Dopo una settimana dedicata alla
riflessione, eccoci ad una settimana dedicata all’evasione. Sempre di livello
(abbastanza) ma con un ritorno alle lunghe serie dedicate ad investigatori, patologi,
e commissari vari. Ritroviamo quindi la giornalista svedese Bengtzon e le sue
storie (che cominciano ad incartarsi), la dottoressa Kay Scarpetta (le cui
storie da tempo si sono incartate) ed il commissario Charitos, da cui mi
aspettavo di meglio. Un po’ di riposo, quindi, per i nostri cervelli stanchi.
Liza Marklund “Finché morte non ci separi” Marsilio euro 12,50 (in
realtà, scontato a 9,50 euro)
[A: 18/03/2012– I: 16/10/2013
– T: 18/10/2013] - &&
e ½
[tit. or.: Livstid; ling. or.: svedese; pagine: 478; anno 2007]
Un
romanzo che si apre praticamente sull’ultima pagina del romanzo precedente (“Il
testamento di Nobel”) quasi senza rottura di continuità (e pare prosegua con il
successivo “Freddo Sud” ipotizzando una trilogia all’interno della serie
dedicata alla giornalista investigativa Annika Bengtzon). Sembra quasi un
tentativo anche di mettere ordine a tutte le sue storie, che si sono andate
dipanando in tutti i primi otto libri. Sia le storie gialle che le storie
private. Mantenendo la cifra di questa giornalista sempre un po’ spaurita,
sempre un po’ troppo al centro delle attenzioni, quasi che si trovasse suo
malgrado a risolvere i casi che affronta. È anche (come dice nelle note finali
l’autrice) il primo romanzo che comporta un’inchiesta poliziesca vera e
propria, coinvolgendo fin dalle prime battute l’ispettrice Nina Hoffmann. Ma
soprattutto perché il morto è un ispettore di polizia anche lui, il bello e mai
troppo decifrato David Lindholm, e la principale sospettata è la di lui moglie,
nonché miglior amica di Nina, nonché anch’essa poliziotta, Linda. Quindi,
mentre da un lato seguiamo le vicende “gialle”, dall’altro dobbiamo fare il
conto con Annika che al termine del precedente libro avevamo visto sfuggire
miracolosamente, insieme ai suoi due figli, ad un attentato che manda in fumo
(letteralmente) la sua casa. Dopo che anche la vita privata era anch’essa
bruciata, in seguito all’allontanamento del marito Thomas, innamoratosi della
bella Sophia. Questi due registri erano sempre stati presenti nelle storie di
Annika, dagli scontri violenti con il suo precedente marito (tanto violento da
giustamente finire male) all’amore con il placido Thomas, che, libro dopo libro,
diventa sempre più antipatico, fino a raggiungere un buon punto di cattiveria
in questo (e mi domando, cosa succederà nel prossimo). Nel momento in cui perde
tutto, Annika trova un supporto nella collega Berit, che l’aiuta con i figli e
la sprona a riprendere le indagini. Ritroviamo così il piglio deciso della
giornalista d’assalto, che mette insieme interviste, ricerche su Internet ed
intuizioni varie, per ricostruire la vita dell’irreprensibile David, che poi
tanto irreprensibile non sembra sia stato. Bello e carismatico, ma sempre molto
vicino al fuoco, come se avesse interessi sul lato criminale, utili a coprire
suoi traffici, ed a scoprire pesci piccoli da mettere in gabbia. Inoltre David
è uno “sciupa-femmine”, cosa che sanno tutti, e sembra dare margini di
credibilità (almeno per Annika) quando Linda sostiene che nell’appartamento
durante l’uccisione c’era un’altra donna, che avrebbe portato via il figlio Alexander
(che in effetti, risulta scomparso). Tuttavia i poliziotti fanno fronte intorno
a David, con la relativa condanna di Linda anche per la morte di Alex (benché
non si trovi il corpo). Annika, tra una lite e l’altra con l’ex Thomas (e poi
ci torniamo), trova il bandolo anche di questa matassa, risolvendo (nel solito
convulso finale) tutti i maggiori nodi: ritrovamento di Alex, scoprimento del
reale colpevole di questo e di un altro precedente delitto, che aveva portato
in carcere un innocente, con un doppio legame con la polizia. Da un lato con
David e dall’altro … No, questo non ve lo dico. Tanto uscirà fuori sicuramente
nel prossimo. Torniamo un attimo sulle vicende private: nonostante sia in rotta
dura con l’ex e non sopporti Sophia, non esita a dar loro una mano nelle
settimane di affidamento alterno dei due figli. Questioni di civiltà? Quanto
siamo lontani noi da queste realtà? Un altro appunto (più criptico) viene
durante le discussioni tra i redattori del giornale in crisi, dove due giovani
apprendisti si chiamano Emil e Ronja. Così che la Marklund accenna alla
provenienza di molta gioventù svedese dalla saga di Pippilotta Långstrump.
Ovviamente, noi si rimane spiazzati, che la saga da noi è nota come Pippi Calzelunghe.
Ma sfido qualcuno a conoscere a memoria i personaggi, e ricordarsi che i due
sodali di Pippi si chiamano… Annika e Tommy. Nel complesso (dopo aver convenuto
anche con la polizia che l’autrice dell’incendio di casa Bengtzon è la gattina
colpevole degli assassini del precedente romanzo) una lettura gradevole, in
attesa di collegarla con il successivo libro della trilogia. Ah, un’ultima
domanda: spero che “Livstid” (significato in svedese “tutta la vita”) sia una
formula usata nei matrimoni svedesi. Cosa che giustificherebbe l’altrimenti
poco sensato titolo italiano.
“Il primo caso riguardava quello di un
ventunenne, Tony BERGLUND” [ma quanti ce ne sono, di Berglund in Svezia…] (140)
Liza Marklund “Freddo Sud” Marsilio euro 12,50 (in realtà, scontato a 10,58
euro)
[A: 28/04/2012– I: 05/11/2013 – T: 09/11/2013]
[tit. or.: En plats i solen; ling. or.: svedese; pagine: 509;
anno 2008] - && e ½
E
così finalmente si conclude la così chiamata “trilogia della separazione”
(almeno così l’ho chiamata io, come separazione tra i protagonisti ed anche tra
raziocinio e realtà). Cominciata come detto con “Il testamento di Nobel” (da
tempo tramato) e continuata con il da poco letto e sopra tramato “Finché morte
non ci separi”, ora finalmente (almeno credo) vengono chiuse tutte le parentesi
aperte nei libri precedenti. Con questa tecnica (un po’ falsa) di far finta di
risolvere qualche mistero, per poi riaprirlo e darne nuove soluzioni. Insomma,
un libro che mi ha mosso sentimenti altalenanti: dal piacere della scrittura al
nervosismo di meccanismi smaccatamente commerciali. Ma come mi insegnava la mia
maestra di comportamento, cominciamo con le note positive. La scrittura questa
volta è molto più scorrevole del precedente. Non ci sono molti “tempi morti” e,
benché 500 pagine siano un po’ lunghe, si va discretamente veloci alle
soluzioni (anche perché si fanno passare mesi tra le varie sezioni, e non ci si
accumula tutto in pochi e sparuti giorni). Dal punto di vista dell’intreccio,
il killer donna dell’incendio è finalmente acclarato chi sia, ed Annika potrà
finalmente riscuotere i soldi dell’assicurazione. L’ex-amica Anna è finalmente
uscita di scena (e speriamo non torni). I figli, Erica e Kalle ci sono, ma
stanno al loro posto, com’è giusto che sia, senza interferire con la vicenda.
Che finalmente trova la sua quadratura: è tutto compreso in un grande giro
internazionale di droga. C’è la fattoria in Marocco dove si coltiva la cannabis
destinata ai mercati europei. Fattoria gestita da Fatima che risulta essere la
prima moglie di David (il poliziotto ucciso nel romanzo precedente). Davide che
aveva stretto un sodalizio giovanile con Filip e Yvonne (i due fratelli
assassini) e Victoria (giovane avvocato, dedita al riciclaggio dei soldi con
uno studio a Gibilterra). Ed è nella Costa del Sol che si svolge la maggior
parte del libro, tra Malaga e Marbella. Nella grande comunità svedese. Dove
vengono uccisi Victoria, con la madre, il marito e due figli. È un regolamento
di conti (ma si saprà con molto ritardo), comandato dal carcerato Filip, in
attesa di essere liberato, dopo che Yvonne è stata uccisa dalla polizia nel
romanzo precedente, e di conseguenza accusata sia della morte di David (giustamente)
sia delle uccisioni di due libri fa (ingiustamente, che il colpevole era
proprio Filip). Il tutto condito dalla presenza di Nina, la sorella “buona” di
tutta la banda, che invece delle strade del crimine, ha preso quelle della
legge. E sarà lei che, alla fine, metterà il punto fermo alle tribolazioni
della storia, riuscendo a far quadrare i conti della giustizia con quelli
privati. Il tutto condito con altri elementi, che vanno a poco a poco scendendo
nel meno interessante, fino allo scassamento. Da una parte, la storia parallela
delle tre amiche (che poi sarebbero le madri di Filip, Victoria e Nina) e delle
loro storie giovanili, collegate (ma che ci sarà di interessante?) con il fatto
che la madre di Filip non è svedese, ma è figlia di un qualche gerarca nazista
(ed allora??). Storia che la Marklund ci propina attraverso un finto libro
scritto da Siv, la “buona” del trio (e vediamo se capite di chi può essere la
madre…). Dall’altra i tentativi di emancipazione di Annika. Prima con un
sottosegretario che purtroppo è anche il capo di Thomas, e malgrado possibili
simpatie finisce (per ora) in una bolla. Poi con un poliziotto in missione in
Spagna, dove sembra andare meglio (almeno si fa del sesso), ma che poi senza
motivo scompare. Il tutto vissuto da Annika con sensi di colpa. Tanto che verso
la fine, l’autrice sembra ipotizzare che la storia tra Thomas e la troia Sofia
sia al lumicino, e che i nostri (per il bene dei figli… – ma che c…a!), sembra
si vogliano rimettere insieme. Una parte di storia veramente debole e con
intenti troppo consolatori (sembra quasi che la scrittrice faccia dei sondaggi
con i lettori, ed orienti le sue scelte verso quelle più di cassetta). E sullo
sfondo e per finire, le vicende sociali: la crisi svedese (come in tutta
l’Europa) esemplificata dalla crisi del giornale di Annika, con
ristrutturazioni, licenziamenti, promozioni di incompetenti. Un tentativo di
fare “gialli alla Wahlöö” veramente poco riuscito. Infine, tanto per gradire,
un ultimo colpo di bacchetta ai maghi dei titoli. Qui si raggiungono vette di
idiozia fulminante. Ora “Freddo Sud” si suppone che sia qualcosa ambientato in
un Sud per qualche motivo (climatico o comportamentale) più freddo di qualche
Nord. La maggior parte del libro si svolge in Spagna, in un caldo allucinante.
E la parte risolutiva, addirittura in Marocco, con ancora più caldo. Forse sono
gli svedesi che vivono a Marbella ad essere freddi, ma, per quanto vediamo, ci
si lascia qualche dubbio. Ma ancora più ignominiosamente, il titolo originale
(capisco che “Un posto al sole” possa far venire altro in mente) aveva un senso
di collegamento tra le varie vicende e con la ditta di import-export motore
delle nefandezze descritte nei tre libri. Delle due l’una: o si lasciava il
titolo, salvando i collegamenti, o si modificavano i collegamenti (magari
chiamando la ditta “CoSo” invece che “Apits”) per seguire le modifiche del
titolo. Nulla di tutto ciò: modifica del titolo senza modifica dei
collegamenti. Risultato: incomprensibilità dei passaggi verso la soluzione. Ma
si riuscirà mai a trovare un modo che non tradisca la traduzione? E se qualcuno
rimane spiazzato da queste righe, ne riparliamo dopo che ha letto il libro.
Patricia Cornwell “Nebbia rossa” Mondadori euro 13 (in realtà, scontato
a 11,05 euro)
[A: 06/02/2013– I:
23/12/2013 – T: 25/12/2013]
[tit. or.: Red Mist; ling. or.: inglese; pagine: 382; anno 2011] - &&
Siamo
alla diciannovesima storia di Kay Scarpetta, ed ormai si vivacchia un po’ sugli
allori riprendendo i fili delle storie dall’ultimo romanzo, ed intorbidendo il
tutto. Già da questo attacco capite che il romanzo non mi ha preso tanto. Da un
lato è decisamente scontato, senza particolari novità sul fronte delle
invenzioni (sia di trama che poliziesche). Dall’altro i personaggi sono
decisamente incartati su loro stessi. Avevamo lasciato la dottoressa
disorientata nell’ultimo libro dal presunto “tradimento” del suo secondo Jack,
personaggio sin ora mai troppo chiarito, con una scena finale movimentata
(solito schema) in cui Kay sta per soccombere a quella che pare essere la vera
mente e la vera mano degli assassinii. Nella fattispecie la figlia di Jack e di
tal Katherine. Qui cominciamo che, per mettere ordine alle vicende, Kay va a trovare
Katherine in carcere e scopre nuovi baratri di coincidenze. Katherine era
l’insegnante di Jack, avevano avuto una relazione “proibita” dalle leggi americane,
per cui la donna era stata condannata alla prigione, dove aveva a poco a poco
perso se stessa. Nella stessa prigione è anche rinchiusa una psicolabile in
attesa nel braccio della morte per un omicidio perpetrato anni prima. E scopre
che Jaime, ex-fiamma della nipote Lucy, diventata avvocato di difesa (era un
tempo procuratore) vuole fare luce sulla vicenda. Ci mettiamo pagine su pagine
per penetrare nella psicologia di Jaime, che cerca di far ruotare tutto per il
suo interesse, coinvolgendo anche il buon Pete Marino, un tempo valido aiutante
di Kay ed ex-poliziotto, nelle sue trame. Che sono piene di misteri, che
coinvolgono servizi segreti, FBI, complotti ed altre amenità. Peccato che, ad
una ad una, tutte le persone coinvolte vengano uccise in modo misterioso. Un
modo che, tra l’altro, fa riprendere in mano altre morti avvenute nel
penitenziario in questione, ed anch’esse mai chiarite. Muore Katherine. Muore
Jaime. È in fin di vita, forse in coma irreversibile la figlia di Jack e
Katherine. Insomma un’ecatombe. Kay si muove male in tutto ciò, oppressa da
sensi di colpa per non aver capito in tempo alcuni sintomi delle malattie. Ed oppressa
dalle difficoltà del suo rapporto con il marito Benton. Che lavora all’FBI e
che lei sospetta non dirgli tutto. Insomma, tutto si avvolge pian piano nella
nebbia, dove non si vede ad un passo, e dove ogni passo rischia di portare i
nostri fuori strada. Ma l’anatomopatologa sa il suo mestiere e collega dettagli
apparentemente lontani, per costruire ipotesi di soluzione. Purtroppo la
soluzione è scadente sul punto innovativo. Non ci si meraviglierà scoprendo che
dalla relazione adulterina giovanile di Jack e Katherine non nacque una
bambina, ma una coppia di gemelle. Una è quella che tentò di uccidere Kay nel
libro precedente. L’altra, ben nascosta e forse protetta dalle complesse leggi
americane, è invece la mente di tutto questo guazzabuglio. La storia, una volta
scoperti i veli, si avvia senza troppi sussulti verso la sua onesta fine. Colpevoli
trovati e puniti. Nuova pace tra Kay e Benton. Lucy che rimane nel contorno
della vicenda (anche se apprezziamo al solito le sue capacità informatiche).
Marino che forse lascerà il gruppo (ormai è un personaggio un po’ troppo
bollito). Insomma, non un gran libro. Leggibile certo, ma non proprio godibile.
Appesantito, tra l’altro, da una prima parte forse un filo lunga. Dove
seguiamo, ed un po’ ci annoiano, i tormenti esistenziali della nostra
Scarpetta. Boh, vediamo se migliorerà nel prossimo, già uscito ma non ancora
acquistato.
“Chi può dire di non aver mai fatto del male
alle persone che ama?” (138)
“Devi vivere nel luogo in cui ti svegli al
mattino, anche se è stato il sogno di qualcun altro a portarti lì.” (154)
Petros Markaris “L’esattore” Bompiani euro 13
[A: 19/05/2013– I: 02/01/2014 – T: 06/01/2014] - &&
[tit. or.: Περάιωση; ling. or.: greco; pagine: 341; anno 2012]
Dopo
un po’ di silenzio, torna ancora una volta il pacifico commissario Kostas
Charitos. Questa volta Markaris cerca di inserirsi sempre più a fondo nel
vissuto greco, ma ne risulta una storia un po’ bollita. Soprattutto dal punto
di vista dell’intreccio per così dire poliziesco. Intreccio che per come nasce
e per come viene risolto risulta veramente di poco spessore. Certo il nostro
scrittore, molto attento alla società civile, vuole dimostrare anche altro.
Vuole parlare delle difficoltà del popolo greco di fronte alla crisi economica
devastante che lo attanaglia. E questo ce lo mostra con alcune scene, e con
alcuni suicidi, esemplari ed esemplificativi. Non si rimane indifferenti
davanti alle anziane signorine che decidono di mollare la vita che non tirano
avanti con la misera pensione. O i due giovani che si tolgono la vita per la
mancanza di lavoro e di prospettive. In questo scenario (che riprende
cinquant’anni dopo le descrizioni sociologiche della società svedese dei ben
noti Sjöwall & Wahlöö) si inserisce anche il quasi dramma della figlia del
commissario, che non trova una remunerazione adeguata, e quasi decide di andare
a lavorare in Africa per svoltare economicamente. Una serie di circostanze, ed
un colloquio chiarificatore con lo “zio Lambros”, faranno poi decidere Caterina
a continuare a lottare in patria. E magari troverà una spalla nella psicologa –
poliziotta Manià, per mettere in piedi qualche struttura legal-terapeutica. In
tutto questo contorno sociale, si inserisce la vicenda gialla, che ne è una
filiazione logica. Vengono uccise, con la cicuta, due personalità eminenti
nell’evasione fiscale, da un personaggio che firma le sue imprese con volantini
su internet a nome “Esattore”. Qui Markaris costruisce una specie di escalation
interna, poggiando su due bastioni: la crisi economica (che è in fondo il
leit-motiv del libro) ed il dilemma morale. L’Esattore, nei suoi scritti,
afferma (e con ragioni e prove) di uccidere persone che evadono il fisco, dando
loro l’alternativa se pagare o avere un “condono tombale”. A fronte delle prime
due morti, il fisco greco riceve una serie di entrate impreviste (sui sette
milioni di euro) di evasori minacciati. Charitos, e con lui il rumoreggiante
popolo greco, si domanda se si debba trovare questo assassino, che tuttavia fa
“del bene al Paese”. Il poliziotto non ha dubbi. L’uomo un pochino ne ha. Di
fronte ad uno Stato debole, solo la minaccia di morte fa rispettare le leggi.
Ma questa morale non può soddisfare una personalità etica come Markaris (non a
caso sceneggiatore dei migliori film di Anghelopoulos). Per cui fa il primo
passo di escalation: l’Esattore chiede una tangente sulle somme incassate. Qui
la morale vacilla, e si cerca di attivare al meglio le indagini, non riuscendo
ma non per colpa di Charitos, bensì dell’insipiente burocrazia greca. Trovandosi
impantanato in una vicenda che sembra senza sbocchi, Markaris fa un secondo
passo. Poiché lo Stato non paga, l’Esattore minaccia e poi comincia ad uccidere
non evasori, ma personaggi pubblici, possibilmente politici, che hanno
prosperato nei meandri del malcostume imperante. E qui si ritorna al dilemma
primitivo: l’Esattore uccide, ma a fin “di bene” (o del bene del Paese). Ormai
però siamo stanchi del romanzo, andiamo a doppiare il capo delle 300 pagine
senza aver fatto passi avanti. Ecco che lo scrittore decide di “precipitare” la
fine, e, attraverso improbabili colpi di scena, Charitos riesce a trovare prima
le tracce, e poi il colpevole in persona. Questa è la parte veramente debole
del romanzo. Tutto si risolve, ma come “per ammuina” senza che poi nulla cambi.
Insomma, un romanzo che nasce con delle premesse interessanti, si sviluppa
lungo un’idea notevole, ma termina un po’ in sordina. Come se l’autore non
avesse più mordente. Tra l’altro, l’andamento generale delle indagini ricalca
abbastanza, pur nelle mutate condizioni, quanto aveva scritto, con ben altra
grinta e capacità, in uno dei primi libri del commissario “Si è suicidato il
Che”. Speriamo che il prossimo episodio, già in libreria, anche se non in
biblioteca, riporti in alto le sorti della storia. Magari evitando quello che
ormai sta diventando un tormentone delle sue storie: il traffico di Atene. Ogni
due pagine si parla di ingorghi e di strade, tanto che per seguire la vicenda
bisognerebbe leggerlo con accanto Goggle Maps! Alla fine diventa stancante e
neanche particolarmente funzionale alla storia.
Riposo,
si diceva, ma non ozio. Si continua a pensare ai viaggi (quelli organizzati,
quelli da organizzare). Aspettando di ricevere notizie se il viaggio pan-russo
(fatte salve le paturnie di Putin) riuscirà ad avere sbocchi.
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