domenica 3 marzo 2024

Una collana sbagliata - 03 marzo 2024

Da molte trame dedicate a questa collana continuo a ripetere che è una collana pensata male e portata avanti con poca cura. Sono in genere romanzi con poca presa sul lettore, a volte poco centrati rispetto al dettame della collana (che recita “profondo nero”). Il testo svedese è sicuramente ridondante, l’anglosassone Pearl cerca di fare un pastiche tra fiction e realtà senza riuscirci, Fiona Barton si incarta nella gestione dei vari personaggi, ed il francese Norek sarebbe di sicuro meglio letto in una collana sulle migrazioni (di cui è certo esperto per il suo lavoro). Si salva la “vampira” Meyer forte delle sue esperienze di scrittura per giovani adulti, anche se la sua “chimica” ha di certo alcune pecche importanti.

Camilla Grebe “La sconosciuta” Corriere Profondo Nero 14 euro 7,90

[A: 16/10/2019 – I: 14/08/2023 – T: 15/08/2023] - &&--- 

[tit. or.: Älskaren från huvudkontoret; ling. or.: svedese; pagine: 534; anno 2015]

Camilla Grebe pare sia una buona figura dell’editoria svedese, sia per la sua casa di audiolibri, sia per una serie di libri, eminentemente gialli, pubblicati da quindici anni a questa parte. Prima con la sorella Åsa, poi con Paul Leander-Engström ed infine, dal 2015, in solitario. Proprio con un libro tutto suo, ne affronto la lettura. Che a pelle non mi ha convinto moltissimo, riscattandosi solo quando, dalle ricerche fatte, risulta essere il primo di quattro libri seriali, di cui non vi dico i contorni. Certo è che, avendolo saputo in tempo, avrei letto con diversi occhi il libro. ma essendo un mio difetto, ci convivo e vado avanti.

Il secondo problema è, al solito, il titolo. Che in originale suona come “l’amante del principale” (o qualcosa di analogo legato alla direzione di una azienda). Certo, la persona che viene trovata morta nelle prime pagine rimane sconosciuta per buona parte del libro, ma tutto sommato è irrilevante, non quanto il fatto che il capo dell’azienda avesse uno o più amanti.

Il terzo ed ultimo problema che più che altro è una mia fissa personale riguarda il modo di esporre la trama, e di seguirla nel tempo. Dove abbiamo tre voci che si alternano in prima persona nella narrazione, due che ne parlano nel mentre si svolge, ed una che si aggancia in flashback, narrandoci cosa che sono avvenute da quattro mesi prima di oggi sino ad oggi.

Le due voci attuali son legate al mondo delle indagini. Una è quella di Peter Lindgren, poliziotto di 48 anni, scontento di sé e della vita. Peter mentre indaga, ci narra il suo passato costellato da una serie di non decisioni: non è mai riuscito a fare un passo avanti per sé stesso, trascinandosi nella vita, e rimanendone sempre scontento. Ha avuto una compagna che stava per sposare, ma non era quello che voleva, con la quale ha fatto un figlio, ma neanche questo voleva. Così che continua a fare il poliziotto, con una forte sensazioni di inutilità.

Aveva avuto un lampo dieci anni prima, seguendo l’indagine della morte di tal Manuel, decapitato con un machete. Non avevano scoperto l’assassino, ma era entrato in contatto con un profiler della polizia, Hanne Lagerlind-Schön. Hanne è la seconda voce al presente, che narra principalmente la sua progressiva discesa nell’Alzheimer (con momenti che ricordano da vicino la Teresa Battaglia di Ilaria Tuti, o forse il contrario visto che questo è stato scritto tre anni prima), la sua lotta con un marito iperprotettivo ma non più amato, la sua volontà di tornare a fare la profiler, la sua voglia di visitare la Groenlandia, il rimpianto di cosa era successo, ma non continuato, tra lei e Peter dieci anni prima.

La terza voce, che viene dal passato, è quella di Emma. Che racconta tutta la sua storia. Il corteggiamento con il principale, Jesper. Le visite furtive, nascoste a tutti. Le confessioni sulle rispettive solitudini. Fino alla sparizione di Jesper il giorno del fidanzamento, le ricerche di Emma che non si dà pace. La scoperta di un'altra donna. E …

Puntini che servono un po’ di suspense, che la donna morta su cui indagano Peter e Hanna è stata trovata nella villa di Jesper, che nel frattempo anche lui è scomparso.

In un lungo e multi-vocale finale assistiamo alla definitiva presa di coscienza di Hanna nel lasciare l’opprimente marito e capire se può esserci futuro con Peter. Alla presa di coscienza di Peter che capisce di dover intervenire nella sua vecchia famiglia, ma che la deve abbandonare per dedicarsi a quello che ha capito essere il suo “vero” motivo di andare avanti, cioè Hanna. Al modo, infine, in cui Peter e Hanna sbrogliano la matassa trovando i volti a tutti gli sconosciuti e a tutti gli assassini col machete, passati e presenti. Ovvio che questa parte ve la leggete e non ve ne parlo.

Io vi dico solo che ho grandemente apprezzato un punto del romanzo, quando Hanna finalmente riesce andare in Groenlandia, sogno della sua vita, ed incontra gli Inuit ed il loro modo estremo di vivere.

Il libro, per quelle caratteristiche che ho descritto all’inizio, parte un po’ lentamente, e quasi vien voglia di leggere una pagina sì e venti no, tanto alcuni momenti sembrano di poca utilità. Solo dalla metà in poi acquista un po’ di ritmo, e comincia ad aver quel minimo di interesse che ci consente di arrivare alla fine, e di cercare di capirne di più.

Quel che resta, tuttavia, è il giudizio su questa collana del Corriere della Sera, che continua a proporre romanzi “noir” che non riescono ad entrare nel mio cuore di lettore “duro e puro”. E purtroppo, neanche nella mia testa.

Matthew Pearl “Il circolo Dante” Corriere Profondo Nero 18 euro 7,90

[A: 08/11/2019 – I: 26/09/2023 – T: 29/09/2023] – &  

[tit. or.: The Dante Club; ling. or.: inglese; pagine: 533; anno 2003]

Continua la scarsa fortuna di questa collana, che inanella libri poco riusciti uno dopo l’altro. Ora, l’idea di base di Pearl sarebbe pure interessante, ma è sviluppata male, con poco coinvolgimento del lettore, che non può che rimanere distante dal testo per pagine e pagine. Nonché con alcune scelte editoriali (non so se dell’originale o della traduzione) che portano sempre più verso il basso la confezione generale.

L’idea appunto, come spesso in molti e meglio riusciti romanzi, è di inserire una trama gialla in un contesto che giallo non è, anzi è tutt’altro. La base narrativa si costruisce intorno ad elementi non di finzione, visto che in effetti, alla fine della Guerra Civile Americana, in quel di Boston, vide realmente la luce un “Circolo Dantesco”. Che non solo produsse cose egregie, anche per il seicentesimo anniversario della nascita del poeta. Ma che visse e prosperò, tanto da tramutarsi, nel 1882, in “Dante Society”, la seconda società dantesca al mondo dopo quella tedesca, ed ufficialmente riconosciuta dalle autorità italiane.

Ma qui non si vuole parlare della realtà ma della finzione.

Ed in questa, l’idea di Pearl è di coinvolgere i membri del circolo nella ricerca di un efferato omicida, che uccide serialmente personaggi pubblici americani, seguendo i dettami dei canti danteschi dell’Inferno. Questo poiché, proprio verso il 1865, il circolo stava producendo uno sforzo letterario enorme al fine di tradurre in inglese, o meglio in americano, la Commedia, ponendosi l’obiettivo di produrre una versione dell’Inferno stesso per l’anniversario del poeta.

Veniamo così a conoscenza dei membri del circolo, tutti realmente esistenti. Il poeta, fondatore del circolo, nonché firmatario della traduzione, Henry Wadsworth Longfellow. Quindi, gli altri membri dello stesso: il professore universitario, nonché poeta, James Russell Lowell; il dottore, ed anche poeta, Oliver Wendell Holmes; il pastore e storico George Washington Greene; e l’editore di tutti quanti, James Thomas Fields.

Longfellow, in seguito ad un lutto personale, si rinchiude in sé stesso e comincia a tradurre il sommo poeta. Volendo tuttavia “risciacquare” il suo italiano insieme ad altri italianisti, fonda il circolo di cui sopra, che si riunisce ogni mercoledì per portare avanti l’opera di traduzione e revisione. Qui, avviene uno dei maggiori intoppi del testo. Che spesso, durante le sedute dantesche, ma anche in altri momenti della vicenda, vengono citati versi di Dante. Tutto in italiano, quando suppongo l’originale abbia avuto parti anche desunti dalla mirabile traduzione di Longfellow. Il fatto che non sia mai specificato appesantisce il testo dalla fatica di desumere se si tratti di citazioni a favore o contro certe tesi che vengono portate avanti. Ed anche se chi le pronuncia ha dei suoi pensieri altri nascosti.

Il tutto è condito dalle lotte interne alle facoltà universitarie, dove i bigotti professori americani osteggiano a spada tratta sia lo studio dell’italiano, sia soprattutto la traduzione della Commedia, ritenendo (parole esplicite) che sia un volgare trattato di turpiloqui, per di più scritto da un papista, laddove a Boston la quasi totalità discende, direttamente o meno, da Lutero.

Fin qui il libro ricopre la realtà, aggiungendovi anche qualche tocco di colore ben fatto, laddove si parla dei reduci della Guerra appena conclusa, nonché del ruolo dei neri prima, durante e dopo la Guerra stessa. Poi, quando si aggiunge la fiction tutto precipita.

I fatti delittuosi avvengono sempre a Boston, ed in parallelo alla traduzione dantesca, vengono uccisi, in modalità simili, personaggi più o meno noti della città. A parte la bravura per la messa in scena delle punizioni, il resto non prende molto. I poeti laureati non sembrano in grado di assurgere il ruolo di investigatori. L’autore indulge in descrizioni che probabilmente, per un dotto americano, rinnovano i fasti delle glorie locali, ma che non fanno minimamente percepire la possibilità che un Longfellow si travesta da investigatore. Forse potrebbe ragionare astrattamente sulle possibilità, come una sorta di Sherlock Holmes da salotto. Soprattutto perché dal 1861, per superare la morte della seconda moglie, è dedito a droghe varie. Ma inseguire, imbracciare fucili, interrogare ed altre attività molto fisiche sembrano inadatte a lui ed ai suoi amici.

L’unico che potrebbe agire da longa manu dei nostri è Nicholas l’agente di polizia, che però è mulatto quasi nero, e nel mondo del 1865 un “nero” in polizia non può far molto (ad esempio, non può arrestare un bianco anche se sorpreso in flagrante). Infatti, Nicholas fa qualche indagine di contorno, mentre saranno i dantisti a collegare i vari puntini per risolvere il puzzle. E mentre la vicenda scorre, con tutta la fatica del caso, il finale si risolve in poche e scontate battute, lasciando qualche buco, anche se di poca rilevanza, qua e là nella trama.

Ancora qualche critica la solleverei per il prologo, che cerca di imbrogliare le carte, e ci riesce per una cinquantina di pagine. Tanto che mi ero domandato cosa stessi realmente leggendo. Senza quelle prime tre pagine, il testo sarebbe andato di certo più spedito.

Insomma, sarebbe stato un libro interessante se avesse parlato solo dei dantisti. L’averlo reso un giallo, l’ha allo stesso tempo reso meno interessante ed anche un po’ banalotto (se state attenti risolvete il mistero con largo anticipo sui letterati).

Il tutto, al fine, condito da una scrittura che, almeno in italiano, rende e prende poco.

Fiona Barton “La vedova” Corriere Profondo Nero  10 euro 7,90

[A: 23/09/2019 – I: 28/11/2023 – T: 30/11/2023] - && --   

[tit. or.: The Widow; ling. or.: inglese; pagine: 376; anno 2016]

Fiona Barton è una giornalista inglese (soprattutto per “Daily Mail”) che alla soglia dei sessanta anni ha deciso di dedicarsi alla letteratura, producendo questo buon thriller, costruito bene, tuttavia assai scontato e non tanto avvincente. Tra l’altro, è il primo capitolo di una trilogia di thriller dedicata ad uno dei personaggi del romanzo, la giornalista Kate Waters, anche se in questo primo romanzo non sembrava essere il personaggio centrale.

La costruzione del romanzo è alquanto laboriosa, che la scrittrice ci fa entrare nella trama saltando su e giù nella scala del tempo, in una cronologia che alla fine scorre tra l’ottobre 2006 ed il luglio 2010. Anche se ogni capitolo riporta la data dei fatti, la lettura a volte ne risente, pur se mi rendo conto che serve a Fiona per farci scoprire a poco a poco i personaggi e le loro azioni. Tra l’altro, spesso, i capitoli sono in soggettiva del protagonista del micro racconto, in particolare per i testi che fanno parlare la vedova.

Abbiamo in realtà quattro personaggi principali che si muovono lungo la trama, anche se sarebbe più corretto dire tre e due mezzi attori, che ci sono ma mai in prima persona.

C’è Jeanie, la vedova del titolo, che all’inizio sembra svampita (parrucchiera con una vita familiare problematica), nella parte centrale pare passare al ruolo di astuta manipolatrice, per passare ad un finale in cui sembra incartarsi in una deriva patologica.

C’è Kate, quella che diventerà il fulcro dei due successivi romanzi “Il figlio” e “Il sospetto”, una giornalista su cui Fiona riversa molta della sua esperienza lavorativa, tesa certo alla ricerca dello scoop, senza però disdegnare di comprendere i fatti.

C’è Bob, il poliziotto, quello sicuro di aver costruito un castello accusatorio inespugnabile, ma che, essendo fondato solo su prove indiziarie, verrà bellamente smontato in fase dibattimentale. Ma lui non demorde, ed anche emarginato, continua ad arrovellarsi per arrivare alla soluzione del caso.

Infine, le due “mezze” figure. Bella, la bimba di due anni che scompare dal giardino di casa, che sarà cercata per tutto il romanzo e mai ritrovata. Noi però sappiamo (non perché sia scritto, ma perché è palese dal contesto) che qualcuno l’ha rapita ed uccisa. Glen, il marito di Jeanie, un presupponente individuo che pensa di essere migliore di tutti, di dover aspettare solo il momento di trovare il suo posto riverito ed osannato, ma che in realtà è solo un pedofilo manipolatore ed anche assai antipatico.

Glen, grazie alle indagini di Bob ed alle inchieste di Kate, fu accusato, incarcerato, processato e poi assolto, per il rapimento di Belle. Ma all’inizio del romanzo sappiamo che (accidentalmente o incidentalmente) è stato investito da un pullman rimanendo ucciso. Motivo per cui Jeanie, per tutto il romanzo, viene indicata come “la vedova”.

Così a ritroso seguiamo Bob nelle sue indagini e Kate nelle sue interviste e relativi articoli. Ma è dalle parole di Jeanie che abbiamo gli sprazzi migliori. Di come siano lei e Glen sposati da diciassette anni, di quanto lei volesse un figlio, ma Glen è di pochi spermatozoi, del modo coercitivo e manipolatore con cui Glen gestisce l’ambiente familiare, colpevolizzando Jeanie per tutta una serie di accidenti di cui è Glen stesso artefice malefico.

Il testo si muove nelle zone d’ombra della pedofilia, adombrando la colpevolezza di Glen fin dalle prime righe, ma ponendo ad ogni piè sospinto elementi di dubbio che consentono di costruire quasi quattrocento pagine di possibili soluzioni.

Come detto, Fiona, da brava giornalista, sa certo usare le parole, tuttavia, alla fine, questo spezzettamento in brevi capitoli sembra quasi voler ripercorrere una serie di articoli di giornale, in cui si fanno rivelazioni, si cerca di giustificarle, poi ci si pongono dubbi, si infarciscono di saltuari dialoghi ed altre “belle stelline”, senza mai raggiungere un livello che potrebbe tenere il lettore in ansia, in sospetto, in attesa di qualcosa. Un qualcosa che, tuttavia, non arriva mai.

Anche i personaggi sono sbilanciati nelle descrizioni. Certo Glen è abbastanza tipicizzato, ma Jeanie e Kate sono un po’ troppo bidimensionali. Bob ha alcuni momenti di interesse quando ne vediamo il rapportarsi con la moglie ed anche quando, lavorando spalla a spalla con Kate, sembra poter esserci qualcosa di più di una sintonia lavorativa. Senza dimenticare qualche attore di contorno, come la poco credibile madre di Bella o altri.

Infine, il tentativo di creare momenti di horror intorno alla pedofilia è giustamente fallito. Per fortuna non ci si addentra molto in quel turpe mondo, e quello che se ne dice è assai superficiale. Insomma, una lettura discreta, ma molto inferiore alle attese.

Stephenie Meyer “The Chemist. La specialista” Corriere Profondo Nero 12 euro 7,90

[A: 02/10/2019 – I: 20/12/2023 – T: 22/12/2023] - &&&   

[tit. or.: The Chemist; ling. or.: inglese; pagine: 538; anno 2016]

Stephenie Meyer è sorta agli onori della cronaca con la fortunata (e melensa) serie “Twilight”, pubblicata tra il 2005 ed il 2008. La storia dell’amore e delle avventure di Bella Swan con il vampiro Edward Cullen. Dopo i primi quattro romanzi, ha allentato la scrittura pubblicando racconti sempre sui vampiri, ma dedicandosi anche ad altre scritture.

Ora, una delle critiche più aspre alle vicende del mondo vampiresco è propria la figura di Bella “una ragazza completamente incapace di risolvere i propri problemi e più in generale di fare qualsiasi cosa in assenza di una guida” (giudizio uscito su “bitchmagazine” nel 2009). Quindi, dopo vari tentativi, ecco che nel 2016 pubblica un romanzo noir, con una trama giallo-spy abbastanza complicata, ma soprattutto imperniata sulle vicende di una donna, ex-agente, ex-spia, ex-molto altro, che invece guida la sua vita, direttamente, anche se, ad un certo punto, c’è un qualche scalo di marce che rimescolano il tutto.

La scrittura non può che essere accattivante, viste le capacità della scrittrice, anche se, a volte, indulge in tecnicismi che rischiano di inaridire la vena più feconda di una trama spesso anche “ironico-thriller”. Così come ha rischiato di collassare la tensione e l’interesse quando la protagonista si trova di fronte a dei sentimenti a lei ignoti.

Il romanzo è narrato dal punto di vista della protagonista, che in originale è soprannominata “la Chimica”, per le sue capacità e conoscenze nel ramo. Qui, in italiano, non si capisce perché viene introdotto quel “la Specialista” che trovo un po’ anodino. Il tutto mescolato dal fatto che, per una serie di ragioni, non viene mi indicata con il suo nome, Juliana, ma con alcuni di quello che usa per nascondersi. In particolare quello più usato è Alex, seguito dal soprannome che le viene dato da un co-protagonista, Ollie come abbreviazione di Oleandro, per sottolineare la pericolosità velenosa della donna.

Alex (chiamiamola così per semplicità) è una chimica esperta usata da un’agenzia americana (di quelle segrete che non hanno nome) al fine di raffinare sostanze chimiche per far parlare “nemici del mondo americano”. Il suo mondo crolla quando, venuta senza saperlo a conoscere qualche segreto inconfessabile, si tenta in vari modi di ucciderla. Lei fugge, costruendosi un mondo sempre in movimento e sempre pieno di trappole per i suoi nemici. È la prima parte, dove apprezziamo le modalità in cui mette le sue dimore “in sicurezza”.

Viene però convinta ad un ultimo lavoro, risolto il quale dovrebbe essere lasciata in pace. Si tratta di neutralizzare un fantomatico sicario della mafia, forse incaricato di introdurre una sostanza letale per creare stragi sul suolo americano. Alex ci mette poco a trovare e interrogare Daniel, accorgendosi di qualcosa di stonato. Dissonanza che aumenta con la comparsa di Kevin, gemello di Daniel, ex-agente della CIA, fatto “morire” dall’agenzia dopo che ha sgominato una banda di trafficanti.

Dopo una serie di divertenti scaramucce, i tre capiscono di essere stati presi in giro, con l’unico tentativo, dei cattivi delle diverse agenzie, di farli uccidere a vicenda. Ci vuole poco perché decidano di unire i loro sforzi per ribellarsi. Kevin e Alex perché agenti segreti, capaci di inventare mille trucchetti e di usare milioni di armi diverse per lottare. Daniel perché (questa è la variante pericolosa) si innamora di Alex.

L’ultima parte si gioca quindi sulle agnizioni di Alex che non era mai stata innamorata, e sul senso di “responsabilità” che ne deriva verso Daniel. E sulla costruzione di un meccanismo si spera inattaccabile per debellare gli attacchi a loro rivolti. Non vi dico come, ma i nostri non potranno che uscire vincitori seppur malconci. Con un happy end ortogonale alla trama, ma di sicuro divertimento.

Come detto, le parti tecniche sono sempre ben descritte, anche se a volte lunghe. Ma la Meyer riesce a farci entrare nelle paranoie di Alex. Certo, il “romance” che inopinatamente viene a scombussolare le carte è di certo nelle corde della scrittura dell’autrice, derivando direttamente dalla sua propensione a scrivere per un pubblico “young adult”. È tuttavia mitigato dalla fede religiosa di Stephanie che, seppur non in modo diretto, condiziona alcune parti del romanzo.

La Meyer è mormone, per cui non beve alcool o caffè, né fuma (e quando ne parla nel testo si sente un moto di ripulsa verso i vizi). È anche molto attenta al sesso, che non compare mai in modo esplicito e diretto, tant’è che il primo bacio compare a pagina 333 ed il primo “ti amo” solo a pagina 520. Se tuttavia ci asteniamo dal “giudicare”, il suo modo di essere non danneggia la trama e la scrittura. Non un libro sconvolgente, ma leggibile (seppur lunghetto).

Olivier Norek “Tra due mondi” Corriere Profondo Nero 28 euro 7,90

[A: 20/01/2020 – I: 24/01/2024 – T: 26/01/2024] - && +

[tit. or.: Entre deux mondes; ling. or.: francese; pagine: 372; anno 2017]

Un libro particolare, di sicuro inserito in una collana sbagliata.

Olivier Norek è un francese con un lungo passato presso comandi di polizia ed una altrettanto lunga milizia, prima, durante e dopo, in ambito umanitario. Una predisposizione sociale che qui raggiunge delle buone vene espressive. Ha anche scritto una trilogia imperniata su di un commissario di polizia, il capitano Coste, che prima o poi entrerà nelle mie letture.

Questo è invece un romanzo a sé, ma dove il lato nero o thriller è, a dir la verità, scarso se non inesistente. Frutto anche di una scelta editoriale di esposizione dei capitoli che rende appunto la vicenda “noir” comprensibile alle prime battute e con poco altro da capire e/o investigare. Rimane tutto il resto, motivo per cui ho accennato che la collocazione in una collana che si intitola “Profondo Nero” è, ad essere buoni, approssimativa.

Tutta la vicenda, ed è questa la parte migliore e più toccante, è imperniata nella cosiddetta “Giungla di Calais”, un accampamento di rifugiati e migranti nelle vicinanze di Calais, Francia, in uso da gennaio 2015 ad ottobre 2016. Un accampamento che nel suo momento di picco contava più di 9000 persone, rinchiuse in un ghetto con scarse condizioni igieniche, anche se forniti di un pasto caldo al giorno da parte delle associazioni umanitarie.

La maggior parte dei suoi abitanti sono esuli che cercano di entrare nel Regno Unito su barche di fortuna, su camion merci sui traghetti per Dover dal porto di Calais o in treno utilizzando il tunnel della Manica (Eurostar, Shuttle). Tra le persone bloccate al confine franco-britannico ci sono rifugiati e richiedenti asilo, provenienti principalmente da Sudan, Afghanistan, Darfur, Siria, Iraq, Eritrea, Iran ed Etiopia.

Tra l’altro, situato vicino ad insediamenti arboricoli, il luogo era stato battezzato dai primi abitanti di lingua persiana come “jangal” che significa foresta. Termine ben presto trasformato in giungla, anche per lo stato primitivo di sussistenza locale. Con tutte le “storture” del caso. Gruppi che tentano di istituirsi a comandanti del luogo, soprusi continuativi su donne e minori, e tante altre malattività di cui si può immaginare nascita e sviluppo (droga e mafia su tutto).

In questo contesto seguiamo le vicissitudini di Adam, un ex-poliziotto siriano collegato all’opposizione al regime di Assad che fugge dalla patria, facendo prima evacuare moglie e figlia e poi fuggendo egli stesso. La separazione dai suoi cari provoca, come ovvio, la difficoltà del ricongiungimento. Così che Adam, dopo un lungo tour per varie tappe europee, arriva a Calais dove doveva ritrovarsi con la famiglia.

Abbastanza ovvio che non succederà mai, e non vi dico perché. Ma Adam, da uomo retto, pur restando nella Giungla, non può fare a meno di trovarsi immischiato nella lotta contro i soprusi. In particolare adottando di fatto un bambino, Kilani, privato della lingua durante la sua fuga dal Sud Sudan, e in procinto, se non fosse intervenuto Adam, di essere abusato sessualmente nel campo. Motivo per cui Adam si troverà al centro di una lotta verso gli afghani, che si ritengono i padroni del campo, ed i libici che sono i gestori delle traversate dei migranti via mare.

In questa sua lotta trova una sponda con un poliziotto francese, il tenente Bastien, appena giunto a Calais a motivo di un trasferimento richiesto al fine di cercare di curare la depressione della moglie Marion. Bastien è il contraltare istituzionale di Adam, ed i due trovano un sodalizio nel cercare di fermare le violenze nella Giungla. Ma si trovano anche a lottare insieme nel tentativo di trovare un reclutatore jihadista che si dice si sia infiltrato nel campo.

Insomma, tutta la scrittura di Norek si concentra, giustamente, sulla Giungla, sui suoi abitanti, sulle dinamiche locali. Ma anche sull’altra parte, i francesi, i poliziotti, quelli che tentano di venire incontro ai migranti, quelli che si oppongono. Ci sono alcuni buoni spunti descrittivi in Bastien e nella sua collega Erika. Meno in Marion, un po’ ai margini (giustamente). Come piatto risulta abbastanza Adam, mentre è ben più reale il capo dei sudanesi, Ousmane.

Non è comunque un caso che Olivier stesso abbia frequentato la Giungla e comunque la zona di Calais sia per motivi umanitari che di documentazione personale. E non è un altro caso che il libro sia dedicato al nonno di Olivier, Herbert Norek, un cittadino della Slesia (oggi Polonia) emigrato in Francia e divenuto cittadino francese nel 1935. A titolo di cronaca, Norek nasce a Tolosa nel 1975.

Quindi, per concludere, una buona e dolorosa immersione, cocentemente attuale, nel mondo dei migranti, ma un libro che poco ha di nero o thriller.

Siamo alla prima di marzo, così possiamo chiudere l’elenco dei libri letti nel 2023 con i diciassette di dicembre. Dove il solo Bussi si alza svettante sopra la sufficienza, verso quasi un ottimo posto. E dove abbiamo due prove da dimenticare, la periferia romana di Marco Bocci e le gogne tedesche di Simone Buchholz. Speriamo in annate migliori.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Tilde Giani Gallino

Non avevo sei anni ed ero già in guerra

Repubblica Resistenza

7,90

2

2

Danila Comastri Montanari

Ludus in fabula

Mondadori

12

3

3

Abir Mukherjee

L’uomo di Calcutta

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

4

Simonetta Agnello Hornby

Punto pieno

Feltrinelli

13

3

5

Simone Buchholz

Uomini in gabbia

Repubblica Brivido Noir

8,90

1

6

Enrico Luceri

Il tempo corre piano

Mondadori

6,90

2,5

7

Marco Bocci

A Torbellamonica non piove mai

Dea Planeta

12,90

1

8

Enrico Luceri

Il giorno muore lentamente

Mondadori

5,90

1,5

9

Martial Caroff

Ne me remerciez pas!

Fayard

s.p.

3

10

Attilio Veraldi

La mazzetta

Rizzoli

2

2

11

Wilbur Smith & Chris Wakling

Tempesta

HarperCollins

16

3

12

Stephenie Meyer

The Chemist. La specialista

Corriere Profondo Nero

7,90

3

13

Michel Bussi

Non lasciare la mia mano

E/O

10

3,5

14

Haruki Murakami

Underground

Corriere

8,90

2

15

Dolores Redondo

Inciso sulle ossa

TEA

12

2

16

Emilio Martini

Il ritorno del marinero

TEA

10

3

17

Patrick deWitt

L’uomo che amava i libri

Neri Pozza

s.p.

2

 

Anche se sono trame straniere, per assonanza, mi viene da ricordare qualche frase italiana. Dove il giallo storico di Alfredo Colitto in “Cuore di Ferro” (oltre a farci riscoprire il curioso personaggio di Mondino de’ Liuzzi) ci ammonisce: “Non vedete che per ogni vostro desiderio, trovate una scusa per non poterlo realizzare? Non capite che tutto dipende da voi?” (299). Mentre Roberto Saviano in “Gomorra” ci ricorda l’impegno civile di chi lotta per un domani migliore: “Ciò che rende scandaloso il gesto della giovane maestra è stata la scelta di considerare naturale, istintivo, vitale poter testimoniare. Possedere questa condotta di vita è come credere realmente che la verità possa esistere” (323)

Non vi tedio ulteriormente con tutti gli inciampi che si stanno verificando nelle vite di tutti, un po’ inciampi pubblici ed un po’ privati, ma di certo nessuno può dire sia un periodo facile. Per cui, meglio sia guardare, al solito, alle cose positive che abbiamo (e ce ne sono) ed abbracciarci sempre.

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