sabato 10 maggio 2014

Gialli, non Libri Gialli - 11 maggio 2014

Continuiamo la polemica, iniziata qualche trama fa, sui libri polizieschi di autore italiano. Lì avevo parlato (e non troppo bene) dell’esimia collana Mondadori, foriera di ben migliori uscite nella sua lunga storia. Qui abbiamo altri autori, usciti in altre collane ed altre edizioni. Ed il livello si innalza subito. Sarà che abbiamo qualche autore e autrice ben avvezzi allo scrivere, come la torinese Oggero (e la sua impagabile professoressa Baudino) o il milanese Tuzzi (con il bravissimo commissario Melis). Ma anche un’uscita tardiva, come quella dell’altrimenti nota Elda Lanza, che ho comprato per curiosità, e letto con piacere.
Margherita Oggero “Un colpo all’altezza del cuore” Mondadori euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 09/11/2013– I: 09/02/2014 – T: 10/02/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 317; anno 2012]
Se era un paio d’anni che non leggevo le storie genovesi della Fassio, ben più a lungo mi son trovato lontano dalla Torino e dintorni di Margherita Oggero. Sarà che nel frattempo, più e più volte se n’è parlato in televisione, dove la Pivetti ha dato una faccia ormai indelebile alla professoressa Camilla Baudino (nella fortuna serie “Provaci ancora prof”), e che forse anche la Oggero ha rallentato la scrittura. Comunque sono contento di questo ritorno, anche se è un ritorno di buona ma non eccellente fattura. Quello che ci vuole, forse, in questi giorni in cui l’influenza mi costringe a casa ed a letto. Una scrittura tranquilla, ed una storia ben congeniata, anche se, appunto, non eccellentissima. Tra l’altro, benché presente e discretamente centrale, la trama non si poggia solo sulla “prof”. In particolare, c’è il doppio binario, tra la nostra Camilla, e la sua amica Francesca, medico all’ospedale di Chivasso, ma spesso e volentieri a Torino dalla prof. E ci sono i due contraltari delle nostre eroine. Il commissario Berardi, che dopo due anni rivede Camilla, per cui aveva un forte “penchant” (ed anche Camilla, pur frenandosi, che c’è la famiglia, il marito Renzo, la figlia, rompipalle, Livia). Ed il capitano Sartori, della stazione di Chivasso, che sembra avere un debole per la Francy. Anche la storia procede sul doppio binario. Francy assiste all’investimento di una donna di colore da parte di una macchina che fugge. Cercando di saperne di più, e previa denuncia al Sartori di cui sopra, viene invischiata nella strana morte di un pensionato, sempre a Chivasso. Camilla, più crudamente, assiste all’uccisione di un uomo che viaggia in macchina, da parte di un centauro, che lo fredda con un colpo al cuore. La storia si srotola a capitoli alterni, tra le due città. Verso la ricerca di qualche elemento che ne porti a soluzione. L’incidente automobilistico è presto liquidato, trovando il colpevole, ma facendo anche sì che la donna di colore, nigeriana ex-prostituta, diventi amica di Francesca. E che questa trovi il modo di farle uscire le storie di sfruttamento e di miseria. Ma il cuore, dei cui colpi si parla nel titolo, è più di uno. Non solo del morto. Ma di Francesca, che rompe la sua tormentata storia con Guido (lo stronzo) che vive a Parigi e da sette mesi ha un’altra (e lei gli rompe il naso con un pugno: benfatto!). Di Francesca che pare prendersi con Sergio, un buttafuori locale, dai modi gentili, ed amante della città e della pulizia. Di Camilla, sempre combattuta tra il commissario ed il marito (ma poi sceglierà il secondo, e probabilmente non a torto). Le forze di polizia, intanto, aiutate dalle nostre, indagando, indagando, scoprono che il pensionato in realtà era uno strozzino, con la sua fiorente attività, aiutato da una strana prozia, e gingillantesi di sesso adolescenziale con la quasi nipote Deborah (molto ben tratteggiata da Margherita, tanto che capiamo presto che non potrà essere nel novero dei colpevoli, essendo troppo stupida). Con alle spalle almeno un cliente suicidatosi perché impossibilitato a pagare, e che lascia moglie affranta e figlio psicolabile. Anche il morto di Torino non è uno stinco di santo. È un imprenditore edile, che mette su cantieri dopo cantieri, lucrando sui margini economici, lasciando da parte la sicurezza sul lavoro. Tanto che tempo addietro muore un manovale, l’unico italiano tra tanti albanesi, rumeni e moldavi. Morto che lascia moglie portiera e figlio che, per guadagnare due soldi, va in Afghanistan e quasi ci lascia le penne (tanto che è ricoverato “fisso” in una struttura ospedaliera). Camilla, da buon intuizionista qual è, percepisce che ci debba essere un collegamento tra le due morti. Che sicuramente cominceremo a trovare quando si scopre che Sergio ed i due orfani erano compagni di scuola, e molto amici. Il resto è una normale corsa verso la fine, che non ci porta altri sussulti. Ma che ci fa sperare di trovare le due simpatiche donne in qualche futura avventura. Un unico appunto alle edizioni Mondadori per la loro revisione: ad un certo punto, intorno a pagina 260, invertono i nomi del suicida e del manovale. Ma una rilettura? Che vi costa, con tutti i soldi che prendete per ogni libro?
Elda Lanza “Niente lacrime per la signorina Olga” Salani euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 08/10/2013– I: 15/02/2014 – T: 17/02/2014] - &&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 415; anno 2012]
Un libro discreto da cui mi aspettavo forse qualche cosa in più. Soprattutto per l’autrice, interessante figura di intellettuale italiano poliedrico. Elda (nata quindici giorni prima di mia madre), studia alla Sorbona con Sartre, è tra le prime attiviste femministe degli anni Cinquanta, poi si laurea ed insegna Scienza del Costume e Comunicazione, ma, sopra ogni cosa, è ricordata perché nel 1952 è la prima presentatrice della TV italiana. Un paio di anni fa si cimenta con il genere giallo, sfornando questo arguto volumone. Che è ben articolato, complesso, a volte forse d’andatura lenta. Ma pieno di quello “stile” di cui Elda ha fatto la cifra della sua vita. La storia è, come ben si addice ai bravi scrittori di genere, “biforcuta”. Da un lato, il giallo, che si sviluppa all’interno di un benestante condominio di Trissina, alle porte di Milano. Dall’altro, le vicende (anche personali) del commissario addetto alle indagini. La scrittrice ci porta così ad esplorare i due mondi, che ovviamente si intrecciano quando Gilardi comincia ad occuparsi della morte della signorina Olga. La signorina abita da nove anni nello stabile, è una vispa ottuagenaria, con la passione del decoupage, che entra, anche se non partecipa al 100%, nella vita del condominio. Soprattutto, ha una liaison con il coetaneo maggiore dell’Esercito. Ma non disdegna la frequentazione della coppia che lavora ad un catering “fatto in casa”, lui Cesare cuoco quasi cinquantenne, lei Aurora, peperina trentenne. Meno contatti ha con l’Armanda, che da anni cerca di far divorziare il commendator Sanna, di cui è l’amante, ma da cui è ben ingannata, che i soldi il commendatore li ha dalla moglie, e non vuole certo separarsi. Olga viene trovata morta con un cappio al collo. Il patologo Marika decreta strangolamento, ma solo per portarsi a letto Gilardi. Che intanto indaga, scoprendo che la Olga è ben misteriosa. Poco si sa della sua vita, di come ha fatto i soldi. Ma soprattutto, c’è il mistero di un quadro veneziano scomparso, si dice della scuola del Canaletto. Forse è quello il movente? Mentre Marika fa marcia indietro, che in realtà la signorina è morta d’infarto. Quindi probabilmente non è neanche un giallo (a parte il quadro). Intanto si scopre che la simpatica vecchietta ha un nipote, architetto e gay, che vive in America. Jimmy, il nipote, prima di venire in Italia per l’eredità, fa una gita ai Caraibi, dove conosce il commendatore Sanna, e la di lei signora. Con i quali incomincia un trastolo per nuove costruzioni in un’area tipo Milano Cinque (e che porteranno  avanti più tardi). Max Gilardi intanto, aiutato dall’ispettrice capo Natj Cassani, riesce a svelare alcuni misteri. Trova il borgo natio di Olga, dove questa era concupita dal conte locale che però, messa in cinta un’altra donna, la lascia donandole il quadro di cui sopra. Il notaio che tiene l’eredità in mano, è poi lo stesso, che tramite l’amministratore e ragioniere del palazzo, ha venduto la casa ad Olga. Mentre Natj e Max si innamorano, e poi si sposeranno, facendoci conoscere le loro vicende personali. Natj è sangue misto, padre triestino e madre etiope che sta morendo di cancro. Max è napoletano, con padre arcigno avvocato mai convinto delle scelte del figlio. Passa quindi del tempo, e quasi si archivia la vicenda “Olga”, se non che muore il cuoco Cesare. Sembra avvelenato. Il nuovo patologo (che Marika l’hanno bella e mandata via) trova però che è morto per uno shock anafilattico da coloranti. Mentre muore, non si trova Aurora, che si scopre avere una relazione con il ragioniere di cui sopra. E brevemente, si scopre anche che Cesare è morto accidentalmente. Ma il rinascere delle indagini, dà una luce al nostro commissario. Nessuno, nel condominio, era veramente quello che sembrava. Olga era una falsaria di quadri sopraffina, che piazzava i suoi dipinti, tramite il commendatore, ad un cugino del notaio che vive in Svizzera. Aveva fatto anche un falso del quasi-Canaletto, e, venduto ad un museo, con quei soldi aveva “cambiato la vita”. Ed Aurora, che sembrava tanto legata alla vecchia, la andava a trovare solo per fuggire dal retro e ritrovarsi con l’amante. Ed anche il maggiore … Ma non vi svelerò tutto, anche se sottolineo il divertimento di un giallo con tanti morti e nessun “reale” assassino. Purtroppo la storia di Max e Natj avrà dei risvolti imprevisti, forse un po’ forzati e sicuramente a me poco graditi. Come se alla fine, la nostra scrittrice voglia poter dire che questo libro è un “unico”, e non l’inizio di un Montalbano lombardo. Questa è la parte in minore, che tiene bassi i giudizi per altro positivi della scrittura di Elda Lanza.
“Tutto era avvenuto mentre lui cresceva, distratto da se stesso e dai propri sogni. Si era trovato in un altro mondo senza rendersi conto che fosse cambiato.” (101)
“Ti vorrei solo per me senza rendermi conto che ti amo perché sei così, come sei.” (340)
Hans Tuzzi “Un posto sbagliato per morire” Bollati Boringhieri euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 16/02/2013– I: 24/02/2014 – T: 26/02/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 160; anno 2004]
Un discreto libro, di sicuro interesse, con un simpatico autore. Peccato qualcosa nella confezione non sia proprio “a puntino”. Come potete immaginare, il nome dell’autore è uno pseudonimo, visto che Hans Tuzzi è il protagonista di … (ma ve lo ricorderò solo alla fine della trama). Il nostro si chiama in realtà Adriano Bon, ed è un bibliofilo milanese, amante dei libri e dei cani (ed anche questo si sente dai suoi libri non-Tuzzi, come “Gli occhi di Rubino”, un libro dal sottotitolo illuminante: “Di cani, di libri, di cani nei libri”). Lessi anni fa i suoi due primi libri incentrati sul commissario Norberto Melis, che mi rimasero impressi per l’atmosfera e per l’arguzia della trama. Trame delicate, ma anche realistiche, cosa che spesso gli autori dimenticano. Ed erano anni che ne cercavo edizioni economiche, come questa ad esempio. Ma prima di entrare nella trama, ecco il “punto dolente”: perché questo posto sbagliato per morire, era stato già pubblicato anni fa con il titolo “Come il cielo sull’Annapurna”. Perché questo maquillage editoriale? Forse perché dal primo titolo l’autore ha cambiato casa editrice, passando dalla Bonnard (editrice di nicchia) alla Bollati Boringhieri? Fatto sta che un accenno andava pur fatto, e non che si veniva dicendo che il libro è del 2010. È precedente, e lo si nota nel taglio e nel modo di scrivere (ed ancor più se si pensa che la vicenda è situata nei primi giorni di ottobre del 1981). Ma veniamo allora alla storia. Un ricco architetto viene ucciso alla periferia di Milano. Un ladro che deruba un puttaniere? Qualche screzio con le prostitute? Il commissario Melis, appena nominato capo della Squadra Anticrimine, fa subito piazza pulita delle “stupidaggini”. E comincia ad indagare, alla sua maniera. Perché Melis vuole capire il contesto della vittima. Chi era? Come viveva? Come agiva? La ricostruzione del personaggio, porta spesso ad una rivelazione, ad una scintilla che ci risolve il caso. Ecco allora che ci troviamo a ricostruire la vita dell’architetto Manrico Barbarani. Sessantenne con passione dell’alpinismo (da cui il primo titolo), un primo divorzio non traumatico alle spalle. Un secondo molto contestato, soprattutto che c’è un figlio di mezzo, avuto in tarda età dall’architetto. La madre di Duccio fa di tutto, ed anche di più, per avere il figlio e rompere i bastoni tra le ruote all’ex-marito. Che tanti altri piedi ha pestato nella vita: ha uno studio tecnico ben avviato, ma non è in buona con il socio, ha litigato con un ex-socio che lasciò lo studio rubando progetti, ha litigato con un neo-ricco che interferiva nelle scelte tecniche delle commesse, ha litigato con un politico per una questione di gare d’appalti. Insomma, tanta gente lo vedeva come il fumo negli occhi. E soprattutto quella gatta morta della seconda moglie. Che si fa circuire dal politico per rendere la vita difficile a Manrico, e che tratta in modo esecrabile il piccolo Duccio (da telefono azzurro immediato). Ma come ben presto scopre il nostro Melis, anche il Barbarani non è che fosse uno stinco di santo. Rancoroso, con memoria d’elefante, ed in particolare dedito a tutto per avere l’affido del figlio. Anche a far riempire la macchina della ex di soldi falsi e far fare una denuncia alla polizia svizzera. Peccato che si sia servito di un ex-agente dei servizi segreti, talmente poco affidabile che si fa scoprire. E coprire dai Servizi, anche se… Le uniche persone che vogliono bene a Manrico così com’è sono la vecchia tata (e le tate si sa sono acritiche) ed un’associata allo studio, la Clara. Che seguendo tracce sue, scopre le frequentazioni di Manrico con una strana agenzia di intercettazioni. Che guarda caso è quella dei servizi. Che guarda caso, poco dopo, Clara finisce sotto la metropolitana. Beh, avete capito anche voi, no? Tuzzi lo si segue piacevolmente in questa Milano degli anni Ottanta, non ancora craxianamente corrotta. E seguiamo Melis, con il cane Kim e la fidanzata Fiorenza, con le sue peregrinazioni, con le sue frequentazioni, e soprattutto, con la sua squadra, di cui impariamo a conoscere gli elementi e le caratteristiche. Se Tuzzi avesse uno scatto in più poteva nascere un bel seriale di libri. Invece, rimane sempre un po’ al di qua. Non vi dico quindi, i finali del libro così potrete scoprire voi stessi chi ha ucciso l’architetto. Vi dico, però, come avevo promesso, che Hans Tuzzi è il protagonista del libro “L’uomo senza qualità” di Musil. Chiaro, no?
Hans Tuzzi “Un enigma dal passato” Sole 24 ore – Noir Italia 25 euro 6,90
[A: 04/01/2014– I: 26/02/2014 – T: 28/02/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 137; anno 2005]
Intelligente, colto, forse un filo poco giallo, ma la scrittura di Tuzzi è sempre di gradevole lettura. Anche in questa storia ambientata nella Val d’Ossola in quel del 1986. Protagonista, è ovvio, ancora il commissario Melis in vacanza tra i monti a causa di una caviglia slogata. Allora un bel riposo tra le verdi valli, in compagnia dell’amata Fiorenza, a trovare vecchie conoscenze (di lei). Ed a penetrare nelle complicate vicende interpersonali di un paesino dove tutti si conoscono da una vita. Tuzzi ce li fa conoscere tutti: la maestra Maldini, che ha avuto tutti i ragazzi e le ragazze del paese come alunni, il dottor Greppi, che li ha invece curati tutti, le tre sorelle Chiomenti, “signorine", come ci tengono a sottolineare a più riprese, il professore Maldifassi, esperto di streghe ed altre cose occulte, con la molto più giovane moglie, nonché il maresciallo Africo Fallacara, detto “il polpetta” indovinate perché. Sarà proprio il maresciallo a chiedere l’aiuto del commissario in vacanza quando si scopre tra i monti il corpo nudo di un uomo. Ovviamente morto. E che nessuno conosce. Indagine nel circondario, ne fanno ritrovare tracce in un paese vicino, scoprendo che il morto veniva dall’Argentina. Questo da modo, tra una chiacchiera e l’altra, tra un tè ed una passeggiata, di ricostruire la parte antica dell’enigma. Come mi aspettavo, sentendo il nome della valle e ricordando i famosi partigiani della valle (quelli della repubblica partigiana di Umberto Terracini, narrata nel bel libro di Giorgio Bocca), si deve risalire a quaranta anni prima, nella parte finale della guerra. Dove il maggiorente del paese, Saverio Guaraldi, avendo due figli gemelli, li spedisce uno tra i partigiani ed uno tra i repubblichini, così da trovarsi parato in ogni caso. La guerra finita, il Guaraldi vincitore convince l’altro a rifugiarsi in Argentina. E con lui parte uno spiantato del paese, Giovanni Marangoni. Ma la vita di uno dei due finisce presto, su di un aereo precipitato in Venezuela. Il salvato si fa argentino e cambia il nome in Jaime Carpintero. Nessuna sorpresa che il morto si chiami allora Javier Carpintero? Le tracce tra l’Italia e l’Argentina si complicano perché anche una delle signorine Chiomenti, l’unica che stava per sposarsi, aveva l’amato partito per il nuovo mondo e mai tornato. Tuzzi gioca un po’ sulle diverse ambiguità, cercando lumi anche con una delle memorie storiche del paese, Adelia, la tata dei Guaraldi, rimasta sui monti con il figlio Severino, un po’ disturbato. Due le svolte che porteranno a risolvere l’enigma: la morte di Enrico, il gemello rimasto, e la conseguente nascita di illazioni sull’eredità lasciata e quella, seppur involontaria, che darà il professor Maldifassi, quando in una conferenza accenna al fatto che in dialetto locale, falegname si dica “marangon”. Ed in spagnolo falegname si traduce anche “carpintero”. E Jaime è lo spagnolo per Giacomo, come Javier per Saverio. Il commissario Melis, gamba permettendo, ma lasciando poi tutto nelle mani di Africo, risolve il non complicato e poco giallo enigma (nonché qualche piccola bega locale che neanche si ricorda dopo un po’). Rimane la scrittura, l’atmosfera, la cultura dell’autore. Pieno di citazioni alte (un rimando ai fratelli Karamzov?), anche se (ma qui la mia ignoranza è crassa), parlando del male e della sua banalità, a pagina 62 cita il poeta Auden e non la storica Hannah Arendt. Ed io mi domando se qualcuno mi sa sciogliere questo di enigma. Un ultimo elemento di piacevolezza, è il “blind dinner” dove, come nei “blind test” dei sommelier, vengono serviti diversi piatti, di cui i commensali devono indovinare gli ingredienti. Una specie di “Alta cucina” di Rex Stout alla rovescia. Rimane alla fine il piacere della lettura di questi libri in punta di penna di uno “scrittore senza qualità” (scusate il gioco…).
“Il male non è mai straordinario. Il male … ha il volto ottuso del vicino di casa.” (62)
“In fondo, cos’è un viaggio se non il giro più lungo per tornare a casa?” (64)
“Peccato soltanto che si debba sempre morire, per perdonare.” (96)
Ed è anche passata la mia festa, di cui sono ben contento, con la dovuta calma e tranquillità. Ora la testa è per le prossime partenze. La Turchia si avvicina ed il gruppo si ingrossa. La Tunisia è ferma e non si muoverà per un po’. E ci sono rumori per qualcosa di settembrino. Staremo a vedere. Per ora, un rilassato abbraccio 

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