Una settimana dedicata tutta all’esimio editore siciliano, con alcuni dei suoi cavalli di battaglia, in un contesto generale di gialli di costume, di ambiente, e con alti e bassi, a volte inaspettati. Come un deludente Rocco Schiavone, compensato da due dignitose prove del BarLume e di Monterossi. Meglio l’interessante Molesini, e soprattutto la sorpresa ambientazione palermitana di Simona Tanzini. Comunque, i libricini blu sono sempre un buon compagno di lettura.
Andrea Molesini
“Non si uccide di martedì” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 4,20 euro)
[A: 01/08/2023
– I: 12/09/2023 – T: 13/09/2023] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 198; anno: 2023]
Intanto, vediamo come Molesini continui con
la sua idea di fondo di ambientare i suoi romanzi nel passato, alla stregua di romanzi
storici (per quelli a me noti si va dal 1500 de “Il rogo della Repubblica” al
1917 di “Non tutti i bastardi sono di Vienna” fino alla Resistenza di “Dove un
ombra sconsolata mi cerca”). Per poi tirar fuori delle trame che fanno
riflettere sulla condizione umana, sulle scelte, sui rapporti. Non senza tocchi
di ironia che non guastano mai.
Qui l’azione si intreccia con le vicende
tristi dell’Europa del settembre 1938. A Monaco, Francia, Inghilterra e Italia
stringono un patto che consente alla Germania di Hitler di annettersi i
territori cecoslovacchi. Saranno i primi passi che in pochi mesi porterà alla
guerra.
Su questo sfondo, l’azione del libro si
svolge tra Venezia e Rodi. Nella città lagunare l’anziana, ricca e
anticonformista Mabel, con l’aiuto della sua governante Anita, coinvolge in uno
strano patto il rampante avvocato Ridolfi (un patto per il momento ignoto).
L’azione poi si sposta a Rodi dove
incontriamo Rita, la nipote di Mabel, ed Enrico, chirurgo in carriera,
trastullarsi nel loro viaggio di nozze. Molesini, però, ci fa capire subito che
entrambi già sono dubbiosi sulla bontà delle loro scelte. La trama si
infittisce in un battibaleno con l’arrivo del generale Costantini. Un losco
figuro che porta a Rita la triste notizia della morte di Mabel, giunta alla
“buona novella” che Rita è l’erede universale della cospicua fortuna della zia.
Notizia che ha però un’amara postilla: poco prima della morte, Mabel aveva
sposato il generale, che quindi non può essere escluso dal testamento. Già
questo mette in difficoltà i deteriorati rapporti tra i due sposini.
Difficoltà che aumentano con l’arrivo a Rodi
anche dell’avvocato Ridolfi, che precisa meglio di cosa tratti l’esecuzione
testamentaria. Che se i destinatari del patrimonio di Mabel muoiono, i restanti
in vita si dividono l’ammontare. Inoltre, se muoiono tutti, i beni ed i soldi
andranno direttamente all’avvocato Ridolfi. Il quale, a questo punto,
interviene con delle proposte a volte palesi a volte meno: in cambio di una
fetta del patrimonio, Ridolfi sarà garante del patto. E se Rita volesse di più,
Ridolfi potrebbe manovrare per eliminare uno dei due uomini in ballo.
A questo punto compare anche un’altra
persona, la bella Elena, disinvolta, disinibita, che si pone al centro della
scena, attirando con la sua luce le falene maschili. È anche un personaggio
poliedrico e non esita a contattare (si dice così?) anche Rita, magari per
proporle qualche “patto di fuoco”, sempre al fine di bruciare maschietti in
soprannumero.
In un aria che sembrerebbe derivare da
“Arsenico e Vecchi Merletti”, dove però nessuno è buono, ma tutti, in vario
grado, sono affetti dalla pazzia del dio denaro assistiamo al gioco perverso in
cui uno potrebbe vincere da solo tutto il banco. E noi si sospetta che dietro
ci possa essere la mano astuta di Mabel, viva o morta che sia, magari per
mettere alla prova i propri possibili discendenti. O per altre non note idee.
Fatto sta che, per cause naturali o meno,
prima del ritorno a Venezia, muoiono senza essere rimpianti sia il generale che
il medico sposino. Una Venezia in cui si ritrovano tutti alla fine e dove
assisteremo a finali, sottofinali e conclusioni che permettono di rileggere
tutti gli avvenimenti con una nuova chiave di lettura.
La chiosa di Molesini, enunciata più volte
durante lo svolgimento della trama, è la domanda musicale: se suonando muore un
ricco “zio d’America” che ti nomina suo erede se la suoni, tu la suoni?
Su questo dilemma morale, Molesini ci lascia
e noi restiamo a ripensare ai drammi familiari e coniugali che ci hanno
accompagnato in queste pagine, al caffè Florian che ci riporta alla mia Venezia
d’un tempo, ai tempi cupi che segnarono quegli anni. Ma come non ripensare che
ora si torna ancora a vivere tempi che non avremmo più voluto vivere.
Un
romanzo non lungo, tra l’altro stampato da Sellerio con i caratteri più grandi
del solito (o almeno così mi è apparso), che porta a pensare che prima o poi
dovrò leggere anche dei bastardi viennesi.
Marco
Malvaldi “La morra cinese” Sellerio s.p. (Regalo di Emilio&Fako)
[A: 12/09/2023
– I: 03/10/2023 – T: 04/10/2023] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 258; anno: 2023]
BARLUME09
Eccoci
qui, passati solo due anni (tempo record per nuove scritture), che ci apprestiamo
a commentare il nono, e per ora ultimo, episodio della serie “Vecchietti del
BarLume” (o anche solo “BarLume”). Certo non ha bisogno di presentazioni
Malvaldi che, da solo o in combutta con la moglie, produce libri da gradevoli a
molto gradevoli. Come non bisognano introduzioni il “barrista” Massimo, i
vecchietti del Bar o i comprimari che vi girano intorno.
Solo
per dovere di cronaca, visto che due anni fa le vicende di Massimo erano ancora
un po’ sospeso, forse passando per qualche racconto, qui ritroviamo Massimo con
la sua Alice, vicequestore locale, genitori dell’arrembante Matilde, una che la
notte non dorme mai, e che si addormenta solo quando viene lasciata a
“babysitteraggio” dai nonni, dove si addormenta dopo il suo “…aaatooo…” (avrete
una bella sorpresa nel capire cosa sia e nel sapere che ne prendevo anch’io da super
baby). Non solo, anche Tiziana, la socia di Massimo, ha dato alla luce il
giocondo Michele, ed il buon Marchino, per darle spazio, si adatta a fare il
babbo a tempo pieno.
Fatta
la piccola introduzione, e rilevata la sempre gradevole scrittura di Marco,
devo dire che il risultato di questa volta è un po’ inferiore alle mie attese.
Un po’ per alcuni passaggi della storia, un po’ per alcuni passaggi tra prima e
terza persona, tra oggettivo e soggettivo che meriterebbero, magari, più
respiro.
Al
solito, la vicenda è il generale intreccio tra pubblico e privato, sempre
presente negli scritti di Malvaldi. Intanto abbiamo una serie di tiritere tra
politica e buoni pensieri, visto che, come molti comuni italiani, anche Pineta
ha cambiato colore. Allora, nelle sempre accese discussioni intorno al biliardo
mentre i più anziani, Pilade Del Tacca, ex impiegato del comune, e Ampelio,
diabetico ex ferroviere padre della giramondo Gigina e nonno di Massimo, si
lamentano che a novant’anni sono di nuovo circondati dai fascisti, i più
giovani, Gino Rimediotti, ex postino, e Aldo Griffa, gourmet e terzo socio
della cooperativa che gestisce il bar, sono più possibilisti, tacciando gli
anziani di bollare come fascisti tutti quelli che la pensano diversamente.
Altri
sono però i pensieri di Massimo che si vede arrivare un conto iperbolico per il
suo dehors. La nuova amministrazione ha rifatto i conti, e decide di far pagare
il dovuto a Massimo con gli arretrati. Andando in Comune a protestare, si trova
coinvolto, con Alice appena lì arrivata, nelle indagini sulla morte del
ventiseienne Stefano Mastromartino, precipitato da una finestra del terzo
piano. Il giovane stava redigendo la sua tesi magistrale in filologia spulciano
l’archivio cartaceo del decaduto conte Serra Catellani, in particolare
relativamente al carteggio privato di Antonio Targioni Tozzetti (su cui
torneremo). Inoltre, nei locali al momento della morte erano anche presenti due
impiegati del comune: Pasquale, esperto locale e dedito alla produzione
clandestina di CD, e Giacomo, capo ufficio stampa, depositario di tutti i
segreti del Comune.
Altro
elemento di disturbo è la prima decisione della nuova amministrazione
(decisione che non può che far aumentare le diatribe interne al Bar). Cioè la
vendita di un bene demaniale, il Bosco Torto, ad una ditta che ne vorrebbe
realizzare resort turistici. I due “problemi” che si pongono sono la possibile
esistenza di usi civici del suddetto Bosco e la possibile presenza di sorgenti
termali nascoste.
Il
tutto ingarbugliato dal fatto che Mastromartino potrebbe aver trovato nel
carteggio sia un documento sugli usi civici, che farebbe deprezzare se non
annullare la possibile vendita del Bosco, sia una lettera autografa di Leopardi
al sodale Antonio in cui potrebbero comparire versi inediti nonché descrizioni
dei luoghi atti a decifrare l’ubicazione delle suddette sorgenti.
Tra
un frizzo ed un lazzo, uniti alla risoluzione di un piccolo problema topologico
(che mi ha divertito), i vecchietti trovano la soluzione sbagliata che verrà
corretta e portata alla giusta conclusione ovviamente dal buon pensatore
Massimo, in combutta ovvio con l’ottima Alice.
Veniamo
allora anche noi a decifrare i misteri.
Il
problema topologico riguarda il cammino da fare per percorrere una matrice 3x3
(tre stanze su tre piani) passando una volta sola davanti ad ogni porta. Per
chi sa qualcosa di logica, la soluzione è un cammino di un numero dispari di
passi, in contrasto con alcune deduzioni delle telecamere di sorveglianza.
Il
secondo riguarda gli usi civici che, ricordo, sono un diritto di godimento
collettivo che si concretizza, su beni immobili spettanti ai membri di una
comunità relativamente a terreni di proprietà pubblica o di privati. Se ci
fossero (e ve lo lascio scoprire) si avrebbe palese il motivo del titolo.
L’esistenza di usi civici non permette al Comune di vendere (carta batte sasso).
Il Comune comanda sui residenti che ne vogliono usufruire (sasso batte forbici).
Infine i residenti governano gli usi civici, essendo un loro diritto
inalienabile (forbici battono carta). Risultato: la morra cinese! Un po’
complicato, ma Malvaldi lo è sempre in questi giochetti.
Torniamo
infine ai Targioni Tozzetti. Il carteggio custodito dal conte Serra è relativo
alle carte di Antonio Targioni Tozzetti, chimico e botanico italiano, nonché
autore di studi sulle sorgenti termali toscane. Antonio inoltre è il marito di
Francesca, nota come Fanny Targioni Tozzetti, grande passione non corrisposta
di Giacomo Leopardi, che ispirarono al sommo un ciclo poetico di cui ricordo un
verso “l'infinita vanità del tutto” (un allegrone il nostro Giacomo). Nelle mie
memorie storico, lo ricordo in quanto zio di Ottaviano Targioni Tozzetti,
autore di una Antologia di Prose e Poesie italiane che mi regalò la mia amata
prozia Lisa.
Per
finire con un tocco più allegro, riporto un pezzo in cui Massimo cita un
fumetto che adoravo in gioventù, quello del “Mago Wiz”, che spero qualcuno di
voi ricorderà.
“Rodney:
Sire, il popolo ha sete! Brandolph: Sire, i mostri del fossato hanno fame!
Sire: Inizio a intravedere una soluzione…! (124)
Antonio
Manzini “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente
scomparso in Sud America?” Sellerio euro 10 (in realtà, scontato a 9,50 euro)
[A: 02/11/2023
– I: 03/11/2023 – T: 03/11/2023] &
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 145; anno: 2023]
Un
voto sopra lo zero solo perché adoro Rocco e mi piace, in genere, come scrive
Manzini. Per il resto un libro praticamente inutile che, spero, serva a
chiudere un ciclo.
Tutti
noi che dall’inizio seguiamo sia i libri sia le fiction di Rocco Schiavone
abbiamo due tarli che ci rodono da tempo: il rapporto tra Rocco e Marina, la
moglie morta, con cui continua ad avere rapporti “onirici” ed il legame tra
Rocco ed i suoi sodali di gioventù. Questi, come ben sappiamo, quando i ragazzi
erano giovani si dedicavano al mondo di mezzo, furtarelli e poco altro.
Crescendo, Rocco intraprende la strada della legge (più o meno, direi) mentre
gli altri tre, Furio, Brizio e Sebastiano, rimangono dall’altro lato, magari
furtarellando, ma senza troppo clamore.
La
rottura avviene quando Rocco scopre che Sebastiano faceva parte della banda che
alla fine uccide (anche se per sbaglio) Marina. Ovviamente c’è la rottura
insanabile, e nelle nove puntate dei romanzi, questa parte sembra
abbondantemente conclusa. Seba sparisce, pari in Sud America, Rocco ci mette
una croce sopra, mentre Furio e Brizio rimangono ad arrovellarsi. Negli altri
romanzi rimane una musica di sottofondo, che sta bene dove sta.
Tuttavia,
Manzini non sembra contento, ed allora, sfruttando il successo dell’ultimo
romanzo (“ELP” se vi ricordate) sforna a tamburo battente una storia che ha
poco senso se non quello di rimpolpare le casse del nostro, e magari quelle di
Sellerio. Spero che le continue recensioni poco lusinghiere facciano riflettere
il nostro e la sua casa editrice, anche se non credo succederà.
Intanto,
non c’è una parvenza, un’ombra di trama gialla e/o poliziesca. È tutta una
storia in trasferta che vede i quattro trasteverini all’opera per nascondersi o
per cercarsi. Una trasferta sudamericana, le cui uniche cose interessanti sono
le descrizioni dei luoghi, e magari dei due lunghi viaggi aerei di andata e
ritorno con l’Italia. Trasferta in cui, nonostante ogni tanto sia da solo,
Rocco non viene mai visitato dal fantasma di Marina, e questo forse è un punto
a favore.
Ricapitolando,
Sebastiano, stando ai romanzi precedenti, era in combutta con la banda che
trafficava droga, e che, anche se Seba non era stato avvertito, tenta di
uccidere Rocco riuscendo solo ad uccidere Marina. Seba fa il pesce in barile,
fino a che, grazie anche alla soffiata di Caterina, Rocco conosce tutta la
verità, ma l’ex-amico ormai è fuggito in America Latina.
Furio,
uno dei più sodali al tempo di Seba, non si rassegna e parte alla ricerca del
latitante. Ma dopo tre settimane che non dà notizie, Brizio comincia ad essere
insofferente e convince Rocco a prendersi ferie ed intraprendere una ricerca
nel continente americano.
Tra
soffiate, agguati, riconoscimenti ed altre piccole inutili avventure, Rocco e
Brizio prima si aggirano per Buenos Aires, poi hanno il suggerimento di provare
in Messico, dove, nella capitale, ritrovano Furio e dove allora, tutti insieme,
cercano di capire dove sia Seba, anche in base ad uno strano messaggio da lui
lasciato. L’acume di Rocco porta ad individuare un punto in Costarica che
dovrebbe essere la nuova base di Sebastiano, e dove tutti e tre si recano. Cosa
trovano, cosa fanno e come finisce ve lo lascio leggere se vi va, anche se non
penso siano in molti a cercare di uscire indenni dalle quasi 150 pagine.
Veniamo
allora ai dolori. Che, il titolo è un evidente omaggio al film di Scola con
Sordi e Manfredi. Laddove l’America del Sud era un Africa (un po’ da cartolina)
e dove il film ricalcava un libro ed un fumetto assai noti. Il libro, ovvio, è
“Cuore di tenebra” di Conrad con Sordi/Rocco nella parte di Marlow e
Manfredi/Sebastiano nella parte di Kurtz. Ma questo è già un innalzare il
livello letterario del tutto, che forse si farebbe meglio a ritornare alle
basi, a quell’ottimo fumetto della scuola Disney disegnato per l’edizione
italiana da Romano Scarpa. Mi riferisco a “Topolino e il Pippotarzan” del ’57.
Nel
fumetto c’è Pippo che convince Topolino a recarsi in Africa alla ricerca di
Pappo, un fratello di Pippo scomparso da una ventina d’anni. Nella lunga
ricerca vengono ostacolati ed osteggiati da Gambadilegno, l’ovvio cattivo di
turno. Alla fine ritrovano Pappo, che, come Manfredi, decide di rimanere lì
dove sta trascorrendo i suoi anni migliori.
Caro
Manzini, scopiazzature a parte, e con un finale che a volte è simile ed altre
diverso da questi descritti, neanche i piccoli ricordi di gioventù dei nostri
trasteverini riescono a sollevare il tono e la riuscita del libro. Forse valeva
la pena meditare un po’ di più e produrre una confezione migliore.
Simona
Tanzini “Conosci l’estate?” Sellerio euro 14
[A: 26/08/2020
– I: 16/02/2024 – T: 17/02/2024] &&&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 270; anno: 2020]
Buona
la prima, come si dice sul set. Un romanzo interessante che scivola via
abbastanza facilmente, dove capiamo che la scrittrice è anche una che sa come
usare la penna e le parole, essendo di base una giornalista. Inoltre, avendoci
vissuto quattro anni, conosce bene anche Palermo, riuscendo ad intercalare
nella trama una serie di considerazioni artistiche e sociologiche che ho letto
con gusto.
Infatti,
da romana trapiantata riesce a vedere Palermo con l’occhio distaccato di una
forestiera, facendoci godere delle bellezze della città. Sia nelle sue
passeggiate, sia nelle sue rimembranze sui punti topici della città. Non
conosco tanto a fondo la città sicula, ma non posso che trovarmi in accordo
completo quando si parla dei punti che rimangono nel cuore. La Palermo
arabo-normanna della Cattedrale, la chiesa della Martorano, i mercati, dove
anch’io preferisco Ballarò alla Vucciria, e poi la Kalsa, che mi ha sempre
affascinato. Mi dispiace solo che non parli della mia chiesa del cuore, Santa
Maria della Catena, che lì nei pressi della Cala, si erge solitaria e di un
raccoglimento che mi ha sempre commosso.
Si
parla anche del mare di Palermo, che è tale solo a Mondello e non in città.
Come delle differenze tra le due Sicilie: quella occidentale di Palermo e
Trapani e quella orientale di Messina, Catania e Siracusa. Due mondi distinti,
a volte quasi contrapposti, che solo i nordici possono assimilare in tutt’uno,
come fa uno dei personaggi minori del romanzo.
L’altro
punto cardine della storia di Viola, la protagonista, sono i suoi problemi di
salute. Da un lato, quello serio, una malattia degenerativa per cui le riesce
difficile camminare, dove deve pensare quando affronta una strada, passo dopo
passo. Ma una malattia cui non vuole soccombere, per cui, benché sia da undici
mesi a Palermo, non ne parla con nessuno, continuando a cercare di avere una
vita normale per una quarantenne normalmente ben in arnese, con una discreta
casa allietata da un gatto super-poltrone.
L’altra
peculiarità è la sinestesia di cui Viola si accorge ad un certo punto. Un
fenomeno percettivo dove il percepire di uno stimolo (come, ad esempio, il
suono) provoca una reazione netta di un altro senso (ad esempio la vista). Per
cui Viola associa la musica ad una serie di colori. Non solo, allargando il
campo Viola vede anche le persone “colorate”, così la sua amica Clara è verde
ed uno dei protagonisti, Zefir, è carta da zucchero. Un’associazione che avrà
un senso nella risoluzione del giallo, anche se solo per Viola.
Perché,
benché sia in ferie, durante questi primi dieci giorni di un agosto flagellato
dallo scirocco, la nostra simpatica giornalista viene coinvolta, prima
marginalmente, poi più a fondo, in un caso poliziesco. Viene uccisa una
ragazza, Romina, che negli ultimi tempi si accompagnava con un cantante locale
di fama, lo Zefir di cui sopra. Cantante che Viola ha conosciuto in quanto il
suo vicino di pianerottolo è proprio Gaetano, il fratello maggiore di Zefir.
Anche
se tutti gli indizi portano verso Zefir, Viola non ne è persuasa (il colore
carta da zucchero è troppo tenue per un assassino). A maggior ragione quando
vede la madre di Romina, che più che la madre sembra la sorella maggiore. Ed
ancor di più quando la coinquilina di Romina, che sa che la ragazza frequentava
un altro uomo, viene anch’essa uccisa.
Mentre
proseguono le indagini, così, vediamo ballare intorno al caso, i giornalisti
colleghi di Viola, come il capocronista dello spettacolo Iosif, il conduttore
rampante, il torinese Roberto, Paola, la capocronaca color cremisi. Ma anche
Gaetano, e Santo, coetaneo di Gaetano ed ex-capo di Viola, così come la madre
di Romina, di cui si è detto. Tutta gente che, a suo tempo, gravitava nell’area
intellettuale della città, tra gli studenti che occuparono l’Università nel ’77
(i primi in Italia) ed i redattori vari che all’epoca lavoravano alla redazione
di “Palermo Sera” (un giornale fittizio a metà tra il “Giornale di Sicilia” e
“L’Ora”, due testate storiche palermitane).
Ovvio
che al tempo molti destini si intrecciano, come spesso accadeva. Con tracce che
mai si perdono nel tempo. E con una fotografia dell’epoca, che lei vede seppia
ma che Santo sostiene invece essere in bianco e nero, dove si vedono
abbracciati Gaetano e la madre di Romina, con sullo sfondo un’altra persona che
li guarda. La verità arriverà indipendentemente da Viola, ma Viola l’avrà
capita in anticipo guardando e ragionando sulla foto.
Ora,
l’intreccio giallo è molto tenue, in realtà, tanto che, fotografia a parte, fin
dal secondo giorno avevo individuato l’unica possibile soluzione. Ma non è il
giallo in sé che ci tiene legati alla pagina, quanto i personaggi, il loro
intreccio con la città nonché la città stessa. E non ci dispiacerebbe sapere
che Viola sarà protagonista di altre scritture.
Alessandro
Robecchi “Pesci piccoli” Sellerio euro 16 (in realtà, scontato a 15,20 euro)
[A: 05/02/2024
– I: 17/02/2024 – T: 19/02/2024] &&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 436; anno: 2024]
Appena
uscito e subito letto, nella sezione “gialli novità”, una delle diverse sezioni
della mia biblioteca. Una gradevole e piacevole lettura che tuttavia conferma
la tendenza poco esaltante delle ultime avventure di Carlo Monterossi.
Probabilmente anche influenzato dalla realizzazione della serie televisiva,
tanto che, anche nello scritto, sembra assomigliare sempre più a Fabrizio
Bentivoglio, piuttosto che il contrario.
Robecchi
mantiene alcune costanti delle sue scritture, cercando di inserire piccole
variazioni, che tuttavia, almeno in questo libro, non hanno l’effetto sperato.
Come
tutti quelli che seguono i suoi scritti, sappiamo che il personaggio principale
è Carlo Monterossi, ideatore di programmi tv, ed in particolare del talk show
“Crazy Love”, programma dalla lacrima facile condotto da Flora De Pisis (un
clone della De Filippi, o una sua caricatura…). Nel clan del programma, c’è la
bella signorina Bianca che fino a questo episodio è stato l’amore più o meno
segreto di Carlo.
Dati
i successi ottenuti come investigatori negli episodi precedenti, Carlo ha messo
in piedi una agenzia investigativa, la Sistemi Integrati (S.I.), insieme al suo
amico di sempre, Oscar Falcone, ed all’ex-poliziotta Agatina Cirrielli. Sul
versante investigativo, poi, nel corpo centrale delle indagini, sono presenti i
due poliziotti “veri”, Ghezzi e Carella, quasi fossero una riedizione in salsa
milanese di Abbott e Costello (spero bene che sappiate chi siano…).
Ora,
su questa base, nella parte televisiva, Flora convince la rete ad occuparsi di
una sorta di miracolo (un crocifisso che si illumina senza particolari motivi e
senza interventi umani) nella cappella fuori meno gestita dall’ex prete, don
Vincenzo, in quel di Zelo Surrigone. Che, se non conoscete il milanese, ve lo
dico io che sta nella periferia di Abbiategrasso (a 30 km. dal centro di
Milano).
Il
secondo filone è innescato da un furto di materiale compromettente (soldi in
contanti, progetti di un ponte nel Ghana, nonché una misteriosa chiavetta USB)
avvenuta negli uffici della IGO (Italiana Grandi Opere). Un manager, un po’
losco fin dall’inizio, incarica la S.I. di indagare, ma intanto noi già
sappiamo che il ladro un po’ maldestro ha lasciato la refurtiva in un
sottoscala, dove è stato trovato da Teresa, una quarantenne dai molti lavori
per sbarcare il lunario, tra cui quello di donna della pulizia ad ore presso la
IGO.
Tutto
sembra procedere sui binari rituali: Carlo fa sopralluoghi a Zelo senza cavar
ragni dal buco, non trovando di meglio che rintanarsi spesso nel suo mega
appartamento a Porta Venezia, bevendo whisky giapponese ed ascoltando il suo
immancabile Bob Dylan. La S.I. indaga in molte direzioni, soprattutto presso
l’impresa di pulizie e la ditta di sorveglianza, senza fare neanche mezzo passo
avanti. E noi, in parallelo, seguiamo le vicissitudini di Teresa, molto morali,
quando trova 65.000 euro in contanti e quando il poliziotto della sorveglianza
la convince ad imbastire un ricatto con la IGO, in specie dopo aver visto i
video un po’ scabrosetti della chiavetta USB.
La
svolta, che probabilmente avrà un seguito in futuro, è quando Carlo, che
pedinava Teresa per capire se fosse coinvolta, accidentalmente la salva da uno
scippo, e da lì comincia una strana frequentazione tra i due. Forse come dice
Bianca (che si sta allontanando) risvegliando il lato Robin Hood di Carlo. Avendo
Teresa dalla loro parte i S.I. mettono i giusti puntini su tutta la vicenda del
furto, mentre Carlo riesce anche a dare una svolta a “Crazy Love” salvandolo da
una situazione complicata, avendo lui facilmente scoperto gli estremi di una
truffa.
In
tutto ciò, come due personaggi fuori fase, si muovono Ghezzi e Carella,
risolvendo una dozzina di piccoli casi di ordinaria malavita di basso rango, i
famosi pesci piccoli del titolo. Ma rimangono un corpo estraneo, che in un paio
di occasioni poteva intersecare la trama principale, ma che Robecchi decide di
mantenere divergenti. Ad esempio, quando mettono sotto tiro l’ex-marito di
Teresa per piccole truffe, ma non collegano lui a Teresa. Oppure quando
organizzano una retata in grande stile in un luogo che poteva essere lo stesso
supermercato dove si svolge l’atto finale dell’indagine IGO. Ma anche qui,
l’autore non affonda i colpi, ed i due filoni non si incrociano, e non si
capisce perché li abbia messi insieme. Un piccolo affondo morale? Qualche idea
sulla giustizia e sul suo rapporto con le leggi? Magari in controluce con gli
avvenimenti “grandi” di Monterossi e dei suoi? O del solo Carlo verso la
televisione spazzatura?
Insomma,
un romanzo con molte possibilità che non vengono sfruttate, lasciandomi la
sensazione che i passaggi televisivi hanno indebolito la fantasia dell’autore.
Rimane un libro gradevole, da cui spero di più.
Ultima
osservazione, un bel refuso a pagina 268, dove uno stesso personaggio viene
chiamato prima Caiani e poi Caimi. Un po’ di attenzione in più non guastava.
Siamo
in una trama italiana, ed allora ricordo parole di un altro autore che ho
seguito molto, anche se meno nelle ultime prove. Ed anche se è legato a
Feltrinelli e non a Sellerio. Mi vengono alla penna alcune frasi di Erri De Luca tratte da “Una nuvola come
tappeto”:
“Un
sogno che non si interpreta è come una lettera non letta” (47)
“Come
il martello frantuma la roccia in una moltitudine di frammenti, così un solo
passo della Scrittura ha molti significati (Talmud)” (78)
“Per
il tempo che le parole sono nella tua bocca sei il loro signore; una volta
pronunciate, sei il loro schiavo” (109)
Per il resto, che dire, sono tronato ed ormai è quasi nel libro dei ricordi, da una potente settimana nordica, e pensavo di riprendere presto il volo, ma piccole congiunture fan sì che si dovrà aspettare. Così ci godremo, sperando, una rilassante Pasqua campagnola, al fine poi di riprendere a camminare per paesi nuovi e volare, sempre. Allora eccovi un grande abbraccio.
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