Stavo quasi per fare un’infornata
svedese, ma nel mazzo si è inserita la norvegese Holt, per cui facciamo una
trama che ripensi le atmosfere dell’estate 2011. Certo, continuano a latitare i
finlandesi, categoria di scrittori non molto presente nei miei scaffali.
Abbiamo l’ultimo episodio finalmente uscito del commissario Beck, la saga di
quarant’anni fa che inaugurò un buon filone di giallo sociale. Abbiamo il
secondo episodio del commissario Barbarotti. Abbiamo un nuovo episodio dei
personaggi norvegesi, dove si incontrano Hanne Wilhelmsen, la prima eroina dei
romanzi della Holt, e Johanne Vik e Yngvar Stubø, protagonisti degli ultimi
suoi libri. Ed abbiamo la nuova entrata, Erica Falck (ed aspettiamo le nuove
uscite della Läckberg).
Camilla Läckberg “La principessa di ghiaccio” SuperPocket euro 6,90
[A: 29/07/2011 – I: 28/03/2012 – T: 31/03/2012]
[titolo: Isprinsessan; lingua: svedese; pagine: 458;
anno: 2003]
E così abbiamo conosciuto
un’altra giallista del grande Nord. La svedese Camilla, classe ’74, definita
dai risvolti editoriali l’Agatha Christie scandinava, definizione che mi pare
un tantino fuori luogo, che per scrivere di Miss Marple la britannica attese il
quarantesimo anno, e le atmosfere di Poirot sono decisamente diverse. Fatta
quindi la tara alle banalità pubblicitarie, abbiamo una scrittrice di un certo
interesse, di buone capacità descrittive e sicura atmosfera. Pensando anche che
ha scritto questo suo primo libro a 29 anni. E pare (ma lo vedremo nel futuro)
che questo sia il primo romanzo con protagonista Erica Falck. Il romanzo in sé
inizia in discreta sordina e fatica un po’ a decollare. Nelle prime pagine
assistiamo alla morte di Alexandra detta Alex, che viene ritrovata nella vasca
da bagno, con i polsi tagliati, ghiacciata con tutta l’acqua intorno. La
principessa del titolo, ovvio. Lentamente facciamo quindi la conoscenza della
cittadina di provincia, a due ore di macchina da Göteborg, ma in riva al mare
(sarà nella Scania tanto cara al commissario Wallander?). Dove ha casa la
famiglia Falck, dove ora si è rifugiata Erica, dopo la morte dei genitori in un
incidente d’auto. E dove Erica aveva trascorso una bellissima infanzia, proprio
con Alex. Nessuno crede in un suicidio, ed Erica tenta di ricostruire la vita
di Alex, dal momento della loro inspiegabile rottura di quando avevano 12
dodici anni. La famiglia di Alex fa fortuna, si trasferisce a Göteborg, nasce
la sorella Julia. Alex studia arte, si laurea, si sposa, apre una galleria
d’arte con l’amica Francine. E parlando con Francine, Erica scopre che a) Alex
non ha mai amato il marito; b) aveva una storia d’amore non si sa con chi; e c)
era incinta. Nel frattempo conosciamo altri personaggi, che credo torneranno
nelle storie successive. Patrik, poliziotto locale, che da solo e poi con
Erica, comincia a ricostruire tassello dopo tassello le storie che
probabilmente hanno portato a questo epilogo. Anna, la sorella di Erica,
sposata ad un losco affarista pseudo-inglese, con il quale ha fatto due figli,
ma che la maltratta al limite della rottura (che forse ci sarà, vedremo). Ed i
vari personaggi della polizia locale, da Annicka che aiuta Patrick a Berti, il
capo, che invece sembra un troglodita che sarebbe bene andasse in pensione
quanto prima. E poi i personaggi legati alla vicenda. Dan, il primo amore di
Erica, da cui la Bridget Jones di Stoccolma non sembra ancora essersi ripresa,
anche se Dan è felicemente sposato a Pirnilla, e con prole. Anders, altro amico
d’infanzia di Alex ma non di Erica, pittore maledetto, ubriaco a tempo pieno
che dipinge quadri dai colori bellissimi, che pare abbia, avesse, o altro, una
storia con Erica, ed è il maggior sospettato. Almeno finché non muore anche
lui. La famiglia Lorentz, i potenti del paese, con l’anziana Nelly che guida
tutti con il pugno di ferro, da quando più di 20 anni prima, il figlio maschio
scompare, il marito muore d’infarto, e lei adotta un ragazzo sbandato che,
pare, subisse abusi dai genitori, e che per questo incendia la stalla forse
lasciandoli morire. Nelly che comanda anche i genitori di Alex, chiedendo e
disponendo, che comanda anche Vera, la sua vecchia domestica nonché, a sua volta,
madre di Anders. Ce n’è di carne da cuocere in questo grande calderone. Si
possono imbastir tante vicende e tanti modi di legare e sciogliere i problemi.
Che in un paese piccolo, tutti sanno tutto. Ma forse non si parla. Per
rispetto. O per la natura riservatezza che gli Scandinavi riservano alle cose
private. Comunque, Patrik si trova ben presto invischiato con Erica, scrittrice
anche di biografie di donne svedesi e famose. Ed almeno lì, sembra nascere
(vedremo poi) un bel rapporto d’amore. Ed il loro sodalizio, facendo scivolare
più rapidamente la seconda parte del libro, porta alla fine allo scioglimento
di tutti i nodi e di tutti i cadaveri della vicenda. Gli attuali, i passati. Insomma,
una vicenda che decolla nella seconda parte, non dico in maniera travolgentemente
avvincente alla Nesbø, che mi è piaciuto di più, ma con sicuro piglio. Anche
perché Erica, da scrittrice fredda ed un po’ spaesata, diventa una cicciottella
simpatica (che si mette mutande contenitive al primo incontro per essere più
sexy, non pensando che, se veramente sexy, poi si dovrebbe mostrare senza
vestiti), e ragionatrice, ed ironica. Uno svolgimento classico, anche se i nodi
al pettine sono un po’ scontati. Tuttavia di simpatia e di compagnia.
Anne Holt “La porta chiusa” Repubblica Noir euro 6,90
[A: 29/07/2011 – I: 28/06/2012 – T: 29/06/2012]
[titolo: Presidentens Valg ; lingua: norvegese; pagine: 411;
anno: 2006]
Constatato preliminarmente che
c’è un bel salto tra il titolo norvegese (Elezioni presidenziali) e quello
italiano. E ribadito che entrambi non c’entrano che una parte della
problematica di questo tutto sommato decente giallo norvegese. Veniamo a
parlarne. Anche perché segna un bel punto di incontro tra le due serie della
scrittrice ex-ministro. Qui, infatti, convergono Hanne Wilhelmsen, la prima
eroina dei romanzi della Holt, e Johanne Vik e Yngvar Stubø, i due eroi degli
ultimi romanzi. La trama è anche ben articolata: durante la prima visita
ufficiale all’estero del neo eletto presidente degli Stati Uniti (o meglio
Presidentessa, visto che è la prima donna ad essere eletta), questa viene
rapita in un albergo di Oslo. Si caccia subito alla grande, vengono in massa
FBI ed altri intelligence americani. Tra cui l’intelligente ma odioso Scifford,
che nel passato, ma non sapremo bene perché, ha avuto un burrascoso rapporto
proprio con Johanne. E che pare anche abbia avuto una storia con il Presidente
Helen. Si crea subito tensione tra i cow-boy ed i pacifici ma solidamente
corretti nordici. Ed a far da ufficiale di collegamento viene incaricato Yngvar
(guarda tu). La moglie minaccia ed attua di lasciarlo per questo, e si rifugia
dall’amica Hanne. Intanto si infittisce il mistero della scomparsa. Donne
simili vengono avvistati in tutto il paese. Si pensa ad Osama. Ma, seppur sul
versante arabo, veniamo a conoscenza che si tratta di una vendetta privata, del
ricchissimo Abdallah, che da decenni trama nel silenzio una vendetta per
l’inutile morte di suo fratello. Una trama complessa e costosa, che prevede di
trascinare nel panico gli Stati Uniti, privandoli della guida, poi del petrolio
e poi della televisione. I miti americani, che diavolo. E tutto questo,
utilizzando centinaia di micro-incidenti, da parte di centinaia di persone che
nulla sanno l’una dell’altra. Intanto il sodalizio Hanne – Johanne porta prima
a capire come è stato attuato il rapimento. Poi, con un gioco di parole basato
sul non tradotto termine inglese “child” che può indicare sia un figlio maschio
che una figlia femmina, le motivazioni della riuscita del rapimento stesso. E
degli scheletri che tutti hanno nell’armadio, anche il potente ed incorrotto
Presidente Helen. Che guarda caso aveva avuto in gioventù una storia con un
immigrato arabo, tale Ali (che ora si è naturalizzato, de-islamizzato, e si fa
chiamare Al), il cui fratello è, guarda caso, l’unico amico “vero” del potente
Abdallah. E guarda caso, gli uomini dell’arabo trovano un insonorizzato studio
di registrazione dove rinchiudere Helen, che, guarda caso, è nello stesso condominio
dove abita Helen. Intanto Yngvar, procedendo come un carro armato sulle tracce
concrete, riesce a smantellare pezzo dopo pezzo la costruzione dei momenti di
rapimento e dei coinvolti ma ignari norvegesi. Insomma, i nostri fanno la loro
porca figura, rispetto ai poco chiari, ambigui quando non corrotti americani.
Soprattutto il nostro Scifford, che in realtà è l’unico ad aver capito la
trama, ed in quanto tale non verrà mai cassandramente creduto. Tutto si
risolve. O almeno nelle parti più visibili. Che non ci si aspetti che Abdallah
sia accusato di nulla, lui che si muove nell’ombra e non si muove da Riyad. Il
resto si incastra e si spiega. Ed anche l’amore tra Johanne e Yngvar (che adora
in quanto orso panzone) continuerà, almeno fino a nuovo ordine. Una trama consistente,
scritta con penna scorrevole. E, per finire ma non guasta, alcuni cenni alla
bella cittadina di Oslo, e soprattutto al quartiere dove vive Hanne, il
bellissimo Lokka, che mi riporta allo scorso anno, alle passeggiate, e ad un
gradevolissimo ristorante.
Maj Sjöwall & Per Wahlöö “Terroristi” Sellerio euro 15 (in realtà,
scontato 12,75 euro)
[A: 02/10/2011 – I: 05/09/2012 – T: 09/09/2012]
[titolo: Terroristerna ; lingua: svedese; pagine: 561; anno: 1975]
Ed eccolo, finalmente, il decimo
ed ultimo volume della saga di Sjöwall & Wahlöö. La coppia svedese aveva
programmaticamente deciso di scrivere dieci romanzi accomunati da uno stesso
sotto-titolo “Romanzo su un crimine”, ed imperniati sulla figura del commissario
Martin Beck. L’idea era di descrivere, in un certo senso, di parlare della vita
quotidiana di una stazione di polizia alle prese con una serie di attività criminose.
Di seguire il lavoro delle forze dell’ordine, come si direbbe ora ‘day by day’.
In parallelo questa descrizione sarebbe anche servita a presentare i problemi
della società svedese, i guasti dell’assistenzialismo selvaggio, il lassismo
che ne deriva, le storture di una società basata sul mercato, quando questo si
spinge all’eccesso. Cominciando con dei romanzi molto “polizieschi” (ricordo
che il primo “Roseanna” si incentrava sulla morte di un passeggero di una
nave), e, una volta catturato il lettore, proseguire con romanzi dal risvolto
sempre più politico. O che contenessero sempre più interventi di critica sociale.
Abbiamo seguito questa parabola passo dopo passo, anche se con 40 anni di
ritardo. Rimarcando tuttavia che quello che allora si poteva dire della società
svedese, si è pian piano esteso a molte società occidentali (e non solo).
Romanzi con alti e bassi (come ho detto recensendoli tutti), ed ora anche noi
mettiamo il punto finale. Su quest’ultimo romanzo che è anche il più politico,
e forse per questo riesce a volte un po’ prolisso e divagante. Inoltre la
struttura è complessa anche sul piano poliziesco, dove seguiamo varie vicende
che sembrano a prima vista slegate. Per poi ricomporsi in un unico grande
rompicapo. Una ragazza viene accusata di una rapina in banca. Invece, è solo
una persona che si fida troppo degli altri, e, con amarezza, Sjöwall & Wahlöö
fanno vedere quanto sia doloroso farlo. La rapina non è altra che una serie di
equivoci ben presto smontati, anche senza la testimonianza di un certo Petrus.
Che nel frattempo viene ucciso. Morte che Beck risolve lentamente ed in
parallelo all’attività principale che gli viene affidata nel romanzo:
l’organizzazione delle forze di sicurezza in vista della visita di un poco
gradito senatore americano. E riuscendo gli autori a dare qui un colpo al
sempre più evidente sfruttamento del sesso da parte della società svedese
(Petrus, infatti, era un produttore di film porno). Il senatore è, infatti, mal
visto da destra e da sinistra (anche se più da questa per le sue posizioni
sull’invasione del Vietnam e sul golpe in Cile). E molti lo vogliono morto. Sopratutto
un’organizzazione (tipo una CIA multinazionale) che seguiamo in altri e vari attentati
riusciti. E che su Stoccolma fa intervenire la sua squadra migliore, guidata da
un sudafricano (ovviamente anche razzista). Beck, con l’aiuto di un nuovo
alter-ego, l’insopportabile ma pur bravo Gunvald Larsson (potenza delle
iniziali!), impiega 300 delle quasi 600 pagine per arrivare ai bandoli della
matassa (plurale perché sono più d’uno). E trovare ingegnosamente il modo di
sventare l’attentato più pericoloso (tanto ingegnoso che devo dire mi ha
decisamente meravigliato). Ma Sjöwall & Wahlöö non sono consolatori. E
ritirano in ballo la ragazza di cui all’inizio, che abbiamo scoperto avere un
figlio con un americano fuggiasco dagli States per non andare in Vietnam. E che
le autorità (svedesi e americane) convincono a tornare in patria millantando
indulgenza. Promessa tragicamente tradita, con tristi conseguenze per Jim, per
Rebecka ed anche (ma qui lo intuiamo soltanto) per la piccola Camilla. Detto
ciò, ritorniamo a quelle digressioni politiche presenti due pagine su tre. C’è,
ovviamente, quella contro la politica americana in Vietnam. Ma anche contro i
passati re svedesi, accusati di collusione con i nazisti, contro la falsa
socialdemocrazia svedese, che tradisce entrambi le parti del suo nome. Contro i
poliziotti scemi e la presupponenza del potere. Tanti i contro, funzionali al
discorso politico dei due, ma alla lunga anche un po’ pallosi. Per fortuna che
si salva il lato personale. Che almeno Martin trova conforto tra le braccia
della simpatica Rhea (un’ottima cuoca tra l’altro). E si intuisce (si spera?)
una bella prosecuzione tra i due, malgrado (o forse grazie) anche alla differenza
di età. Storia che tuttavia non seguiremo, fermati da una X alla fine del libro
(di cui lascio il mistero). Non sarebbero comunque andati avanti, Sjöwall e Wahlöö.
Aiutati purtroppo dal misterioso fato, che fa morire il buon Per poco dopo
l’uscita del romanzo. E Maj non ritornerà mai (scusate il bisticcio) sulle
storie del commissario Beck, anche se continua a scrivere, e lo fa tuttora sulla
soglia degli ottanta anni. Nel complesso, tuttavia, una storia intrigante, soprattutto
se traguardata nello scorrere dei dieci romanzi. Non eccelsa, ma globalmente
leggibile e piena di spunti anche attuali. Dispiace solo (ma ora si può rimediare)
che Sellerio abbia fatto uscire i libri in ordine casual. Adesso, chi vuole,
può leggerli cronologicamente. E lo sguardo totale ne giova.
Håkan Nesser “Era tutta un’altra storia” TEA euro 9 (in realtà,
scontato 7,55 euro)
[A: 02/10/2011 – I: 14/10/2012 – T: 19/10/2012]
[titolo: En helt annan
historia; lingua: svedese; pagine: 528; anno:
2007]
Ed eccoci alla seconda puntata
della saga che ha per protagonista il commissario italo-svedese Gunnar
Barbarotti. Devo dire che, a parte alcune lentezze, mi è decisamente piaciuta.
In tutto l’impianto, oserei dire: la parte poliziesca, la parte misteriosa (su
cu non torno), la parte sulla vita privata del commissario, dei poliziotti, e
di Marianne. Insomma, una costruzione pensata e coerente, con soltanto due
punti minori, che personalmente non ho capito e/o decifrato e che mi impediscono
di dare il massimo dei voti al nostro Håkan. Vi dico subito che sono la
mancanza di spiegazione (esplicita) delle motivazioni per cui arrivano le
lettere al commissario e quale sia il punto in cui il questore (credo sia
questa la qualifica) Asunander arriva a decifrare il caso. Caso che si risolve
sempre intorno al titolo, seminando per tutte le 500 pagine indizi che poi
portano in direzioni diverse da quelle che sembrano inizialmente. La storia,
lineare, sarebbe poi la seguente: al commissario Barbarotti arrivano delle
lettere che annunciano la morte di alcune persone (una persona per lettera, più
o meno). Non si capiscono le motivazioni. Fatto sta che le persone cominciano a
morire, e le prime indagini della polizia non fanno luce su nessun motivo per
cui possano essere assassinate. Sembrano in realtà scelte a caso. E come dice
il nostro Gunnar, un serial killer che sceglie a caso le vittime, ed ogni volta
cambia il modus operandi, è praticamente impossibile da scovare. Queste morie
si innescano sui problemi personali del buon commissario. Separato dalla
moglie, che è andata a vivere in Danimarca con i due figli più piccoli (poco
più che decenni), vive con la figlia grande Sara, ora quasi ventenne, che intanto
si è trasferita a Londra dopo la maturità. Sta intrecciando una relazione con
la simpatica (almeno a me) Marianne, che vive a 250 chilometri da Kymlinge (questo
è un luogo inventato, ma dove Nesser è riuscito a costruire una comunità che
rappresenta un momento svedese tipico), separata con due figli più o meno quindicenni.
E la storia delle lettere si intreccia con i momenti in cui Gunnar cerca di capire
se, e poi chiede a Marianne di unire le loro vite. In parallelo c’è la personale
mania del commissario, che instaura un suo dialogo interiore con il protagonista
della Bibbia, facendo una gara a punti sull’esistenza di, come lui rispettosamente
chiama, “Nostro Signore”. Ed al momento clou della vicenda, l’esistenza ha un
vantaggio di 11 punti. Su tutto questo impianto, che scorre nei mesi di luglio
e agosto del 2007, si inserisce una narrazione parallela, in prima persona, di
avvenimenti che si sono svolti nello stesso periodo cinque anni prima. Dove casualmente,
in Bretagna, si sono ritrovati una combriccola di svedesi. Che ridono,
scherzano, fanno gire in mare. Ed una di queste, verso Les Glénants di renatiana
memoria, una ragazzina fortuita passeggera, muore in mare. Il gruppo decide di
occultare la vicenda, e ben presto si scioglie. Peccato che gli assassinati
siano le persone che fanno parte del gruppo stesso. Su questo doppio binario si
innesta anche la persecuzione che i poliziotti hanno dalla carta stampata,
anch’essa allertata dalle morti. Ed i nervi saltano a Gunnar che malmena un
giornalista. E Marianne si domanda se ce la può fare a vivere con un
poliziotto. E l’ex-moglie di Gunnar decide di spostarsi in Ungheria e rimanda i
due figli a Gunnar. E Sara torna da Londra. E … Ma che casino. Intanto è il
capo di Gunnar, lo strano Asunander che risolve il mistero insinuando dei dubbi
e imprendo una svolta alle indagini. Perché, appunto, è una storia diversa,
come dice il titolo svedese, che anche la soluzione non viene trovata dal
protagonista ma da altri. Appunto che tutto è visto in maniera un po’ laterale
e sghemba. Ma proprio questa è la caratteristica che mi è di molto piaciuta. Il
fatto è che niente sia come sembri. E che la soluzione al caso non la porti Maigret,
ma il suo aiutante in campo Janvier. Straniante, ma efficace. Aspettiamo altre
vicende, con rinnovato interesse.
Siamo ancora nel caldo estivo,
nonostante il calendario ci porti già nella seconda metà di ottobre. E stiamo
quasi alla fine della gran massa di compleanni bilancini, tra cui cito, prima
inter pares, la mia mamma, ancora, e fortunatamente, sulla breccia dell’onda.
Gli altri li so, e li ho festeggiati. In questa fine giornata, allora, ancora
un pensiero che vola ai miei amici, vicini e lontani.
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