Una settimana dedicata a due autori italiani ed ai loro personaggi. Da un lato, Cristina Rava con il basso continuo del suo personaggio di fondo, il commissario Bartolomeo Rebaudengo, qui con l’aiuto e poi con il passaggio in primo piano del medico legale Ardelia Spinola. Dall’altra le avventure ormai storiche (ne sono usciti ben 17 episodi) del commissario Franco Soneri di Valerio Varesi.
Il risultato volge in favore di
Cristina per un po’ di freschezza nelle trame, mentre Valerio rimane troppo
impelagato nelle brume del parmense.
Cristina Rava “Di punto in bianco” Repubblica Anima Noir 26 euro 8,90
[A: 18/12/2021 – I: 25/09/2024 – T: 26/09/2024] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 270;
anno: 2019]
Salto subito nelle braccia di questo primo
romanzo, dove, a far da piccolo contraltare al commissario, c’è una bravissima
dottoressa in funzione di medico legale, Ardelia Spinola. E fin da allora si
intuiva un sottotraccia di possibili intrecci e convergenze.
Volendo ricostruire il percorso letterario
di Cristina, dobbiamo seguirne anche il percorso editoriale. A partire da
quella prima indagine, pubblica altri quattro romanzi incentrati su Rebaudengo,
tutti presso la benemerita Fratelli Frilli di Genova. Nel 2012, per rinnovare
un po’ la trama che si stava inaridendo, passa alla Garzanti, dove pubblica
quattro libri il cui centro diventa Ardelia. Poi nel 2019, con questo libro,
cambia di nuovo casacca, passa alla Rizzoli, dove pubblica sei nuovi libri,
dove nella metà si centra l’attenzione più sul commissario e nell’altra metà
più sul medico legale.
Quindi, se volessimo riunire la scrittura in
un corpo multiplo, diciamo che questo è il decimo volume, ed avendone saltati
gli otto intermedi, dobbiamo fare un po’ di salti per riconnettere la vita dei
protagonisti. Intanto, Rebaudengo, forte dei successi delle sue indagini, è
andato per un po’ in America, nel solito corso di profiler a Quantico (un
classico). Al ritorno si è messo a fare il docente di criminologia a Roma, fino
a che, la morte di una ricca zia non lo ha dotato di una cospicua rendita, nonché
di un villa nella sua terra natia, le Langhe. Per cui, lascia la polizia, e si
ritira in campagna, continuando comunque nella sua attività di scrittore e
divulgatore.
Più oscura la vicenda di Ardelia, che
intuiamo possa aver avuto una qualche storia, non andata molto avanti con il
commissario, per poi trovare un amore forte e coinvolgente con il maturo
Vittorio. Che tuttavia (credo nel precedente libro) muore di un male
incurabile, motivo per cui in questo vediamo Ardelia agire, sì, ma con molta
tristezza nel cuore. Ed anche con un difficile modo di rapportarsi a
Bartolomeo. Qualche mistero rimane che forse scopriremo nel futuro.
Intanto, proprio nelle Langhe nasce il
mistero che contorna il libro. Anche se mistero è una parola grossa, che, se
pur c’è un morto, sappiamo sin dal primo capitolo chi ne provoca la dipartita
finale, ed anche le motivazioni. Tutto ruota intorno a tal Graziano, cui tre
anni prima muore un figlio a seguito, pare, di un’operazione mal condotta. Il
nostro, morta anche la moglie, cade in depressione, con l’unico scopo di
vendicarsi del medico che ritiene responsabile di quella morte. Cosa che gli
capita incontrando il povero Dario, in fin di vita. Ma invece di curarlo, lo
lascia morire, cercando di costruire intorno al morto una serie di prove per
incastrare il medico.
Da qui parte tutta una serie di piccole
vicissitudini, di spostamenti, di spaesamenti ed altre vicende, che leggiamo
ogni volta da una prospettiva differente (la nostra cambia spesso il punto di
vista descrittivo). Vedendo come, accumulando indizi, si muove Ardelia cercando
di capire cause e motivazioni delle condizioni del corpo. Come si muove
Rebaudengo, che essendo in pensione non può che figurare come consulente. Come
agisce il PM o l’amico poliziotto o il povero ex-poliziotto colpito da un
trauma che vede molte cose, ma che ha difficoltà nel connetterle. Ma tutto alla
fine verrà concluso in una fine che sa molto di odor di Simenon, ma che non ci
interessa qui approfondire più di tanto.
Che come dicevo, molto del fascino della
scrittura di Cristina Rava sta negli ambienti, in queste Langhe piemontesi che
si dovrà visitare prima o poi. Ci sono le descrizioni dei luoghi, ed in
particolare delle colline. Ma ci sono anche i piatti della tradizione
piemontesi, quelli che al commissario cucina la fida Nora (e che spesso, per
motivi di indagine, Bartolomeo deve saltare). Ci sono gli ottimi vini, dal
Barbaresco al Dolcetto, dal Roero al Nebbiolo, magari finendo con un amaro o
con una grappa.
La scrittura della nostra poliedrica autrice
è regolare, senza troppi salti, senza pretese di essere diversa da quella che
è. Ne esce fuori una narrazione godibile, magari non proprio ricca di suspense
dal punto di vista “poliziesco”, anche se la suspense stessa si sposta sui
sentimenti dei personaggi. Che ci piace veder uscire dalle pagine, che mi piace
immaginare nel proseguimento della loro vita, magari anticipando quello che
potrò leggere un futuro.
Se ne riparlerà senza dubbio.
Cristina Rava “I segreti del professore” Repubblica Brivido Noir 32
euro 8,90
[A: 05/01/2021 – I: 04/11/2024 – T: 05/11/2024] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 302;
anno: 2020]
Quindi,
dopo dieci anni di assenza, ecco che, passato poco più di un mese, ritroviamo
la combriccola delle Langhe piemontesi, alle prese con una nuova avventura. Che
viene messe sempre sotto il cappello dell’ex-commissario, anche se
l’anatomopatologa ha un suo ruolo ed è ben presente. Vedremo, quando si
leggeranno testi sotto il cappello di Ardelia Spinola come si svilupperà
l’intreccio e le attività dei vari personaggi.
Lungo
tutto il testo, prima che alla parte noir, diamo anche un’occhiata al contorno.
In primo piano, com’è ovvio, Bartolomeo Rebaudengo, il nostro ex-commissario,
ora profiler e scrittore di criminologia. Continua la sua vita nella magione
eredita, con annessa rendita vitalizia che lo toglie dai problemi. Cerca di
usufruire della cucina di Nora, riuscendoci solo in parte. Ha qualche
soprassalto erotico in una storia laterale e senza problema. Ma soprattutto un
grande rapporto di amore/amicizia con Ardelia. Suppongo avessero avuto una
storia con lei (in qualche libro precedente), ma è cosa passata. Rimane la
comune consuetudine di parlare e confrontarsi, su tutto e di tutto.
Ardelia,
da parte sua, non ha una vita personale semplice. Coltiva il rapporto con
Bartolomeo, ma entra ed esce dalla relazione con Arturo, di cui non vede
sbocchi, ma neanche, al momento, motivi seri di allontanamento. È sempre sul
pezzo, dal punto di vista professionale, portando ogni tanto piccoli tasselli
utili. Anche se in questa storia, servono a poco. Meglio vanno infatti i
ragionamenti del nostro protagonista. Unico elemento di novità, l’amicizia,
nell’ultima parte dell’episodio, con un’altra anatomopatologa, Monica
Rebaudengo, omonima del nostro. Chissà se le vedremo ancora operare insieme.
Il
noir si scatena il 14 marzo con la morte di un’ecologista locale, uccisa con
tre colpi di pistola al petto. E poi si intorbida il 14 aprile con la morte di
uno psicanalista, ucciso con le stesse modalità. Il problema è che tra i due
morti non sembra esserci nessun collegamento, oltre il modus operandi.
I
contorni si riempiono poi di altre figure. C’è don Biagio che, sentito degli
omicidi dal telegiornale, vuole parlare con Bartolomeo. Peccato che l’età
avanzata e qualche cruccio che al momento non conosciamo, lo portano ad un
arresto cardiaco ed alla morte. Solo in finale sapremmo, casualmente (ed il
caso è molto presente nella trama) cosa aveva da dire.
C’è
Angelina, una parrucchiera con velleità letterarie, che, ricevendo un plico
anonimo con una trama gialla, riesce a confezionare un decente giallo. Peccato
che il giallo ricalchi in modo impressionante, la vicenda degli omicidi. Presa
da panico, ed ossessionata dal possibile assassino che lei immagina la stia
cercando, si nasconde, riuscendo a farsi trovare solo molto tardi, debilitata e
con una gamba (è caduta nella fuga) che sta andando in cancrena.
Tuttavia,
avendo incontrato casualmente Bartolomeo, confessa a lui il tutto, dando al
nostro ed alla polizia un filo da seguire: chi si cela dietro i personaggi del
plico e chi lo ha scritto? Sarà questa ricerca che muove tutta la seconda parte
del romanzo. Dove scopriamo esserci una donna morta suicida, donna amata dallo
scrittore. Che fa morire nel plico l’ecologista che aveva fatto incontrare la
sua donna con un dongiovanni, il dottore che non aveva diagnosticato le
tendenze suicide della giovane, nonché il dongiovanni che dopo poco tempo aveva
lasciato la giovane per sollazzarsi in altri lidi.
Due
sono allora i misteri che restano: lo scrittore ed il dongiovanni.
La
scrittrice onnisciente ci fa da guida, svelandoci ben presto che lo scrittore è
un professore di italiano, diventato uno scrittore di giallo di media caratura,
ma comunque localmente noto.
Noi
invece seguiamo i vari tentativi di scoprire il resto dei misteri insieme a
Bartolomeo, Ardelia ed al giovane PM. In un finale un po’ lunghetto, ma
tuttavia sapientemente orchestrato, dove il caso gioca una parte importante,
alla fine tutto si chiarisce. I come, i perché ed i chi. Che ovviamente sarei
tentato di svelarvi, ma non lo faccio.
Dal
punto di vista della scrittura, continua ad essere, come ho detto in
precedenza, una scrittrice che ben si muove tra le parole, e che ci porta
colori e profumi del vasto territorio tra le Langhe e la riviera ligure,
Alassio in particolare. Il mio solo cruccio, che però credo derivi da scelte
della casa editrice, è la mancanza di spaziatura quando, all’interno di un
capitolo, si passa che so dalle vicende di Bartolomeo a quelle di Angelina.
Senza cesure, ogni volta bisogna fermarsi e rileggere qualche riga.
Valerio Varesi “Oro, incenso e polvere” Repubblica Profondo Noir 16
euro 8,90
[A: 12/10/2023 – I: 14/11/2024 – T: 15/11/2024] &&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 264;
anno: 2007]
SONERI08
Dopo
anni di astinenza, a distanza di circa sei mesi eccomi ad affrontare una nuova
avventura del commissario Soneri. Un episodio “storico” visto che, arrivato al
diciassettesimo episodio, con questo si risale all’ottava uscita. Laddove
l’unico elemento nuovo (che fa meritare il + nei voti) è dato dal fatto che
finalmente so anche il nome di battesimo del nostro poliziotto: Franco. Non
come diminutivo, ma come nome a sé stante, così come fu quello di mio padre.
Con
la distanza temporale dalle serie tv, mi sto “dimenticando” della
sovrapposizione con l’interprete televisivo, riprendendo quindi a seguire con
più attenzione le vicende narrate, anche se non riesco ad entrarci sempre fino
in fondo. C’è quel senso di malinconia che pervade il testo e le sue atmosfere
che le vela un po’ troppo, le rende sempre quel filo triste che non aiuta ad
appassionarsi. C’è solo l’arrivo di un nuovo personaggio di contorno, il
decaduto marchese Sbarazza, che riesce a dare un tono di ironia ai suoi
comportamenti.
Sbarazza
ha perso tutto, case e soldi, e vive da barbone aristocratico sedendosi alla
tavola di commensali che lasciano avventori frettolosi, eminentemente donne,
mangiandone e bevendone. Con una filosofia di vita, che ad un tratto narra
anche al nostro commissario e che dona quel tocco di leggerezza che per il
resto il testo non riesce a raggiungere.
La
storia, più di altre volte, si sviluppa sui soliti due binari, pubblico e
privato, laddove però il privato è forse un po’ troppo presente, ed anche poco
attraente. Soneri ed Angela sono ad un punto morto, lui troppo preso dal
lavoro, lei bisognosa di un atteggiamento più frizzante e propositivo. C’è un
lungo tormentone, tra le paturnie di Soneri che non comprende le necessità di
Angela, tornando sempre alla solfa del “perché mi vuoi lasciare? Perché se
stiamo bene? Perché…?”. E sempre senza fare un passo in avanti. Angela è
tormentata dal brivido del nuovo e dalla consapevolezza della solidità sicura e
del comportamento (sempre?) corretto del commissario. Avendo noi poveri lettori
a volte casuali letto già le avventure successive, sappiamo già come si evolve
questa parte. Ma non posso non sottolineare che è un po’ pesante, servendo solo
a sottolineare vieppiù la malinconia della bassa.
Abbiamo
poi il noir vero e proprio. C’è un corpo bruciato ritrovato nei campi nebbiosi.
C’è un anziano rumeno che muore d’infarto alla periferia cittadina. Ci sono i
rom che si aggirano nelle pianure e che forse, o forse no, hanno visto
qualcosa. Ma soprattutto c’è Soneri che, per instino o per caso, pensa ci siano
collegamenti tra i due. Scavando e collegando, qualcosa trova, che il corpo è
di una ragazza rumena, Nina, e per giunta in cinta.
Soneri
ed i suoi allora cominciano a ripercorrere la vita della bella rumena, che è
per l’appunto bella, piena di contatti con molti personaggi, della media e
dell’alta borghesia parmense, ma che non rinuncia alla sua indipendenza, che
continua a lavorare per comunque mantenersi. Ben presto la rete si stringe
verso una famiglia imprenditrice che lavora l’oro per fabbricare oggetti
religiosi. Il marito, scapestrato, cocainomane dalle mani bucate. La moglie
imprenditrice, molto legata all’ambiente clericale, e che, seppur accetta
scappatelle continue del fedifrago, non farà mai un passo che possa mettere in
pericolo il suo lavoro.
Un
noir che poteva anche essere ridotto a poche righe, guidato da quel titolo
troppo esplicito, se pensiamo alla polvere come a quella bianca da molti,
inaspettatamente, usata.
Ma
Varesi ha anche altro in testa, e le parti migliori sono dedicate a problemi
già presenti vent’anni fa. L’immigrazione dall’est, l’integrazione degli
stranieri, i rapporti con i rumeni e con i rom. Che, giustamente, Varesi invita
a non fare di tutta l’erba un fascio, che non bisogna portare subito alla
conclusione l’equazione rom = ladri, e altre stupide ovvietà. Ovunque ci sono
persone buone e/o cattive. Sono le persone ad esserlo, non la loro razza o la
loro provenienza.
Un
messaggio che condivido in pieno, anche se l’autore non ne ricava un testo più
incisivo. Per questo, alla fine, preferisco sedermi con Franco, alla trattoria
di Egisto, a mangiare molliche di grana, accompagnate da un buon rosso.
“Una
storia finita a cinquant’anni può segnare il confine tra un uomo vivo e un uomo
rassegnato.” (69)
“Essere
precari è la condizione umana. La differenza è che a pensarci sono in pochi e
la maggior parte fa finta di niente.” (99)
“Sei
migliore della gente che frequenti … della gente perbene di questa città.”
(261)
Valerio Varesi “La paura nell’anima” Repubblica Anima Noir 24 euro 8,90
[A: 07/12/2021 – I: 16/12/2024 – T: 18/12/2024] & e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 376;
anno: 2018]
SONERI14
Anzi, con una serie di debolezze, la più
forte è nel sottotitolo (presente sia in questa riproposizione di Repubblica
che nella pubblicazione originale) che riporta: “L’ultima inchiesta del
commissario Soneri”. Ora, per me ultima significa che poi non ce ne sono altre,
affermazione smentita dalle tre uscite seguenti. Poteva forse significare
ultima rispetto alle precedenti o ultima nella mente dell’autore. In ogni caso,
o un errore dell’autore o uno degli editori, che, ristampandolo, avrebbero
dovuto eliminarlo o modificarlo.
Il
secondo punto è la lontananza da Parma, che era una delle cifre migliori
dell’agire di Soneri, una lontananza che si riflette anche in un’assenza quasi
totale dei suoi collaboratori storici. Altri elementi che non sorreggono la
trama. Una trama, un’inchiesta che il nostro deve affrontare in solitaria,
anche se con qualche supporto locale, sostenuto, almeno nella prima metà, dalla
presenza di Angela, con tutti gli addendi di questo rapporto duraturo nel tempo
ma mai consolidato. Il tutto anche perché siamo in ambiente premontano, a
Montepiano.
Come
ha confessato in un’intervista, lo spunto narrativo gli è arrivato dalle
vicende di poco precedenti la scrittura, relative alle imprese ed alla fuga di
Igor il Russo. Ricordo che il criminale noto con quel nome, in realtà non era
russo ma serbo, non si chiamava Igor Vaclavić ma Norbert Feher, e spesso usava
il soprannome Ezechiele. Se ne ripercorrete le vicende, molte sono riportate da
Varesi in questo libro, inclusa la caccia dove furono impiegate squadre
speciali da 150 elementi a turno dotate di visori notturni a infrarossi e cani
molecolari.
Come
detto siamo in alta collina (o bassa montagna), dove Soneri trascorre alcuni
giorni di riposo lontano dalla Questura. Varesi ci fa immergere nella cultura
locale, fatta di incontri tra le persone, spesso solitarie, fatta di mangiate
in trattoria, di camminate, ma anche di sentimenti di collettività. Tutte cosa
che vengono scardinate dall’annuncio dell’arrivo in loco del latitante serbo,
autore già di svariati crimini. C’è tutto il filone della caccia all’uomo
infruttuosa, che serve a dare il tono all’atmosfera, ma che non fa parte del
nucleo del testo. Serve a scatenare la paura dell’altro, a tirar fuori sospetti
ed altre insicurezze.
Mentre
la storia, quella locale prende il via dal ferimento immotivato di un
valligiano, cui segue a breve distanza la morte di un ragazzo, sempre di
Montepiano, un po’ sbandato e molto in crisi ed in lotta con la famiglia. Una
famiglia da sempre guardata di traverso, da sempre con il sospetto che il
ragazzo non sia figlio del padre. Con il figlio che per anni millanta uno
studio universitario ed una laurea, che però non ha mai preso. Quasi volesse
rendere pan per focaccia al padre non padre ed alla madre poco accogliente.
Un
figlio da cattive compagnie, forse anche dedito a vendere il proprio corpo per
raccogliere soldi per la sua vita, non dico dissoluta, ma sempre alla ricerca
di un galleggiamento che le scarse possibilità familiari non gli garantiscono.
Un ferimento ed una morte che si inseriscono nel clima di paura e di tensione
scatenate dalla famigerata presenza del latitante, ma che, forse hanno una
soluzione più semplice e fors’anche più triste.
Fatto
sta che Soneri, unendo i vari puntini del puzzle, tra un avvicinamento ad
Angela e qualche dissapore, che rientra presto, trova la soluzione, in un
finale quasi alla Maigret, dove, ed è uno dei pochi punti interessanti, ci si
interroga se serva a qualcosa una spiegazione corretta di tutti i fatti o non
sia sufficiente un disegno corretto della stessa senza approfondimenti. Frasi
un po’ criptiche ma non si può spoilerare troppo.
Dato
quindi il tono poco accattivante di tutta la materia, quello che meglio riesce
dalla penna di Varesi è il disegno dei vari personaggi di contorno che servono
ad animare il teatrino di Montepiano. C’è Tilò, il mulattiere, emblema di una
tradizione di rapporti reciproci, tradizione che il mutare del tempo sta
erodendo a poco a poco. C’è l’ex-sindaco Benati esempio vivente, anche se verso
la fine, della tutela istituzionale di una comunità con legami secolari. Ovvia
la presenza della Chiesa in queste comunità, anche se don Filippo ne mostra
tutta la presente impotenza. Non può manca, in una comunità ristretta ed
isolata, una guaritrice fuori dal coro, Artenice, che ovviamente è guardata con
sospetto ed emarginata. E tutti i corifei della tragedia: i gestori della
locanda dove tutti vanno a mangiare ed a confidarsi, Adelmo e Rina, il postino,
il fornaio, il meccanico, l’attuale sindaco, il farmacista, la maestra in
pensione. Varesi attinge a tutto il possibile sentimento nazional-popolare dei
luoghi lontani dalle città, con uno spirito da acquarellista, ma senza
coinvolgere molto noi lettori.
Certo
il meccanismo scatenato da Varesi nella dicotomia latitante – paese messo sotto
scacco, si intravedono i germi di tanti discorsi. La psicologia quando lavorare
su di un insieme di persone sotto pressione, il folklore locale, il ruolo
dell’inconscio, la presenza della nuova criminalità. Usando mai trovato serbo
come una Nemesi che serve a scatenare tutte le possibili incomprensioni in un
mondo chiuso ed autoreferente.
Una
paura, reale, quella di Igor che si ricollega ai miti appenninici, alla figura
del Baffardello, un folletto che compie scherzi e dispetti ai più deboli della
comunità. Ma qui si andrebbe molto fuori dal seminato, anche perché, nonostante
tutti i tentativi dell’autore, tutta la commedia intorno al nucleo tragico non
viene trattata con sufficiente amalgama. Si slega molto, e solo la solida
presenza di Soneri consente di andare avanti nella lettura, portarla a termine
e sperare che si torni ad un tratteggio migliore delle vicende umane, come nei
primi romanzi.
“Non
si impara mai abbastanza, anche se di tutto ciò ci si rende conto solo con il
tempo.” (227)
Valerio Varesi “Gli invisibili” Repubblica Brivido Noir 19 euro 8,90
[A: 04/10/2020 – I: 19/12/2024 – T: 21/12/2024] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 331;
anno: 2019]
SONERI15
Strani
i destini dei personaggi seriali. A volte passano anni prima che mi capiti di
leggere un nuovo episodio. A volte, come in questo caso, solo pochi giorni,
quasi ci fosse un piccolo filo che unisce i testi, e che tocca a noi dipanare.
Qui
Varesi aveva scritto questi due episodi un anno dopo l’altro, il primo seguendo
fili di cronaca altri, questo anche dietro una precisa richiesta dell’editore
che richiedeva un libro celebrativo delle proprie collane. Ma c’è anche un
altro filo più nascosto che esce fuori leggendone in sequenza. Che se il libro
sulla paura era, anche, una celebrazione della vita di comunità montane, qui
celebriamo un’altra comunità, quella legata all’acqua, ed in particolare al
fiume Po.
E
tutta sul fiume ed intorno al fiume si svolge la vicenda. In particolare
facendo perno su Torricella di Sissa, piccola cittadina affacciata su di
un’ansa del fiume, una trentina di chilometri a nord di Parma. Eccoci, dunque,
in un nuovo episodio lontano dalla bella cittadina, anche se, per motivi vari,
Soneri ogni tanto vi torna. Ma è un romanzo fluviale e non cittadino.
Un
romanzo costruito intorno ad una delle tante comunità che del fiume vivono. Una
volta (ai tempi magari de “Il mulino del Po” di Bacchelli e di cui ricordo lo
sceneggiato di Sandro Bolchi interpretato da Raf Vallone) era la macinatura del
grano che dava da vivere. Poi tutto si evolve, rimangono le terre intorno, ma
si sviluppa la pesca. Ed ora, con le nuove mode, anche con le case galleggianti
ed i turisti.
Ma
le nuove mode portano anche altro. Immigrati dell’est che fanno pesca di frodo,
ma sono anche manovalanza per piccoli e grandi criminali. Carne da macello per
rapine. Corrieri di varia entità per la droga. Il tutto importando anche
criminalità organizzata, in tutte le sue declinazioni. Certo, molta camorra dal
napoletano, ma anche con altri accenti malavitosi.
La
zona era tutta sotto il controllo latifondiario di Gualtiero Gallerani, il
grande vecchio e possidente, dal pugno di ferro ma anche dalla diffusa
propensione verso il gentil sesso. Che comandava tutto e tutti, anche il
dimesso fratello Giacomo. Gualtiero ha due figli, Fabio e Rinaldo, che ripetono
l’andamento familiare. Fabio duro ed arrivista, Rinaldo introverso e molto
legato al padre. Anche Giacomo ha una figlia, Elvira, che però si mormora sia
anch’essa figlia di Gualtiero. Il quale, alla morte della moglie, si consola
con un’immigrata napoletana, Carmela, fuggita dalla Campania alla morte del
marito camorrista, per sfuggire alla morsa malavitosa, lasciando in paese il
primo figlio, Gennaro.
Gualtiero
trova pace con Carmela, ci fa un figlio, Giovanni detto Giannino. Ma il paese
mormora, così Carmela apre una merceria a Parma, ed il figlio va in collegio.
Alla morte di Gualtiero, tre o quattro anni prima del presente narrativo, tutto
si sfascia. I figli prendono tutto, ma Elvira si ribella, convince anche
Giannino a far causa ai fratelli per il riconoscimento dell’eredità. Giannino
però sparisce, mentre Elvira fa un accordo ben remunerativo. Anche perché i
Gallerani non aveva voglia che si andasse più a fondo nelle loro attività,
visto che erano ormai entrati in affari anche con la camorra.
La
storia che seguiamo insieme a Soneri è quella di un morto senza nome, trovato
tre anni prima nel fiume, forse suicida forse ucciso. Dopo tre anni l’obitorio
rivuole il posto occupato dalla salma che nessuno ha mai richiesto, ed a
Soneri, nelle more agostane, viene richiesto di chiudere il caso. Ma Soneri non
se la sente di seppellire il morto con una sigla, cominciando così ad indagare.
Con la gente del Po, sulle stranezze del fiume. Frequentando il circolo
nautico. Parlando con Casimiro detto il Matto per le sue stranezze ma che di
certo matto non è.
Visita
un ospedale da TSO, con gli alienati spesso in libera uscita. Guarda vecchie
foto. Gli vengono in mente possibili scenari a partire da due dati: il morto,
forse incontrato dal capitano della motonave che naviga sul fiume, aveva una
erre francese, ed aveva un biglietto di motonave che poteva indicare fosse
salito a bordo proprio a Torricella. Con fatica, aiutato da molte persone e
molta fortuna, riesce a ricostruire le possibili vicende legate al morto, alla
sua venuta lì in riva al Po, a collegamenti inizialmente astrusi, poi sempre
più convincenti.
Alla
fine, riesce a dare un nome alla salma. Non solo, ma ne ricostruisce la vita e
la morte, avvenuta per mano di qualcuno. Il finale, che tutto chiarisce, lascia
poi il campo a quel sapore alla Maigret di cui avevo già accennato in altre
trame del nostro scrittore. A volte la verità e la giustizia non possono, o non
debbono, coincidere.
Tuttavia,
anche qui, non è il giallo che interessa a Varesi. C’è l’atmosfera delle
comunità fluviali, di cui viene fatto un buon ritratto. C’è il crescere ed
approfondire del rapporto tra Soneri ed Angela, che qui, in alcuni punti,
diventa quasi un’aiutante del nostro commissario. Ma che a noi piace anche, se
non di più, sia quando i due siedono ad una delle tante trattorie del
territorio, sia quando si prendono una breve vacanza su di una casa
galleggiante. Un’esperienza che prima o poi mi piacerebbe approfondire.
Soprattutto,
però, c’è da seguire il filone del titolo, cercare gli invisibili che, per
scelta o per i casi della vita, si incartano in un anonimato senza
riconoscimenti, e già in vita, ma ancor di più in morte, perdono la loro
dignità di individui. Così è per il morto cui Soneri riesce a dare un nome,
così è per una vicenda laterale, assolutamente centripeta alla storia, e di cui
non vi narro. Così è forse per lo stesso Soneri, che già si domanda se, quando
sarà morto, pur con un nome sulla tomba, ci sarà qualcuno che lo ricorderà,
cancellandone un possibile oblio futuro.
Piccole
riflessioni, forse solo accennate da Varesi, con la sua scrittura forse troppo
discreta per essere attraente, ma che mi sono sorte durante la lettura, anche
stimolate da un richiamo, di passaggio, ad un cantautore francese, a me molto
caro, ma di cui pochi ora si ricordano: Georges Brassens.
Altro
coro di sottofondo, pur cambiando registri. Rimaniamo nel noir, ma passiamo in
altre nazioni. Un primo passo, verso la Grecia di Petros Markaris con due
pensieri sulla difficoltà dei rapporti, quando sono in difficoltà, e sulla
presa di coscienza di chi oltre all’esperienza accumula anni.
Il primo, tratto da “La lunga estate calda del commissario
Charitos” ci ammonisce: “Come
facevo a spigare ad Adriana la differenza tra un tempo, in cui uno temeva che
l’altro se ne andasse, e il giorno d’oggi in cui uno teme che l’altro rimanga?”
(25). Il secondo viene da “La balia” e dice: “Non so: forse sono stato
sempre così, o forse lo sono diventato negli ultimi anni, ma ultimamente mi
rendo conto che le cose me le godo di più da solo che in compagnia.” (169).
Il
secondo passo ci fa saltare l’Oceano per incontrare Patricia Cornwell che in
uno dei quasi primi romanzi di Kay Scarpetta, ci parla in vario modo di verità
e conoscenza.
Tra l’altro il primo: “Sbarrare le
porte è negare la realtà. Quando si nega, il passato, si tende a ripeterlo”
(36), è di una banale attualità, visto i negazionisti attuali del nazismo e del
fascismo.
Gli
altri si legano alla conoscenza, allo studio ed a quel senso di giustizia che
ci proviene dall’aver sempre amato Simenon (e chi ne ha letto, mi comprende).
“-
Ci devo pensare. È grazie al pensiero che sono diventata quella che sono. … -
Sei diventata quella che sei grazie alla conoscenza. … E conoscere è sentire,
pensare è un modo per elaborare ciò che sentiamo. A furia di pensare ci
nascondiamo la verità.” (59)
“La
verità non sempre è la cosa migliore o più giusta. … La verità può causare la
rovina e per questo non sempre è saggio o sano essere sinceri.” (317)
Purtroppo questa settimana non posso finire né
allegro né ottimista, ma solo sinceramente e dolorosamente colpito. Un incidente,
imprevedibile e imprevisto, ha portato via una mia amica viaggatrice, con la
quale feci bellissimi viaggi e bellissimi discorsi sui viaggi. Per cui meglio
tacere, non farvi mancare i miei abbracci ed inviare un pensiero a chi sta cominciando un altro viaggio lassù.
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