Visto che pochi sono i lettori
rimasti a leggere queste righe (sperando che molti siano vacanzieri e
riprendano a discettarne dopo la pausa estiva), e che quindi anche le
provocazioni dell’ultima trama non hanno suscitato molta eco, dedichiamo
l’ultima trama di luglio ad una scrittura non impegnativa, ma sicuramente di
buona fattura. Dedicata a quattro romanzi di Giorgio Scerbanenco, di cui nella
prima trama indico le linee descrittive della persona e dell’opera. Anche a
distanza di anni, la sua scrittura rimane feconda e di pronta presa, le sue
atmosfere interessanti. Insomma, è lui, il padre del noir italiano, e si sente.
Ma è anche, e mi fa piacere leggerne, un bravo utilizzatore della parola
scritta. Uno scrittore completo, anche se, per sua natura, legato molto alla
vita “così come si svolge sotto i nostri occhi”.
Giorgio Scerbanenco “Al mare con la ragazza” Corriere della Sera 6 euro
6,90
[A: 04/01/2014 – I: 19/02/2014 – T: 21/02/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 158;
anno 1950]
Meritoria
e discretamente ben confezionata opera del Corriere della Sera: ripubblicare
molti dei romanzi e dei racconti del grande Scerbanenco. Per chi non ne fosse a
conoscenza, Scerby (come lo chiamo affettuosamente) è il grande padre del
giallo italiano. Pur essendo, in realtà, di origine ucraina (nato a Kiev nel
1911 da madre italiana e padre Ščerbanenko) si trasferisce presto (negli anni
’20) in Italia, dove fa mille mestieri, prima di intraprendere, anche se con
alterne fortune, il mestiere di scrittore intorno alla metà degli anni ’30 (e
lui ne aveva poco più di 25 all’epoca). Prolifico un po’ alla Simenon, scrive
di tutto, prima di trovare la sua strada nel giallo. Anche qui, con eclettismo
puro, che passa di racconto in romanzo, arrivando solo alla metà degli anni ’60
ad avere un personaggio fisso e centrale: Duca Lamberti, di cui ho parlato in
altre occasioni. Fatto sì, che tutta la produzione noir italiana gli deve
molto, e non a caso, a lui è intitolato il più prestigioso premio per scrittori
di genere. Dopo alcune uscite (già presenti nella mia libreria), questo è il primo
“nuovo” che incontro, anche se, come dice l’anno di scrittura, è ben datato. Ma
è di una potenza espressiva forte ed immutata nel tempo. Anche se la storia,
come molte delle piccole trame di Scerby, non è di molto complicata. E se
vogliamo, non è neanche un giallo classico, non dobbiamo scervellarci a capire
chi muore, chi uccide, e via sparacchiando. No, è tutta atmosfera, è tutta
Milano, quella degradata delle periferie, quella cantata dal primo Gaber
(ricordate il Giambellino?), quella che ritornerà negli anni ’90 con la Quarto
Oggiaro di Biondillo. In questa periferia senza speranza, nascono e si danno
mutuo soccorso Duilio e Simona. Li vediamo bambini, guardare una grande
pozzanghera pensando che sia il mare. Mare che continuano a non vedere anche crescendo.
Studi interrotti, ricerca di piccoli lavoretti per aiutare le famiglie. Con i
loro abitini miseri, con le loro faccine pulite, ma che si vanno scurendo, con
i capelli a banana di Duilio. E con sempre quel sogno nel cassetto, quello di
vedere il mare. In questo degrado senza speranza, ad aiutarli verso il basso,
il falso amico Innocenzo, che gli presta una stanzetta dove consumano, e che
gli organizza il colpaccio. Una rapina ad un garagista, di semplice fattura e
grande resa. Sembra andare tutto bene, ma come montano in macchina per
scappare, la macchina si spegne, fatica a partire, e quando parte, il garagista
li insegue, spara, ed ovviamente uccide Simona. Da qui tutta una seconda parte
dove Duilio va sprofondando verso tutti i suoi abissi, che senza Simona la vita
non ha più senso. Su questa si innesta una seconda trama di personaggi questa
volta borghesi. Ernesto ed Edoarda
(detta Arda) trentenni che non riescono ad amarsi per la presenza ingombrante
della sorella di lui. Arda, in questa calda estate milanese, prende la macchina
e va verso Venezia. Duilio arriva al mare e ne parla al fantasma di Simona (che
lui ha nascosto nel bagagliaio). Peccato che lasci la macchina aperta, e gliela
rubano. Il ladro si accorge della morta e la lascia per strada. I carabinieri
la trovano e cominciano la caccia all’uomo. Intanto Duilio disperato è raccolto
per strada da Arda, che viene toccata dal personaggio. Che lo porta dal suo
amico avvocato a Trieste. Dove la raggiunge Ernesto, che ha rotto con la
sorella. I due aiutano Duilio, lo nascondono per un po’. E Duilio, anche se
sempre ottuso dentro, a poco a poco capisce che non c’è più speranza per lui.
Prende le lamette da barba di Ernesto, e torna verso il mare, dove vuole tagliarsi
le vene. Ma lì trova una bimba sperduta, che guarda caso si chiama Simona, lui
la salva, la porta dai carabinieri, e finalmente confessa le sue malefatte.
Arda ed Ernesto capiscono che Duilio ha trovato la sua via, e finalmente
riescono a confessarsi il loro amore. E Duilio si avvia verso il carcere, con
le lamette in tasca. Come finirà? Questo è l’unico mistero che lascio ai miei
amici lettori. Quello che ribadisco, è la capacità di Scerby di presentare in
poche righe la disperazione di Duilio, l’innocenza di Simona, la sbandata morale
di Arda, il rigore di Ernesto. C’è tutto un mondo, una vita dietro le scarne
descrizioni del nostro. Non è, e mi dispiace, un capolavoro, non raggiunge
vette espressive somme, ma è un esempio di scrittura da prendere, sottolineare
(e perché no, far leggere ai nostri amici, vero Luciana?).
Giorgio Scerbanenco “Ladro contro assassino” Corriere della Sera 7 euro
6,90
[A: 04/01/2014 – I: 22/02/2014 – T: 23/02/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 132;
anno 1971]
Seconda
lettura delle uscite antologiche di Scerby presso il Corriere. Ancora più
scarno, ma ancora più diritto allo scopo. E questa volta c’è anche un po’ di
giallo e non solo d’atmosfera. Intanto è uno dei primi libri pubblicati
postumi, che Scerby muore nel ’69 a soli 58 anni. Inoltre, benché al solito
come in quasi tutti i suoi scritti, c’è un’atmosfera milanocentrica, qui ci si
muove anche un po’ per l’Italia. Come detto, la trama in sé e scarna e diretta.
Abbiamo la storia di Mario, borsaiolo di piccolo cabotaggio, appena uscito di
prigione per piccoli borseggi. Ha una storia con Carolina, un’assistente
sociale che anche quando scopre l’attività di Mario, continua ad amarlo. E gli
chiede di fare una gita ad Orvieto dove sognava di andare da sempre. I due
passano una bella giornata, poi Mario si allontana per prendere qualcosa al
bar, e quando torna trova Carolina nell’auto morta. Spaventato dalle grida di
tre capelloni e dall’arrivo dei carabinieri, invece di spiegarsi, scappa. E qui
comincia la seconda parte: braccato, aiutato da una compagna di (mala-)vita,
sfugge alla cattura, rifugiandosi sul Trasimeno. Ma è tormentato dalla morte
dell’amata e dalla necessità di capire il perché. Dopo mille tentennamenti,
decide di tornare a Milano, e dalla madre di Carolina (l’unica che lo crede
innocente) si fa dare l’elenco delle persone che avevano relazioni con la
figlia. Mentre torna nel rifugio, è però intercettato dai capelloni (e non
dalla polizia). Qui c’è la parte più “ridicola” del romanzo, che Scerby inscena
qualche passo di contestazione che non è nelle sue corde e che, appunto, suona
ridicolo. Ma gli anarchici, dopo una specie di processo interno, decidono di
credere in Mario e di aiutarlo. Ne curano un travestimento da capellone, lo
ricongiungono con Giovanna, ed i due cominciano a battere i diciotto nomi della
lista della madre. Senza cavare un ragno dal buco. Ma i cerchi vanno
stringendosi. Giovanna è intercettata dalla polizia. Mario scappa di nuovo dai
capelloni, che lo mettono in contatto con un avvocato. Insomma, pensieri,
crisi, rimuginamenti vari. Mario capisce che non ce la farà mai. Ed anche se
tutte le prove sono contro di lui, pensa di costituirsi. Ma prima vuole
rivedere i luoghi dell’infanzia di Carolina. Tra inseguimenti veri e falsi,
depistaggi ed altro, alla fine arriva nella campagna toscana, dove… La parte
finale è un piccolo crescendo di sensazioni e di agnizioni, non bellissime dal
punto di vista stilistico (tanto che alla fine il romanzo non avrà i massimi
voti da me), ma di un bel ritmo. E con un bel finale. Alla fine ci sono molti
stereotipi delle epopee di Scerby: i ladri sono ladri, e difficilmente
diventano assassini, i poliziotti, spesso, sono più canaglie dei ladri “onesti”
(e quando il poliziotto prende a schiaffi Giovanna per farla confessare, ci
sentiamo montare la collera), i capelloni e gli anarchici sono un po’ delle
macchiette, parlando con frasi fatte, ma quando Scerby li depura dalle
sovrastrutture ideologiche (e si sa dalla sua storia che non è mai stato tenero
verso il comunismo), e ne tira fuori i lati umani, risultano comunque
credibili. L’autore ha inoltre una capacità filmica di passare da
un’inquadratura ad un’altra, nel corso dello stesso capitolo, utilizzando quasi
delle dissolvenze di scrittura, che tendono a far crescere le tensioni del
racconto. A volte, mentre si sta svolgendo una scena forse interessante per la
comprensione degli avvenimenti, passa a parlare di un diverso protagonista che
avevamo lasciato qualche pagina prima da qualche altra parte. Ma la sua
capacità, poi, è quella di ricongiungere il tutto, e di spiegarlo. Forse anche
troppo didascalicamente. Eppur tuttavia a me piace questo modo di narrare. E
trovo le sue storie sempre interessanti: getta sempre e comunque uno sguardo
verso gli emarginati, e lo fa, comunque, con occhio asciutto. Non si perde in
inutili lagnanze, come quando Mario confessa di aver cercato lavoro “onesto”,
ma che oramai sa fare solo il ladro. O quando tratteggia la figura del ladro
“pensionato”. Quindi, ripeto, da leggere e meditare, con alti e bassi. Ma
d’altronde, chi non ce l’ha?
“C’è sempre una barcata di gente che cerca
di spiegarci chi siamo – perché loro lo sanno e noi no -, che cosa dovremmo
fare – perché noi ovviamente non lo sappiamo – e perché sbagliamo tutto nella
vita, mentre invece, se seguissimo i loro consigli, saremmo tanto felici e a
posto.” (10)
Giorgio Scerbanenco “Dove il sole non sorge mai” Corriere della Sera 9
euro 6,90
[A: 21/01/2014 – I: 12/04/2014 – T: 14/04/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 194;
anno 1975]
Terza
lettura, sempre meno gialla, forse un poco thriller. Comunque d’ambiente, come
potremmo dire ora. E di quelli a metà. Cioè, parte del romanzo (buona parte) è
in ambienti degradati e mal frequentati (tuta la prima parte si svolge in una
specie di riformatorio). E parte in ambienti tra il normale e l’altolocato, che
sempre è un pallino di Scerby. Così la protagonista è una contessina, i
co-sparring partner una famiglia di editori, la fata turchina una principessa.
Un solo appunto, direi editoriale. Il racconto è un lungo, ininterrotto
capitolo. La storia, invece, si spezzetta ogni tanto. Non so se abbia senso
iniziare un nuovo capitolo ai cambi di scena (potrebbe essere dannoso per la
tensione, o la configurazione di co-temporalità di alcuni avvenimenti), ma
almeno una riga bianca che permetta di uscire dall’apnea, riprendere fiato, e
seguitare a leggere. La storia segue abbastanza linearmente (almeno per 2/3) le
vicende della sedicenne contessina Emanuela. Morti i genitori friulani, viene
affidata alla nonna genovese. Che tuttavia è una specie di maitresse, dalla cui
casa Emanuela fugge, e cerca di ritrovare Tonio Karr, il rampollo dell’omonima
casa editrice con cui stava per avere un “filarino”. Pensa di trovarlo a
Milano, ma Tonio (la famiglia ha molte case) si trova a Roma. Cerca di andare a
Roma ed accetta un passaggio da tre amici di una conoscente milanese. Peccato
che i tre abbiano appena fatto una rapina, ovviamente vengono fermati ad un
posto di blocco vicino a Roma, fuggono, la macchina si ribalta, lei, contusa,
si avvia a piedi a Roma e trova Tonio e family. Intanto i tre vengono
arrestati, e si cerca il quarto componente della banda, una biondina. Tonio
pensa che sia lei, ed ha parole dure. Lei è orgogliosa e se ne va. Arrestata
immediatamente, non ha una parola in sua difesa, e viene mandata in
riformatorio a Milano. Qui c’è la parte migliore e non thriller della vicenda.
La descrizione della Casa di Correzione, con la direttrice, il capo dei
secondini (donna quasi nazi), la principessa che svolge un lavoro umanitario e
si prende a cuore Emanuela. Ma anche le altre detenute, la capo stanza, dura,
spia, ma fragile dentro, l’altra subito amica. Emanuela prova essa stessa a far
la dura, ma non ci riesce. Anche perché non vuol dire i motivi della sua fuga
da Genova. E quando la principessa le offre un sollievo attraverso una visita
medica, non trova di meglio che fuggire dall’ospedale. Infatti, l’unico
pensiero che ha maturato è di ritrovare Tonio e spiegare a lui i suoi motivi.
Intanto il belloccio ventenne è in vacanza a Sirmione con la sua nuova bella,
che però si accorge che lui pensa all’altra e lo manda a ramengo. Tonio torna a
Roma, convince la madre ad ingaggiare un grosso avvocato e si reca con lui a
Milano per parlare con Emanuela. Lì scopre che la contessina è fuggita. Da
questo punto, comincia ad ammirare la capacità di intreccio di Scerby, che
riesce a far andare male tutto quello che può andare male. Emanuela, infatti,
utilizzando il vecchio autista del padre va a Roma, dove arriva alle quattro
del mattino, e telefonando a casa Karr, una domestica infastidita le dice che
la famiglia sta a Francoforte. Tonio e l’avvocato chiamano da Milano avvertendo
la madre della fuga di Emanuela. La madre cerca di avvertire Francoforte ma la
contessina ha già chiamato. E si dispera. Qui entra in scena il buon autista,
che la convince ad un ultimo tentativo. Si recano a casa Karr, parlano con la
madre, e sembra che l’orizzonte si spiani, e si mettono in attesa di Tonio. Ma
Tonio e l’avvocato, a pochi chilometri da Roma hanno un incidente, serio ma non
grave, e vengono trasportati in ospedale a Monterotondo. I Karr e la contessina
prendono la macchina e corrono in ospedale, ma prima di arrivare vengono
fermati dai Carabinieri che stanno effettuando una battuta di caccia alla
ricerca di un assalitore di giovani donne. Ovviamente, Emanuela non ha i
documenti e viene arrestata. E riportata in riformatorio, messa anche in cella
di rigore per la fuga. Fortunatamente, mentre l’avvocato tenta in tutti i modi
di trovare delle scappatoie, a Genova … Vi lascio sospesi sul finale di storia.
Immaginatelo come volete, non è la parte più importante. I fulcri sono due: la
parte che si svolge negli Istituti di correzione, con la descrizione delle
piccole meschinerie quotidiane, e la parte di accelerazione degli avvenimenti,
quando ogni due pagine c’è un accadimento nuovo che mette in pericolo quanto di
buono stava avvenendo fino ad allora. Non è il meglio di Scerby, quello duro e
senza speranza, quella del Duca Lamberti o dei ragazzi del massacro. Ma molto
coinvolgente leggerlo. Una domanda soltanto: la vicenda si svolge nel 1969, e
molti avvenimenti sono legati al telefono. Se rispondono, se la tele sezione
prende, se Tonio è lì o altrove. Mi chiedo appunto, cosa sarebbe della stessa
storia, ora nel mondo interconnesso dei cellulari? Bella sfida per chi la sa
risolvere.
Giorgio Scerbanenco “Europa molto amore” Corriere della Sera 10 euro
6,90
[A: 01/02/2014 – I: 26/04/2014 – T: 28/04/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 195;
anno 1961-66]
Direi
un onesto e tipico prodotto della scrittura di Scerby. Intanto sveliamo il mistero delle due date: la prima si riferisce
all’inizio della pubblicazione del romanzo a puntate su Annabella e la seconda
sulla prima uscita in volume. E questo fatto spiega due elementi un po’
negativi del libro: l’andamento un po’ lento (si dovevano comunque presentare
un certo numero di puntate, mentre la trama poteva essere accorciata) e la
sensazione di avere, oltre al giallo, una mini guida europea dei primi anni
’60. Tra l’altro, cominciato a scrivere durante la costruzione del Muro di
Berlino, ci dà anche un’immagine interessante delle divisioni sul suolo tedesco
all’epoca. La storia segue le avventure che rischiano di degenerare di due
giovani poco più che ventenni, la tedesca Barbara e l’italiana Ornella.
Barbara, trovandosi in vacanza da Ornella a Milano, decide con lei di tornare a
Berlino. Per questo, su consiglio di un fantomatico vicino di casa, Karl,
decide di accettare il passaggio di uno strano tipo, il conte Paul. Questi si
rivela un farabutto (come lo è anche Karl), che cerca di portarle a Parigi, per
farle prostituire, rubando loro il passaporto. Con un colpo di borsetta, tanto
forte quanto sfortunato, Barbara uccide il conte. E qui cominciano le
disavventure, scandite dalle puntate del mensile, in modo ogni volta di
spingere all’acquisto successivo. Riescono ad andare a Lione, rifugiandosi da
un amico di Barbara, André, innamorato di lei. Peccato che nel frattempo André
sia diventato un poliziotto. Mentre sono con lui, cercando di farsi aiutare
senza farsi sgamare, la polizia trova il morto, tra l’altro con l’auto
imbottita di droga, e dirama una ricerca su tutto il territorio delle due.
Arrivata la richiesta a Lione, André si fa raccontare tutta la storia (quella
di cui sopra), e invece di far costituire le due, preso dall’amore, fabbrica
loro dei salvacondotti falsi per la Germania. Peccato che non glielo dice, e
mentre lui è all’opera, le due scappano con il treno. André, beccato subito dai
superiori, viene immediatamente degradato e mandato lontano da Lione. Le nostre
eroine cercano di capire come attraversare la frontiera tra Francia e Germania
senza passaporti (siamo ancora molto lontani da Schengen), ed hanno la sfortuna
di trovare sul treno il cattivo Karl. Lui cercherà di vendicarsi delle
malefatte subite dal conte, riuscendo a passare via terra il confine (come gli
spalloni italo – svizzeri). In Germania si procurano una Mercedes, ma per arrivare
a Berlino devono attraversare il settore russo della DDR. Karl cerca di
turlupinarle, ma sono loro ad avere la meglio, ad abbandonarlo in mezzo alla
via, solo e senza passaporto. Vengono anche fermate dai russi, ma non sono
russi qualsiasi. Qui si rivela un po’ dell’origine del nostro. Che fa del
colonnello russo, non un russo ma un ucraino (Scerby era nato a Kiev),
inquadrato a forza, ma gentile come tutti gli ucraini. Il colonnello le porta a
Berlino. Loro vanno a casa di Barbara, ma anche lì l’Interpol ne trova le
tracce. Scappano allora in un albergo, dove lavora Berto, un calabrese
immigrato che un paio di anni prima si era innamorato di Ornella (immagino che
i fautori del lieto fine, già stiano pensando a come potrà proseguire).
Continuano i colpi di scena dettati dal ritmo delle pubblicazioni: dopo alcuni
giorni di quiete, la polizia fa un controllo a sorpresa nell’albergo. Barbara e
Ornella riescono a fuggire, mentre Berto viene sorpreso nella falsificazione
dei documenti di residenza e, dopo due mesi di carcere preventivo, verrà
espulso dalla Germania. Le nostre due eroine non hanno di meglio che chiedere
aiuto al colonnello. Che intanto viene richiamato verso Mosca (dove sarà
ucciso, come molti ucraini), ma prima riesce a fornire due passaporti sovietici
alle nostre e a farle imbarcare su di un aereo per la Svizzera. Qui abbiamo la
terza tappa “turistica” dell’autore, dove a Zurigo le nostre intrepide vengono
fermate, si trovano loro dollari (che avevano avuto in regalo dal colonnello) e
si pensa siano spie sovietiche. Loro confessano quindi una parte delle loro
disavventure, senza però svelare tutti i misteri. Mentre stanno per essere
rimandate in Russia, arrivano dalla Francia André ed il suo capo. E sarà lui,
che riuscirà a vincere la corazza di Barbara, a farle confessare tutto il loro
percorso, anche perché si è scoperto che il conte Paul era veramente un
farabutto e che la morte era per legittima difesa. Le nostre dovranno essere
imprigionate a Lione, ma solo per pochi mesi, che saranno liberate, e sulla
porta del carcere troveranno … A voi la risposta: i buonisti diranno che
troveranno André e Berto; i catastrofisti, che ci sarà Karl e la sua banda. Per
ora leggetelo, fatevi prendere dai ritmi di Scerby, e gustate le atmosfere
d’epoca che ci presenta. In fondo, è un buon prodotto. E Scerbanenco un grande
autore di gialli, di neri, di polizieschi e di atmosfere.
Mi sembra
un buon viatico per una calda estate, aver messo quattro facili romanzi da
ombrellone (facili ma non semplicisti). Continuando nella trafila di questa
estate un po’ anomala, dove continuo ad aiutare (con piacere) amici ad
organizzare i loro viaggi, mentre io ho solo il Nord della Francia che mi
aspetta (anche se mi aspetta con ansia e voglia di riposo). Ed ancora nulla si
prospetta nell’orizzonte dell’ultimo quadrimestre.