domenica 27 luglio 2014

Scerbyana 1 - 27 luglio 2014

Visto che pochi sono i lettori rimasti a leggere queste righe (sperando che molti siano vacanzieri e riprendano a discettarne dopo la pausa estiva), e che quindi anche le provocazioni dell’ultima trama non hanno suscitato molta eco, dedichiamo l’ultima trama di luglio ad una scrittura non impegnativa, ma sicuramente di buona fattura. Dedicata a quattro romanzi di Giorgio Scerbanenco, di cui nella prima trama indico le linee descrittive della persona e dell’opera. Anche a distanza di anni, la sua scrittura rimane feconda e di pronta presa, le sue atmosfere interessanti. Insomma, è lui, il padre del noir italiano, e si sente. Ma è anche, e mi fa piacere leggerne, un bravo utilizzatore della parola scritta. Uno scrittore completo, anche se, per sua natura, legato molto alla vita “così come si svolge sotto i nostri occhi”.
Giorgio Scerbanenco “Al mare con la ragazza” Corriere della Sera 6 euro 6,90
[A: 04/01/2014 – I: 19/02/2014 – T: 21/02/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 158; anno 1950]
Meritoria e discretamente ben confezionata opera del Corriere della Sera: ripubblicare molti dei romanzi e dei racconti del grande Scerbanenco. Per chi non ne fosse a conoscenza, Scerby (come lo chiamo affettuosamente) è il grande padre del giallo italiano. Pur essendo, in realtà, di origine ucraina (nato a Kiev nel 1911 da madre italiana e padre Ščerbanenko) si trasferisce presto (negli anni ’20) in Italia, dove fa mille mestieri, prima di intraprendere, anche se con alterne fortune, il mestiere di scrittore intorno alla metà degli anni ’30 (e lui ne aveva poco più di 25 all’epoca). Prolifico un po’ alla Simenon, scrive di tutto, prima di trovare la sua strada nel giallo. Anche qui, con eclettismo puro, che passa di racconto in romanzo, arrivando solo alla metà degli anni ’60 ad avere un personaggio fisso e centrale: Duca Lamberti, di cui ho parlato in altre occasioni. Fatto sì, che tutta la produzione noir italiana gli deve molto, e non a caso, a lui è intitolato il più prestigioso premio per scrittori di genere. Dopo alcune uscite (già presenti nella mia libreria), questo è il primo “nuovo” che incontro, anche se, come dice l’anno di scrittura, è ben datato. Ma è di una potenza espressiva forte ed immutata nel tempo. Anche se la storia, come molte delle piccole trame di Scerby, non è di molto complicata. E se vogliamo, non è neanche un giallo classico, non dobbiamo scervellarci a capire chi muore, chi uccide, e via sparacchiando. No, è tutta atmosfera, è tutta Milano, quella degradata delle periferie, quella cantata dal primo Gaber (ricordate il Giambellino?), quella che ritornerà negli anni ’90 con la Quarto Oggiaro di Biondillo. In questa periferia senza speranza, nascono e si danno mutuo soccorso Duilio e Simona. Li vediamo bambini, guardare una grande pozzanghera pensando che sia il mare. Mare che continuano a non vedere anche crescendo. Studi interrotti, ricerca di piccoli lavoretti per aiutare le famiglie. Con i loro abitini miseri, con le loro faccine pulite, ma che si vanno scurendo, con i capelli a banana di Duilio. E con sempre quel sogno nel cassetto, quello di vedere il mare. In questo degrado senza speranza, ad aiutarli verso il basso, il falso amico Innocenzo, che gli presta una stanzetta dove consumano, e che gli organizza il colpaccio. Una rapina ad un garagista, di semplice fattura e grande resa. Sembra andare tutto bene, ma come montano in macchina per scappare, la macchina si spegne, fatica a partire, e quando parte, il garagista li insegue, spara, ed ovviamente uccide Simona. Da qui tutta una seconda parte dove Duilio va sprofondando verso tutti i suoi abissi, che senza Simona la vita non ha più senso. Su questa si innesta una seconda trama di personaggi questa volta borghesi. Ernesto ed Edoarda  (detta Arda) trentenni che non riescono ad amarsi per la presenza ingombrante della sorella di lui. Arda, in questa calda estate milanese, prende la macchina e va verso Venezia. Duilio arriva al mare e ne parla al fantasma di Simona (che lui ha nascosto nel bagagliaio). Peccato che lasci la macchina aperta, e gliela rubano. Il ladro si accorge della morta e la lascia per strada. I carabinieri la trovano e cominciano la caccia all’uomo. Intanto Duilio disperato è raccolto per strada da Arda, che viene toccata dal personaggio. Che lo porta dal suo amico avvocato a Trieste. Dove la raggiunge Ernesto, che ha rotto con la sorella. I due aiutano Duilio, lo nascondono per un po’. E Duilio, anche se sempre ottuso dentro, a poco a poco capisce che non c’è più speranza per lui. Prende le lamette da barba di Ernesto, e torna verso il mare, dove vuole tagliarsi le vene. Ma lì trova una bimba sperduta, che guarda caso si chiama Simona, lui la salva, la porta dai carabinieri, e finalmente confessa le sue malefatte. Arda ed Ernesto capiscono che Duilio ha trovato la sua via, e finalmente riescono a confessarsi il loro amore. E Duilio si avvia verso il carcere, con le lamette in tasca. Come finirà? Questo è l’unico mistero che lascio ai miei amici lettori. Quello che ribadisco, è la capacità di Scerby di presentare in poche righe la disperazione di Duilio, l’innocenza di Simona, la sbandata morale di Arda, il rigore di Ernesto. C’è tutto un mondo, una vita dietro le scarne descrizioni del nostro. Non è, e mi dispiace, un capolavoro, non raggiunge vette espressive somme, ma è un esempio di scrittura da prendere, sottolineare (e perché no, far leggere ai nostri amici, vero Luciana?).
Giorgio Scerbanenco “Ladro contro assassino” Corriere della Sera 7 euro 6,90
[A: 04/01/2014 – I: 22/02/2014 – T: 23/02/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 132; anno 1971]
Seconda lettura delle uscite antologiche di Scerby presso il Corriere. Ancora più scarno, ma ancora più diritto allo scopo. E questa volta c’è anche un po’ di giallo e non solo d’atmosfera. Intanto è uno dei primi libri pubblicati postumi, che Scerby muore nel ’69 a soli 58 anni. Inoltre, benché al solito come in quasi tutti i suoi scritti, c’è un’atmosfera milanocentrica, qui ci si muove anche un po’ per l’Italia. Come detto, la trama in sé e scarna e diretta. Abbiamo la storia di Mario, borsaiolo di piccolo cabotaggio, appena uscito di prigione per piccoli borseggi. Ha una storia con Carolina, un’assistente sociale che anche quando scopre l’attività di Mario, continua ad amarlo. E gli chiede di fare una gita ad Orvieto dove sognava di andare da sempre. I due passano una bella giornata, poi Mario si allontana per prendere qualcosa al bar, e quando torna trova Carolina nell’auto morta. Spaventato dalle grida di tre capelloni e dall’arrivo dei carabinieri, invece di spiegarsi, scappa. E qui comincia la seconda parte: braccato, aiutato da una compagna di (mala-)vita, sfugge alla cattura, rifugiandosi sul Trasimeno. Ma è tormentato dalla morte dell’amata e dalla necessità di capire il perché. Dopo mille tentennamenti, decide di tornare a Milano, e dalla madre di Carolina (l’unica che lo crede innocente) si fa dare l’elenco delle persone che avevano relazioni con la figlia. Mentre torna nel rifugio, è però intercettato dai capelloni (e non dalla polizia). Qui c’è la parte più “ridicola” del romanzo, che Scerby inscena qualche passo di contestazione che non è nelle sue corde e che, appunto, suona ridicolo. Ma gli anarchici, dopo una specie di processo interno, decidono di credere in Mario e di aiutarlo. Ne curano un travestimento da capellone, lo ricongiungono con Giovanna, ed i due cominciano a battere i diciotto nomi della lista della madre. Senza cavare un ragno dal buco. Ma i cerchi vanno stringendosi. Giovanna è intercettata dalla polizia. Mario scappa di nuovo dai capelloni, che lo mettono in contatto con un avvocato. Insomma, pensieri, crisi, rimuginamenti vari. Mario capisce che non ce la farà mai. Ed anche se tutte le prove sono contro di lui, pensa di costituirsi. Ma prima vuole rivedere i luoghi dell’infanzia di Carolina. Tra inseguimenti veri e falsi, depistaggi ed altro, alla fine arriva nella campagna toscana, dove… La parte finale è un piccolo crescendo di sensazioni e di agnizioni, non bellissime dal punto di vista stilistico (tanto che alla fine il romanzo non avrà i massimi voti da me), ma di un bel ritmo. E con un bel finale. Alla fine ci sono molti stereotipi delle epopee di Scerby: i ladri sono ladri, e difficilmente diventano assassini, i poliziotti, spesso, sono più canaglie dei ladri “onesti” (e quando il poliziotto prende a schiaffi Giovanna per farla confessare, ci sentiamo montare la collera), i capelloni e gli anarchici sono un po’ delle macchiette, parlando con frasi fatte, ma quando Scerby li depura dalle sovrastrutture ideologiche (e si sa dalla sua storia che non è mai stato tenero verso il comunismo), e ne tira fuori i lati umani, risultano comunque credibili. L’autore ha inoltre una capacità filmica di passare da un’inquadratura ad un’altra, nel corso dello stesso capitolo, utilizzando quasi delle dissolvenze di scrittura, che tendono a far crescere le tensioni del racconto. A volte, mentre si sta svolgendo una scena forse interessante per la comprensione degli avvenimenti, passa a parlare di un diverso protagonista che avevamo lasciato qualche pagina prima da qualche altra parte. Ma la sua capacità, poi, è quella di ricongiungere il tutto, e di spiegarlo. Forse anche troppo didascalicamente. Eppur tuttavia a me piace questo modo di narrare. E trovo le sue storie sempre interessanti: getta sempre e comunque uno sguardo verso gli emarginati, e lo fa, comunque, con occhio asciutto. Non si perde in inutili lagnanze, come quando Mario confessa di aver cercato lavoro “onesto”, ma che oramai sa fare solo il ladro. O quando tratteggia la figura del ladro “pensionato”. Quindi, ripeto, da leggere e meditare, con alti e bassi. Ma d’altronde, chi non ce l’ha?
“C’è sempre una barcata di gente che cerca di spiegarci chi siamo – perché loro lo sanno e noi no -, che cosa dovremmo fare – perché noi ovviamente non lo sappiamo – e perché sbagliamo tutto nella vita, mentre invece, se seguissimo i loro consigli, saremmo tanto felici e a posto.” (10)
Giorgio Scerbanenco “Dove il sole non sorge mai” Corriere della Sera 9 euro 6,90
[A: 21/01/2014 – I: 12/04/2014 – T: 14/04/2014] - &&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 194; anno 1975]
Terza lettura, sempre meno gialla, forse un poco thriller. Comunque d’ambiente, come potremmo dire ora. E di quelli a metà. Cioè, parte del romanzo (buona parte) è in ambienti degradati e mal frequentati (tuta la prima parte si svolge in una specie di riformatorio). E parte in ambienti tra il normale e l’altolocato, che sempre è un pallino di Scerby. Così la protagonista è una contessina, i co-sparring partner una famiglia di editori, la fata turchina una principessa. Un solo appunto, direi editoriale. Il racconto è un lungo, ininterrotto capitolo. La storia, invece, si spezzetta ogni tanto. Non so se abbia senso iniziare un nuovo capitolo ai cambi di scena (potrebbe essere dannoso per la tensione, o la configurazione di co-temporalità di alcuni avvenimenti), ma almeno una riga bianca che permetta di uscire dall’apnea, riprendere fiato, e seguitare a leggere. La storia segue abbastanza linearmente (almeno per 2/3) le vicende della sedicenne contessina Emanuela. Morti i genitori friulani, viene affidata alla nonna genovese. Che tuttavia è una specie di maitresse, dalla cui casa Emanuela fugge, e cerca di ritrovare Tonio Karr, il rampollo dell’omonima casa editrice con cui stava per avere un “filarino”. Pensa di trovarlo a Milano, ma Tonio (la famiglia ha molte case) si trova a Roma. Cerca di andare a Roma ed accetta un passaggio da tre amici di una conoscente milanese. Peccato che i tre abbiano appena fatto una rapina, ovviamente vengono fermati ad un posto di blocco vicino a Roma, fuggono, la macchina si ribalta, lei, contusa, si avvia a piedi a Roma e trova Tonio e family. Intanto i tre vengono arrestati, e si cerca il quarto componente della banda, una biondina. Tonio pensa che sia lei, ed ha parole dure. Lei è orgogliosa e se ne va. Arrestata immediatamente, non ha una parola in sua difesa, e viene mandata in riformatorio a Milano. Qui c’è la parte migliore e non thriller della vicenda. La descrizione della Casa di Correzione, con la direttrice, il capo dei secondini (donna quasi nazi), la principessa che svolge un lavoro umanitario e si prende a cuore Emanuela. Ma anche le altre detenute, la capo stanza, dura, spia, ma fragile dentro, l’altra subito amica. Emanuela prova essa stessa a far la dura, ma non ci riesce. Anche perché non vuol dire i motivi della sua fuga da Genova. E quando la principessa le offre un sollievo attraverso una visita medica, non trova di meglio che fuggire dall’ospedale. Infatti, l’unico pensiero che ha maturato è di ritrovare Tonio e spiegare a lui i suoi motivi. Intanto il belloccio ventenne è in vacanza a Sirmione con la sua nuova bella, che però si accorge che lui pensa all’altra e lo manda a ramengo. Tonio torna a Roma, convince la madre ad ingaggiare un grosso avvocato e si reca con lui a Milano per parlare con Emanuela. Lì scopre che la contessina è fuggita. Da questo punto, comincia ad ammirare la capacità di intreccio di Scerby, che riesce a far andare male tutto quello che può andare male. Emanuela, infatti, utilizzando il vecchio autista del padre va a Roma, dove arriva alle quattro del mattino, e telefonando a casa Karr, una domestica infastidita le dice che la famiglia sta a Francoforte. Tonio e l’avvocato chiamano da Milano avvertendo la madre della fuga di Emanuela. La madre cerca di avvertire Francoforte ma la contessina ha già chiamato. E si dispera. Qui entra in scena il buon autista, che la convince ad un ultimo tentativo. Si recano a casa Karr, parlano con la madre, e sembra che l’orizzonte si spiani, e si mettono in attesa di Tonio. Ma Tonio e l’avvocato, a pochi chilometri da Roma hanno un incidente, serio ma non grave, e vengono trasportati in ospedale a Monterotondo. I Karr e la contessina prendono la macchina e corrono in ospedale, ma prima di arrivare vengono fermati dai Carabinieri che stanno effettuando una battuta di caccia alla ricerca di un assalitore di giovani donne. Ovviamente, Emanuela non ha i documenti e viene arrestata. E riportata in riformatorio, messa anche in cella di rigore per la fuga. Fortunatamente, mentre l’avvocato tenta in tutti i modi di trovare delle scappatoie, a Genova … Vi lascio sospesi sul finale di storia. Immaginatelo come volete, non è la parte più importante. I fulcri sono due: la parte che si svolge negli Istituti di correzione, con la descrizione delle piccole meschinerie quotidiane, e la parte di accelerazione degli avvenimenti, quando ogni due pagine c’è un accadimento nuovo che mette in pericolo quanto di buono stava avvenendo fino ad allora. Non è il meglio di Scerby, quello duro e senza speranza, quella del Duca Lamberti o dei ragazzi del massacro. Ma molto coinvolgente leggerlo. Una domanda soltanto: la vicenda si svolge nel 1969, e molti avvenimenti sono legati al telefono. Se rispondono, se la tele sezione prende, se Tonio è lì o altrove. Mi chiedo appunto, cosa sarebbe della stessa storia, ora nel mondo interconnesso dei cellulari? Bella sfida per chi la sa risolvere.
Giorgio Scerbanenco “Europa molto amore” Corriere della Sera 10 euro 6,90
[A: 01/02/2014 – I: 26/04/2014 – T: 28/04/2014] - &&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 195; anno 1961-66]
Direi un onesto e tipico prodotto della scrittura di Scerby. Intanto sveliamo il  mistero delle due date: la prima si riferisce all’inizio della pubblicazione del romanzo a puntate su Annabella e la seconda sulla prima uscita in volume. E questo fatto spiega due elementi un po’ negativi del libro: l’andamento un po’ lento (si dovevano comunque presentare un certo numero di puntate, mentre la trama poteva essere accorciata) e la sensazione di avere, oltre al giallo, una mini guida europea dei primi anni ’60. Tra l’altro, cominciato a scrivere durante la costruzione del Muro di Berlino, ci dà anche un’immagine interessante delle divisioni sul suolo tedesco all’epoca. La storia segue le avventure che rischiano di degenerare di due giovani poco più che ventenni, la tedesca Barbara e l’italiana Ornella. Barbara, trovandosi in vacanza da Ornella a Milano, decide con lei di tornare a Berlino. Per questo, su consiglio di un fantomatico vicino di casa, Karl, decide di accettare il passaggio di uno strano tipo, il conte Paul. Questi si rivela un farabutto (come lo è anche Karl), che cerca di portarle a Parigi, per farle prostituire, rubando loro il passaporto. Con un colpo di borsetta, tanto forte quanto sfortunato, Barbara uccide il conte. E qui cominciano le disavventure, scandite dalle puntate del mensile, in modo ogni volta di spingere all’acquisto successivo. Riescono ad andare a Lione, rifugiandosi da un amico di Barbara, André, innamorato di lei. Peccato che nel frattempo André sia diventato un poliziotto. Mentre sono con lui, cercando di farsi aiutare senza farsi sgamare, la polizia trova il morto, tra l’altro con l’auto imbottita di droga, e dirama una ricerca su tutto il territorio delle due. Arrivata la richiesta a Lione, André si fa raccontare tutta la storia (quella di cui sopra), e invece di far costituire le due, preso dall’amore, fabbrica loro dei salvacondotti falsi per la Germania. Peccato che non glielo dice, e mentre lui è all’opera, le due scappano con il treno. André, beccato subito dai superiori, viene immediatamente degradato e mandato lontano da Lione. Le nostre eroine cercano di capire come attraversare la frontiera tra Francia e Germania senza passaporti (siamo ancora molto lontani da Schengen), ed hanno la sfortuna di trovare sul treno il cattivo Karl. Lui cercherà di vendicarsi delle malefatte subite dal conte, riuscendo a passare via terra il confine (come gli spalloni italo – svizzeri). In Germania si procurano una Mercedes, ma per arrivare a Berlino devono attraversare il settore russo della DDR. Karl cerca di turlupinarle, ma sono loro ad avere la meglio, ad abbandonarlo in mezzo alla via, solo e senza passaporto. Vengono anche fermate dai russi, ma non sono russi qualsiasi. Qui si rivela un po’ dell’origine del nostro. Che fa del colonnello russo, non un russo ma un ucraino (Scerby era nato a Kiev), inquadrato a forza, ma gentile come tutti gli ucraini. Il colonnello le porta a Berlino. Loro vanno a casa di Barbara, ma anche lì l’Interpol ne trova le tracce. Scappano allora in un albergo, dove lavora Berto, un calabrese immigrato che un paio di anni prima si era innamorato di Ornella (immagino che i fautori del lieto fine, già stiano pensando a come potrà proseguire). Continuano i colpi di scena dettati dal ritmo delle pubblicazioni: dopo alcuni giorni di quiete, la polizia fa un controllo a sorpresa nell’albergo. Barbara e Ornella riescono a fuggire, mentre Berto viene sorpreso nella falsificazione dei documenti di residenza e, dopo due mesi di carcere preventivo, verrà espulso dalla Germania. Le nostre due eroine non hanno di meglio che chiedere aiuto al colonnello. Che intanto viene richiamato verso Mosca (dove sarà ucciso, come molti ucraini), ma prima riesce a fornire due passaporti sovietici alle nostre e a farle imbarcare su di un aereo per la Svizzera. Qui abbiamo la terza tappa “turistica” dell’autore, dove a Zurigo le nostre intrepide vengono fermate, si trovano loro dollari (che avevano avuto in regalo dal colonnello) e si pensa siano spie sovietiche. Loro confessano quindi una parte delle loro disavventure, senza però svelare tutti i misteri. Mentre stanno per essere rimandate in Russia, arrivano dalla Francia André ed il suo capo. E sarà lui, che riuscirà a vincere la corazza di Barbara, a farle confessare tutto il loro percorso, anche perché si è scoperto che il conte Paul era veramente un farabutto e che la morte era per legittima difesa. Le nostre dovranno essere imprigionate a Lione, ma solo per pochi mesi, che saranno liberate, e sulla porta del carcere troveranno … A voi la risposta: i buonisti diranno che troveranno André e Berto; i catastrofisti, che ci sarà Karl e la sua banda. Per ora leggetelo, fatevi prendere dai ritmi di Scerby, e gustate le atmosfere d’epoca che ci presenta. In fondo, è un buon prodotto. E Scerbanenco un grande autore di gialli, di neri, di polizieschi e di atmosfere.
Mi sembra un buon viatico per una calda estate, aver messo quattro facili romanzi da ombrellone (facili ma non semplicisti). Continuando nella trafila di questa estate un po’ anomala, dove continuo ad aiutare (con piacere) amici ad organizzare i loro viaggi, mentre io ho solo il Nord della Francia che mi aspetta (anche se mi aspetta con ansia e voglia di riposo). Ed ancora nulla si prospetta nell’orizzonte dell’ultimo quadrimestre.

Nessun commento:

Posta un commento