Se la settimana scorsa siamo
tornati ai seriali in genere, non poteva mancare una seconda puntata dedicata
ai seriali scandinavi, che tanto successo hanno negli ultimi anni in Italia.
Due puntate in Norvegia con Harry Hole, il detective di Jo Nesbø e due in
Svezia, una con il da poco arrivato Gunnar Barbarotti di Nesser, ed una con
l’ormai arrivato al capolinea commissario Wallander di Mankell. Una settimana
di medio piacere (a parte il poco entusiasmante commissario) e di molto relax
di lettura.
Jo Nesbø “L’uomo di neve” Piemme euro 14 (in realtà, scontato a 10,50
euro)
[A: 01/11/2012– I: 29/11/2013
– T: 02/12/2013] - &&&
[tit. or.: Snømannen; ling. or.: norvegese; pagine: 531; anno 2007]
Ed
eccoci ad un nuovo capitolo di Harry Hole e della sua Norvegia. Nesbø sfoggia
al meglio la sua capacità di intrecciare vicende, purtroppo però, la storia (o
forse la vita) di Harry gli prende un po’ la mano. Non risulta scorrevole come
nelle precedenti, anche se riesce (e qui ci vuole un po’ di maestria) a
presentare tre diversi e plausibili colpevoli, prima di approdare a quello
definitivo, in un bel finale serrato (uno di quelli che ti incolla alla pagina,
segno di una bella capacità di scrittura). Peccato però che quando chiudi il
libro e ripercorri le vicende narrate senti che tu lettore avresti potuto fare
meglio. E ti ricordi le battute delle prime pagine, e ti dici: "Perbacco,
se fossi stato più attento… O se il libro fosse più corto…" (perché non è
sempre facile collegare una frase delle prime pagine con una seconda che si
trova verso pagina 350, e chiudere il cerchio con una terza oltre pagine 480!).
Intanto, e finalmente, Nesbø riesce ad imbastire una storia con un serial
killer. Sappiamo che la carriera di Hole era iniziata con la scoperta di un
serial killer australiano (in uno dei due libri non tradotti in Italia), e che
spesso pensava di averne uno sotto le mani, ma non era mai così. Qui, abbiamo
un paio di morti (anzi di morte che il fulcro è l’uccisione di donne) con
modalità analoghe. E con la comparsa sulla scena del delitto di pupazzi di neve
(Snømannen in norvegese), con dentro, sopra, intorno, pezzi di cadaveri. Come i
migliori serial, poi, non sembra esserci legame apparente fra le donne uccise.
Intanto, la squadra di Harry (dopo la morte del suo aiutante) si amplia con
l’immissione della bella Katrine proveniente da Bergen. Ed in parallelo, la
vita personale e sentimentale di Harry si complica alquanto. Rakel trova un
buon rifugio in Mathias, ma è sempre presa intimamente da Harry, con il quale
ritrova intese sessuali perdute. E Oleg, il figlio di Rakel, tiene sempre Harry
come stella cometa da seguire. Ma ci sono sempre “i mostri” dietro l’angolo.
Katrine non sembra così lineare come potrebbe essere, dà sempre delle dritte ad
Harry (anche se non esplicite). Ad esempio, tirando fuori una statistica di
donne scomparse negli ultimi 12 anni, statistiche “fuori norma”. Harry, da buon
segugio, comincia a fare due più due. E prima trova qualche legame possibile
(le donne frequentavano tutte lo studio del dr. Idar Vedlesen), poi ipotizza un
collegamento con le prime uccisioni avvenute proprio a Bergen, inclusa quella
del poliziotto che guidava le indagini. Cerca anche di farsi aiutare da
Mathias, anche lui dottore, e frequentatore in giovinezza di Vedlesen. Anche un
noto donnaiolo e giornalista ha frequentazioni con il dottore, ed anche qui si
accumulano sospetti. Perché ben presto si scopre che tutte le donne uccise
avevano avuto figli da relazioni extra-coniugali. E che lo studio di Idar e
Mathias faceva un elevato numero di test di paternità. Tra morti efferate che
continuano (che il serial killer usa uno strano cappio incandescente per le sue
esecuzioni, strumento altrimenti noto in veterinaria) e misteri che si svelano,
Nesbø ci porta a tappe forzate verso la soluzione. Ma chi sarà il misterioso
pupazzo-assassino? Prima si pensa a Idar, che tutte le donne transitavano da
lui, e soprattutto quando misteriosamente muore. Poi si passa al don Giovanni,
che almeno due delle morte avevano fatto un figlio con lui. Intanto Harry
scopre il cadavere di Rafto, il poliziotto di Bergen, e scopre che è anche il
padre di Katrine, la quale tenta di uccidere il libertino. Harry lo salva, fa
tutto un ragionamento sulla possibile pazzia di Katrine, fino ad arrestarla in
un drammatico sotto-finale. Ma alla fine, nel vero e lungo epilogo, si
ripercorrono tutte le morti, questa volta insieme al killer (che ha la stupenda
intuizione di farsi amico il poliziotto che indaga sulle morti, per poi ucciderlo
se arriva troppo vicino alla verità, come ha fatto con Rafto). Killer che
soffre di sclerodermia, per cui vorrebbe uccidere il maggior numero di adultere
(ricordi infantili) per poi essere ucciso prima che la malattia uccida lui.
Harry invece lo salva, e lo condanna ad un ergastolo psichiatrico quanto mai
pieno di sofferenze. La catarsi fa uscire dalla psicosi Katrine, che tornerà a
lavorare a Bergen. E sembra mettere su binari nuovi il rapporto tra Harry e
Rakel. Vedremo. In conclusione, una trama che si stratifica giorno dopo giorno
(Harry ci mette un mese a sbrogliare la matassa), lasciandoci a volte un po’
perplessi. Tuttavia la penna è buona, e la cosmogonia norvegese ne viene fuori
in modo chiaro e preciso. Peccato però che non sono riuscito a trovare la
citazione del film di Marty Feldman che fa Harry in finale (“Penso che me ne
andrò”, “Dove?”, “Non so, non cercatemi, soprattutto non nel Nord Africa”).
Qualcuno sa da dove?
“Harry: - Ci sono alcune cose che non
capisco di Katrine. Lo psicologo: - Per quanto mi riguarda, ci sono ben poche
cose che capisco in tutti gli esseri umani. Quindi, come psicologo, sei più
bravo di me.” (399)
Håkan Nesser “L’uomo che odiava i martedì” Tea euro 9
[A: 15/07/2012– I: 05/12/2013 – T: 07/12/2013] - &&&
e ½
[tit. or.: De ensemma; ling. or.: svedese; pagine: 471;
anno 2010]
Era
decisamente molto tempo che non prendevo in mano un nuovo romanzo di Nesser
(che per inciso è nato esattamente un giorno prima del mio amico Luciano). Che
al solito trovo piacevole, nella scrittura e nella trama. Ormai siamo nel pieno
della nuova serie (questo è il quarto episodio) ideata dallo scrittore svedese,
per riprendere lena dopo i lunghi anni passati con il commissario Van Veeteren.
Sempre nelle fittizie langhe della cittadina di Kymlinge, seguiamo da un po’
l’ispettore italo-svedese Gunnar Barbarotti. I personaggi si sono consolidati
ed hanno una loro dimensione. Gunnar ha trovato un nuovo amore della seconda
età con la bella Marianne. Ed ora vivono insieme, divedendosi la cura anche dei
loro cinque rispettivi figli (2 suoi e 3 di lei, credo). Abbiamo conosciuto e
seguito la parabola del suo aiutante, la simpatica Eva, che finalmente ha divorziato
dall’insulso Ville, ed anche lei gestisce i suoi due figli, accudendoli a
settimane alterne con il marito. Su tutto ciò si innesta “il crimine”. O almeno
qualcosa di doloso, su cui bisognerà indagare e comprendere. In un dirupo tra i
monti muore Germund, nello stesso luogo dove 35 anni prima era morta la sua
compagna di allora, Maria. La narrazione, sin dall’inizio, si biforca sui due
tronconi: il presente e l’indagine, da un lato, e la storia del gruppo di
Uppsala dall’altro. Perché un gruppo era, formatosi ai tempi degli studi e del
militare. C’è Rickard (che sottolineiamo di passaggio fa Berglund di cognome),
che studia teologia ed è l’uomo che odiava il martedì, giorno in cui per lui
capitavano avvenimenti infausti (o giudicati tali). C’è Tomas, di cui fa
conoscenza i primi giorni di Uppsala, giovane pieno di idee e fascinoso, che si
è appena messo con la bella Gunilla. C’è Maria, la sorella di Tomas, che ha
sempre atteggiamenti “non usuali”, dicono perché ha sbattuto la testa da
piccola in altalena. C’è Germund, il fisico teorico, uomo pieno di donne, ma
che si lega di un amore assoluto con Maria (anche se ognuno ha altri rapporti,
nella Svezia libertaria dei primi anni 70). C’è infine Anna, che studia
giornalismo, e che si innamora e si mette con Rickard. Seguiamo il percorso dei
sei durante il passaggio tra i 20 ed i 25 anni, segnato da un avvenimento
“cruento”. Decidono di investire in viaggi organizzati, comprano un pullman per
fare pratica, e vanno per un mese in giro per i Paesi dell’Est. Siamo ancora ai
tempi bui, ed in quel di Timisoara, vengono “rapiti” dai poliziotti, che
chiedono come riscatto una notte con una delle donne. Lì, Maria si sacrifica
per tutti. Ma da quel momento, la vita di tutti loro inizia una decelerazione
di amicizia. L’impresa di Tomas fallisce, e devono restituire i soldi. Gunilla
ha due aborti spontanei e non riesce a rimanere in cinta. Germund si aggira tra
tutti, rimanendo però sempre in disparte con quel suo misterioso fascino. Maria
non parla con nessuno. Anna e Rickard si sposano. Poi, dopo tre anni decidono
un incontro, una discussione serale (di cui non sappiamo molto) ed una giornata
per funghi. Lì dove Maria muore. Disgrazia? Suicidio? Omicidio? La polizia di
allora sospetta e indaga, ma non trova prove. Ora, dopo 35 anni, la morte di Germund
riapre il caso. Gunnar indaga, scoprendo anche strani legami tra la sua
Marianne ed il morto (anche se di più di cinque anni prima). Muore anche Anna,
rosa dal cancro. E Rickard diventa sempre più cupo, ora che si sente (e forse
è) definitivamente solo. Eva e Gunnar, leggono, chiedono, hanno intuizioni. Poi
tutto precipita con un aneurisma che colpisce Marianne (ma si salverà). Gunnar
che va fuori di testa, e, visto che certo ricordate il suo gioco a punti
sull’esistenza di Dio, decide che il gioco finisce qui (non vi dico chi vince).
Eva che costruisce i pezzi del rompicapo, arrivando alla conclusione che le
morti sono state dolose. Ed in un finale di svelamenti, Gunnar mette la parola
fine, svelando tutti i punti oscuri della vicenda. È un buon libro,
decisamente. Bella la mano che segue le diverse atmosfere. Dispiace solo,
forse, un po’ di lentezza in alcuni punti, soprattutto nelle vicende giovanili
dei sei. E nell’insistere su di una colpa o forse un reato che uno di loro
avrebbe commesso in gioventù. Non vi dico altro, se non sottolineando
l’incongruenza della decisione del titolo italiano. L’originale era “Il
solitario” che si attagliava a diversi personaggi, permettendo di mantenere un
velo di mistero a molte vicende. Puntare i riflettori su Rickard, seppur
d’effetto per la storia, risulta un punto negativo per la costruzione globale.
Peccato.
“Con le faccende di cuore le cose vanno
così: si sa, senza capire come si faccia a saperlo.” (140)
Henning Mankell “La mano” Marsilio euro 12
[A: 19/10/2013– I: 07/12/2013 – T: 09/12/2013] - &&
e ½
[tit. or.: Handen; ling. or.: svedese; pagine: 137;
anno 2013]
Sinceramente
sono un po’ deluso. Non è che mi aspettassi chissà che, perché io lo so (e lo
sappiamo tutti) che Mankell ormai ha abbandonato il commissario Wallander. Il
ciclo è finito, nel bene e nel male. Ma il battage che veniva fatto a questo
libro faceva sperare in qualche cosa, in un piccolo brivido di piacere quando
si incontra un vecchio amico e ci si aspetta antiche vicinanze. E invece…
Intanto, non è un inedito, anche se non era stato pubblicato prima. Cioè, è un
racconto scritto da Mankell per un premio letterario olandese nel 2004, poi
utilizzato come sceneggiatura di uno degli episodi televisivi inglesi (lì dove
il commissario è interpretato da Kenneth Branagh), e quindi riproposto ora da
Mankell, con la promessa (come aveva detto dopo “L’uomo inquieto") che non
esistono altre storie con Wallander. A tutta questa parziale mistificazione, si
aggiunge la manchette dell’edizione italiana, che parla di Premio Chandler. Ma
quello che non dice è che il Premio è stato assegnato a Mankell non per questo
modesto libricino, ma è un premio alla carriera. Veniamo allora a queste poco
più di 100 pagine. In realtà, abbiamo ben poco. E di quel poco, molto è stato
già detto nel precedente libro (temporalmente successivo). Il commissario è
stanco, probabilmente vuole andare in pensione, continua a non andare d’accordo
con la figlia (su questioni marginali, ma la tensione c’è), vorrebbe
trasferirsi in campagna e comprarsi un cane (e nel successivo sarà ormai così).
Nel mezzo di questi piccoli avvenimenti privati (dormire, fare colazione,
sentire musica, brontolare), il collega Martinsson gli propone una casa, tra
l’altro vicina a dove viveva il padre (ora morto). Qui purtroppo Mankell
imbroglia un po’ le carte, che nell’Uomo inquieto, la casa che compra è
esattamente nello stesso posto e con la stessa descrizione di questa che va a
visitare. Solo che quella è di agenzia, questa del collega. E questa non la
prenderà, perché mentre la visita scopre una mano in giardino. Poi dalla mano
risalirà ad un corpo (di donna) morto per soffocamento, e più tardi ad un
successivo corpo (maschile) morto per un forte colpo alla testa (una vanga o
simili). Probabilmente Mankell ha cercato di far quadrare i conti, modificando
qualcosa in questo, viso che l’altro, già pubblicato in mezzo mondo, era
difficile modificarlo. Tornando al romanzo, per tutto il tempo, dal
ritrovamento in poi, Wallander cerca di scoprire l’origine della mano. Periodo
natalizio nella Scania, con poco da fare per la polizia. Per cui Wallander, Martinsson,
financo Linda la figlia, si mettono a scavare. Prima svolta: il medico legale
dice che la morte è avvenuta una cinquantina di anni prima. Anche con questo
suggerimento, non si cava ragno dal buco. E le pagine continuano a scorrere
lente, comunicandoci soltanto la stanchezza (di Mankell e di Wallander) verso
il lavoro e la sua monotonia. Seconda svolta è il ritrovamento del secondo
cadavere, che fa ora ricercare una coppia e non più una donna sola. Utilizzando
i dati catastali, Kurt risale a proprietari dopo proprietari, fino a trovarne
una che si ricorda del periodo della guerra, e trova degli intonsi diari. Non
male, leggere nel 2002 (anno di svolgimento della vicenda) dei diari tenuti in
soffitta e risalenti al 1944! Lì Kurt trova il terzo indizio: l’accenno ad una
famiglia estone, fittavola nella casa. E utilizzando i dati anagrafici, trova
anche il figlio estone vivente, benché ormai oltre gli ottanta. Tutti i
tasselli, faticosamente, andranno al loro posto, senza però che ci smuovano più
di tanto. Insomma, un libro per smuovere un po’ il mercato in vista del Natale,
ma che nulla aggiunge ai personaggi. E quando si tratta di fare indagini su
vecchi casi, molto meglio il commissario Erlendur dell’islandese Indriðason.
Provate per credere.
Jo Nesbø “Il leopardo” Einaudi euro 14 (in realtà, scontato a 10,50
euro)
[A: 01/11/2012– I: 14/12/2013 – T: 19/12/2013] - &&&
e ½
[tit. or.: Panserkjerte; ling. or.: norvegese; pagine: 759;
anno 2009]
Gli
avrebbe giovato qualche centinaio di pagine in meno, che così risulta un po’
troppo lungo. Anche se Nesbø dimostra ancora una volta di saper maneggiare
trame complesse, senza perdersi d’animo e senza dimenticarsi niente per strada.
Peccato che il titolo italiano sposti l’attenzione da Hole (il titolo inglese
si riferisce a qualcosa come “un cuore blindato” che è come si sente il nostro
Harry o forse ad una pericardite, la malattia per cui sta morendo il padre di
Harry) all’assassino che si muove silenziosamente proprio come un leopardo. Nesbø
al solito costruisce un suo spaccato di mondo, dove entrano la storia
poliziesca, fulcro della vicenda, ma anche tanti ruscelli laterali. Il più
importante è la malattia terminale del padre di Harry, ed il rapporto tra lui
ed Harry, durante colloqui e silenzi ospedalieri. Poi c’è il grande castello
del rapporto tra Harry e Rakel (e Oleg, ovviamente). I due decidono di
andarsene dalla Norvegia dopo essere stati in pericolo di vita nel finale del
precedente. Avvenimento che Harry capisce ma non comprende. Tanto che si rifugia
in Oriente, passando dall’alcool all’oppio. Ma anche quando torna, non sarà mai
sopito. Anche quando rivede Rakel al funerale del padre. E sarà un caso, ma il
librone si chiude su una lettera non aperta di Oleg che Harry non apre ancora
mentre torna ad Hong Kong (mi sa che nel prossimo…). Infine c’è il rapporto tra
Harry e le istituzioni: Anticrimine, Kripos (una specie di KriminalPol scandinava)
e Ministero. È vero che Harry è un battitore libero (e per questo riesce a
risolvere i complicati casi che ha davanti). Ma dovrebbe rispondere alla sua
Unità, che manda l’ambigua Kaja a tirarlo fuori dalle peste orientali. E non
dovrebbe mettersi in collisione con la Kripos, che sta tentando, tramite il suo
capo Mikael di unificare (ovviamente sotto di sé) tutte le azioni criminali. Ovviamente
Mikael è ambiguo, arrivista, e con qualche sassolino di gioventù da nascondere.
Harry prima tenta di lavorare da sé, poi, per salvare la carriera a Kaja ed a
Bjorn (il mago della scientifica) che lo hanno aiutato, accetta di inquadrarsi
nella Kripos. Ma un suo passo falso in uno dei pre-finali, lo mette fuori
gioco. Fortunatamente un giornalista amico tira fuori le magagne, ed alla fine
Mikael avrà del lustro fingendo di aver risolto il caso, ma non la gloria per
cui aveva lottato. E perderà (ma era ovvio) anche l’amante segreta che aveva.
In tutto ciò, l’assassino dal piede felpato, il Leopardo del falso titolo,
inanella una serie di omicidi. Tre (almeno) con un aggeggio di tortura che si
dice inventato dai militari del Belgio in quel del Congo, e chiamato “la mela
di Leopoldo” (inteso come re del Belgio). Oggetto a forma di mela, che si mette
in bocca al malcapitato, si tira una cordicella e 24 lame sbucazzano il palato
provocando la morte. Una, facendo saltare una donna con un cappio al collo dal
trampolino di Holmenkollen. Altra con un pugnale. Una ancora, incollando il
morituro alla vasca da bagno ed aprendo l’acqua. Il bello è che non si trovano
i moventi. Almeno finché Harry non torna da Hong Kong. Tutte le persone morte
erano transitate da una baia montana. Ne rimangono tre in vita: una donna,
Iska, che si è trasferita in Australia, Tony un gigolò – investitore di
capitali, ed un ignoto amante notturno. Si cerca di usare Iska come esca
(scusate il bisticcio), facendola interpretare da Kaja. Ma il cattivo se ne
accorge e provoca una valanga che seppellisce la baita dove stavano ad
aspettarlo Harry, Kaja ed un poliziotto della Kripos. Una bella scena di panico
sotto la neve, consente a due di loro di salvarsi (indovinate chi?). Ed Harry,
collegando altri fattarelli e dopo una visita anche in Congo alla ricerca della
mela, scopre il terzo incomodo. Guarda caso un infermiere che stava curando il
padre (ma era un caso?), cui in gioventù Tony aveva praticamente tranciato la lingua
per una questione di donne, che si era portato la bella alla baita, dove aveva
visto Tony che se la scopava (ancora? Ma è proprio sfigato!). Ormai il cerchio
si stringe, uno dei due è il colpevole. Ma mentre si cerca di incastrarlo,
fugge. Saranno Harry e Kaja e ritrovarne le tracce di nuovo in Congo, arrivando
al cruento epilogo vicino al cratere del vulcano Nyiragongo (per chi ricorda,
uno degli epicentri del genocidio ruandese). La vicenda è anche piena di
sottovicende: una famiglia ricca che adotta la figlia naturale della domestica,
il problema dell’artrite dell’assassino e del padre, le vicende giovanili
dell’assassino, compresa la strana morte della madre. D’altra parte ci sono
quasi ottocento pagine da riempire. Comunque Nesbø scrive facile, il romanzo
scivola molto agilmente (non come il quasi equilungo di Chandra), anche perché,
rispetto ai precedenti, Nesbø ci mette più azione. Ci si sposta tra tre
continenti: Europa, Asia, Africa. Non c’è solo Oslo. Ma Hong Kong, Lipsia,
Copenaghen, Kigali, Goma, e via correndo per il globo. Pur tuttavia, è un filo
lungo. Io non sopporto quando Harry si attacca alle bottiglie (capisco che sia
un problema nordico, ma mi porta fuori pista dai solchi romanzeschi). E mi da
fastidio non capire dove Nesbø vuole andare a parare sulla sua vita
sentimentale. Chi sarà la bella vincente? E soprattutto, ci sarà? Però, in fin
dei conti, a me HH (cioè Harry Hole) piace. Non sarà Pepe Carvalho o Salvo
Montalbano e forse nemmeno Harry Bosch, ma mi piace. E spero che qualcuno si
decida a tradurre i primi due libri mai arrivarti in Italia.
“Il fatto che qualcosa non sia accaduto non
significa che non possa accadere.” (755)
“E poi stai invecchiando … perché … quando
un uomo comincia a citare il proprio padre è vecchio. Fine dei giochi.” (756)
Una
settimana (come vedete dagli occhielli) di lettura pre-natalizia, in un intorno
di Tommaso. Mentre ora ci sono settimane di sistemazioni e di preparazioni.
Anche se viaggi all’orizzonte se ne vedono pochi.
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