domenica 22 giugno 2008

Antichi e per giunta molto russi

Questa settimana riprendiamo invece dei soliti romanzi moderni, qualcosa di solido ed antico. Spaziando per tre diversi generi. Il romanzo, la poesia e il teatro. Un ritorno al classico, che come al solito serve per poi ripartire di slancio verso nuove vette. Cominciamo dalla poetessa, che mi ha colpito al solito perché di molto si parla, ma poi è vero che si legge anche?

Marina I. Cvetaeva “Poesie” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6)

Comunque ribadendo che sono un distratto lettore di poesie, che a volte mi incantano ma spesso le guardo un po’ come se fossero esterne, questa Cvetaeva non può passare sotto silenzio. Soprattutto le prime sono poesie che mi hanno dato immagini e sensazioni. Poi si incarta, diventa tanta testa. E me la sono persa. Tanto che più che fare un giro sui temi credo che l’unico modo per rappresentarmela sia di riportare soffi di versi che mi sono rimasti attaccati alla memoria. "Nella vita e nell'arte la Cvetaeva aspirò sempre, impetuosamente, avidamente, quasi rapacemente, alla finezza e alla perfezione: e nell'inseguirle si spinse molto in avanti, sorpassò tutti. Oltre al poco che ci è noto, essa ha scritto una quantità di cose che da noi sono ancora sconosciute: opere immense, tempestose... La loro pubblicazione segnerà un grande trionfo e una rivoluzione per la nostra poesia che, inaspettatamente, si arricchirà di un dono tardivo straordinario." Così scriveva, nel 1956, Boris Pasternak, preconizzando per la sua sfortunata amica grandi, e tardivi, riconoscimenti. Oggi la Cvetaeva è unanimemente considerata una delle più alte voci della poesia del secolo scorso.

“con leggerezza pensami /con leggerezza dimenticami”

“ma la mia mano – con la tua mano /non s’incontreranno, mia allegria, finché / l’aurora non avrà raggiunto – l’aurora”

“io sono una pagina per la tua penna”

“un giorno, meravigliosa creatura, /io per te diventerò un ricordo …/tu dimenticherai il mio profilo …/ tu piccola eri e io – giovane” (forse solo di questa merita una spiegazione: è una madre che parla alla figlia)

“via! Sono forse due che si amano questi? / nella notte? Separati? A dormire con altri?”

“perché i cuori e le anime non si danno al deposito bagagli”

Marina Ivanovna Cvetaeva (o Svetaeva, pronunciato Zvetàieva) (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941) è stata una poetessa e scrittrice russa nata sotto il segno della Bilancia. Nata a Mosca, fu una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo e l'esponente più di spicco del locale movimento simbolista; il suo lavoro non fu ben visto dal regime staliniano, anche per via di opere scritte negli anni '20 che glorificavano la lotta anticomunista dell'"armata bianca", in cui il marito Sergej Jakovlevič Efron militava come ufficiale; la riabilitazione della sua opera letteraria avvenne solo a partire dagli anni '60, vent'anni dopo la sua morte per suicidio. La poesia della Cvetaeva unisce l'eccentricità ad un rigoroso uso della lingua, non priva di metafore paradossali. Tra i suoi temi rientrano l'emotività e la sessualità femminili.

Ed allora si rimane in Russia, si fa un salto all’indietro di un centinaio di anni e si coglie un bellissimo fiore (e complesso)

Michail J. Lermontov “Un eroe dei nostri tempi” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato 6,38)

Non è nelle mie capacità fare l’esegesi di un così bel racconto lungo. Un classico, nel vero senso del termine. Costituito da cinque racconti dominati dalla presenza di un unico protagonista, il libro è considerato il romanzo che conclude l'esperienza del romanticismo russo e apre la via alla stagione del realismo. L'eroe del nostro tempo si chiama Pečorin, affascinante e inquieto ufficiale dell'esercito russo di stanza nel Caucaso. È un eroe byroniano, ma essendo russo in fondo non può esserlo fino in fondo. L’inquietudine lo spinge sempre più in giro dove vive avventure, battaglie, amori e duelli dai quali emerge più spossato e deluso di prima. Nel primo racconto è il fascino di una bellissima fanciulla caucasica a spingerlo all'azione inducendolo ad un rapimento. Altro sono di passaggio per definire il suo carattere e quello dei comprimari. In quello centrale c’è tutto il riassunto del suo esistere, lì dove  si lascia andare ad un gioco di seduzione che coinvolge un'antica e mai dimenticata amante, Vera, e una giovane ed ingenua fanciulla, la principessina Mary, ottenebrata dal mito dell'amore romantico. Chiude il libro il racconto ”Il fatalista”, nel quale viene narrata la fiducia nel destino di un tenente dell’esercito che gioca alla roulette russa con lui. Un velato trasporto del suo andar tra duelli. Pieno di rimandi e foriero di spigolature, ne ricordo solo tre: il nome del protagonista deriva dal fiume Pečora in omaggio all’eroe di Puškin, dove il nome di Onegin deriva dal fiume Onega; all’inizio del film di Bergman “Persona” un ragazzo legge il libro di Lermontov in svedese; il film francese “Un cuore in inverno” è stato scritto da Claude Sautet sul suo ricordo del racconto della principessina. Interessanti infine, come fa notare il curatore, alcune scelte stilistiche, come quelle di usare il trucco di far ascoltare di nascosto una conversazione per poter parlare di avvenimenti dove l’io-narrante non è presente in prima persona. Alla fine sono ben 14 le volte che usa questa tattica, ma solo la prima un po’ ci sorprende. Poi si fa l’abitudine ai “trucchi della sua scrittura” (citazione del commento al libro di Nabokov, un maestro di trucchi).

“le donne amano solo quelli che non conoscono”

“’dovrei odiarti, da quando ti conosco mi hai dato solo sofferenze.’ P. “forse per questo mi vuoi bene: la felicità si dimentica, le pene mai…”

“è passato quel momento in cui si cerca la felicità; adesso voglio solo essere amato, e da pochissimi”

“Quando conosco una donna, indovino sempre se mi amerà o no”

“nella giovinezza si passa da una donna all’altra, fino a cadere su quella che non ci può sopportare … e dà inizio ad una passione costante ed infinita, … il [cui] segreto è solo nell’impossibilità di raggiungere la meta”

“noi non siamo più capaci di grandi sacrifici per il bene della razza umana, né per la nostra felicità personale”

Da leggenda anche la vita di quest’altra bilancia. Michail Jur'evič Lermontov nato a Mosca il 3 ottobre 1814 da una famiglia della piccola nobiltà di origine scozzese (il cognome originale era Learmonth). Rimane orfano della madre (Marija Michajlovna nata Arsen'eva) a 3 anni, nel 1817 e viene allevato dalla nonna materna Elizaveta Alekseevna Arsen'eva, nella provincia di Tarchany, vicino a Penza; l'allora villaggio di Tarchany si chiama, oggi, Lermontov. Nel 1818 viaggiò nel Caucaso, a Pjatigorsk, dove tornò ripetutamente, negli anni 1820 e 1825. Adolescente si appassiona di letteratura leggendo avidamente Byron e cominciando a scrivere appena quindicenne. Nel 1828 entra nella scuola privata 'Pensione Nobile'; scrive I Circassi, Il Prigioniero del Caucaso, Il Corsaro. Nel 1830 si iscrive all'Università di Mosca, che lascia nel 1832 per la morte del padre e per i sospetti delle autorità accademiche. Passa quindi alla Scuola di Cavalleria della Guardia di Pietroburgo dove può arricchire la sua vena letteraria, prima limitata a pagine introspettive; si dedica anche a temi folcloristici ed erotici. Scrive un romanzo dedicato a un personaggio del seguito di Pugačëv, Vadim ed una poesia simbolica: La Vela. Nel 1834 ottiene il grado di ufficiale degli Ussari della Guardia, a Carskoe Selo. Pubblica altresì numerose poesie ed il poema Hadži Abrek. Nel 1835, oltre a frequentare i salotti di Pietroburgo, conclude il dramma - rifiutato dalla censura - Il ballo in maschera. L'anno seguente scrive: Il boiaro Orša, Il gladiatore morente e Melodia ebraica. Una sua poesia scritta per la morte in duello di Aleksandr Puškin, nel 1837, La morte del poeta, viene giudicata sovversiva dallo zar Nicola I, diventando così motivo della sua espulsione dalla Guardia e del suo invio in un reggimento in linea sul Caucaso. Dello stesso anno sono: Borodino, Il Prigioniero, Il ramo di Palestina. Grazie alle pressioni della nonna potrà però tornare dopo poco tempo a Pietroburgo, con la fama di poeta e di dissidente perseguitato. Sarà un'occasione per completare alcune sue opere, tra cui Il demone e Il novizio; quest'ultimo è un racconto ambientato in Georgia. Nel 1840 esce Un eroe del nostro tempo, il suo capolavoro in prosa, che desta subito grande interesse. Lermontov però cade ancora in disgrazia presso le autorità a causa di un duello con il figlio dell'ambasciatore francese, Ernest de Barante. Inviato ancora nel Caucaso, si segnala per atti di valore (combattendo contro i ribelli nei pressi del fiume Valerik) ma non riesce a farsi richiamare a Pietroburgo. Qui a Pjatigorsk nel 1841 ritrova un vecchio compagno d'armi, Nikolaj Martynov. Sarà proprio quest'ultimo il 27 luglio dello stesso anno, per un'offesa ricevuta, a sfidarlo a duello e ucciderlo, negli stessi luoghi dove era ambientato il duello descritto nell'Eroe del nostro tempo. Aveva solo 27 anni!

Adesso basta con questi russi, e saltiamo ancora all’indietro, per quel classico del teatro inglese, si il grande Guglielmo

William Shakespeare “La tempesta” Feltrinelli euro 9 (in realtà 6,75 scontato)

Teatro letto. Forse non è il massimo, almeno per Shakespeare. Soprattutto in una traduzione che risente (e lo dice) della messa in scena di Strehler, a metà tra prosa e poesia. La storia è nota (certo non crea sorprese). Il racconto della commedia inizia quando gran parte degli eventi sono già accaduti. Il mago Prospero, legittimo Duca di Milano, e sua figlia Miranda, sono stati esiliati per circa dodici anni in un'isola (forse dell'Adriatico, o in Francia), dopo che il geloso fratello di Prospero, Antonio — aiutato dal re di Napoli — lo aveva deposto e fatto allontanare con la figlia di tre anni. In possesso di arti magiche dovute alla sua grande conoscenza e alla sua prodigiosa biblioteca, Prospero è servito controvoglia da uno spirito, Ariel, che egli ha liberato dall'albero dentro il quale era intrappolato. Ariel vi era stato imprigionato dalla strega africana Sycorax, esiliata nell'isola anni prima e morta prima dell'arrivo di Prospero. Il figlio della strega, Calibano, un mostro deforme, è l’unico abitante mortale dell'isola all'arrivo di Prospero. Provocato dalla avvenenza di Miranda, le propone di unirsi con lui per creare una nuova razza che popoli l'isola. A questo punto inizia la commedia. Prospero, avendo previsto che il fratello Antonio sarebbe passato nei pressi dell'isola con una nave (di ritorno dalle nozze della figlia di Alonso, Clarabella, con un re cartaginese), scatena una tempesta che causa il naufragio della nave. Sulla nave c'è anche il re Alonso, amico di Antonio e compagno nella cospirazione, e il figlio di Alonso, Ferdinando. Prospero, con i suoi incantesimi, riesce a separare tutti i superstiti del naufragio cosicché Alonso e Ferdinando credono ognuno che l’altro sia morto. La narrazione è tutta incentrata sulla figura di Prospero, il quale, con la sua arte, tesse delle trame in cui costringe gli altri personaggi a muoversi. La commedia ha quindi una struttura divergente e, poi, convergente, in quanto i percorsi dei vari naufraghi si ricongiungono alla grotta di Prospero. Calibano incappa in Stefano e Trinculo, due ubriaconi della ciurma, che crede esseri divini discesi dalla luna, e cercano di mettere insieme una ribellione contro Prospero, che però fallisce. Nel frattempo, nasce una relazione romantica tra Ferdinando e Miranda. I due si innamorano immediatamente ad insaputa di Prospero. Infatti, il loro matrimonio sarà la causa della riconciliazione di Prospero con suo fratello Antonio. Infine Prospero rinuncia alla magia con un famoso monologo dove è consuetudine fare un riferimento allo stesso Shakespeare che con quest'opera abbandona il teatro. Il modo di scrittura è il suo (utile il testo a fronte). Ma non mi è piaciuto, l’ho letto così, aspettando che mi desse emozioni. Ma non me ne ha date. Forse dove aspettare di leggere il saggio di Bloom su WS e sulla lettura sapienziale per rivalutarlo, ma non è Amleto e non è Falstaff. E nemmeno Re Lear.

Le notizie sulla vita di William Shakespeare (che come si vedrà comunque è un toro!) sono poche e frammentarie; ciò ha provocato una notevole discussione sulla sua persona ed alcuni hanno messo addirittura in dubbio la sua stessa esistenza. Un William Shakespeare è citato tra gli attori della The Lord Chamberlain's Men; la gran parte degli storici concorda che l'attore e lo scrittore siano la stessa persona. Documentata al giorno 26 aprile 1564 è la data di battesimo di William Shakespeare a Stratford-upon-Avon, in Inghilterra, figlio di John Shakespeare, fabbricante di guanti, e di Mary Arden, entrambi provenienti da famiglie di piccoli proprietari terrieri; non è documentata la data di nascita che si suppone, comunque, sia avvenuta tre giorni prima. Il 23 aprile è tradizionalmente considerato il giorno del suo compleanno (forse perché è anche la data della sua morte). Suo padre, persona di discreta importanza nel suo paese, fu sottoposto ad indagine per aver partecipato al mercato nero della lana, ed in seguito perse la sua posizione come consigliere comunale. Esistono alcuni indizi che entrambi i rami della famiglia avessero simpatie per la Chiesa Cattolica Romana. Probabilmente frequentò la scuola locale. Non ricevette un'educazione molto estesa ma conosceva la logica, la grammatica, la retorica e soprattutto il latino. Non si può inoltre affermare con certezza che frequentò l'università. Quando nel 1576 la famiglia ebbe dei problemi economici, William non solo aiutò il padre nei suoi affari ma si fece assumere anche come "assistant master" nella scuola locale. Dopo il suo matrimonio con Anne Hathaway, il 27 novembre 1582, a Stratford-upon-Avon che, considerata la data di nascita della prima figlia è probabile sia stato affrettato dalla gravidanza della sposa, poco si sa sulle attività di William Shakespeare, fino alla sua comparsa sulla scena letteraria inglese. Il 26 maggio 1583 la prima figlia di Shakespeare, Susannah, venne battezzata a Stratford. Due anni dopo, il 2 febbraio 1585, vennero battezzati due gemelli: un maschio, Hamnet, e una femmina, Judith. Nel 1592, la fama di Shakespeare era in ascesa vertiginosa, tanto da attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani. Robert Greene lo definisce come “Un corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume, che con la sua arte di tigre nascosta da un corpo d'attore ritiene d'essere capace quanto il migliore di voi di tuonare in pentametri giambici; ed essendo un faccendiere molto affaccendato, è secondo il suo giudizio l'unico 'scuoti-scene' del paese") (La frase in corsivo è una parodia della frase di Shakespeare "Oh, cuore di tigre nascosto da un corpo di donna!" (Enrico VI, parte III). Nel 1596 muore il figlio maschio (Hamnet) che fu sepolto l'11 agosto 1596. A causa della somiglianza fra i nomi, alcuni sospettano che la sua morte abbia ispirato l'Amleto, benché in verità questa tragedia sia stata scritta probabilmente quattro anni dopo e, d'altra parte, il nome Hamnet o Hamlet fosse a quei tempi piuttosto comune. Shakespeare lo aveva infatti imposto al figlio come segno di rispetto per il padrino di battesimo, che appunto si chiamava Hamnet, come risulta dai registri parrocchiali. Nel 1597 William comprò una casa con "due granai, due giardini, due frutteti, con annessi, in Stradford-upon-Avon" da William Underhill per sessanta sterline. La casa, la più grande di Stratford a quei tempi, era stata infatti costruita da un eminente cittadino della generazione precedente, Sir Hugh Clopton. Quest'acquisto testimonia il notevole guadagno che Shakespeare aveva ottenuto con la sua attività teatrale. Per il 1598 Shakespeare si era trasferito nella diocesi di St. Helen's Bishopgate, ed appariva in cima ad una lista di attori prodotta da Ben Jonson. Shakespeare divenne azionista (circa del 10%) della compagnia teatrale di cui faceva parte, conosciuta come The Lord Chamberlain's Men - la compagnia prendeva il nome, come altre di quel periodo, dal suo sponsor aristocratico. Essa, soprattutto grazie all'opera di Shakespeare, era talmente popolare da far si che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adottasse la compagnia che si fregiò così del titolo di The King's Men (Uomini del re). Vari documenti che registrano affari legali e transazioni economiche mostrano che la ricchezza di Shakespeare si accrebbe di molto nei suoi anni londinesi. Le cose andarono abbastanza bene da permettergli di comprare una proprietà a Blackfriars, Londra, così come un palazzo più grande a Stratford. Intorno al 1611 si ritirò nella sua città natale, Stratford, dove acquistò una casa e alcuni terreni. Morì il 23 aprile del 1616.

Anche per questa settimana, direi che va bene così, in attesa di confermare la partenza e l’estate (di cui vi dirò meglio in seguito).

Gio.

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