domenica 31 agosto 2014

Noir Italia, terza parte - 31 agosto 2014

Finisce anche questo agosto tranquillamente rilassante. E per continuare a distendere nervi e cervelli, prima di una brusca ripresa autunnale, eccomi qui a parlarvi ancora di Noir, e della collana, interessante anche se non tutta alla stessa altezza, dedicatavi dal Sole. Poiché come ricorderete sono 40 i volumi usciti, ne tratto cinque alla volta. In questo caso ne abbiamo ben 4 sopra media, soprattutto l’Abruzzo di Mazzotta e la Liguria di Cristina Rava. Ma anche la Milano di Paleari e la Palermo di Barbieri. Unico neo, la sfortunata e deludente prova di Gianluca Veltri, che lasciamo presto all’oblio che si merita.
Alberto Paleari “Il colore della vergogna” Sole 24 ore – Noir Italia 26 euro 6,90
[A: 04/01/2014– I: 25/03/2014 – T: 27/03/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 189; anno 2010]
Un libro discreto, almeno per ¾ e forse poteva essere migliore se non avesse dovuto accondiscendere ai dettami del tempo. Non di scrittura ma di svolgimento. Non conoscevo l’autore, uscito dalla fucina di nuove proposte del Sole 24 ore. Un quarantenne milanese che mi sembra dotato di una buona penna. Qui, a parte il titolo su cui torniamo poi, imbastisce comunque una storia che come dicevo si inserisce bene in un contesto interessante. Ovviamente stiamo parlando di giallo, quindi si comincia con un morto, anzi una morta. E con un commissario che inizia l’indagine, pur essendo a soli quattro giorni dall’andare in pensione. Siamo a Milano, e qualche tocco, della parte cittadina della serie, rimane anche ben tratteggiato. Di nuovo, come spesso nei gialli, Giambellino e Lorenteggio. Ma anche corso Vercelli, e qualche puntata sia verso San Babila che verso i Navigli. L’idea dell’autore è di inserire questo scenario in un momento particolare: siamo all’8 dicembre del 1969. Fatto salvo che l’autore si dimentica del Natale ambrosiano, tutti subito drizzano le orecchie. Ma è quel dicembre? Ma è quello l’anno? Ebbene sì, ed ovviamente la trama non può che svolgersi su binari prima paralleli, poi convergenti, poi in sicura collisione, con quanto sta per succedere. Che noi conosciamo, e quindi sappiamo anche dare un peso alle parole che scorrono sulla carta. La morta sembra una ragazza tranquilla e a modo, universitaria e cattolica. Spesso in giro con la sua amica Rebecca. La quale interrogata, prende invece le distanze. No, Silvia andava a ragazzi, aveva un suo giro. Soprattutto con Giulio ed il suo sodale Pilone. Giulio, extra-parlamentare vicino ad Avanguardia Proletaria, ma che usa il movimento per cuccare. Giulio che viene subito cercato dal commissario Oliveri che, ovviamente, lo trova morto. E due. Pilone, interrogato, comincia a sproloquiare di scioperi ed altro. Pilone è un anarchico che frequenta il Ponte della Ghisolfa (ed anche qui, campanellini…). Il commissario non è convinto della famiglia di Rebecca, soprattutto il padre, chirurgo di successo e faccendiere. Indagini a tappeto. E scoperte varie, ed ovvie. Il chirurgo Ascani è amico del politico Lorusso, democristiano di centro con tendenze destrorse. Ed entrambi frequentano l’ex-colonnello Del Miglio, uomo che auspica il ritorno dei poteri forti. Ovviamente il tempo stringe. Ed ovviamente la combriccola dei potenti ha buon gioco nel mettere in cattiva luce il nostro. Che sebbene emarginato, trova il tempo di tirare fuori qualche asso dal cappello: la giornalista Ester, romana, che gli fornisce i collegamenti occulti del malaffare dei cattivoni, ma che non gli dà uno straccio di prova del loro coinvolgimento nelle morti, e l’ex-ladro Molteni, che invece riesce ad indirizzarlo verso la prostituta Chantal. Mentre Rebecca, oppressa da chi sa quali sensi di colpa, decide di buttarsi sotto la Metro, Oliveri fa cantare Chantal, scoprendo il giro di prostituzione e malaffare che accompagna i tre cattivoni ed i loro sodali. C’è anche un fascistello tuttofare, che scopriamo ben presto essere l’autore materiale dei delitti (e che si incaricherà di eliminare anche la povera Chantal). Oliveri tenta un faccia a faccia con Del Miglio, sperando di farlo crollare. Ma fatica vana è, e noi già lo pensavamo. Ed il commissario non ha neanche uno spillo concreto, un riscontro qualsiasi per attaccare i tre. Sono intanto passati i quattro giorni, e sono le 16 e 37 del 12 dicembre. Devo dire altro? Lo immaginate anche voi, nevvero. Il commissario non può che chiudere tutto, passando la mano. Qualcuno ci penserà. O meglio nessuno, che altro si avrà da pensare da quel venerdì e per molto tempo. Soprattutto nella questura milanese, dove stanno per transitare i Pinelli ed i Valpreda. Il nostro torna a casa, alle sue miserie private, sulle quali non entro, che sono di contorno, anche se danno colore al personaggio. Colore che invece non trovo nella vergogna. È un rosso sangue? È un nero notturno? Cosa ci vuole dire l’autore con quel titolo. Questa seconda parte, quando cominciano gli intrallazzi con la politica, si impantana e finisce in sordina, anche se Paleari cerca di inserire qualche pagina “dura”. Alla fine, e noi lo sapevamo, nessuno paga. Facile morale, che già si pensava dalla seconda pagina, quando compaiono le date della vicenda. Peccato, ripeto, che l’idea del parallelo storia alta e bassa è sempre foriera di interessanti uscite. Quando i livelli rimangono distinti. Qui, il mischiare tutto vuole essere un’alzata di tiro. Ma lo scritto non regge il peso. Comunque, un altro interessante scrittore da tenere a mente.
Gianluca Veltri “La dimora del santo” Sole 24 ore – Noir Italia 28 euro 6,90
[A: 21/01/2014– I: 07/04/2014 – T: 07/04/2014] - & 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 121; anno 2013]
L’unica cosa decente è il nome dei capitoli che disegnano una mappa della Milano d’oggi. Sfogliando questa specie di Goggle Maps in vena di letteratura, si va da via Fatebenfratelli, dove c’è la questura, all’Idroscalo, da via Luigi Porro Lambertenghi a Piazzale Loreto, girando spesso per il quartiere Libia, dove abita l’ispettore protagonista. Per sganciarsi poi un po’ fuori, da Viboldone a Consonno (e solo pochi non assoceranno quest’ultimo al paese dei balocchi voluto dall’industriale Bagno e poi diventata una delle più note città fantasma d’Italia). Questo consente di dare l’unico “libricino” di giudizio al libro, che per il resto è da dimenticare. La storia è esile e già orecchiata. I personaggi ricalcati sui diversi cliché, dal poliziotto al limite al questore bonario, dal giocatore incallito ai delinquenti “di mezza tacca”. Una veloce riedizione di qualcosa letto tra un taglio di capelli e l’altro, presso l’Anadema Haircut del nostro per altro simpatico autore. Simpatico per quei video demenziali che si trovano sul suo sito. Ma torniamo allo scritto. Dicevo, per iniziare, che la squadra del commissario Crespo riecheggia la più simpatica squadra del commissario Igor Attila, quello dei crimini sportivi. Sono sportivi, palestrati, ma meno caratterizzati della squadra romana. Con il commissario, poi, che viene chiamato Crespo per la somiglianza con il calciatore (e per le simpatie interiste, che gli valgono qualche punto in meno, anche se bonariamente). Con il fratello, giocatore di poker compulsivo che scopre cadaveri a destra e a manca. E con la fidanzata ex-prostituta di belle forme e di gran capacità imprenditoriali. Quante volte si è letto di poliziotti con fidanzate un po’ ai limiti della legge? E che per questo si imbarcano in mille problemi. Se decidi che Aurora è il tuo amore, caro Crespo, devi fare meno il gallo del pollaio, ed accettarla, così come lei accetta te. Altrimenti sarete sempre sull’orlo della separazione. Tra l’altro, credo che questa sia la seconda opera di Veltri, essendo la prima incentrata proprio su Leo detto Crespo e su Fulvio suo fratello. Qui ci si muove, come detto, nel sottobosco delle donne di piacere e dei piccoli misteri della notte. Tanto piccoli da essere risibili. Fulvio trova una ragazza morta, sudamericana ballerina di lap dance. La quale ha un’amica che scompare. Amica che è la ragazza di un malavitoso detto il colonnello. Non solo, è anche imparentata con un mafioso calabrese devoto a San Francesco di Paola, detto il Santo. L’amica non si trova, il colonnello chiede aiuto a Crespo, che si imbatte nel calabrese, ingaggiando con lui una gara a chi trova prima il colpevole. Tra locali della notte visitati dai poliziotti e partite di poker del buon Fulvio, scorre gran parte del libro. Non facendoci mancare l’ovvio litigio tra Crespo e Aurora. Che ovviamente lo lascia. Crespo diventa una belva, ma senza pace e senza scopo. Sarà il calabrese che gli dà il primo indizio, collegando le due danzatrici ad un fotografo di foto porno (anch’esso trovato morto). Poi ad un delinquentello che parla di un misterioso “paese dei balocchi”. Crespo senza Aurora sbatte la testa al muro, ma uno della sua squadra collega (ma non era difficile) il paese suddetto a Consonno di cui ho parlato sopra. Mentre anche Aurora sembra cadere nelle grinfie del damerino, la nostra squadra entra in Consonno, sbaraglia i cattivi, libera Alice. Insomma, una catarsi finale che si consuma in sette pagine senza alcuna emozione. Con rappacificazione finale di Crespo ed Aurora, dopo che il primo si fa un nuovo taglio di capelli (e non a caso, molti personaggi vengono caratterizzati dalla chioma che portano) e davanti ad un piatto super-piccante calabrese, nella mitica trattoria di Don Giò (veramente esistente). Insomma 120 pagine che scorrono come acqua fresca, non lasciano neanche l’odore di uno shampoo ben fatto. Un nuovo punto basso della in genere meglio congeniata serie del Noir Italia.
Ugo Mazzotta “Il segreto di Pulcinella” Sole 24 ore – Noir Italia 30 euro 6,90
[A: 01/02/2014– I: 08/04/2014 – T: 10/04/2014] - &&&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 155; anno 2004]
E sì, qui si risale, ed alla grande, nella valutazione del libro in particolare e della collana in generale. Siamo, infatti, tornati ad un buon livello descrittivo di una realtà italiana (e qui, poco nota, trattandosi degli Appennini tra Abruzzo e Marche) e ad un livello di scrittura migliore dei precedenti. Non intricatissimo l’intreccio giallo, se vogliamo, ma neanche da buttare via con l’acqua sporca. Allora, intanto ci troviamo a Pratello, paesotto non lontano da Rivisondoli. Dove vive, con la sua squadra, il commissario Andrea Prisco. Già dal nome si indovina napoletano, e dai caratteri descrittivi, si capisce amante di spazi aperti (più montuosi che marini, ma anche), un po’ solitario e molto “under statement” verso la burocrazia ed altre amenità da “ufficio centrale”. Ha una buona relazione con la giovane Agnese (e già due punti in più per la scelta dei nomi, onorando sempre mia madre) con cui parla, discute, e gode le piccole gioie della vita, pur essendo (o forse proprio perché) lei di stanza in un ufficio a Ametrano (altro paese ad una mezzoretta dal nostro). La tranquilla vita del paese è prima messa in subbuglio dalla comparsa di due loschi figuri che vanno in giro a chiedere il pizzo ad alcuni commercianti, cosa che fa nascere il sospetto di possibili infiltrazioni camorriste. Poi viene senz’altro destabilizzata dall’uccisione di un burattinaio di Portici, Ciro Ferrandino, freddato con alcuni colpi di calibro 22 mentre faceva il suo spettacolo di burattini in piazza. Il questore comincia a mettere sotto torchio il nostro e la sua squadra (che essendo quasi tutta di oriundi napoletani è soprannominata “Bella Napoli”). Prisco cerca di capirci qualcosa, seguendo le due piste, quella del pizzo, ma sembra senza uscita, e quella del morto. Quest’ultima provando a capire i sentimenti e le reazioni della di lui moglie, Assunta (altro nome in A, e non sarà l’ultimo). Perché Ciro era (forse stato) uno sciupa femmine, ma di tanta grazia che Assunta confessa: primo, di averlo conosciuto a Portici e seguito dopo solo una settimana, tanto l’amore suscitato, secondo, che non la tradiva ma se lo avesse fatto, lei avrebbe continuato ad amarlo così com’era. Misteri dell’amore! Mentre continuano le piccole descrizioni quotidiane, i piccoli quadri di ispettori, di bar, di ristoranti sperduti tra i monti, di ricerche tra la gente, della misantropia di Prisco, delle lotte tra fazioni all’interno di questure e di medici patologi. Mentre Prisco fa una vacanza con Agnese nel Napoletano, succedono alcuni fatti che fanno avanzare (o precipitare) gli avvenimenti. Una macchina ed un negozio vengono bruciati con benzina da quello che sembra sempre più un avviso mafioso, viene trovato il cellulare di Ciro e rintracciando una telefonata, si scopre che il burattinaio era stato a Pratello nove anni prima. Prisco ed il suo vice Curti non sanno a chi dare i resti, fortunatamente vengono rinforzi dai Carabinieri di Peligno, e viene reintegrato l’organico con l’ispettrice Alice (ecco l’ultima A) Coturno, piccola, simpatica e molto efficiente. Alice si dedica ai camorristi, ed in breve riesce a trovare un bandolo: uno dei commercianti, il Bortoli, era quasi in bancarotta, era in lite con l’altro bruciacchiato, aveva fatto il militare nella Folgore, ma era stato cacciato per condotta poco in linea con il Codice Civile. Insieme a due suoi amici, ora muratori, che, guarda caso, erano sempre assenti dal posto di lavoro durante i tentativi di estorsione. Dall’altro versante, Prisco riesce a risalire ad una bella ragazza che era molto presa del Ciro di nove anni prima, riuscendone a rintracciare i genitori, che da alcuni anni si erano trasferiti ad Ancona. Qui Prisco ha un’intuizione geniale, quasi da giocatore di poker, che permette di arrivare ad un veloce finale, forse un po’ all’americana. Ma ci può stare. I misteri si risolvono tutti. La bella Agnese torna al lavoro (non avevo detto che stiamo introno a Ferragosto, e lei era vacanziera) ma con molta tenerezza verso il suo Andrea. Insomma, alla fine, mi sono piaciuti il clima, i personaggi, ed il plot generale. Se ci fosse stato un filo più di suspense sulla parte “gialla” poteva avere qualche libricino in più. Ma Mazzotta mi ha convinto. Meglio di altre uscite della collana.
Cristina Rava “Un’indagine al nero di seppia” Sole 24 ore – Noir 8 euro 6,90
[A: 30/08/2013– I: 16/05/2014 – T: 18/05/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 217; anno 2007]
Facciamo così la conoscenza con il commissario Bartolomeo Rebaudengo (di Cuneo, ma sarebbe uno scostumato per Troisi, nome e cognome troppo lunghi). E della scrittrice Cristina Rava, ligure, e si sente. Un buon libro eponimo della collana di neri italiani, perché il personaggio rende bene, ed è anche ben inserita la trama nel tessuto territoriale. Infatti, ci moviamo, e la scrittrice ben conosce i luoghi, tra Albenga ed Alassio, fortunatamente in tempi non turistici, così da poter godere le cittadine nel loro vivere quotidiano “normale” (l’azione si sviluppa tra febbraio e Pasqua). Godiamoci quindi queste piccole città del savonese, soprattutto la prima con uno dei centri storici meglio conservati della Riviera di Ponente. Così come ci immergiamo nella cultura locale, fatta di poche parole (tra liguri e piemontesi, si sprecano), di cultura di mare ma di ricordi di terra. E di terra è il nostro commissario, che viene da Cuneo (ci avrà fatto anche il militare, come chiederebbe Totò?). E di poche parole, anche se di tanti pensieri e sentimenti. Inoltre, le due scene migliori, che lo vedono a fianco del medico legale, la giovane Ardelia, dove nella prima la dottoressa, a lui che non mangiava pesce, gli ammannisce una cenetta a base di trenette al nero e acciughine con patate. E nella seconda, il nostro, per regalarle un libro, non trova di meglio che una meta citazione: un libro dello svedese Manning sul commissario Wallander. Esilarante. Meno bene, anche se non stanca troppo, la trama nera, che trovo un po’ debolina, almeno nella parte che si vorrebbe misteriosa. Già nelle prime cinque pagine ci sono indizi che troveranno conferme duecento pagine dopo. Ma andiamo con ordine. Il commissario e la sua squadra (ma soprattutto l’ispettore Ravera, sornione ma di buon intuito e tante conoscenze) viene coinvolta nella ricerca dello scomparso professor Oddone, insegnante di liceo, la cui moglie (istruttrice di Krav Maga, per intenditori) ne denuncia la misteriosa sparizione. Ci si trastulla un po’ sulla ricerca, ma ben presto i nostri sono presi da altro: viene trovata uccisa e forse messa a bella posta in pose “sataniche” la bella Serena, diciannovenne liceale (della classe del professore, ovvio). Qui entriamo nel bel mondo ligure, nelle famiglie “belle e ricche”, ma anche senza spina dorsale. Che Serena, e la sorella minore Candida, sono praticamente abbandonate a se stesse, da una madre fuggita con un nuovo amore in Canada e mai più tornata, ed un padre dentista di tanti soldi e nullo affetto. Rebaudengo comincia a girare, parlare, guardare le facce (perché lui è della vecchia scuola dei Maigret, ha bisogno del contatto visivo per capire l’interlocutore). Scava, il commissario, ma non trova nulla. Per ora solo una comunanza di intenti e di pensieri, appunto, con il medico legale, la dottoressa Ardelia di cui ho sopra parlato. Non si trovano fidanzati della bella Serena. Non si trovano amiche. Ma certo non passa inosservata. C’è Pietro, che se ne invaghì, ma, brutto e dark, preferì andare a lavorare piuttosto che rimanere a rimirare da lontano Serena. Un’altra pista che il commissario prova a seguire, che porterà ad arresti collaterali senza importanza, ma nulla per il filone principale. Certo è che Serena andava a ripetizione dal professore. E, come dice la moglie, il professore non disdegnava bellezze muliebri, ma non così giovani. Però, una fuga d’amore abortita? Abbiamo la prima svolta quando non si trova un orecchino di Serena, cui lei non si separava mai. Attraverso vie tortuose, il commissario risale alla provenienza dello stesso: è identico ad uno presente in una foto in casa del professore. Ormai la rete si stringe, ma si stringe dalla parte sbagliata, che per arrivare alla fine abbiamo bisogno di un nuovo morto, l’amica del cuore nascosta di Serena. E del ritrovamento di un diario dove, leggendo tra le righe, il nostro Bartolomeo arriva alle nostre stesse conclusioni. Quali? Vi consiglio di leggere il romanzo, che almeno farete un bel viaggio verso Savona. Per poi pensare di seguire le successive indagini del commissario (credo siano usciti altri quattro o cinque romanzi) e perché no, per cercare di capire se la storia con Ardelia possa andare avanti. Chissà! Ma io sono curioso…
“Aveva imparato … che gli ordinati rigidi, quelli che se gli sposti una matita danno fuori di matto, sono creature fragili, cercano attraverso l’ordine appunto, d’esercitare un controllo sulla realtà circostante e forse anche sul proprio mondo interiore, che temono sia molto meno ordinato di quanto vorrebbero.” (109)
Carlo Barbieri “La pietra al collo” Sole 24 ore – Noir 32 euro 6,90
[A: 14/02/2014– I: 02/06/2014 – T: 04/06/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 155; anno 2012]
Una nuova e più che sufficiente prova della lunga collana del Noir italiano del Sole 24 ore. Dove, sebbene ci siano una buona dosa di nuovi e giovani scrittori, c’è anche una pattuglia di letterati di più lungo corso. O di nuovi letterati ma di lunga vita. Come il qui presente Barbieri, quasi settantenne, ex-chimico in giro per il mondo, ed ora (forse in pensione? Ma non ne trovo traccia) tornato alla natia Sicilia, e, come lui stesso dice, “prestato alla letteratura”. Si sente che conosce le leve del mondo, le possibilità che ci sia altro oltre quello che si vede in superficie. E si capisce anche meglio il commissario Francesco Mancuso, personaggio centrale dei suoi scritti gialli. Commissario in Palermo, si capisce. Con le pulsioni di mezza età verso il gentil sesso (ma come finirà l’ipotesi della sua storia d’amore?) e con le manie che, inevitabilmente, colpiscono chi tanto vive o ha vissuto. Ad esempio, quella di rimanere a Palermo durante il periodo ferragostano, tanto non succede mai niente in questo caldo mese di vacanze. Invece succede, che cominciano ad affiorare dei morti. Con una strana caratteristica, quella di avere uno spago intorno al collo, con una rozza pietra attaccata. All’inizio non ci facciamo caso, presi più dagli ambienti della sempre a noi cara città sicula. Come per il primo morto, trovato nelle catacombe della Chiesa delle Anime Purganti, in una stradina che scende verso Ballarò. Ecco, per la mia gioia di proiettarmi altrove (chi legge è un viaggiatore, ricordiamolo), già mi ritrovo nelle vie di Palermo, mangiando un’arancina-bomba all’Orto botanico, e sorseggiando una limonata fresca. Strano anche questo primo morto, nudo, e con la faccia irriconoscibile, quasi a volerne cancellare le tracce. Invece, altri che compaiono, poi (ed alla fine saranno almeno quattro), si riconoscono subito. Quasi che l’assassino giochi con il commissario, a fare chi è più intelligente. Che anche gli altri hanno la pietra al collo. Ma sono riconosciuti. Tutti, bene o male, legati al mondo delle molestie verso i fanciulli. Un frequentatore di cinema mattutini, un contabile parente di mafiosi, ma non nella onorata società (che in quanto onorata, non vede di buon occhio la presenza di pedofili ricattabili). Scavando a poco a poco, vincendo reticenze e depistaggi, si scopre che il primo era un prete ed il secondo un professore in pensione di un istituto religioso (lo stesso del prete), a suo tempo sospeso (ma poi reintegrato) sempre per gli stessi reati. E sarà un prete che illuminerà il nostro commissario sulla pietra al collo, derivante da un versetto del vangelo di Luca (“è meglio che gli sia messa al collo una pietra e venga gettato in mare … piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli”). Intanto tornano dalle ferie i due aiutanti del commissario, appunto l’ispettrice Esposito e l’ispettore Cosenza. Mancuso, forzando un po’ sull’istituto di cui sopra (in una pagina che non può non rimandare alle conoscenze di Barbieri dei meccanismi politici a tutti i livelli), capisce che il fattore comune (oltre alla pedofilia) è anche l’essere l’assassino un trovatello. Tutta una serie di indizi e di mosse, inoltre, portano a restringere il campo verso qualcuno che, in qualche modo, è vicino al commissario stesso. Riflettendoci su, Mancuso non può che tornare ai suoi aiutanti, che anche nel nome hanno discendenze “trovatelle”. Esposito viene da “esposto”, cioè dove venivano messi i trovatelli, esposti alla ruota dei monasteri. Cosenza è nome di città, anch’essa data a coloro di cui non si sapeva la provenienza. Dovrà decidere, e molto in fretta, su chi puntare. In un convulso finale, trova la chiave di lettura, punta sul cavallo giusto (anche noi a quel punto ci puntavamo), e benché ferito e poi di lunga convalescenza, risolve il mistero e smaschera chi doveva esserlo. Non vi svelo, allora, il veloce ed esauriente finale, che, tutto sommato, è una lettura interessante, per i luoghi e per un po’ dell’intreccio e della soluzione dello stesso. Avevo paura, nella prima parte, che si andasse impantanando nella ormai troppo adusa pedofilia da horror. Invece si mantiene sul livello di denuncia (e ad un buon livello). Una lettura degna per passare dalle bellezze anatoliche alla calda estate romana.
Molto Bene. Come detto iniziando, or si passa dall’ozio al quotidiano lavoro, ognun secondo le proprie capacità, ed i diversi ambiti. Perdonandomi l’anacoluto, io speriamo che la viaggio. Ma Ben lungi ancor qualche notizia avventurosa. Per ora mi accontento di saper che viaggi da me propugnati e disegnati sono andati a buon fine. Sperando che lo siano anco quelli a venir.

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