sabato 22 marzo 2008

Di arabi e non

In questa pasqua cristiana, torno invece tra arabi e Medio oriente, per mettere in fila tre autori con vicinanze di coppia. Hamid e Nassib sono arabi, ma narrano in modo diverso il vivere la vita oggi (o al più ieri) in paesi di religione islamica. Nassib e Oz sono nati a poca distanza geografica, ma ci riportano modi di vivere della medio-orientalità diversi e contrastanti. Oz e Hamid, lontani in spazio e tempo, ci parlano (ed ognuno lo interpreterà a suo modo) di fondamentalismi (e non di integralismi che significa altro e se vogliamo apriamo un dibattito). Seguiamo allora il mio ordine di lettura, cominciando da

 

Mohsin Hamid “Il fondamentalista riluttante” Einaudi euro 14 (in realtà prestito di Rosa)

                

Uffa, quando un autore arabo ma che vive in occidente prova a mettere su carta le sue riflessioni o idee sulle basi di alcuni punti dolenti del rapporto con l'islam (come in questo caso, con il fondamentalismo) succede spesso e volentieri che il tutto si annacqua, come nel pur gradevole “Aquiloni”. Qui molto meno gradevole. Un po' perché il fluire di un monologo di 135 pagine lascia del fiato in apnea, un po' perché la storia d'amore, come si dice, un' c'azzecca pe' nulla. Un po' perché il non detto (ed il non finito) sono veramente una palla. Changez è un giovane pakistano, ammesso a Princeton grazie ai suoi eccezionali risultati scolastici. Dopo la laurea 'summa cum laude' viene assunto da una prestigiosa società di consulenza newyorkese. Diventa cosí un brillante analista finanziario, sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo per valutare i potenziali di sviluppo delle imprese in crisi. Impegnato a volare in business class tra Manila e il New Jersey, Lahore e Valparaiso, e a frequentare l'alta società di Manhattan al braccio della bella e misteriosa Erica, Changez non si rende conto di far parte delle truppe d'assalto di una vera e propria guerra economica globale, combattuta al servizio di un paese che non è il suo. Finché arriva l'Undici settembre a scuotere le sue certezze. Il businessman in carriera, rasato a puntino e impeccabilmente fasciato nell'uniforme scura del manager, comincia a perdere colpi. La produttività cala e la barba cresce, quella barba che agli occhi dei suoi concittadini fa di ogni "arabo" un potenziale terrorista. E mentre gli Stati Uniti invadono l'Afghanistan, il Pakistan e l'India sembrano sull'orlo di una guerra atomica, e New York si lascia andare ad un'agghiacciante volontà di potenza tinta di nostalgia, anche la personalità dell'amata Erica rivela lati sempre piú patologici. Giunge cosí per Changez il momento di compiere un passo irreversibile. L'ho divorato in una notte turca, ho pianto sul passo d'amore che riporto, ma non mi è piaciuto.

 

“stava lottando contro una corrente che la trascinava dentro di sé, e dal suo sorriso traspariva la paura di essere risucchiata nei propri abissi, dove sarebbe rimasta intrappolata. In quei momenti avrei voluto servirle da ancora, avendo l'accortezza di non farglielo capire. Scoprii che il modo migliore era di arrivare quasi a toccarla, ... e poi aspettare che lei si accorgesse della mia presenza fisica, scuotesse la testa e mi sorridesse”.

 

Poche le notizie, di un autore ai primi passi (almeno in Italia). Mohsin Hamid è nato e cresciuto a Lahore, in Pakistan, per poi frequentare la Princeton University e la Harvard Law School. Dopo di che lavora per alcuni anni presso la McKinsey & Co. Poi, comincia anche a scrivere. Ora vive a Londra.

 

Passiamo poi al libanese:

Sélim Nassib “Una sera qualsiasi a Beirut” E/O euro 11 (in realtà, scontato 8,80)

 

Questo lo trovo un arabo più autentico, anche se Nassib vive in Francia. Riesce a presentare il mondo arabo senza folklore, ma con umori e sapori. Certo i racconti non sono il mio forte ed a volte non riesco ad entrare in fretta nel meccanismo. Qui, l’uso della prima persona è agevole e, soprattutto, rende facile un paragone vincente con Hamid. Si perde un po’ quando, negli ultimi, cerca di entrare in “politica”, perché questa politica, in poche righe, è veramente poco comprensibile. Si apre, infatti, uno squarcio sulla realtà quotidiana in Cisgiordania, a Gerusalemme, a Beirut, e l’autore da voce ad una carrellata di persone comuni alle prese con un momento di rottura nella loro esistenza. La bambina a cui viene imposto per la prima volta il velo, il vecchio alla vigilia della guerra del Golfo, l'emigrante di ritorno dopo anni di vita in occidente, la vecchia che scopre che nella casa espropriatale nel 1948 sono andati a vivere altri palestinesi come lei... La scrittura riproduce i dubbi, lo sgomento, i timori di quanti vivono situazioni personalissime, e che tuttavia il lettore percepisce come emblematiche. Dolente da inizio anno.

 

L’autore, questa volta, l’avevo già letto anni fa nella sua prima prova. Sélim Nassib (Beirut, 1946) vive a Parigi dal 1969. Ha lavorato come corrispondente dal Medio Oriente per il quotidiano francese "Libération". Tre suoi libri sono tradotti in italiano: “Ti ho amata per la tua voce”, romanzo ispirato alla storia della cantante araba Umm Kalthum. “L’amante palestinese” è un romanzo che racconta di un amore impossibile ambientato nel 1948 durante la guerra arabo israeliana, e la raccolta di racconti brevi “Una sera qualsiasi a Beirut”. La narrativa di Nassib nasce dal “bisogno di raccontare un’esperienza del mondo arabo” quale "dimensione di vita puramente sensuale”, che non può essere compresa analiticamente. Per l’autore si tratta di dire ciò che "vive" e "sente senza tentare di liberare da contraddizioni e desideri l’io narrante. I suoi racconti hanno tutti un'ambientazione storico-politica recente, ma tendono a ricreare atmosfere "fuori dal tempo". Il connubio tra collocazione storica e universalità a-temporale tipica dell’esotismo e della favola mediorientale caratterizza la sua letteratura rispetto alla sensibilità occidentale.

 

E terminiamo con l’israeliano:

Amos Oz “La scatola nera” Feltrinelli euro 7,50 (in realtà, scontato 5,60)

 

Ancora alle prese con un israeliano, impegnato, presente, intessuto dell’Israele profondo, in un romanzo di 20 anni fa, ambientato a sua volta dieci anni prima. “Disposta a tutto purché tu salvi tuo figlio”. Così scrive Ilana dopo sette anni di divorzio e di silenzio, in cui Alec si è trasferito negli Stati Uniti ed è diventato famoso per i suoi studi sul fanatismo religioso e lei, rimasta in Israele, si è risposata con un ebreo ortodosso. E’ la prima lettera di un fitto carteggio: Alec risponde ad Ilana; Michel, il nuovo marito di Ilana, scrive ad Alec; Boaz, il figlio, scrive a Michel; l’avvocato Zakheim scrive ad Alec; e poi ci sono gli scambi di telegrammi, botta e risposta che comunicano un’idea di urgenza e di furia, fra Alec che impartisce ordini e il recalcitrante avvocato Zakheim, nonché le lettere di Rachel, la sorella di Ilana. Nove mesi di lettere, nove mesi che cambiano ogni personaggio. Rivelandocene man mano i tratti: Michel meschino e arrivista, Zakheim opportunista e calcolatore, Rachel, la saggia e comprensiva, che un tempo è stata amica di entrambi e Boaz una specie di Gulliver grezzo come un diamante cui l'odio e la solitudine hanno infuso una mirabile forza fisica. È come aprire la scatola nera dopo un incidente aereo e ricostruire quello che è successo. Perché le lettere sono un espediente per lasciar raccontare i protagonisti e, lentamente, senza che ce ne accorgiamo, scivoliamo nel racconto della storia passata. Tutti sono indaffarati dietro una speranza di felicità, malinconica come una canzone che parla di una terra che c'è, ma che non hanno trovato. L'unico estraneo alla facile eccitazione è Boaz: a contatto con la terra, la lavora e la ama senza calcolo, e ripara, costruisce, restaura, aggiusta confidando solo nelle stelle che danno conforto perché non giudicano. Così scrive a sua madre: “Lascia perdere sentimenti lacrime e il resto e comincia a fare qualcosa”. Ottima la traduzione. La Loewenthal riesce a riprodurre stati d’animo e ortografie che credo in originale facciano ancora più risaltare le diverse personalità. Ma come tutto l’Oz che ho letto, alla fine rimane nel cervello. Ma non nel cuore.

 

Già molto invece ho letto di Oz, e ne riporto alcune note (da ottimo toro). Amos Oz (nato Amos Klausner) (Gerusalemme, 4 maggio 1939) nasce da Yehudah Aryeh Klausner, di origine lituana, e da Fania Mussman di origine ucraina. Scrittore di romanzi e saggi, è insegnante di letteratura all'Università Ben Gurion del Negev in Israele. Nel suo romanzo autobiografico, “Una storia di amore e di tenebra”, Oz ha raccontato, attraverso la storia della sua famiglia, le vicende storiche del nascente Stato di Israele dalla fine del protettorato britannico: la guerra di indipendenza, gli attacchi terroristici dei feddayn, la vita nei kibbutz. Nella vita dello scrittore è stato determinante il suicidio della madre, avvenuto quando il piccolo Amos aveva appena dodici anni. L'elaborazione del dolore si sviluppa ben presto in un contrasto con il padre, un intellettuale vicino alla destra ebraica, che termina con la decisione del ragazzo di entrare nel kibbutz Hulda e di cambiare il cognome originario Klausner in Oz che in ebraico significa Forza. Oz studia filosofia e letteratura ebraica all’Università. A parte articoletti nel giornale del kibbutz, non pubblicò nulla sino al 1965. Il suo primo romanzo fu pubblicato nel 1966. E non ha più smesso di scrivere, pubblicando in media un libro l’anno. Amos Oz si è ritirato con la moglie Nily ad Arad, nel nord del deserto del Negev, per combattere l’asma del figlio Daniel. Sua figlia Fania insegna storia all’Università di Haifa. Oz ha ottenuto il prestigioso Premio Israele in letteratura nel 1998.

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