domenica 16 novembre 2008

Ritornano i gialli italiani

Visto che ho appena passato qualche giorno in compagnia, non proprio esaltante, di rumeni in quel di Bucarest, cerchiamo di ritrovare il filo del buon umore attraverso qualche buon giallo italiano. Come ho detto a voce, non è la Romania in sé che mi ha stranito, ma il contatto con questo popolo martoriato che sembra voler uscire dalle peste attraverso le peggiori soluzioni (e chi ha visto il fil Pa-Ra-Da me lo conferma). Ma basta pensare agli azzurro-giallo-rossi, e torniamo ai gialli. E italiani. E forse, in alcuni casi neanche tanto gialli.

Cominciamo da quello che mi è piaciuto di meno, forse perché dall’autore, di opere divulgative note, mi aspettavo di meglio.

Corrado Augias “Quel treno da Vienna” Repubblica Noir Italia euro 7,90

Tre punti di critica, mi solleva la fine di questa lettura. La collana, dove in genere Repubblica edita in edicola delle serie dignitose, questa volta è infarcita di romanzi noti o minori. Quindi mi sembra che ho fatto bene dall’astenermi dal comprarla in blocco. L’autore, poi, benché noto e di scrittura diversificata (dove presenti sono romanzi, saggi ed altro), mi sembra a questa prima prova di mia lettura, di una scrittura che non mi coinvolge. Descrive, accenna, tenta rimandi (in questo caso storici, visto che la vicenda si colloca a Roma, nel 1911, nel mezzo delle celebrazioni del Cinquantenario del Regno e contornata dall’ennesima crisi politica dei governi Giolitti, che si prepara anche all’ingloriosa impresa libica) ma rimane sterile. Anche il tentativo di usare come investigatore capo del bando poliziesco un Giovanni Sperelli, supposto fratellastro del ben noto Andrea, rimane sterile di conseguenze positive. La vicenda, poi, parte piana e lineare (un omicidio, in un bel palazzo, tra gente del bel mondo politico e dell’avventura d’alto bordo) man mano si complica (inzeppando considerazioni politiche sui rapporti tra l’Italia e la triplice alleanza, nonché ridicoli tentativi di spionaggio di mal delineati turchi da operetta), fino ad arrivare ad una sua soluzione (anche se pure qui non lineare, non con il bel piglio alla Agatha Cristhie che alla fine, in qualche modo, spiega gli accaduti senza lasciare ombre). Rimane, e questo lo ascriviamo a merito, la parte storica, dove forse ben meglio si adatta il modo di scrivere e di vedere di Augias. La Roma di quasi un secolo fa, capitale di nome ma ancora da divenire nei fatti. Passeggiate tra i Prati di Castello verso Tor di Quinto, e discese per la via Nazionale verso Piazza Venezia (ed un punto di merito a chi sa a memoria perché la piazza della stazione si chiama Piazza dei Cinquecento). Fatte le somme, un libro negativo, dove con spavento leggo essere il primo di una trilogia!!

“[aveva]… la consapevolezza che, volendo passare attraverso una porta, bisogna considerare che gli stipiti sono duri”

“perché ti penti così spesso di ciò che fai?”

“non sono… in grado di mettere a frutto i miei difetti, e le mie virtù … mi servono soltanto per continuare a vivere”

Del pur ben noto autore diciamo che è nato a Roma il 26 gennaio 1935. Troppo noto per il giornalismo, parliamo solo dello scrivere. Giallista, è autore di una trilogia (Quel treno da Vienna, Il fazzoletto azzurro, L'ultima primavera) ambientata nei primi decenni del Novecento e avente come protagonista Giovanni Sperelli (fratellastro del dannunziano Andrea), nonché dei romanzi Sette delitti quasi perfetti, Una ragazza per la notte, Quella mattina di luglio e Tre colonne in cronaca (quest'ultimo scritto insieme alla moglie Daniela Pasti). Ha inoltre scritto il libro "Giornali e spie" nel quale ricostruisce una vicenda di spionaggio realmente avvenuta nel 1917. È stato autore teatrale, appartenente all'avanguardia teatrale romana del Teatro del 101. Ha realizzato "Direzione Memorie", "Riflessi di conoscenza" e "L'onesto Jago". Ha scritto alcuni saggi (I segreti di Parigi, I segreti di Londra, I segreti di New York e I segreti di Roma) nei quali affronta temi culturali ed artistici approfondendo particolari poco noti relativi alla storia, al costume, ed al fascino di alcune fra le principali metropoli. È autore di un saggio-racconto, intitolato Il viaggiatore alato, incentrato sulla vita del pittore livornese Amedeo Modigliani. Nel 2006, in collaborazione con il docente bolognese Mauro Pesce, ha pubblicato il libro Inchiesta su Gesù nel quale si affrontano, nella forma di un dialogo fra i due coautori, i molti aspetti più o meno noti della persona e del personaggio Gesù. Nel 2007 ha pubblicato per Mondadori Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi, un'appassionata ed argomentata difesa della lettura. Nel 2008 ha pubblicato il libro Inchiesta sul Cristianesimo. Come si costruisce una religione, nel quale dialoga con il docente di Letteratura cristiana antica Remo Cacitti (Università di Milano) sullo sviluppo del Cristianesimo nella storia.

Passiamo al secondo, fatica di un duo emiliano ben collaudato nella scrittura.

Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli “Tango e gli altri” Mondadori euro 9 (in realtà scontato 6,30)

Bello anche se non intenso. Una raffica di mitra del plotone di esecuzione mette fine alla giovane vita del partigiano Bob, ma questa volta non sono nazifascisti quelli che sparano. Accusato di un atto di efferatezza, aver sterminato l'intera famiglia del patriarca, Bob è stato giudicato in fretta e furia dal tribunale partigiano composto dai suoi commilitoni della brigata Garibaldi e da un commissario politico venuto da oltre la linea del fronte. Tuttavia, poiché molti sono i particolari che non tornanoa proposito del massacro delle Piane, un'altra brigata ha affidato una parallela indagine a Benedetto Santovito, reduce dalla Russia e diventato anche lui partigiano di Giustizia e Libertà con nome di battaglia "Salerno" su quelle stesse montagne fra le quali aveva fatto il maresciallo: con la certezza che un carabiniere, come un prete, resta carabiniere nell'anima, qualunque abito indossi. L'escalation drammatica degli eventi bellici impedisce a Santovito di portare atermine un'indagine appena iniziata. Molti anni dopo, nel 1960, il passato bussa di nuovo alla porta e una lettera appassionata e struggente obbliga il maresciallo a ritornare sul caso. Solo che gli anni hanno cambiato, se non i luoghi, tutte le persone.Mi piace l’atmosfera emiliana d’Appennino, le descrizioni delle città arroccate tra i monti. Degli odi e degli amori. Delle castagne e della stufa accesa. E mi piace ritrovare il carabiniere Santovito, che già in altre loro storie era presente. Al solito buono il connubio tra i due, anche se dai toni del racconto io vedo la parte di Loriano quando i carabinieri vengono alla ribalta e quella di Francesco quando invece agiscono i partigiani. Una collaborazione che imbastisce in fondo anche una storia gialla, con delle domande, dei finali e dei contro finali. Con delle risposte, cosa che in molti gialli attuali ormai non si trova più.

La biografia di Macchiavelli è pubblicata il 10/05/07. Parliamo ora dell’altro, che nella musica rimane per me un punto fermo. Francesco Guccini nasce a Modena il 14 giugno 1940. Il suo debutto ufficiale come cantante risale al 1967 con l'LP Folk beat n. 1 (ma già nel 1960 aveva scritto L'antisociale); in una carriera ultraquarantennale ha pubblicato oltre venti album di canzoni. È anche scrittore e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Si occupa inoltre di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti. Guccini viene ritenuto, insieme a Fabrizio De André, uno degli esponenti di spicco della scuola dei cantautori italiani in quanto racchiude in se stesso le principali peculiarità presenti in questo movimento. I testi dei suoi brani vengono spesso assimilati a componimenti poetici, denotando una familiarità con l'uso del verso tale da costituire materia di insegnamento nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo. Oltre all'apprezzamento della critica, Guccini riscontra un vasto seguito popolare, venendo considerato da alcuni il cantautore "simbolo", a cavallo di tre generazioni. Fino alla metà degli anni ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College, scuola off-campus, a Bologna, dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della John Hopkins University (Washington, DC, USA). Guccini suona la chitarra acustica, e la maggior parte delle musiche da lui composte ha come base questo strumento. Nella sua attività quasi ventennale di scrittore ha pubblicato diversi libri; ha collaborato alla stesura, assieme ad altri autori, di scritti di saggistica e narrativa, interessandosi a svariate tematiche, fra cui quelle relative ai diritti civili (occupandosi del caso di Silvia Baraldini) e all'arte del fumetto, firmando la sceneggiatura di Storie Dello Spazio Profondo, disegnate dall'amico Bonvi, pubblicate a partire dal 1969 sulla rivista Psyco e in seguito ristampate dalla Mondadori e da altri editori. Guccini si è prestato con buoni riscontri allo "scibile cartaceo" in tutte le sue forme, con degli interessanti excursus nel genere Noir (con Loriano Macchiavelli ha creato il personaggio del maresciallo Benedetto Santovito), oltre a una trilogia di scritti autobiografici, ove spiccano le sue capacità di etimologo, glottologo e lessicografo. Croniche Epafaniche, pubblicata da Feltrinelli nel 1989, è stata una delle sue opere più importanti. Il romanzo, pur non essendo una biografia dell'autore, diventa autobiografico per la tendenza di Guccini a volersi riappropriare le sue radici. Caratterizzato da un buon successo di critica e di vendite, il romanzo è ambientato in montagna e riprende una cultura di contadini ormai in via di sparizione. Sono stati dei best seller anche i suoi due romanzi successivi, Vacca d'un cane e Cittanova blues, entrambi riguardanti i diversi periodi della sua esistenza. Se, infatti, Croniche Epafaniche racconta l'infanzia di Guccini, il periodo bucolico e lo «stupore degli anni puri», l'utopia della bella Pavàna lontana dalle realtà infernali della seconda guerra mondiale, Vacca d'un cane narra del periodo successivo, quello in cui un Guccini adolescente ormai stabilmente a Modena (città da lui mai veramente amata) scoprì di non essere "uno tra tanti", ma contemporaneamente diventò cosciente di come la provincialità della sua città natale massacrata dalla guerra, sarebbe stata un ostacolo per la sua crescita intellettuale. Infatti, si trasferì presto a Bologna, che rappresentò la scoperta del mondo, l'illusoria utopia, il sogno americano. Ed è quest'ultimo capitolo che è narrato nelle vicende di Cittanòva Blues, che va a chiudere la trilogia autobiografica. Nel 1998 Guccini pubblica il Dizionario del dialetto di Pàvana, la città della sua infanzia, nel quale si può notare tutta la sua capacità di dialettologo e traduttore. Diverse altre opere sono successivamente venute alla luce in collaborazione con Machiavelli. I gialli scritti con lui a quattro mani narrano principalmente delle storie del maresciallo Santovito, diventato un personaggio di punta del giallo italiano, e acquistano dall'affermato giallista i toni classici di questo tipo di opera. L'influenza di Guccini si nota invece per quanto riguarda la forma della narrazione, la capacità di creare una raffinata costruzione nell'ambientazione storica, le peculiarità linguistiche che ne hanno decretato il successo anche nel mondo della narrativa.

Terminiamo con un autore che da sempre seguo e di cui ho letto tutto il pubblicato (anche se ultimamente un po’ più diradato).

Massimo Carlotto “Niente, più niente al mondo” E/O euro 7 (in realtà scontato 5,60)

Breve e tagliente. Un pugno nello stomaco! Da sempre come detto seguo Carlotto, sin dalle sue intricate vicende giudiziarie (vedi bio). Ma soprattutto, ritengo che sia il primo serio scrittore italiano che, coscientemente, abbia utilizzato il giallo come metafora della vita quotidiana. E ritengo il suo Alligatore il primo vero serial investigatore italiano. Qui, in questo veloce scritto, espresso in forma di monologo, se la prende con i guasti della vita moderna, che attraverso l’esibizione di miti e falsità (la televisione, il benessere ostentato, e via discorrendo), portano la protagonista verso una follia, neanche tanto lucida che coinvolge e strazia chi le sta intorno, dal marito cassaintegrato e poi riciclato in un sotto lavoro alla figlia che vorrebbe vivere una vita normale, anche sotto le righe, senza nessun anelito al “successo”. Sullo sfondo la Torino dei quartieri operai che operai non sono più. L'arrivo e la difficoltà di convivenza con gli extracomunitari. La mancanza di lavoro. La totale assenza di prospettive di vita di "qualità": la pensione, la difficoltà di sbarcare il lunario quando non si è più produttivi. L'essere consumatori, comprare per essere vivi. L'assenza di strumenti culturali per opporsi allo squallore dell'esistenza. La tv modello e unico sbocco e sfogo. La frase del titolo, che ritorna come un tormentone a sancire l'immodificabilità di un destino ormai segnato, è un verso di Il cielo in una stanza, la canzone di Gino Paoli che ha fatto da colonna sonora al matrimonio della protagonista, quando il futuro era pieno di promesse e l'amore sembrava ancora possibile. Ma ora per la madre sembra possibile solo un mondo di veline e tronisti. Amaro, cupo e senza consolazione. Poi ci vuole un bel po’ di cioccolato per ristabilire un giusto tasso di dolcezza.

Massimo Carlotto (Padova, 22 luglio 1956) è vive e lavora a Cagliari. Carlotto è stato al centro di uno dei casi giudiziari più controversi della storia italiana. Il 20 gennaio 1976 viene uccisa a Padova, nella sua abitazione, una studentessa venticinquenne, Margherita Magello, con 59 coltellate. Massimo Carlotto, diciannove anni, studente e militante di Lotta Continua, scopre casualmente la vittima, insanguinata e morente e si reca dai Carabinieri per raccontare il fatto; viene fermato, arrestato e imputato di omicidio. Nel primo processo viene assolto per insufficienza di prove dalla Corte d'Assise di Padova, ma viene condannato a 18 anni di reclusione dalla Corte d'Assise d'appello di Venezia, e la pena viene confermata dalla Corte di Cassazione, nel 1982. Fugge, prima in Francia e poi in Messico, ma dopo tre anni di latitanza viene catturato dalla polizia messicana e torna in Italia. Nel 1989 la Cassazione ordina la revisione del processo, e rinvia gli atti alla Corte di Appello di Venezia, che il 22 dicembre 1990 pone una questione di legittimità costituzionale: la sentenza della Corte Costituzionale arriva il 5 luglio 1991, ma nel frattempo il presidente del Collegio rimettente è andato in pensione ed è necessario un secondo giudizio, nel quale Carlotto viene condannato a 16 anni. L'opinione pubblica si attiva a favore di Carlotto, e nel 1993 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli concede la grazia. Ha iniziato la sua esperienza letteraria con “Il fuggiasco” (1995), autobiografia romanzata sul suo periodo di latitanza. Dal libro è stato tratto nel 2003 un film, diretto da Andrea Manni, con Daniele Liotti. Il personaggio più conosciuto della produzione letteraria di Carlotto è sicuramente l'Alligatore, alias Marco Buratti, detective privato sopra le righe che, in modo non sempre legale, vive fino in fondo i casi in cui si ritrova coinvolto. I libri che compongono la saga dell'Alligatore sono: “La verità dell'Alligatore” (1996), “Il mistero di Mangiabarche” (1997), “Nessuna cortesia all'uscita” (1999), “Il corriere colombiano” (2000), “Il maestro di nodi” (2002, con cui si è aggiudicato il Premio Scerbanenco). Nel 1998 ha dato alle stampe “Le irregolari”, romanzo autobiografico in cui viene raccontata sotto forma di romanzo la guerra civile e la repressione argentina degli anni settanta. Nel 2001 esce quello che secondo la critica è forse il miglior romanzo di questo autore, il noir “Arrivederci amore ciao”. Nel 2001 ha scritto anche il racconto per ragazzi “Jimmy della Collina”, sulle carceri minorili. L'anno dopo ne ha scritto un altro, “Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel”, sui figli dei desaparecidos. Nel 2004 ha pubblicato “L'oscura immensità della morte”.

Sperando che questa non sia una settimana gialla, ma di colori più ameni.

Buona settimana a tutti

Giovanni

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