domenica 30 marzo 2014

E si torna agli scandinavi - 30 marzo 2014

Se la settimana scorsa siamo tornati ai seriali in genere, non poteva mancare una seconda puntata dedicata ai seriali scandinavi, che tanto successo hanno negli ultimi anni in Italia. Due puntate in Norvegia con Harry Hole, il detective di Jo Nesbø e due in Svezia, una con il da poco arrivato Gunnar Barbarotti di Nesser, ed una con l’ormai arrivato al capolinea commissario Wallander di Mankell. Una settimana di medio piacere (a parte il poco entusiasmante commissario) e di molto relax di lettura.
Jo Nesbø “L’uomo di neve” Piemme euro 14 (in realtà, scontato a 10,50 euro)
[A: 01/11/2012– I: 29/11/2013 – T: 02/12/2013] - &&&
[tit. or.: Snømannen; ling. or.: norvegese; pagine: 531; anno 2007]
Ed eccoci ad un nuovo capitolo di Harry Hole e della sua Norvegia. Nesbø sfoggia al meglio la sua capacità di intrecciare vicende, purtroppo però, la storia (o forse la vita) di Harry gli prende un po’ la mano. Non risulta scorrevole come nelle precedenti, anche se riesce (e qui ci vuole un po’ di maestria) a presentare tre diversi e plausibili colpevoli, prima di approdare a quello definitivo, in un bel finale serrato (uno di quelli che ti incolla alla pagina, segno di una bella capacità di scrittura). Peccato però che quando chiudi il libro e ripercorri le vicende narrate senti che tu lettore avresti potuto fare meglio. E ti ricordi le battute delle prime pagine, e ti dici: "Perbacco, se fossi stato più attento… O se il libro fosse più corto…" (perché non è sempre facile collegare una frase delle prime pagine con una seconda che si trova verso pagina 350, e chiudere il cerchio con una terza oltre pagine 480!). Intanto, e finalmente, Nesbø riesce ad imbastire una storia con un serial killer. Sappiamo che la carriera di Hole era iniziata con la scoperta di un serial killer australiano (in uno dei due libri non tradotti in Italia), e che spesso pensava di averne uno sotto le mani, ma non era mai così. Qui, abbiamo un paio di morti (anzi di morte che il fulcro è l’uccisione di donne) con modalità analoghe. E con la comparsa sulla scena del delitto di pupazzi di neve (Snømannen in norvegese), con dentro, sopra, intorno, pezzi di cadaveri. Come i migliori serial, poi, non sembra esserci legame apparente fra le donne uccise. Intanto, la squadra di Harry (dopo la morte del suo aiutante) si amplia con l’immissione della bella Katrine proveniente da Bergen. Ed in parallelo, la vita personale e sentimentale di Harry si complica alquanto. Rakel trova un buon rifugio in Mathias, ma è sempre presa intimamente da Harry, con il quale ritrova intese sessuali perdute. E Oleg, il figlio di Rakel, tiene sempre Harry come stella cometa da seguire. Ma ci sono sempre “i mostri” dietro l’angolo. Katrine non sembra così lineare come potrebbe essere, dà sempre delle dritte ad Harry (anche se non esplicite). Ad esempio, tirando fuori una statistica di donne scomparse negli ultimi 12 anni, statistiche “fuori norma”. Harry, da buon segugio, comincia a fare due più due. E prima trova qualche legame possibile (le donne frequentavano tutte lo studio del dr. Idar Vedlesen), poi ipotizza un collegamento con le prime uccisioni avvenute proprio a Bergen, inclusa quella del poliziotto che guidava le indagini. Cerca anche di farsi aiutare da Mathias, anche lui dottore, e frequentatore in giovinezza di Vedlesen. Anche un noto donnaiolo e giornalista ha frequentazioni con il dottore, ed anche qui si accumulano sospetti. Perché ben presto si scopre che tutte le donne uccise avevano avuto figli da relazioni extra-coniugali. E che lo studio di Idar e Mathias faceva un elevato numero di test di paternità. Tra morti efferate che continuano (che il serial killer usa uno strano cappio incandescente per le sue esecuzioni, strumento altrimenti noto in veterinaria) e misteri che si svelano, Nesbø ci porta a tappe forzate verso la soluzione. Ma chi sarà il misterioso pupazzo-assassino? Prima si pensa a Idar, che tutte le donne transitavano da lui, e soprattutto quando misteriosamente muore. Poi si passa al don Giovanni, che almeno due delle morte avevano fatto un figlio con lui. Intanto Harry scopre il cadavere di Rafto, il poliziotto di Bergen, e scopre che è anche il padre di Katrine, la quale tenta di uccidere il libertino. Harry lo salva, fa tutto un ragionamento sulla possibile pazzia di Katrine, fino ad arrestarla in un drammatico sotto-finale. Ma alla fine, nel vero e lungo epilogo, si ripercorrono tutte le morti, questa volta insieme al killer (che ha la stupenda intuizione di farsi amico il poliziotto che indaga sulle morti, per poi ucciderlo se arriva troppo vicino alla verità, come ha fatto con Rafto). Killer che soffre di sclerodermia, per cui vorrebbe uccidere il maggior numero di adultere (ricordi infantili) per poi essere ucciso prima che la malattia uccida lui. Harry invece lo salva, e lo condanna ad un ergastolo psichiatrico quanto mai pieno di sofferenze. La catarsi fa uscire dalla psicosi Katrine, che tornerà a lavorare a Bergen. E sembra mettere su binari nuovi il rapporto tra Harry e Rakel. Vedremo. In conclusione, una trama che si stratifica giorno dopo giorno (Harry ci mette un mese a sbrogliare la matassa), lasciandoci a volte un po’ perplessi. Tuttavia la penna è buona, e la cosmogonia norvegese ne viene fuori in modo chiaro e preciso. Peccato però che non sono riuscito a trovare la citazione del film di Marty Feldman che fa Harry in finale (“Penso che me ne andrò”, “Dove?”, “Non so, non cercatemi, soprattutto non nel Nord Africa”). Qualcuno sa da dove?
“Harry: - Ci sono alcune cose che non capisco di Katrine. Lo psicologo: - Per quanto mi riguarda, ci sono ben poche cose che capisco in tutti gli esseri umani. Quindi, come psicologo, sei più bravo di me.” (399)
Håkan Nesser “L’uomo che odiava i martedì” Tea euro 9
[A: 15/07/2012– I: 05/12/2013 – T: 07/12/2013] - &&& e ½
[tit. or.: De ensemma; ling. or.: svedese; pagine: 471; anno 2010]
Era decisamente molto tempo che non prendevo in mano un nuovo romanzo di Nesser (che per inciso è nato esattamente un giorno prima del mio amico Luciano). Che al solito trovo piacevole, nella scrittura e nella trama. Ormai siamo nel pieno della nuova serie (questo è il quarto episodio) ideata dallo scrittore svedese, per riprendere lena dopo i lunghi anni passati con il commissario Van Veeteren. Sempre nelle fittizie langhe della cittadina di Kymlinge, seguiamo da un po’ l’ispettore italo-svedese Gunnar Barbarotti. I personaggi si sono consolidati ed hanno una loro dimensione. Gunnar ha trovato un nuovo amore della seconda età con la bella Marianne. Ed ora vivono insieme, divedendosi la cura anche dei loro cinque rispettivi figli (2 suoi e 3 di lei, credo). Abbiamo conosciuto e seguito la parabola del suo aiutante, la simpatica Eva, che finalmente ha divorziato dall’insulso Ville, ed anche lei gestisce i suoi due figli, accudendoli a settimane alterne con il marito. Su tutto ciò si innesta “il crimine”. O almeno qualcosa di doloso, su cui bisognerà indagare e comprendere. In un dirupo tra i monti muore Germund, nello stesso luogo dove 35 anni prima era morta la sua compagna di allora, Maria. La narrazione, sin dall’inizio, si biforca sui due tronconi: il presente e l’indagine, da un lato, e la storia del gruppo di Uppsala dall’altro. Perché un gruppo era, formatosi ai tempi degli studi e del militare. C’è Rickard (che sottolineiamo di passaggio fa Berglund di cognome), che studia teologia ed è l’uomo che odiava il martedì, giorno in cui per lui capitavano avvenimenti infausti (o giudicati tali). C’è Tomas, di cui fa conoscenza i primi giorni di Uppsala, giovane pieno di idee e fascinoso, che si è appena messo con la bella Gunilla. C’è Maria, la sorella di Tomas, che ha sempre atteggiamenti “non usuali”, dicono perché ha sbattuto la testa da piccola in altalena. C’è Germund, il fisico teorico, uomo pieno di donne, ma che si lega di un amore assoluto con Maria (anche se ognuno ha altri rapporti, nella Svezia libertaria dei primi anni 70). C’è infine Anna, che studia giornalismo, e che si innamora e si mette con Rickard. Seguiamo il percorso dei sei durante il passaggio tra i 20 ed i 25 anni, segnato da un avvenimento “cruento”. Decidono di investire in viaggi organizzati, comprano un pullman per fare pratica, e vanno per un mese in giro per i Paesi dell’Est. Siamo ancora ai tempi bui, ed in quel di Timisoara, vengono “rapiti” dai poliziotti, che chiedono come riscatto una notte con una delle donne. Lì, Maria si sacrifica per tutti. Ma da quel momento, la vita di tutti loro inizia una decelerazione di amicizia. L’impresa di Tomas fallisce, e devono restituire i soldi. Gunilla ha due aborti spontanei e non riesce a rimanere in cinta. Germund si aggira tra tutti, rimanendo però sempre in disparte con quel suo misterioso fascino. Maria non parla con nessuno. Anna e Rickard si sposano. Poi, dopo tre anni decidono un incontro, una discussione serale (di cui non sappiamo molto) ed una giornata per funghi. Lì dove Maria muore. Disgrazia? Suicidio? Omicidio? La polizia di allora sospetta e indaga, ma non trova prove. Ora, dopo 35 anni, la morte di Germund riapre il caso. Gunnar indaga, scoprendo anche strani legami tra la sua Marianne ed il morto (anche se di più di cinque anni prima). Muore anche Anna, rosa dal cancro. E Rickard diventa sempre più cupo, ora che si sente (e forse è) definitivamente solo. Eva e Gunnar, leggono, chiedono, hanno intuizioni. Poi tutto precipita con un aneurisma che colpisce Marianne (ma si salverà). Gunnar che va fuori di testa, e, visto che certo ricordate il suo gioco a punti sull’esistenza di Dio, decide che il gioco finisce qui (non vi dico chi vince). Eva che costruisce i pezzi del rompicapo, arrivando alla conclusione che le morti sono state dolose. Ed in un finale di svelamenti, Gunnar mette la parola fine, svelando tutti i punti oscuri della vicenda. È un buon libro, decisamente. Bella la mano che segue le diverse atmosfere. Dispiace solo, forse, un po’ di lentezza in alcuni punti, soprattutto nelle vicende giovanili dei sei. E nell’insistere su di una colpa o forse un reato che uno di loro avrebbe commesso in gioventù. Non vi dico altro, se non sottolineando l’incongruenza della decisione del titolo italiano. L’originale era “Il solitario” che si attagliava a diversi personaggi, permettendo di mantenere un velo di mistero a molte vicende. Puntare i riflettori su Rickard, seppur d’effetto per la storia, risulta un punto negativo per la costruzione globale. Peccato.
“Con le faccende di cuore le cose vanno così: si sa, senza capire come si faccia a saperlo.” (140)
Henning Mankell “La mano” Marsilio euro 12
[A: 19/10/2013– I: 07/12/2013 – T: 09/12/2013] - && e ½
[tit. or.: Handen; ling. or.: svedese; pagine: 137; anno 2013]
Sinceramente sono un po’ deluso. Non è che mi aspettassi chissà che, perché io lo so (e lo sappiamo tutti) che Mankell ormai ha abbandonato il commissario Wallander. Il ciclo è finito, nel bene e nel male. Ma il battage che veniva fatto a questo libro faceva sperare in qualche cosa, in un piccolo brivido di piacere quando si incontra un vecchio amico e ci si aspetta antiche vicinanze. E invece… Intanto, non è un inedito, anche se non era stato pubblicato prima. Cioè, è un racconto scritto da Mankell per un premio letterario olandese nel 2004, poi utilizzato come sceneggiatura di uno degli episodi televisivi inglesi (lì dove il commissario è interpretato da Kenneth Branagh), e quindi riproposto ora da Mankell, con la promessa (come aveva detto dopo “L’uomo inquieto") che non esistono altre storie con Wallander. A tutta questa parziale mistificazione, si aggiunge la manchette dell’edizione italiana, che parla di Premio Chandler. Ma quello che non dice è che il Premio è stato assegnato a Mankell non per questo modesto libricino, ma è un premio alla carriera. Veniamo allora a queste poco più di 100 pagine. In realtà, abbiamo ben poco. E di quel poco, molto è stato già detto nel precedente libro (temporalmente successivo). Il commissario è stanco, probabilmente vuole andare in pensione, continua a non andare d’accordo con la figlia (su questioni marginali, ma la tensione c’è), vorrebbe trasferirsi in campagna e comprarsi un cane (e nel successivo sarà ormai così). Nel mezzo di questi piccoli avvenimenti privati (dormire, fare colazione, sentire musica, brontolare), il collega Martinsson gli propone una casa, tra l’altro vicina a dove viveva il padre (ora morto). Qui purtroppo Mankell imbroglia un po’ le carte, che nell’Uomo inquieto, la casa che compra è esattamente nello stesso posto e con la stessa descrizione di questa che va a visitare. Solo che quella è di agenzia, questa del collega. E questa non la prenderà, perché mentre la visita scopre una mano in giardino. Poi dalla mano risalirà ad un corpo (di donna) morto per soffocamento, e più tardi ad un successivo corpo (maschile) morto per un forte colpo alla testa (una vanga o simili). Probabilmente Mankell ha cercato di far quadrare i conti, modificando qualcosa in questo, viso che l’altro, già pubblicato in mezzo mondo, era difficile modificarlo. Tornando al romanzo, per tutto il tempo, dal ritrovamento in poi, Wallander cerca di scoprire l’origine della mano. Periodo natalizio nella Scania, con poco da fare per la polizia. Per cui Wallander, Martinsson, financo Linda la figlia, si mettono a scavare. Prima svolta: il medico legale dice che la morte è avvenuta una cinquantina di anni prima. Anche con questo suggerimento, non si cava ragno dal buco. E le pagine continuano a scorrere lente, comunicandoci soltanto la stanchezza (di Mankell e di Wallander) verso il lavoro e la sua monotonia. Seconda svolta è il ritrovamento del secondo cadavere, che fa ora ricercare una coppia e non più una donna sola. Utilizzando i dati catastali, Kurt risale a proprietari dopo proprietari, fino a trovarne una che si ricorda del periodo della guerra, e trova degli intonsi diari. Non male, leggere nel 2002 (anno di svolgimento della vicenda) dei diari tenuti in soffitta e risalenti al 1944! Lì Kurt trova il terzo indizio: l’accenno ad una famiglia estone, fittavola nella casa. E utilizzando i dati anagrafici, trova anche il figlio estone vivente, benché ormai oltre gli ottanta. Tutti i tasselli, faticosamente, andranno al loro posto, senza però che ci smuovano più di tanto. Insomma, un libro per smuovere un po’ il mercato in vista del Natale, ma che nulla aggiunge ai personaggi. E quando si tratta di fare indagini su vecchi casi, molto meglio il commissario Erlendur dell’islandese Indriðason. Provate per credere.
Jo Nesbø “Il leopardo” Einaudi euro 14 (in realtà, scontato a 10,50 euro)
[A: 01/11/2012– I: 14/12/2013 – T: 19/12/2013] - &&& e ½
[tit. or.: Panserkjerte; ling. or.: norvegese; pagine: 759; anno 2009]
Gli avrebbe giovato qualche centinaio di pagine in meno, che così risulta un po’ troppo lungo. Anche se Nesbø dimostra ancora una volta di saper maneggiare trame complesse, senza perdersi d’animo e senza dimenticarsi niente per strada. Peccato che il titolo italiano sposti l’attenzione da Hole (il titolo inglese si riferisce a qualcosa come “un cuore blindato” che è come si sente il nostro Harry o forse ad una pericardite, la malattia per cui sta morendo il padre di Harry) all’assassino che si muove silenziosamente proprio come un leopardo. Nesbø al solito costruisce un suo spaccato di mondo, dove entrano la storia poliziesca, fulcro della vicenda, ma anche tanti ruscelli laterali. Il più importante è la malattia terminale del padre di Harry, ed il rapporto tra lui ed Harry, durante colloqui e silenzi ospedalieri. Poi c’è il grande castello del rapporto tra Harry e Rakel (e Oleg, ovviamente). I due decidono di andarsene dalla Norvegia dopo essere stati in pericolo di vita nel finale del precedente. Avvenimento che Harry capisce ma non comprende. Tanto che si rifugia in Oriente, passando dall’alcool all’oppio. Ma anche quando torna, non sarà mai sopito. Anche quando rivede Rakel al funerale del padre. E sarà un caso, ma il librone si chiude su una lettera non aperta di Oleg che Harry non apre ancora mentre torna ad Hong Kong (mi sa che nel prossimo…). Infine c’è il rapporto tra Harry e le istituzioni: Anticrimine, Kripos (una specie di KriminalPol scandinava) e Ministero. È vero che Harry è un battitore libero (e per questo riesce a risolvere i complicati casi che ha davanti). Ma dovrebbe rispondere alla sua Unità, che manda l’ambigua Kaja a tirarlo fuori dalle peste orientali. E non dovrebbe mettersi in collisione con la Kripos, che sta tentando, tramite il suo capo Mikael di unificare (ovviamente sotto di sé) tutte le azioni criminali. Ovviamente Mikael è ambiguo, arrivista, e con qualche sassolino di gioventù da nascondere. Harry prima tenta di lavorare da sé, poi, per salvare la carriera a Kaja ed a Bjorn (il mago della scientifica) che lo hanno aiutato, accetta di inquadrarsi nella Kripos. Ma un suo passo falso in uno dei pre-finali, lo mette fuori gioco. Fortunatamente un giornalista amico tira fuori le magagne, ed alla fine Mikael avrà del lustro fingendo di aver risolto il caso, ma non la gloria per cui aveva lottato. E perderà (ma era ovvio) anche l’amante segreta che aveva. In tutto ciò, l’assassino dal piede felpato, il Leopardo del falso titolo, inanella una serie di omicidi. Tre (almeno) con un aggeggio di tortura che si dice inventato dai militari del Belgio in quel del Congo, e chiamato “la mela di Leopoldo” (inteso come re del Belgio). Oggetto a forma di mela, che si mette in bocca al malcapitato, si tira una cordicella e 24 lame sbucazzano il palato provocando la morte. Una, facendo saltare una donna con un cappio al collo dal trampolino di Holmenkollen. Altra con un pugnale. Una ancora, incollando il morituro alla vasca da bagno ed aprendo l’acqua. Il bello è che non si trovano i moventi. Almeno finché Harry non torna da Hong Kong. Tutte le persone morte erano transitate da una baia montana. Ne rimangono tre in vita: una donna, Iska, che si è trasferita in Australia, Tony un gigolò – investitore di capitali, ed un ignoto amante notturno. Si cerca di usare Iska come esca (scusate il bisticcio), facendola interpretare da Kaja. Ma il cattivo se ne accorge e provoca una valanga che seppellisce la baita dove stavano ad aspettarlo Harry, Kaja ed un poliziotto della Kripos. Una bella scena di panico sotto la neve, consente a due di loro di salvarsi (indovinate chi?). Ed Harry, collegando altri fattarelli e dopo una visita anche in Congo alla ricerca della mela, scopre il terzo incomodo. Guarda caso un infermiere che stava curando il padre (ma era un caso?), cui in gioventù Tony aveva praticamente tranciato la lingua per una questione di donne, che si era portato la bella alla baita, dove aveva visto Tony che se la scopava (ancora? Ma è proprio sfigato!). Ormai il cerchio si stringe, uno dei due è il colpevole. Ma mentre si cerca di incastrarlo, fugge. Saranno Harry e Kaja e ritrovarne le tracce di nuovo in Congo, arrivando al cruento epilogo vicino al cratere del vulcano Nyiragongo (per chi ricorda, uno degli epicentri del genocidio ruandese). La vicenda è anche piena di sottovicende: una famiglia ricca che adotta la figlia naturale della domestica, il problema dell’artrite dell’assassino e del padre, le vicende giovanili dell’assassino, compresa la strana morte della madre. D’altra parte ci sono quasi ottocento pagine da riempire. Comunque Nesbø scrive facile, il romanzo scivola molto agilmente (non come il quasi equilungo di Chandra), anche perché, rispetto ai precedenti, Nesbø ci mette più azione. Ci si sposta tra tre continenti: Europa, Asia, Africa. Non c’è solo Oslo. Ma Hong Kong, Lipsia, Copenaghen, Kigali, Goma, e via correndo per il globo. Pur tuttavia, è un filo lungo. Io non sopporto quando Harry si attacca alle bottiglie (capisco che sia un problema nordico, ma mi porta fuori pista dai solchi romanzeschi). E mi da fastidio non capire dove Nesbø vuole andare a parare sulla sua vita sentimentale. Chi sarà la bella vincente? E soprattutto, ci sarà? Però, in fin dei conti, a me HH (cioè Harry Hole) piace. Non sarà Pepe Carvalho o Salvo Montalbano e forse nemmeno Harry Bosch, ma mi piace. E spero che qualcuno si decida a tradurre i primi due libri mai arrivarti in Italia.
“Il fatto che qualcosa non sia accaduto non significa che non possa accadere.” (755)
“E poi stai invecchiando … perché … quando un uomo comincia a citare il proprio padre è vecchio. Fine dei giochi.” (756)
Una settimana (come vedete dagli occhielli) di lettura pre-natalizia, in un intorno di Tommaso. Mentre ora ci sono settimane di sistemazioni e di preparazioni. Anche se viaggi all’orizzonte se ne vedono pochi. 

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