressan

Nel cuore della Tuscia

Edizioni Sette Città

s.p.

3

14

Anne Perry

Ventuno Giorni

Mondadori

5,90

3

15

Roberta De Falco

Il tempo non cancella

Repubblica Noir

8,90

3

16

Satoshi Yagisawa

I miei giorni alla libreria Morisaki

Feltrinelli

s.p.

2

17

Jeffery Deaver

Il collezionista di ossa

Rizzoli

7,90

4

 

Mi sembra allora consono all’atmosfera della settimana una citazione anch’essa proveniente da un giallo, uno di quelli dedicati alle vicende dell’ispettore Chen. Vi voglio riportare una frase di Qiu Xiaolong tratto dal suo “Quando il rosso è nero”: “solo quando uno è nei guai scopre le persone che tengono veramente a lui” (280).

Per il resto, come sapete, si annuncia un luglio di piccoli viaggi che, spero, porti a periodi di riposo e di rilancio. Sperando quindi che a metà mese non ci siano troppe soprese turche, vi saluto con un caldo (ovvio dato il clima) abbraccio.

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