domenica 19 gennaio 2025

Rava vs. Varesi - 19 gennaio 2025

Una settimana dedicata a due autori italiani ed ai loro personaggi. Da un lato, Cristina Rava con il basso continuo del suo personaggio di fondo, il commissario Bartolomeo Rebaudengo, qui con l’aiuto e poi con il passaggio in primo piano del medico legale Ardelia Spinola. Dall’altra le avventure ormai storiche (ne sono usciti ben 17 episodi) del commissario Franco Soneri di Valerio Varesi.

Il risultato volge in favore di Cristina per un po’ di freschezza nelle trame, mentre Valerio rimane troppo impelagato nelle brume del parmense.

Cristina Rava “Di punto in bianco” Repubblica Anima Noir 26 euro 8,90

[A: 18/12/2021 – I: 25/09/2024 – T: 26/09/2024] &&&    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 270; anno: 2019]

Si, lo so, sono un lettore di complesse letture e di lunghi rimandi, nonché di salti quantici nelle storie. Piccolo inizio iperbolico per confessare di aver letto la prima avventura del commissario Bartolomeo Rebaudengo ben dieci anni fa. Trovandola gradevole come noir, interessante negli intrecci personali, molto coinvolgenti nei paesaggi frequentati.

Salto subito nelle braccia di questo primo romanzo, dove, a far da piccolo contraltare al commissario, c’è una bravissima dottoressa in funzione di medico legale, Ardelia Spinola. E fin da allora si intuiva un sottotraccia di possibili intrecci e convergenze.

Volendo ricostruire il percorso letterario di Cristina, dobbiamo seguirne anche il percorso editoriale. A partire da quella prima indagine, pubblica altri quattro romanzi incentrati su Rebaudengo, tutti presso la benemerita Fratelli Frilli di Genova. Nel 2012, per rinnovare un po’ la trama che si stava inaridendo, passa alla Garzanti, dove pubblica quattro libri il cui centro diventa Ardelia. Poi nel 2019, con questo libro, cambia di nuovo casacca, passa alla Rizzoli, dove pubblica sei nuovi libri, dove nella metà si centra l’attenzione più sul commissario e nell’altra metà più sul medico legale.

Quindi, se volessimo riunire la scrittura in un corpo multiplo, diciamo che questo è il decimo volume, ed avendone saltati gli otto intermedi, dobbiamo fare un po’ di salti per riconnettere la vita dei protagonisti. Intanto, Rebaudengo, forte dei successi delle sue indagini, è andato per un po’ in America, nel solito corso di profiler a Quantico (un classico). Al ritorno si è messo a fare il docente di criminologia a Roma, fino a che, la morte di una ricca zia non lo ha dotato di una cospicua rendita, nonché di un villa nella sua terra natia, le Langhe. Per cui, lascia la polizia, e si ritira in campagna, continuando comunque nella sua attività di scrittore e divulgatore.

Più oscura la vicenda di Ardelia, che intuiamo possa aver avuto una qualche storia, non andata molto avanti con il commissario, per poi trovare un amore forte e coinvolgente con il maturo Vittorio. Che tuttavia (credo nel precedente libro) muore di un male incurabile, motivo per cui in questo vediamo Ardelia agire, sì, ma con molta tristezza nel cuore. Ed anche con un difficile modo di rapportarsi a Bartolomeo. Qualche mistero rimane che forse scopriremo nel futuro.

Intanto, proprio nelle Langhe nasce il mistero che contorna il libro. Anche se mistero è una parola grossa, che, se pur c’è un morto, sappiamo sin dal primo capitolo chi ne provoca la dipartita finale, ed anche le motivazioni. Tutto ruota intorno a tal Graziano, cui tre anni prima muore un figlio a seguito, pare, di un’operazione mal condotta. Il nostro, morta anche la moglie, cade in depressione, con l’unico scopo di vendicarsi del medico che ritiene responsabile di quella morte. Cosa che gli capita incontrando il povero Dario, in fin di vita. Ma invece di curarlo, lo lascia morire, cercando di costruire intorno al morto una serie di prove per incastrare il medico.

Da qui parte tutta una serie di piccole vicissitudini, di spostamenti, di spaesamenti ed altre vicende, che leggiamo ogni volta da una prospettiva differente (la nostra cambia spesso il punto di vista descrittivo). Vedendo come, accumulando indizi, si muove Ardelia cercando di capire cause e motivazioni delle condizioni del corpo. Come si muove Rebaudengo, che essendo in pensione non può che figurare come consulente. Come agisce il PM o l’amico poliziotto o il povero ex-poliziotto colpito da un trauma che vede molte cose, ma che ha difficoltà nel connetterle. Ma tutto alla fine verrà concluso in una fine che sa molto di odor di Simenon, ma che non ci interessa qui approfondire più di tanto.

Che come dicevo, molto del fascino della scrittura di Cristina Rava sta negli ambienti, in queste Langhe piemontesi che si dovrà visitare prima o poi. Ci sono le descrizioni dei luoghi, ed in particolare delle colline. Ma ci sono anche i piatti della tradizione piemontesi, quelli che al commissario cucina la fida Nora (e che spesso, per motivi di indagine, Bartolomeo deve saltare). Ci sono gli ottimi vini, dal Barbaresco al Dolcetto, dal Roero al Nebbiolo, magari finendo con un amaro o con una grappa.

La scrittura della nostra poliedrica autrice è regolare, senza troppi salti, senza pretese di essere diversa da quella che è. Ne esce fuori una narrazione godibile, magari non proprio ricca di suspense dal punto di vista “poliziesco”, anche se la suspense stessa si sposta sui sentimenti dei personaggi. Che ci piace veder uscire dalle pagine, che mi piace immaginare nel proseguimento della loro vita, magari anticipando quello che potrò leggere un futuro.

Se ne riparlerà senza dubbio.

Cristina Rava “I segreti del professore” Repubblica Brivido Noir 32 euro 8,90

[A: 05/01/2021 – I: 04/11/2024 – T: 05/11/2024] &&&    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 302; anno: 2020]

Quindi, dopo dieci anni di assenza, ecco che, passato poco più di un mese, ritroviamo la combriccola delle Langhe piemontesi, alle prese con una nuova avventura. Che viene messe sempre sotto il cappello dell’ex-commissario, anche se l’anatomopatologa ha un suo ruolo ed è ben presente. Vedremo, quando si leggeranno testi sotto il cappello di Ardelia Spinola come si svilupperà l’intreccio e le attività dei vari personaggi.

Lungo tutto il testo, prima che alla parte noir, diamo anche un’occhiata al contorno. In primo piano, com’è ovvio, Bartolomeo Rebaudengo, il nostro ex-commissario, ora profiler e scrittore di criminologia. Continua la sua vita nella magione eredita, con annessa rendita vitalizia che lo toglie dai problemi. Cerca di usufruire della cucina di Nora, riuscendoci solo in parte. Ha qualche soprassalto erotico in una storia laterale e senza problema. Ma soprattutto un grande rapporto di amore/amicizia con Ardelia. Suppongo avessero avuto una storia con lei (in qualche libro precedente), ma è cosa passata. Rimane la comune consuetudine di parlare e confrontarsi, su tutto e di tutto.

Ardelia, da parte sua, non ha una vita personale semplice. Coltiva il rapporto con Bartolomeo, ma entra ed esce dalla relazione con Arturo, di cui non vede sbocchi, ma neanche, al momento, motivi seri di allontanamento. È sempre sul pezzo, dal punto di vista professionale, portando ogni tanto piccoli tasselli utili. Anche se in questa storia, servono a poco. Meglio vanno infatti i ragionamenti del nostro protagonista. Unico elemento di novità, l’amicizia, nell’ultima parte dell’episodio, con un’altra anatomopatologa, Monica Rebaudengo, omonima del nostro. Chissà se le vedremo ancora operare insieme.

Il noir si scatena il 14 marzo con la morte di un’ecologista locale, uccisa con tre colpi di pistola al petto. E poi si intorbida il 14 aprile con la morte di uno psicanalista, ucciso con le stesse modalità. Il problema è che tra i due morti non sembra esserci nessun collegamento, oltre il modus operandi.

I contorni si riempiono poi di altre figure. C’è don Biagio che, sentito degli omicidi dal telegiornale, vuole parlare con Bartolomeo. Peccato che l’età avanzata e qualche cruccio che al momento non conosciamo, lo portano ad un arresto cardiaco ed alla morte. Solo in finale sapremmo, casualmente (ed il caso è molto presente nella trama) cosa aveva da dire.

C’è Angelina, una parrucchiera con velleità letterarie, che, ricevendo un plico anonimo con una trama gialla, riesce a confezionare un decente giallo. Peccato che il giallo ricalchi in modo impressionante, la vicenda degli omicidi. Presa da panico, ed ossessionata dal possibile assassino che lei immagina la stia cercando, si nasconde, riuscendo a farsi trovare solo molto tardi, debilitata e con una gamba (è caduta nella fuga) che sta andando in cancrena.

Tuttavia, avendo incontrato casualmente Bartolomeo, confessa a lui il tutto, dando al nostro ed alla polizia un filo da seguire: chi si cela dietro i personaggi del plico e chi lo ha scritto? Sarà questa ricerca che muove tutta la seconda parte del romanzo. Dove scopriamo esserci una donna morta suicida, donna amata dallo scrittore. Che fa morire nel plico l’ecologista che aveva fatto incontrare la sua donna con un dongiovanni, il dottore che non aveva diagnosticato le tendenze suicide della giovane, nonché il dongiovanni che dopo poco tempo aveva lasciato la giovane per sollazzarsi in altri lidi.

Due sono allora i misteri che restano: lo scrittore ed il dongiovanni.

La scrittrice onnisciente ci fa da guida, svelandoci ben presto che lo scrittore è un professore di italiano, diventato uno scrittore di giallo di media caratura, ma comunque localmente noto.

Noi invece seguiamo i vari tentativi di scoprire il resto dei misteri insieme a Bartolomeo, Ardelia ed al giovane PM. In un finale un po’ lunghetto, ma tuttavia sapientemente orchestrato, dove il caso gioca una parte importante, alla fine tutto si chiarisce. I come, i perché ed i chi. Che ovviamente sarei tentato di svelarvi, ma non lo faccio.

Dal punto di vista della scrittura, continua ad essere, come ho detto in precedenza, una scrittrice che ben si muove tra le parole, e che ci porta colori e profumi del vasto territorio tra le Langhe e la riviera ligure, Alassio in particolare. Il mio solo cruccio, che però credo derivi da scelte della casa editrice, è la mancanza di spaziatura quando, all’interno di un capitolo, si passa che so dalle vicende di Bartolomeo a quelle di Angelina. Senza cesure, ogni volta bisogna fermarsi e rileggere qualche riga.

Valerio Varesi “Oro, incenso e polvere” Repubblica Profondo Noir 16 euro 8,90

[A: 12/10/2023 – I: 14/11/2024 – T: 15/11/2024] && +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 264; anno: 2007]

SONERI08

Dopo anni di astinenza, a distanza di circa sei mesi eccomi ad affrontare una nuova avventura del commissario Soneri. Un episodio “storico” visto che, arrivato al diciassettesimo episodio, con questo si risale all’ottava uscita. Laddove l’unico elemento nuovo (che fa meritare il + nei voti) è dato dal fatto che finalmente so anche il nome di battesimo del nostro poliziotto: Franco. Non come diminutivo, ma come nome a sé stante, così come fu quello di mio padre.

Con la distanza temporale dalle serie tv, mi sto “dimenticando” della sovrapposizione con l’interprete televisivo, riprendendo quindi a seguire con più attenzione le vicende narrate, anche se non riesco ad entrarci sempre fino in fondo. C’è quel senso di malinconia che pervade il testo e le sue atmosfere che le vela un po’ troppo, le rende sempre quel filo triste che non aiuta ad appassionarsi. C’è solo l’arrivo di un nuovo personaggio di contorno, il decaduto marchese Sbarazza, che riesce a dare un tono di ironia ai suoi comportamenti.

Sbarazza ha perso tutto, case e soldi, e vive da barbone aristocratico sedendosi alla tavola di commensali che lasciano avventori frettolosi, eminentemente donne, mangiandone e bevendone. Con una filosofia di vita, che ad un tratto narra anche al nostro commissario e che dona quel tocco di leggerezza che per il resto il testo non riesce a raggiungere.

La storia, più di altre volte, si sviluppa sui soliti due binari, pubblico e privato, laddove però il privato è forse un po’ troppo presente, ed anche poco attraente. Soneri ed Angela sono ad un punto morto, lui troppo preso dal lavoro, lei bisognosa di un atteggiamento più frizzante e propositivo. C’è un lungo tormentone, tra le paturnie di Soneri che non comprende le necessità di Angela, tornando sempre alla solfa del “perché mi vuoi lasciare? Perché se stiamo bene? Perché…?”. E sempre senza fare un passo in avanti. Angela è tormentata dal brivido del nuovo e dalla consapevolezza della solidità sicura e del comportamento (sempre?) corretto del commissario. Avendo noi poveri lettori a volte casuali letto già le avventure successive, sappiamo già come si evolve questa parte. Ma non posso non sottolineare che è un po’ pesante, servendo solo a sottolineare vieppiù la malinconia della bassa.

Abbiamo poi il noir vero e proprio. C’è un corpo bruciato ritrovato nei campi nebbiosi. C’è un anziano rumeno che muore d’infarto alla periferia cittadina. Ci sono i rom che si aggirano nelle pianure e che forse, o forse no, hanno visto qualcosa. Ma soprattutto c’è Soneri che, per instino o per caso, pensa ci siano collegamenti tra i due. Scavando e collegando, qualcosa trova, che il corpo è di una ragazza rumena, Nina, e per giunta in cinta.

Soneri ed i suoi allora cominciano a ripercorrere la vita della bella rumena, che è per l’appunto bella, piena di contatti con molti personaggi, della media e dell’alta borghesia parmense, ma che non rinuncia alla sua indipendenza, che continua a lavorare per comunque mantenersi. Ben presto la rete si stringe verso una famiglia imprenditrice che lavora l’oro per fabbricare oggetti religiosi. Il marito, scapestrato, cocainomane dalle mani bucate. La moglie imprenditrice, molto legata all’ambiente clericale, e che, seppur accetta scappatelle continue del fedifrago, non farà mai un passo che possa mettere in pericolo il suo lavoro.

Un noir che poteva anche essere ridotto a poche righe, guidato da quel titolo troppo esplicito, se pensiamo alla polvere come a quella bianca da molti, inaspettatamente, usata.

Ma Varesi ha anche altro in testa, e le parti migliori sono dedicate a problemi già presenti vent’anni fa. L’immigrazione dall’est, l’integrazione degli stranieri, i rapporti con i rumeni e con i rom. Che, giustamente, Varesi invita a non fare di tutta l’erba un fascio, che non bisogna portare subito alla conclusione l’equazione rom = ladri, e altre stupide ovvietà. Ovunque ci sono persone buone e/o cattive. Sono le persone ad esserlo, non la loro razza o la loro provenienza.

Un messaggio che condivido in pieno, anche se l’autore non ne ricava un testo più incisivo. Per questo, alla fine, preferisco sedermi con Franco, alla trattoria di Egisto, a mangiare molliche di grana, accompagnate da un buon rosso.

“Una storia finita a cinquant’anni può segnare il confine tra un uomo vivo e un uomo rassegnato.” (69)

“Essere precari è la condizione umana. La differenza è che a pensarci sono in pochi e la maggior parte fa finta di niente.” (99)

“Sei migliore della gente che frequenti … della gente perbene di questa città.” (261)

Valerio Varesi “La paura nell’anima” Repubblica Anima Noir 24 euro 8,90

[A: 07/12/2021 – I: 16/12/2024 – T: 18/12/2024] & e ½

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 376; anno: 2018]

SONERI14

Come vedete, si passa dall’ottavo al quattordicesimo episodio delle vicende del commissario Soneri, avendo io già tramato le vicende intermedie, eccetto la tredicesima, una delle due che mi manca per avere la serie completa. Detto ciò, devo anche sottolineare che ritengo questa una delle meno riuscite inchieste di Varesi, lenta, poco coinvolgente, con alcuni rimandi che vedremo, ma senza un vero punto di forza.

Anzi, con una serie di debolezze, la più forte è nel sottotitolo (presente sia in questa riproposizione di Repubblica che nella pubblicazione originale) che riporta: “L’ultima inchiesta del commissario Soneri”. Ora, per me ultima significa che poi non ce ne sono altre, affermazione smentita dalle tre uscite seguenti. Poteva forse significare ultima rispetto alle precedenti o ultima nella mente dell’autore. In ogni caso, o un errore dell’autore o uno degli editori, che, ristampandolo, avrebbero dovuto eliminarlo o modificarlo.

Il secondo punto è la lontananza da Parma, che era una delle cifre migliori dell’agire di Soneri, una lontananza che si riflette anche in un’assenza quasi totale dei suoi collaboratori storici. Altri elementi che non sorreggono la trama. Una trama, un’inchiesta che il nostro deve affrontare in solitaria, anche se con qualche supporto locale, sostenuto, almeno nella prima metà, dalla presenza di Angela, con tutti gli addendi di questo rapporto duraturo nel tempo ma mai consolidato. Il tutto anche perché siamo in ambiente premontano, a Montepiano.

Come ha confessato in un’intervista, lo spunto narrativo gli è arrivato dalle vicende di poco precedenti la scrittura, relative alle imprese ed alla fuga di Igor il Russo. Ricordo che il criminale noto con quel nome, in realtà non era russo ma serbo, non si chiamava Igor Vaclavić ma Norbert Feher, e spesso usava il soprannome Ezechiele. Se ne ripercorrete le vicende, molte sono riportate da Varesi in questo libro, inclusa la caccia dove furono impiegate squadre speciali da 150 elementi a turno dotate di visori notturni a infrarossi e cani molecolari.

Come detto siamo in alta collina (o bassa montagna), dove Soneri trascorre alcuni giorni di riposo lontano dalla Questura. Varesi ci fa immergere nella cultura locale, fatta di incontri tra le persone, spesso solitarie, fatta di mangiate in trattoria, di camminate, ma anche di sentimenti di collettività. Tutte cosa che vengono scardinate dall’annuncio dell’arrivo in loco del latitante serbo, autore già di svariati crimini. C’è tutto il filone della caccia all’uomo infruttuosa, che serve a dare il tono all’atmosfera, ma che non fa parte del nucleo del testo. Serve a scatenare la paura dell’altro, a tirar fuori sospetti ed altre insicurezze.

Mentre la storia, quella locale prende il via dal ferimento immotivato di un valligiano, cui segue a breve distanza la morte di un ragazzo, sempre di Montepiano, un po’ sbandato e molto in crisi ed in lotta con la famiglia. Una famiglia da sempre guardata di traverso, da sempre con il sospetto che il ragazzo non sia figlio del padre. Con il figlio che per anni millanta uno studio universitario ed una laurea, che però non ha mai preso. Quasi volesse rendere pan per focaccia al padre non padre ed alla madre poco accogliente.

Un figlio da cattive compagnie, forse anche dedito a vendere il proprio corpo per raccogliere soldi per la sua vita, non dico dissoluta, ma sempre alla ricerca di un galleggiamento che le scarse possibilità familiari non gli garantiscono. Un ferimento ed una morte che si inseriscono nel clima di paura e di tensione scatenate dalla famigerata presenza del latitante, ma che, forse hanno una soluzione più semplice e fors’anche più triste.

Fatto sta che Soneri, unendo i vari puntini del puzzle, tra un avvicinamento ad Angela e qualche dissapore, che rientra presto, trova la soluzione, in un finale quasi alla Maigret, dove, ed è uno dei pochi punti interessanti, ci si interroga se serva a qualcosa una spiegazione corretta di tutti i fatti o non sia sufficiente un disegno corretto della stessa senza approfondimenti. Frasi un po’ criptiche ma non si può spoilerare troppo.

Dato quindi il tono poco accattivante di tutta la materia, quello che meglio riesce dalla penna di Varesi è il disegno dei vari personaggi di contorno che servono ad animare il teatrino di Montepiano. C’è Tilò, il mulattiere, emblema di una tradizione di rapporti reciproci, tradizione che il mutare del tempo sta erodendo a poco a poco. C’è l’ex-sindaco Benati esempio vivente, anche se verso la fine, della tutela istituzionale di una comunità con legami secolari. Ovvia la presenza della Chiesa in queste comunità, anche se don Filippo ne mostra tutta la presente impotenza. Non può manca, in una comunità ristretta ed isolata, una guaritrice fuori dal coro, Artenice, che ovviamente è guardata con sospetto ed emarginata. E tutti i corifei della tragedia: i gestori della locanda dove tutti vanno a mangiare ed a confidarsi, Adelmo e Rina, il postino, il fornaio, il meccanico, l’attuale sindaco, il farmacista, la maestra in pensione. Varesi attinge a tutto il possibile sentimento nazional-popolare dei luoghi lontani dalle città, con uno spirito da acquarellista, ma senza coinvolgere molto noi lettori.

Certo il meccanismo scatenato da Varesi nella dicotomia latitante – paese messo sotto scacco, si intravedono i germi di tanti discorsi. La psicologia quando lavorare su di un insieme di persone sotto pressione, il folklore locale, il ruolo dell’inconscio, la presenza della nuova criminalità. Usando mai trovato serbo come una Nemesi che serve a scatenare tutte le possibili incomprensioni in un mondo chiuso ed autoreferente.

Una paura, reale, quella di Igor che si ricollega ai miti appenninici, alla figura del Baffardello, un folletto che compie scherzi e dispetti ai più deboli della comunità. Ma qui si andrebbe molto fuori dal seminato, anche perché, nonostante tutti i tentativi dell’autore, tutta la commedia intorno al nucleo tragico non viene trattata con sufficiente amalgama. Si slega molto, e solo la solida presenza di Soneri consente di andare avanti nella lettura, portarla a termine e sperare che si torni ad un tratteggio migliore delle vicende umane, come nei primi romanzi.

“Non si impara mai abbastanza, anche se di tutto ciò ci si rende conto solo con il tempo.” (227)

Valerio Varesi “Gli invisibili” Repubblica Brivido Noir 19 euro 8,90

[A: 04/10/2020 – I: 19/12/2024 – T: 21/12/2024] &&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 331; anno: 2019]

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Strani i destini dei personaggi seriali. A volte passano anni prima che mi capiti di leggere un nuovo episodio. A volte, come in questo caso, solo pochi giorni, quasi ci fosse un piccolo filo che unisce i testi, e che tocca a noi dipanare.

Qui Varesi aveva scritto questi due episodi un anno dopo l’altro, il primo seguendo fili di cronaca altri, questo anche dietro una precisa richiesta dell’editore che richiedeva un libro celebrativo delle proprie collane. Ma c’è anche un altro filo più nascosto che esce fuori leggendone in sequenza. Che se il libro sulla paura era, anche, una celebrazione della vita di comunità montane, qui celebriamo un’altra comunità, quella legata all’acqua, ed in particolare al fiume Po.

E tutta sul fiume ed intorno al fiume si svolge la vicenda. In particolare facendo perno su Torricella di Sissa, piccola cittadina affacciata su di un’ansa del fiume, una trentina di chilometri a nord di Parma. Eccoci, dunque, in un nuovo episodio lontano dalla bella cittadina, anche se, per motivi vari, Soneri ogni tanto vi torna. Ma è un romanzo fluviale e non cittadino.

Un romanzo costruito intorno ad una delle tante comunità che del fiume vivono. Una volta (ai tempi magari de “Il mulino del Po” di Bacchelli e di cui ricordo lo sceneggiato di Sandro Bolchi interpretato da Raf Vallone) era la macinatura del grano che dava da vivere. Poi tutto si evolve, rimangono le terre intorno, ma si sviluppa la pesca. Ed ora, con le nuove mode, anche con le case galleggianti ed i turisti.

Ma le nuove mode portano anche altro. Immigrati dell’est che fanno pesca di frodo, ma sono anche manovalanza per piccoli e grandi criminali. Carne da macello per rapine. Corrieri di varia entità per la droga. Il tutto importando anche criminalità organizzata, in tutte le sue declinazioni. Certo, molta camorra dal napoletano, ma anche con altri accenti malavitosi.

La zona era tutta sotto il controllo latifondiario di Gualtiero Gallerani, il grande vecchio e possidente, dal pugno di ferro ma anche dalla diffusa propensione verso il gentil sesso. Che comandava tutto e tutti, anche il dimesso fratello Giacomo. Gualtiero ha due figli, Fabio e Rinaldo, che ripetono l’andamento familiare. Fabio duro ed arrivista, Rinaldo introverso e molto legato al padre. Anche Giacomo ha una figlia, Elvira, che però si mormora sia anch’essa figlia di Gualtiero. Il quale, alla morte della moglie, si consola con un’immigrata napoletana, Carmela, fuggita dalla Campania alla morte del marito camorrista, per sfuggire alla morsa malavitosa, lasciando in paese il primo figlio, Gennaro.

Gualtiero trova pace con Carmela, ci fa un figlio, Giovanni detto Giannino. Ma il paese mormora, così Carmela apre una merceria a Parma, ed il figlio va in collegio. Alla morte di Gualtiero, tre o quattro anni prima del presente narrativo, tutto si sfascia. I figli prendono tutto, ma Elvira si ribella, convince anche Giannino a far causa ai fratelli per il riconoscimento dell’eredità. Giannino però sparisce, mentre Elvira fa un accordo ben remunerativo. Anche perché i Gallerani non aveva voglia che si andasse più a fondo nelle loro attività, visto che erano ormai entrati in affari anche con la camorra.

La storia che seguiamo insieme a Soneri è quella di un morto senza nome, trovato tre anni prima nel fiume, forse suicida forse ucciso. Dopo tre anni l’obitorio rivuole il posto occupato dalla salma che nessuno ha mai richiesto, ed a Soneri, nelle more agostane, viene richiesto di chiudere il caso. Ma Soneri non se la sente di seppellire il morto con una sigla, cominciando così ad indagare. Con la gente del Po, sulle stranezze del fiume. Frequentando il circolo nautico. Parlando con Casimiro detto il Matto per le sue stranezze ma che di certo matto non è.

Visita un ospedale da TSO, con gli alienati spesso in libera uscita. Guarda vecchie foto. Gli vengono in mente possibili scenari a partire da due dati: il morto, forse incontrato dal capitano della motonave che naviga sul fiume, aveva una erre francese, ed aveva un biglietto di motonave che poteva indicare fosse salito a bordo proprio a Torricella. Con fatica, aiutato da molte persone e molta fortuna, riesce a ricostruire le possibili vicende legate al morto, alla sua venuta lì in riva al Po, a collegamenti inizialmente astrusi, poi sempre più convincenti.

Alla fine, riesce a dare un nome alla salma. Non solo, ma ne ricostruisce la vita e la morte, avvenuta per mano di qualcuno. Il finale, che tutto chiarisce, lascia poi il campo a quel sapore alla Maigret di cui avevo già accennato in altre trame del nostro scrittore. A volte la verità e la giustizia non possono, o non debbono, coincidere.

Tuttavia, anche qui, non è il giallo che interessa a Varesi. C’è l’atmosfera delle comunità fluviali, di cui viene fatto un buon ritratto. C’è il crescere ed approfondire del rapporto tra Soneri ed Angela, che qui, in alcuni punti, diventa quasi un’aiutante del nostro commissario. Ma che a noi piace anche, se non di più, sia quando i due siedono ad una delle tante trattorie del territorio, sia quando si prendono una breve vacanza su di una casa galleggiante. Un’esperienza che prima o poi mi piacerebbe approfondire.

Soprattutto, però, c’è da seguire il filone del titolo, cercare gli invisibili che, per scelta o per i casi della vita, si incartano in un anonimato senza riconoscimenti, e già in vita, ma ancor di più in morte, perdono la loro dignità di individui. Così è per il morto cui Soneri riesce a dare un nome, così è per una vicenda laterale, assolutamente centripeta alla storia, e di cui non vi narro. Così è forse per lo stesso Soneri, che già si domanda se, quando sarà morto, pur con un nome sulla tomba, ci sarà qualcuno che lo ricorderà, cancellandone un possibile oblio futuro.

Piccole riflessioni, forse solo accennate da Varesi, con la sua scrittura forse troppo discreta per essere attraente, ma che mi sono sorte durante la lettura, anche stimolate da un richiamo, di passaggio, ad un cantautore francese, a me molto caro, ma di cui pochi ora si ricordano: Georges Brassens.

Altro coro di sottofondo, pur cambiando registri. Rimaniamo nel noir, ma passiamo in altre nazioni. Un primo passo, verso la Grecia di Petros Markaris con due pensieri sulla difficoltà dei rapporti, quando sono in difficoltà, e sulla presa di coscienza di chi oltre all’esperienza accumula anni.

Il primo, tratto da “La lunga estate calda del commissario Charitos” ci ammonisce: “Come facevo a spigare ad Adriana la differenza tra un tempo, in cui uno temeva che l’altro se ne andasse, e il giorno d’oggi in cui uno teme che l’altro rimanga?” (25). Il secondo viene da “La balia” e dice: “Non so: forse sono stato sempre così, o forse lo sono diventato negli ultimi anni, ma ultimamente mi rendo conto che le cose me le godo di più da solo che in compagnia.” (169).

Il secondo passo ci fa saltare l’Oceano per incontrare Patricia Cornwell che in uno dei quasi primi romanzi di Kay Scarpetta, ci parla in vario modo di verità e conoscenza.

Tra l’altro il primo: “Sbarrare le porte è negare la realtà. Quando si nega, il passato, si tende a ripeterlo” (36), è di una banale attualità, visto i negazionisti attuali del nazismo e del fascismo.

Gli altri si legano alla conoscenza, allo studio ed a quel senso di giustizia che ci proviene dall’aver sempre amato Simenon (e chi ne ha letto, mi comprende).

“- Ci devo pensare. È grazie al pensiero che sono diventata quella che sono. … - Sei diventata quella che sei grazie alla conoscenza. … E conoscere è sentire, pensare è un modo per elaborare ciò che sentiamo. A furia di pensare ci nascondiamo la verità.” (59)

La verità non sempre è la cosa migliore o più giusta. … La verità può causare la rovina e per questo non sempre è saggio o sano essere sinceri.” (317)

Purtroppo questa settimana non posso finire né allegro né ottimista, ma solo sinceramente e dolorosamente colpito. Un incidente, imprevedibile e imprevisto, ha portato via una mia amica viaggatrice, con la quale feci bellissimi viaggi e bellissimi discorsi sui viaggi. Per cui meglio tacere, non farvi mancare i miei abbracci ed inviare un pensiero a chi sta cominciando un altro viaggio lassù.

Ciao Patrizia

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