domenica 19 maggio 2013

Roma vs. Firenze - 19 maggio 2013


Scontro di città, e scontro di autori (Ricciardi vs. Vichi) e di commissari (Ponzetti vs. Bordelli). Infatti, questa settimana mettiamo da un lato la Roma moderna di Giovanni Ricciardi e del suo commissario che si aggira tra il quartiere Monti ed il resto della città, e dall’altro la Firenze del boom industriale dei primi anni ’60 di Marco Vichi e del suo commissario che invece porta ancora con sé i ricordi di una guerra da poco finita, e vede nascere un’Italia che non sempre gradisce. Ponzetti è invece ormai privo di illusioni, in questa Roma corrotta, ma sempre umana anche se, purtroppo, alemanna (speriamo ancora per poco).
Giovanni Ricciardi “Le indagini del commissario Ponzetti” Fazi euro 14,90
[A: 16/09/2012 – I: 08/02/2013 – T: 10/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 484; anno: 2012]
Torniamo alla grande sul commissario Ottavio Ponzetti, forti anche delle parole di amicizia che ho scambiato con l’autore. Parole che sottoscrivo ancora, al di là della prolificità di cui mi lamentavo. Scrivere poco ma scrivere bene è un precetto favoloso. E questa trilogia che Fazi fece uscire in vista del Natale lo ribadisce e se vogliamo, migliora le sensazioni che ho avuto alla lettura dei gatti. Su quello non torno, mentre mi soffermo sulle voci e sugli occhi, epicentro delle nuove avventure. Che sono gialli, ma forse di più e meglio sono momenti di una vita, o di vite che si intrecciano. Sì ci sono misteri, e forse chi più adatto di un commissario a traguardare queste vicende, avendo occhi attenti a tanto altro (Roma, la politica, i quartieri, la famiglia, i ragazzi). Ma pur andando con ordine, ribadisco qui il giudizio positivo su tutta l’operazione: storie solide, scrittura che si fa leggere (forse a volte nel libro sulle voci, con qualche citazione in exergo non semplicissima), ed una bella passeggiata nella vita romana. Penso che si passerà presto anche all’ultima fatica del commissario.
“I gatti lo sapranno” pag. 5 – 108 (2008)
Lo avevo comperato da solo, e già ne ho parlato ad Agosto del 2012, cui rimando per chi ne volesse rileggere.
“Ci saranno altre voci” pag. 109 – 276 (2009)
[T:09/02/2013]
Indagine, inchiesta, sparizioni. Si precisa in questo secondo romanzo sia il carattere del protagonista sia quello dell’autore. La vicenda prende le mosse dalla sparizione di un professore di liceo (forse un tentativo di immedesimazione?) durante il tempo delle elezioni romane del sindaco nell’aprile del 2008. Sparizione concomitante con un altro avvenimento epocale per il Commissario: il trasferimento da Monti ai Parioli. Questo da agio al nostro autore di darci altri squarci di Roma, non così intensi come la storica suburra, ma molto “giusti” visti con l’occhio di una persona che adora la sua città: un quartiere strano, atipico, accoccato tra la salita di San Valentino (da cui si vede l’Auditorium di Renzo Piano) e la montagna di Villa Glori, con gli eroici difensori della Repubblica Romana. E scavallando Belle Arti (memori delle battaglie del ’68) si plana poi verso Villa Borghese e lo zoo. In questo quartiere “liquido” come direbbe Baumann (che si adatta piuttosto che far adattare a sé), si precisa questa storia scolastica, punteggiata da molti riferimenti letterari (le voci). Anche qui, esce fuori, e prepotente, il mestiere di base di Ricciardi, con quelle frasi che solo chi maneggia di letteratura può riuscire a collocare qua e là nel testo, e poi a collegarne il filo. Quasi che ad ogni lettura in aula il pensiero partisse e accomodasse un qualche tassello. Paolo e Francesca che più “non vanno avante”, Pavese ed il mestiere di vivere. Ponzetti cerca anche di capire di più di questo professor Coen, per l’appunto scomparso. Chi frequenta? Che interesse ha la collega Musa, dal nome foriero? E gli alunni, dal destro Folco all’anoressica Ginevra? Coglie, collega, pensa, distratto anche dalla routine familiare, dalla figlia in crescenza Maria (e come non notarne l’attenzione ai giovani, che, a volte scapestrati, pur riescono ad aver guizzi di bravure insospettate) alla più grande Gisella tornata da Erasmus con fidanzato catalano. E si precisa anche il carattere del sodale Iannotta, che pur restando a Monti, non può fare a meno di essere vicino ed a volte decisivo nelle indagini. Certo, ci si aspetta fin dall’inizio un qualche collegamento con l’anima ebrea di Roma, laddove un Coen di certo è collegato. A me che ne narrò mio padre, risentire quegli anni fa comunque un dolce piacere per non cadere negli oblii. Come giusta e ben collocata la citazione del testo di Buzzati per commemorare il giorno della memoria. Tra votazioni e ballottaggi, purtroppo la città di Roma passa dai piccoli sacchi del Piacione ai saccheggi di Lupomanno. Ma questo porta il nostro Commissario ha trovare un senso a tutte queste voci, a sfatare possibili ed ingiuste accuse di circonvenzione di minori, a vedere un senso tra amanti veri e finti, tra sangue (poco) e passione (tanta). Arrivando a dipanare, ma senza troppa fretta, e con l’empatia che abbiamo apprezzato nei gatti, una vicenda che comincia appunto nel 1943 e che si risolve in un oggi, forse non con tutte le speranze che vogliamo, ma con quei barlumi di futuro che ci danno gli annunci di future nascite (che sia la moglie di Iannotta, per scelta, che la bella Gisella, per sbaglio, finiscono il romanzo in dolce attesa).
“Il silenzio degli occhi” pag. 277 – 485 (2011)
[T:10/02/2013]
Una volta terminate le voci, il tempo di passare una tranquilla notte, ho subito attaccato il terzo romanzo. E l’ho praticamente divorato. Perché quando un romanzo mi prende, non riesco poi a staccarmene, tirando tardi la notte, e cercando scuse diurne per aprirne le pagine. Sono passati pochi mesi, e siamo verso il Natale del 2008. I tempi delle puerpere si avvicinano al loro scadere. E Roma, e noi romani ben lo ricordiamo, è assediata da una delle più alte piene del nostro ex-biondo Tevere. In questo scenario acquatico parte la nuova vicenda, laddove il Commissario si trova in macchina inopinatamente un bimbo scalzo e addormentato. Avendo poco prima intravisto (ma sarà vero?) la faccia di una ragazza protagonista di un suo caso passato. Anche questa volta, e con piacere quasi si volesse far vedere le bellezze della nostra città nascoste nelle pieghe del testo, le indagini si muovono tra luoghi a me cari. C’è il lungotevere davanti a Regina Coeli (laddove nell’elementare dedicata a Tarquani Avati mio padre passò i suoi primi anni scolastici), stretto tra l’Orto Botanico ed il carcere (dove tenni una delle più difficili lezioni sulla musica popolare). C’è la Chiesa Nuova e il Teatro dell’Orologio (sede di gesta di molti miei amici attori). C’è anche il Bambin Gesù (funesto in gioventù, aduso a buone nuove con la Saretta piccola). In questo scenario complicato, stretto anche con le visite pre e durante parto all’Isola Tiberina, si dipana la storia. Anch’essa ben complicata, se vogliamo. Che il bimbo si scopre sordomuto, poi misteriosamente aiutato da qualcuno. Ponzetti e Iannotta risalgono la corrente come salmoni alla ricerca di brandelli di indizi. E mirabilmente (per il mio amore per la città) il commissario viene aiutato da misteriose foto di dipinti caravaggeschi. Tuffo al cuore, che adoro il pittore, ne ho seguito le tracce per Roma, ne ho cercato la tomba in quel di Porto Ercole, finendo anche a trovarne i dipinti nella cattedrale di Malta. Ah, quando si dice l’empatica fortuna. Seguendo la storia dei dipinti, la loro collocazione, lo squarcio di gomme ad una serie di SUV, nonché ad una Mercedes fuori dal coro, i nostri cominciano a vedere delle luci. Ma anche (tocco magistrale) a scontrarsi con i Servizi Segreti. Che il piccolo disabile è figlio di altolocata persona, che la madre sparì, che il padre cerca forse con intenti loschi, che la ragazza intravista sul Lungotevere c’entra più di quanto si pensasse. E c’entrano gli infermieri clown che allietano i piccoli ricoverati in Ospedale. Ed i tifosi della Roma e le loro radio cittadine. Ma poi ci sono gli ecologisti infuriati che un SUV uccise una ragazza in bicicletta. C’è il tentativo (ma è solo un tentativo o si avvina a verità) di mettere in mezzo il futuro genero di Ponzetti, il catalano Jorge, pericolosamente vicino a centri sociali. E c’è Gisella in cinta che recita una commedia di Terenzio. E nasceranno i due bimbi (e ne siamo contenti). E c’è il profugo cileno, vittima di tante storie, e tante volte pervicacemente a ricominciare da zero. Qui Ricciardi fa fare una bella pensata al commissario Ponzetti, che con un’azione magistrale riesce a risolvere il caso, uscendo dall’impasse cui lo avevano stretto i servizi segreti. E tutti ne escono bene (o almeno abbastanza).
Giovanni Ricciardi “Portami a ballare” Fazi euro 16,50 (in realtà, scontato a 10,40 euro con Mondadori Card)
[A: 01/12/2012 – I: 11/02/2013 – T: 12/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 224; anno: 2012]
Con questo ho quindi esaurito le storie pubblicate da Giovanni Ricciardi sul commissario Ponzetti. Devo dire che siamo tornati un po’ indietro nel gradimento generale, rispetto alla punta che, per me, è “Il silenzio degli occhi”. Anche se qui siamo un po’ più gialli, visto che il morto c’è, ed è centrale nel romanzo e nelle indagini. Purtroppo siamo verso l’estate, quindi si defilano un po’ i personaggi della famiglia (moglie, figlie e nipotina sono al mare a Lavinio). Ha un po’ più di spazio il (forse futuro) genero Jorge, che aiuta il commissario con un testo spagnolo, una biografia scritta dallo scrittore ombra Andrea come fosse l’auto-biografia del tanguero argentino Morin. Ed anche (ed è un personaggio che mi piace molto) l’avvocato in pensione Galloni con le sue riflessioni, che sembrano sghembe al romanzo, e non lo sono mai. C’è quindi questo cadavere trovato vicino a Porta San Sebastiano, occasione per alcune reminiscenze giovanili del commissario, con tutti i misteri del caso. Perché Andrea ha scritto questa biografia? Chi è la misteriosa “rossa” che appare e scompare dalla trama? Perché Andrea da Bolsena si reca spesso a Roma? E tanti altri interrogativi. Non ultimo il fatto che questo misterioso Marcelo Morin non viene mai cercato dal commissario, con la scusa che è tornato in Argentina. Ma per lunghe pagine mi sono domandato se esistesse davvero, visto che ne viene data assodata la presenza, ma non si fa nessuna ricerca in quella direzione. Anche il solerte Iannotta lo tralascia, per dedicarsi a scavare nella vita di Andrea, lasciando anche lui al mare la moglie con il figlioletto Gabriele. Come al solito, e questa costante è un piacere ritrovarla nella lettura, i temi di Ricciardi sono molteplici, e si accavallano sulle pagine, facendo in modo, a me lettore affamato, di staccarmi difficilmente dalla pagina. C’è la comparsa della sorella di Andrea, e la scoperta di una strana affinità tra lei e Iannotta, cosa che fa pensare (forse giustamente) a Ponzetti che ci sia odor di scappatella. C’è il ritrovamento delle tracce della rossa, che si scopre irlandese, di nome Kelly, e protagonista di un’avventura “piccante” con il Morin durante un viaggio verso Santiago di Compostela. C’è infine la scoperta di foto di Andrea e di Marcelo, da cui salta fuori una somiglianza impensata. Motivo che mi fa sempre più credere nella difficile esistenza del ballerino sudamericano. Per scardinare le basi dell’indagine, il nostro commissario decide anche di fare un salto lungo “el camino”, con Jorge da interprete. E questa trasferta si rivela essenziale alla comprensione di alcuni dei meccanismi base della vicenda. Per poi dedicarsi, Ponzetti e Iannotta, ad un lungo briefing, come si chiamerebbe ora, dove, davanti a bottiglie di birra, analizzano tutte le strade percorribili, tutte le ipotesi e le conseguenze deducibili, rendendo un omaggio (quanto mai da me gradito) a tutti quei gialli basati sull’analisi. Ricorda da vicino le discussioni dei pre-finali tra Nero Wolfe ed Archie Goodwin. e come nei casi classici, solo la mente alla fine ha l’illuminazione, anche se l’operazione di Ricciardi è divertente, perché in questo caso è la mente stessa che scrive e non il suo alter-ego. Non sarebbe male, piccolo inciso, vedere un Nero Wolfe scrivere la storia al posto di Archie. Arrivando così alla soluzione del caso, a capire chi è il colpevole (anche dopo aver inquisito e poi assolto diversi comprimari). Come sempre in Ricciardi, la soluzione non è poi legata alla punizione, che viene demandata a momenti altri. Il commissario scopre e deduce, non deve giudicare, altro elemento positivo della serie. Detto che il tutto è complicato dal fatto che Ponzetti non è il titolare delle indagini, ma serve a togliere castagne dal fuoco altrui (un po’ di critica non fa mai male, anche se preferivo quella del precedente), il romanzo è ben congeniato. Personalmente mi ha coinvolto meno, come se fosse più stanco in alcuni punti, meno pieno della voglia di raccontare di altre uscite. E soprattutto meno pieno di squarci romani che avevano solleticato anche a me rimembranze diverse. Ma continuo a gradire il poco prolifico (così l’ho descritto nella prima uscita) Ricciardi, scusandomi di questa definizione, visto che ha pubblicato ben 4 romanzi in poco tempo (e per il restante del tempo si dedica alla sua professione principale, che meglio usciva con piccoli squarci di luce in altri romanzi, soprattutto nel secondo). E sperando che voglia ancora continuare sia a scrivere che ad onorarmi di private corrispondenze.
“Il tempo sorride di noi. Abbiamo questa vita, non un’altra, e una sola morte. E dunque abbiamo solo quest’oggi per scegliere la via, ogni giorno.” (105)
Marco Vichi “Il nuovo venuto” TEA euro 9
[A: 13/05/2012 – I: 09/03/2013 – T: 11/03/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 426; anno: 2004]
Non un grande intreccio giallo: morte di un usuraio e ricerca (senza troppa fretta) dell’esecutore. Ma una buona descrizione dell’atmosfera italiana e toscana nel Natale del ’65. Siamo al terzo episodio della serie dell’ispettore Bordelli, ed anche se come già detto il giallo è solo “laterale”, a me è piaciuto leggerne ed immergermi nell’Italia del boom economico. Intanto ritroviamo i personaggi comprimari della serie, a volte più interessanti dello stesso ispettore. Ennio Bottarini, detto “Il Botta”, ladro ed amico di Bordelli, ma anche cuoco geniale (come non ricordare le sue gustose ricette riportate in finale e dal titolo “Vangelo secondo Ennio”?). Il dottor Diotivede, patologo puntiglioso, Totò, lo chef che apre la sua cucina per Bordelli ad ogni pranzo (e lo riempie di piatti super-piccanti), Dante l’eccentrico inventore eccentrico, e Rosa l’ex-prostituta che è ormai una sua compagna fissa di chiacchiere e rilassamento. C’è anche, ma lontano, il suo braccio destro. L’agente Piras, in convalescenza in Sardegna, dopo le ferite riportate nel finale della seconda storia. Ma anche con le stampelle, il giovane agente indaga in un altro mistero. Così che i gialli raddoppiano e si alimentano a vicenda. Anche il piano narrativo segue l’andamento dei primi romanzi. Che in parallelo alle vicende contemporanee Vichi ci narra storie di guerra, e ripercorre l’esperienza passata del giovane Bordelli e dei suoi compagni tra fascisti, tedeschi e partigiani, in un teatro di azioni e sentimenti contrastanti, che acquistano una valenza profetica nel rispecchiamento di un confuso e infelice presente. Ed è questa la parte forte del romanzo, quella che poi da un senso alle vicende che seguiamo in diretta. Bordelli, infatti, ostinatamente persegue un concetto della giustizia non sempre coincidente con i protocolli giudiziari, tanto che preferisce concedere amicizia e fiducia a ladri e prostitute piuttosto che ai suoi superiori gerarchici, con i quali è immancabilmente in conflitto. E benché seguiti a cercare prove per la scoperta dell’assassino, sentiamo che è ben più vicino con la testa a questi che all’usuraio ucciso. E la stanchezza con cui indaga si propaga un po’ troppo per tutte le pagine, scandite da quell’immancabile tormentone sulle sigarette, che accende, che spegne, che fuma e non vorrebbe. Insomma, la tira un po’ per le lunghe e ce ne stufiamo assai presto. Sappiamo anche tutto il meccanismo della vicenda, cercando di capire come Vichi cercherà di impostare il finale (e lo farà in modo che non mi aspettavo). In un certo senso, mi sento più coinvolto dalle ricerche di Piras, che faranno invece luce su di un finto suicidio, che in realtà porta alla luce i misfatti di un criminale di guerra. E vicino anche allo stesso Piras, ai rapporti con i suoi sardi genitori, in attesa di tornare dalla sua bella che lo aspetta a Firenze. In conclusione, un libro leggibile, che mi conferma il giudizio sempre positivo che ho dato dell’autore. E poi, ripeto, quando si chiude con ricette come “la ribollita di Totò”, gli “spaghetti alla come mi pare”, lo “spezzatino mamma li turchi” o “il coniglio alla Tex”, non si può che essere contenti di averlo letto, sperando che qualcuno ci faccia la grazia di cucinarci almeno uno di questi piatti. Buona lettura e buon appetito.
“- Che cavolo si vive a fare? … - Non lo so che minchia si vive a fare … ma a me vivere mi piace.” (425)
“La sua più grande paura era quella di diventare un vecchio pieno di rimpianti.” (426)
Marco Vichi “Perché dollari?” TEA euro 9
[A: 01/11/2012 – I: 25/04/2013 – T: 25/04/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 260; anno: 2005]
Veloce da leggere, e senza lasciar tracce. Innanzi tutto, sono 4 racconti e ½ e già questo mi ha un po’ disturbato, che la manchette riportava “un’inchiesta del commissario Bordelli”. Sono assolutamente d’accordo con i critici che dicono come Vichi sappia scrivere e tenere in mano la penna ed il lettore. Le sue ricostruzioni di Firenze nelle precedenti puntate del commissario Bordelli sono sempre interessanti, così come altri scritti (ne ricordo uno a quattro mani con Gori). Qui invece si perde. Le idee vagano per la pagina senza prendere direzioni concrete e/o coinvolgenti. Sono racconti sciatti, già sentiti, portati avanti senza molta convinzione. Eliminerei subito dal contesto il racconto “mezzo”, quello contrabbandato come inedito. Sono cinque pagine di “ossequi” ad un commissario andato in pensione (era ora Bordelli!), che si perde nella campagna toscana e si domanda se sia meglio perdersi o tornare in città. Domanda inutile. Come inutile è anche il primo racconto, ambientato nel 1957 ed imperniato su un Bordelli prima dei romanzi che ne costruirono la meritata fama. Ma non è un’indagine, come ci farebbe credere la quarta. Sono momenti di vita, la conoscenza della bella Rosaria (e poi si vedrà se avrà sviluppo). L’amicizia con il patologo Diotivede, che, proprio per amicizia lo coinvolge in una storia di spie e contrabbandi. Dove si intuisce tra le righe che le cosiddette spie sono in realtà degli strani “combattenti per la libertà”, e che i diamanti trafugati serviranno a finanziare la rivolta cubana del comandante Fidel. E che c’entra Firenze? E l’Italia del boom? Ed il rapporto tra Bordelli e gli istituti religiosi? Lascerei perdere, e passerei agli altri, se non si rischiasse di cadere ancora più in basso. Certo è ben costruito il secondo sul rapporto tra un giovane scrittore, un libraio anziano che presto andrà a morire, ed uno spazzacamino nano che lo aiuta a ritrovare una persona scomparsa. Data la fissa di Vichi con la Guerra, non è difficile capire che librario e scomparso furono artefici di un qualche cosa durante gli anni di Guerra. E non è difficile immaginare il librario giovane partigiano e lo scomparso repubblichino di mezza età. Il messaggio che ci vuole mandare Vichi è che i buoni sono meglio dei cattivi, quando continuano, nonostante tutto, a fare i buoni. Ma continuando ad essere buoni, si potrebbe finire come il protagonista del terzo racconto, il ragioniere Bartolini. Che trova un portafoglio per strada con un milione e mezzo di lire (la storia è ambientata negli anni ’90), decide di restituirlo al proprietario. Che lo accusa di averne rubato una parte, che lo fa andare in galera per accertamenti, dove è scambiato per un possibile maniaco, e la sua foto finisce sul giornale. Bartolini alla fine ne esce, ma con quale fiducia nella giustizia? Ovviamente nessuna, che la persona più umana, non a caso, è un carcerato che lo difende. E che dire dell’ultimo racconto, anch’esso di una cocente inutilità. Un finanziere si infiltra nelle maglie di piccoli spacciatori del verisiliese. Si fa amico un malvivente di mezza tacca. Riesce a trovare un bandolo per arrivare ad un giro di coca. E deve decidere se portare avanti l’indagine e la retata, mandando il malavitoso in galera, o mandare tutto in fumo. La scelta in realtà è pretestuoso, che tutti sappiamo quale può e deve essere. Solo che Vichi usa ben 40 paginette per arrivarci, condendoci le storie del finanziere con un suo amore francese, i rapporti con i genitori, con i superiori, la sua solitudine, l’amicizia verso gli sbandati. Insomma, posso dire complessivamente una palla. Non grandissima, non megagalattica, ma francamente da possibilmente evitare senza rischio di perdersi nulla del panorama editoriale mondiale. Speriamo che la prossima inchiesta del Commissario sia all’altezza della fama sua e del suo autore.
Come concludevo la trama scorsa, ho aggiunto nuovi lettori, nonché vecchi amici, a queste trame. Che ricordo sono (tendenzialmente) settimanali, che sono, come dice il titolo, “Tra me e voi là”, e quindi vi arrivano, le leggete se volete, e, come i miei più fedeli sanno, mi rispondete e mi suggerite altro da leggere. E sicuramente ne potete trarre indicazioni bibliografiche e circostanziali sulle mie letture (ogni libro è corredato da indicazioni su date, titoli originali, nonché Arrivo nella mia libreria, Inizio della lettura e Termine della stessa). Ormai la grande festa è un ricordo, ma molto gradito, e spero foriero di altro, che vedremo nel futuro. 

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