domenica 30 marzo 2008

Sentimenti dolenti, speranze deluse

Non sembri un attacco di tristezza: anche se questa settimana si va parlando di momenti che non sempre sono felici, facciamolo perché questi sono parte della nostra vita. Affrontiamo tre libri di diverso stile e di diverso impatto, che mi hanno suscitato sentimenti diversi, anche se sono stato contento di averli letti. Piacere di belle scritture, di tocchi leggeri (orientali?) che toccano nel profondo. Piacere di constatare che molte volte guardando il nostro ombelico non ci accorgiamo di essere uno dei tanti esempi della vita che scorre. E non sempre il più negativo.

Cominciamo allora con un libro regalato

Joshua Ferris “E poi siamo arrivati alla fine” Neri Pozza s.p.

Senza prezzo perché è stato un regalo di Annabella, Cecilia, Loredana e Monica: e accidenti a loro che me lo hanno regalato. E a chi dice che è divertente. Mi sarei messo a piangere se non fossi stato tramortito dalla stanchezza. In effetti, l’ho letto durante i due giorni passati a letto con la febbre: un bel modo di passare il tempo! La scrittura è interessante, un uso del noi per tutto il libro che ti fa partecipe di questo mondo del lavoro in rotta, con la paura (e poi l’avvenimento) del licenziamento. Con una galleria di tic da ufficio da far rivoltare Basaglia nella tomba. Se vivete (o avete vissuto) momenti simili, vi verrà tutto l’amaro in bocca. Forse riuscirà leggero a chi lavora in altro modo. Auguri a lui. Qui si parla non di una società di software al tracollo ma di una grande agenzia di pubblicità sulle rive dell'immenso lago di fronte a Chicago, nel cuore dei grattacieli più antichi d'America. Tra open space e cubicoli, tra computer e stampanti, si svolge la commedia umana di un gruppo di giovani spregiudicati e sognatori, cinici e brillanti, che ogni mattina, fatalmente, si incontra nello stesso luogo: in ufficio. Carl, Karen, Benny, Amber, Jim sanno tutto di tutti. Sanno che Tom è pazzo, e che Lynn, il boss, ha un tumore al seno. Sanno che il vecchio Brizz se la passa male ed è finito nella classifica di “Quale vip muore prima”, anche se non e una celebrità. Sanno chi ha nascosto il sushi dietro la libreria di Joe. Sanno con chi se la prende Marcia quando ha inviato una mail a Genevieve in cui c'è scritto: "È davvero irritante lavorare con persone irritanti". Conoscono ogni pettegolezzo, ogni storia d'amore, ogni invidia e segreta generosità. Sanno chi è nelle grazie del capo e chi verrà fatto fuori. Sanno tutto di tutti perché l'ufficio è la loro vita. Perché nessuno ci conosce davvero quanto le donne e gli uomini che ogni giorno ci siedono accanto. E noi che ci crogioliamo nell’attesa che i nostri (ex-) colleghi si facciano vivi (ma molte volte prima muoiono, non solo metaforicamente).

Dell’autore, sappiamo poco, ma nel libro ci sono senz’altro i suoi anni chicagoani. Joshua Ferris nasce, infatti, nel 1974 a Danville, Illinois. A 20 anni con la famiglia si trasferisce in Florida e comincia a fare mille lavori saltuari. Ma poi ritorna a studiare a Chicago dove si laurea nel 1996. Comincia a lavorare in agenzie di pubblicità, ma dopo due anni comincia anche a scrivere, e dopo il successo dei primi racconti lascia Chicago per la California per seguire corsi alla locale Università. Questo è il suo primo romanzo.

 

Passiamo quindi, all’oriente, che sempre per me rimane un momento di attrazione ma di difficile penetrazione culturale. Ho finalmente infatti letto

Banana Yoshimoto L’abito di piume Feltrinelli euro 6,50 (scontato 4,88 euro)

Lessi Kitchen 15 anni fa e non mi piacque e per tutti questi anni ho accantonato Banana. Ora era tempo di darle una seconda chance, e… bene con lode. Hotaru torna nel suo paese natale, piccolo borgo tranquillo, per dimenticare le sue pene d'amore. Per ben otto anni ha abitato a Tokyo, dove ha vissuto una relazione con un uomo sposato che alla fine l'abbandona per tornare dalla moglie. Il ritorno nel suo paese è un ritorno all'infanzia, un ritrovare pace e serenità nell'affetto di amici e della nonna. La madre è morta e suo padre, noto psicologo, è in viaggio in California. Hotaru trascorre le sue giornate aiutando la nonna nel suo caffè, intimo e familiare. Rivede luoghi e persone del passato e, soprattutto, si riavvicina alla sua amica Rumi. Un giorno, dopo una lunga passeggiata tra i ricordi, incontra Mitsuru e il ragazzo le lascia un’insolita sensazione di dèjà vu. Aiutata dalla nonna, e dalla malata madre di Mitsuru, scoprirà cosa si cela dietro quella strana sensazione. Hotaru segue un percorso per ritrovare la perduta serenità e, guarita dal dolore, potrà finalmente riappropriarsi della sua gioventù. Questo dolente libro mi è piaciuto e, come richiesto dall’autrice, mi ha scaldato l’animo, in attesa di quel gesto non richiesto che qualcuno farà e che renderà sempre tutto questo vivibile.

“sapevo bene che quando si sentono più o meno le stesse cose, si comunica meglio col silenzio”

“le storie troppo belle finiscono sempre con un colpo di scena tragico”

“pensai che la gentilezza disinteressata delle persone fosse come un abito di piume (il leggero kimono che le donne-angelo indossano per volare tra la terra e l’aldilà)”

Banana Yoshimoto, pseudonimo di Mahoko Yoshimoto, figlia di Takaaki Yoshimoto (noto anche come Ryūmei Yoshimoto), uno dei più importanti e famosi filosofi e critici giapponesi degli anni '60, è nata a Tokyo il 24 luglio 1964. La sorella di Banana, Haruno Yoiko, è una conosciuta disegnatrice di fumetti giapponesi. Si laurea al college delle arti della Nihon University con una specializzazione in letteratura. Durante quel periodo prese ad usare il suo pseudonimo, Banana trovandolo "carino". Nel 1987, lavorando come cameriera in un golf-club, Banana comincia la sua carriera di scrittrice. Uno degli autori che la influenza maggiormente è Stephen King, specialmente per quanto riguarda le sue storie horror. Il suo primo libro, Kitchen, ebbe un successo immediato con oltre 60 ristampe nel solo Giappone. Un altro dei suoi libri, Tsugumi, venne tramutato a sua volta in un film diretto da Ichikawa Jun nel 1990. Il libro tuttavia riscosse pareri contrastanti. Diversi critici pensano che gran parte del suo lavoro sia superficiale e commerciale; i suoi fan al contrario pensano che nei suoi libri descriva perfettamente cosa vuol dire essere giovani e frustrati nel Giappone moderno. La Yoshimoto stessa identifica i suoi due temi principali nello "sfinimento della gioventù nel Giappone contemporaneo" e "il modo in cui le esperienze terribili influiscano nella vita di una persona". I suoi libri possono essere divertenti e di svago, ma hanno sempre riferimenti all'ideologia tradizionale giapponese. La sua scrittura è penetrante, ammaliante ed intensa con alcuni sprazzi di humor. Sebbene i critici non la considerino ancora una "grande" della letteratura, la Yoshimoto ha dichiarato di voler vincere il Premio Nobel per la Letteratura. I suoi lavori hanno venduto più di sei milioni di copie in tutto il mondo. Fra i suoi temi preferiti ci sono l'amore e l'amicizia, la potenza della casa e della famiglia e gli effetti della perdita sull'animo umano.

 

E finiamo con una maestra di scrittura

Maeve Brennan “Il principio dell’amore” BUR euro 9,80 (in realtà, scontato a 6,86 euro)

Sono rimasto affascinato sia dalla scrittrice che dalla scrittura. La Brennan mi era completamente oscura, irlandese trapiantata a New York con una serie di vicissitudini come dalla sottostante bio, da sempre e per sempre legata al giornalismo con “New Yorker”, e proprio per questo, credo, con un taglio della frase che immediatamente tocca. E quindi veniamo alla scrittura, in questo libro di racconti potenti (per me che non amo i racconti), perché semplici, senza una reale storia, una foto di vita raccontata con tanti particolari da farla tornare viva. Si impone, tra l’altro, un modo di raccontare che si fonda su di un nucleo familiare, ed i suoi racconti ne narrano brani, momenti, proprio come foto prese da un album. Ma invece di costruirci un romanzo, si ferma su quella foto, quella del giardino con i fiori, con i bimbi che giocano, e ci parla di lui, di lei, delle loro storie di piccola, infinitesima solitudine. Ne viene fuori un dolore infinito, di quello che poteva essere se avessimo parlato, se avessimo fatto, se fossi riuscito a dire, se fossi riuscito a fare. Mariti e mogli prigionieri in matrimoni dove l’amore è assottigliato e sciupato, abitati da ricordi gioiosi e da strane solitudini, vittime di ossessioni sottili, in fuga – solo immaginaria – dalle regole di una riservatezza che scivola in sofferenza. Così sono i personaggi che tornano nei sei racconti, prima Rose e Hubert e poi i coniugi Bagot: rassegnati ad un futuro che non può dimenticare il passato, stanno sul palcoscenico del mondo come sapendo perfettamente che sono sul punto di partire, che il loro decorso è mortale, che la loro vita è un fallimento. Ma nulla di eclatante o di tragico. Come se la coppia fosse una figura geometrica impossibile da praticare, non equilibrata. Un non luogo a procedere. Storie di sconfitte, consumate fino in fondo, fino alla morte, che magari ci restituisce tutte quelle cose che vivendo pensavamo fossero brutte e tristi, ma che li, assumono luci diverse. Non dico migliori, solo diverse. E pur vivendo a New York, le sue meglio riuscite, sono sempre ambientate nella natia terra irlandese.

 

Strana fu anche la sua vita. Maeve Brennan è nata nel 1917 a Dublino. Suo padre, ambasciatore irlandese negli Stati Uniti, la portò con sè in America a 17 anni. Entrò nella redazione del New Yorker nel 1949, dove era curatrice della rubrica "The talk of the Town." E la sua scrittura fu letta ed apprezzata per decenni. Si sposò con lo scrittore St. Clair McKelway. Il matrimonio ebbe vita breve per i problemi di alcolismo del marito. Agli inizi degli anni Settanta diventa anche lei alcolizzata e paranoica. Molte volte ricoverata in ospedale, poi aggirantesi come barbona per New York. Il New Yorker le offrì ospitalità, e lei trascorse gli ultimi anni della sua vita vivendo nel bagno delle donne della redazione del giornale. Muore in completa solitudine nel 1993.

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