domenica 3 agosto 2014

Walad - 03 agosto 2014

Neologismo intradotto che indica un’insalata di donne (Woman sALAD). Dopo tutte le mescolanze fatte nel mese scorso, questa volta, infatti, abbiamo a che fare con quattro scrittrici di lingua inglese. E tutte di buono ed anche eccelso livello. Tutte inoltre alla mia prima lettura, con delle buonissime sensazioni per lo scritto di Siri Hustvedt, con il piacere (anche se non fin in fondo) del premio Nobel Morrison, e con la piacevole sorpresa dell’agevole lettura di Helen Simonson. Ed alla fine, ciliegina morale della torta, la lettura dell’inno alla carta stampata fatto da Helene Hanff con il mai troppo lodato 84 Charing Cross Road (lodato per il suo simbolo, anche se, come sottolineo, il libro è di resa normale). E non è un caso che siano anche libri pieni di citazioni e di rimandi.
Siri Hustvedt “L’estate senza uomini” Einaudi euro 9,50 (in realtà, scontato a 5,70 euro)
[A: 10/01/2014– I: 12/03/2014 – T: 13/03/2014] - &&&& e ½
[tit. or.: The Summer without Men; ling. or.: inglese; pagine: 165; anno 2011]
Una nuova, splendente, interessante entrata nella mia pur vasta biblioteca. Entrata autonoma, che ne avevo visto recensioni in giro per librerie. Scoprendo poi che l’esimia Siri è, anche, moglie di Paul Auster. Ma per la lettura e per i suoi libri, questo è un dato assolutamente marginale. La bellezza di questo testo mi ha preso sin dalle prime pagine, dove, e finalmente, c’è una donna che parla da donna. In un’atmosfera che se fosse solo ironica, ricorderebbe quel bel ritratto della metà di niente della Dunne. Ma non è solo ironica, anche se c’è l’ironia. È dolente, è coinvolgente, è cattiva, è reale come la vita. Insomma, è bella e mi è piaciuta. Anche se l’io narrante non è nelle mie corde: Mia, una donna, intelligente, poetessa, colta, ma fragile, viene lasciata dal marito Boris, neuro scienziato, colto e stronzo, che si vuole prendere una “Pausa” (che nella fattispecie è una bionda francese), dopo trenta anni di matrimonio ed una figlia più che ventenne. Mia va in pezzi, tanto da finire per una settimana in un trattamento psichiatrico. Ne esce, ma deve ricostruire se stessa e la sua fiducia nel mondo. Per questo decide di andare nel “buen retiro” dove la madre sta invecchiando per gli ultimi suoi anni insieme a sue coeve amiche. E dove decide, di tenere un corso di poesia, cui si iscrivono sette fanciulle. Questa estate senza uomini è appunto la storia di questa estate passata a Bonden nel Minnesota, e dove (appunto) gli uomini sono solo lo sfondo della scena. Necessari ma se ne può fare a meno. Mia nel percorrere i suoi giorni, percorre anche tratti della sua vita. Ricerca le sue prime esperienze sessuali. Rafforza il legame con la figlia Daisy, aspirante attrice (che non sopporta la “Pausa” del padre). Conosce queste anziane signore, ed alcune le accompagna altrove. Muore la vecchia Georgine di 102 anni. Muore la simpatica Abigail, che per tutta la vita ha fatto ricami a mano, con una perizia tale che, quando li spiega a Mia, le fa vedere le trame nascoste dei ricami. Dove compaiono suntuose e lascive scene di sesso e di eroticità. Discute con la madre il loro diverso rapporto con il padre morto alcuni anni prima. Anche lui con le sue “Pause”, ma che sempre tornava ed era accolto dalla madre. E soprattutto, la storia delle lezioni di poesia e scrittura creativa con le giovani adolescenti. Che Mia scruta, trovandole diverse dal se a quella età, diversa dalla figlia a quella età, ma con tanti punti in comune. Il branco che lotta, la “pecora nera” (cioè quella diversa, per una qualsiasi ragione) che viene sbeffeggiata, allontanata, con tantissima crudeltà (come non ricordare la crudeltà dei giovani di cui si legge nei giornali, che portano anche al suicidio le pecore nere prese di mira). Le discussioni poetiche (stupendo l’Haiku che cito in basso). Le discussioni sull’amore (non solo con le giovani, ma anche con le anziane amiche della madre, durante l’analisi di un libro di Jane Austen). Le crisi che Mia riesce ad indurre nelle giovani, e la catarsi che ne esce fuori. E quel riandare periodico da un lato all’ospedale psichiatrico ed alla dottoressa che la cura e la tira fuori di lì, e dall’altro ad episodi e momenti della vita con Boris. Finché la “Pausa” non molla Boris, e questi tenta (ci riuscirà?) di riconquistare Mia. Il tutto contrappuntato da uno scambio di mail anonimo con un mai scoperto intellettuale, che prima la prende in giro, poi si mette a discettare con lei di massimi sistemi (dalla letteratura a Kant). Ma il nodo è lì: Mia che si analizza, Mia che percorre la sua vita, Mia che deve decidere se dare una nuova possibilità a Boris, Mia con la figlia Daisy, Mia con la madre. Insomma, un TuttoMia molto intrigante. E ben scritto. Da leggere e commentare (sulle possibili declinazioni del finale). Intanto, e solo per finire, una sonora tirata d’orecchi ai curatori dell’edizione italiana, poco accurati. A pagina 96 si fa riferimento ad una citazione/episodio descritto precedentemente, indicandolo avvenuto a pagina 57. Peccato che il formato delle pagine cambi da edizione ad edizione, da originale a traduzione, e così via. Per cui, in questo libro, il riferimento andrebbe collocato come avvenuto a pagina 61. Insomma, che ci vuole ad essere attenti?
“Ed io recitai la poesia di Ron Padgett ‘Haiku’: è stata veloce / intendo la vita.” (86)
“Un libro è una collaborazione tra chi legge e ciò che si legge e, se tutto va per il meglio, quell’unione è una storia d’amore.” (135)
Toni Morrison “Amatissima” Pickwick euro 10,90
[A: 04/01/2014 – I: 08/04/2014 – T: 12/04/2014] - &&& e ½
[tit. or.: Beloved; ling. or.: inglese; pagine: 406; anno 1987]
Saranno più di venti anni che la mia amica Cristina cerca di convincermi a leggere gli scritti del Premio Nobel 1993, l’americana Toni Morrison. E per una somma di motivi (stanchezza, casualità ed altro) avevo fino ad ora tralasciato questa potente scrittura nero americana. Preso ora da voglie di recupero di tanti testi passati (ma non invano) ho preso e letto questo scritto, tra l’altro Premio Pulitzer nel 1988. Che dire? Non è un testo facile, né una lettura che lascia indifferenti. Anche se, appunto, è pieno di citazioni e rimandi alla storia americana, non sempre decifrabili da noi poveri d’oltreoceano (e ringrazio per le esaurienti note al testo). Ed è, sopratutto, una scrittura personalmente ostica, che rimanda molto (pur con i dovuti distinguo) ad alcune belle prose sudamericane, con voli nello spazio e nel tempo, con sogni, con invenzioni ed irrealtà difficili da comprendere. Una specie di “flusso di coscienza” collettivo, che ci porta in pieno Ottocento americano, e per la precisione, nel pieno della metà del Secolo. Con tutte le lotte tra neri e bianchi, e tra bianchi e bianchi, che quell’epoca provocò la schiavitù. La Morrison, dobbiamo senz’altro dargliene atto, dà voce, e che voce, ai neri, tirando fuori, ad una ad una tutti i soprusi, gli abusi, le negazioni dell’individuo che l’epoca schiavista portò alla luce. Lo fa attraverso la storia di Sethe (tra l’altro lo spunto è una storia vera, qui romanzata e portata ad epigono di un momento storico), dei momenti della sua schiavitù, della fuga, del carcere, della libertà, dell’angoscia, e di un finale forse non allegro, ma forse speranzoso e non più disperato. La difficoltà, dicevo, è che il racconto non è lineare, ma va a balzi, passa da un personaggio all’altro, il quale ci porta i suoi pensieri, i suoi ricordi, di modo che, certo, alla fine, si potrà avere una pittura completa, ma bisogna prestare attenzione a tutti i passaggi (e non è un caso che ho impiegato più tempo a leggerlo e capirlo). Quindi da una parte c’è la storia come la possiamo ricostruire: Sethe è schiava in una piantagione dove non conosce sua madre, dove deve scegliersi un compagno nero che possa dare figli schiavi al padrone (sempre indecisa tra due, Halle e Paul D), nelle grazie dei padroni (più umani di loro simili negrieri) finché uno muore e la signora si ammala e cerca aiuto in un nuovo gestore della piantagione. Questo sarà come la quasi totalità degli schiavisti, pieno di rancore verso i neri (ma perché non si capisce), consentirà lo stupro di Sethe da parte del nipote, metterà ferri e catene ai neri validi per età. Tanto che un gruppo cerca di fuggire. Halle sembra scomparire. Paul D viene ripreso, messo alla catena, e solo dopo mille traversie riuscirà ad arrivare a Cincinnati. Sethe ed i suoi tre figli più la piccola che ha in pancia arrivano per primi a casa della madre di Halle (che questi aveva riscattato). Ma il cattivo padrone li ritrova e mentre sta per prenderli, per non essere di nuovo ridotta in schiavitù, Sethe uccide la figlia piccola. Tutto si ferma allora. La prendono, la processano, la giudicano pazza. Poi tornerà dalla nonna, in una casa piena dei fantasmi della figlia uccisa (che lei chiamerà solo e soltanto “Beloved”, Amatissima, come dice il titolo italiano, ma anche Adorata o Diletta, che avrebbe rispettato le 7 lettere dell’inglese). I maschi partiranno presto, e lei rimarrà con la piccola Denver. Dopo la morte della nonna li raggiungerà Paul D che per un po’ scaccerà i fantasmi, fino a che Diletta (così la chiamerò io) non compare di nuovo, come fantasma tangibile, intossicando la vita ai presenti, facendoli piombare nei rimorsi. Paul D viene subito emarginato. Denver pensa di aver ritrovato una sorella, la cerca, le sta vicino, ma si accorge ben presto che Diletta è tornata per tormentare la madre. Sethe proverà a spiegarle e spiegarci che stava uccidendo i suoi figli per non farli tornare schiavi. Ma Diletta non la comprende. E quel che è peggio, neanche Sethe, pur capendosi, si assolve. Fino a che, grazie alla costanza ed all’amore sia di Denver che di Paul D, Diletta scompare e rimarranno i vivi a cercare di portare avanti una vita non certo facile. La forza e la potenza del libro sono quegli squarci quasi giornalistici sulla crudeltà subita dai neri durante la schiavitù (e non a caso, il libro è dedicato ai milioni di persone morte durante la traversata atlantica nelle navi-prigione). La difficoltà (mia) è nel seguire le vicende di Diletta come se fosse vera, come se il fantasma potesse muoversi tra noi, agire fisicamente e non solo nella mente e nella coscienza delle persone. Ma il libro, che nonostante tutto consiglio di leggere, pone tante domande forti, oltre a quelle sul rapporto tra le due razze, tuttora irrisolto (lì e altrove). Pone domande sull’amore e sul rapporto tra Sethe e Paul D. Pone soprattutto domande sul rapporto genitori – figli e sui sensi di colpa che i genitori potranno avere (avranno) per tutta la loro vita, perché “un figlio è sempre un figlio”. Al solito, ora che ne scrivo, lucidamente dopo la lettura, trovo punti e spunti migliori, che durante le pagine mi lasciavano perplesso, e mi mettevano fatica. Chissà forse questo ci insegnerà qualcosa.
“Grande non significa niente per una mamma. Un figlio è sempre un figlio. È chiaro, crescono, invecchiano. Grande, però, cosa vuol dire? … Io la proteggerò quando sarò viva e la proteggerò anche quando non ci sarò più.” (64)
“Quello che è giusto non è detto che vada bene per forza.” (357)
“Io e te messi assieme abbiamo più passato di tutti quanti. Ora abbiamo bisogno di un po’ di futuro.” (382)
Helen Simonson “Una passione tranquilla” Pickwick euro 10,90
[A: 04/01/2014 – I: 30/03/2014 – T: 03/04/2014] - &&& e ½
[tit. or.: Major Pettigrew’s Last Stand; ling. or.: inglese; pagine: 438; anno 2010]
Quali circostanze del caso portano Mrs Jasmina Ali ad andare a trovare il maggiore in pensione Ernest Pettigrew proprio quando questi si sente mancare a seguito della morte del fratello? Da questo attacco in sordina, quasi a voler parlar d’altro, nasce l’interessante (seppur non eccelso) libro della Simonson. Inglese trapiantata in America, che con questo libro molto acclamato dai passaparola, ci descrive e ci fa vivere uno spaccato contemporaneo delle vicende che intercorrono tra i due personaggi nella campagna inglese. Il tono è quasi di un distaccato umorismo, laddove le descrizioni dei tic e delle nevrosi inglesi certamente suscitano del rilassamento nelle nostre facce intente alla lettura. Ma pur con una venatura ironica, non è un libro comico, anche se, nonostante tutto, l’ho trovato un libro allegro. La Simonson ambienta la vicenda nell’attuale campagna inglese, dove ci sono proprietari terrieri, piccoli lord in disarmo, un circolo del golf, le signore che gravitano intorno al pastore con le loro iniziative, tra il benefico e l’auto-referente, nonché immigrati di prima e seconda generazione. La storia ha un andamento lento per più di metà, per poi accelerare in un finale di lungo respiro e di buona resa. La lentezza serve a caratterizzare i personaggi. Al centro, il maggiore, vedovo da sette - otto anni, preso nella routine delle piccole cose quotidiane (la colazione, il tè, la cura dei fucili per la caccia alle anatre, le partite a golf e quella a scacchi, gli acciacchi che inevitabilmente porta l’età, e l’amore per i libri e la cultura). È un inglese di stampo antico, legato ai valori diremmo tradizionali, eppure non chiuso, non ottusamente fermo nelle sue posizioni. Di lato, l’altro personaggio centrale, la vedova Mrs Ali, inglese di nascita, ma pur sempre pakistana di origine, che gestisce l’emporio cittadino, e di cui scopriamo, pagina dopo pagina, l’intelligenza, la cultura (conosce sei lingue) e l’amore per i libri e per Kipling. Tra i due vediamo subito nascere una scintilla di piacere della frequentazione, che laddove si parla e si comunica non può non esserci un moto di convergenza. Ma per far scoppiare la convergenza, l’autrice ci dipinge, con capacità, la possibile vita di questa campagna. E le potenti lotte nell’ambito della cosiddetta convenienza sociale. C’è la morte del fratello del maggiore, e la conseguente lite tra le due famiglie per l’eredità dei fucili del padre colonnello. C’è Roger, il rampante figlio del maggiore, che costruisce la propria vita alla ricerca del denaro, dell’accumulazione, con una capacità, proprio laddove il padre sarebbe tranquillo, di coinvolgerlo in situazioni di difficile gestione. Affitti di casolari, improbabile rapporto con una bella americana (tipico l’atteggiamento tra vecchio e nuovo mondo quando si incontrano, anche se poi Sandy l’americana sarà capita meglio dal maggiore che dal figlio), battute di caccia dove Roger fa sempre più figure barbine. Ci sono le signore benpensanti, che devono organizzare il ballo annuale, e che vorrebbero accasare il maturo maggiore con la zitella Grace. Ma c’è anche la comunità pakistana, con altrettanto ferree regole di comportamento. Il rispetto delle decisioni dei maschi di casa, l’orrore dei rapporti fuori dal matrimonio, la pacchianeria di esposizioni di fiori finti. I nostri due vedovi, attratti dalle loro teste, a poco a poco si avvicinano, ma non sanno che lo status quo non è così facile da scalfire. Il punto di rottura si avrà al ballo organizzato dalle signore. Un ballo in costume, per celebrare i lontani fasti indiani, e rendere omaggio alla memoria del colonnello (il padre del nostro Ernest) che ebbe appunto i fucili al centro di quasi tutte le vicende come dono del maharajah avendo salvato la di lui moglie. Banchetto organizzato con l’aiuto delle due comunità, che però rompe l’equilibrio quando il capostipite pakistano si accorge che la battaglia celebrata fu dove persero la vita quasi tutti i suoi parenti. Rottura inevitabile. Maggiore in crisi che non sa che pesci prendere. Jasmina che torna in famiglia in Scozia lasciando il negozio al bigotto nipote (che però aveva pur sempre messo incinta la bella Amina). Qui si opera l’insight del maggiore. Lontano dalla quotidianità di Jasmina, cade nella più fatale delle depressioni, certo non aiutato dal figlio stupidino che si lascia con Sandy, cercando di circuire la figlia del Lord (che gli preferirà giustamente un magnate americano). Sarà invece proprio Grace che, rifiutando il suo ruolo, spinge il maggiore a ricercare Jasmina. Il maggiore la trova, si scontra con la di lei famiglia, capisce che anche lei, inespressamente, voleva un suo ritorno. E fanno una fuga d’amore, come se fossero ancora ventenni. Bellissima l’immagine di loro due nel freddo casotto di pesca, pur consci del loro passato, e non rinnegando i loro morti, cominciano a vivere, pur anziani, la loro passione. Contro tutto e contro tutti. Ci sono scene forti sul rivolgimento delle convenzioni e sulla forza della passione, che sarà pure tranquilla, ma se ostacolata, travolge tutto e tutti. Per questo la trovo una storia allegra. Perché molti si mostrano al fine come sono, e le persone che avranno la meglio saranno sempre quelle che mostrano più rispetto per l’altro. Anche quando i parenti dell’uno fecero male ai parenti dell’altro. Al fine, non posso definirlo un capolavoro, ma un libro da leggere, con qualche tocco di riflessione che non guasta. E che mi ha anche insegnato la parola “oleaginoso”, un termine più intenso di oleoso, perché contiene anche olio, oltre ad essere sguiscido. Un altro buon suggerimento delle ultime letture incrociate.
“Nessuno contempla la morte quando prende le decisioni per la propria vita.” (17)
“Mi rifiuto … di accettare che la vita sia fatta di tepore e buon senso. … Senza [la passione] due persone che vivono insieme possono ritrovarsi più sole che se vivessero ognuna per conto proprio.” (356)
“A volte il mio amico … sogna di vivere una vita che non può avere. … Invece noi, che potremmo fare tutto, noi rifiutiamo di vivere i nostri sogni solo perché non sono sensati.” (389)
Helene Hanff “84, Charing Cross Road” Archinto euro 10
[A: 18/02/2014– I: 24/05/2014 – T: 25/05/2014] - &&&&
[tit. or.: 84, Charing Cross Road; ling. or.: inglese; pagine: 120; anno 1970]
Un libro che non c’è bisogno di leggerlo per conoscerlo, ma che bisogna leggerlo per capire perché non si può non amarlo. Perché è un inno ai libri stessi, all’amore per la carta stampata, per la lettura, per la ricerca di connessioni tra testi. Ma anche un libro pieno di affetto, di amicizia, di rispetto. Ed una piccola fotografia in evoluzione di come sia cambiato il mondo stesso, dalla prima lettera con cui comincia, nel 1949, fino all’ultima, triste ed umana, nel 1970. E chi non conosce il libro, avrà comunque sentito parlare del film che ne fu tratto, con una magica interpretazione di Anne Bancroft ed una sempre eccellente di Anthony Hopkins. Entrambi, libro e film, oggetti di culto tra gli appassionati. È un libro epistolare, che riporta le più significative lettere scambiate dall’autrice Helene Hanff, per la maggior parte con Frank Doel, librario antiquario della libreria Marks & Co, sita, appunto, all’indirizzo del titolo. Helene, amante della letteratura, nonché squattrinata, dopo la seconda guerra mondiale, trova un’inserzione di libri antiquari acquistabili, lei abitante a New York, di là dell’oceano, in quel di Londra. Scrive, e comincia lo scambio tra lei e Frank. Dalle lettere emerge l’amore, di entrambi, per la carta stampata. La ricerca di testi rari, di connessioni, di edizioni integrali (che bei commenti sulla Vulgata della Bibbia o su alcune poesie di John Donne). Emerge in filigrana la vita dell’americana Hanff, che trova anche un suo spazio nel mondo dei libri. Prima come lettrice di testi, poi come sceneggiatrice di serial storici, infine anche autrice di libri per l’infanzia. Ed anche quella del compassato Doel, con la sua famiglia, e la passione per la ricerca della soddisfazione del cliente (tipico esempio del modo d’approccio di commessi anglo-sassoni, che sempre mi ha riempito di ammirazione). Ma tra un testo e l’altro, una citazione e l’altra, le lettere si riempiono anche di altro. L’inglese le manda la ricetta originale dello Yorkshire Pudding o la descrizione dell’incoronazione della regina Elisabetta. Helene ribatte con le partite di baseball dei Brooklyn Dodgers, l’invio di uova in polvere e di calze di nailon (articoli introvabili nell’Inghilterra del primo dopo-guerra). Gli inglesi troveranno in Helene una zia lontana cui inviare pensieri e foto  ricordo. Helene comincerà a mettere da parte dollari su dollari per cercare di visitare l’Inghilterra di Geoffrey Chaucer e di Frank Doel. Miss Hanff sbarcherà effettivamente in Inghilterra, dopo aver trascorso anni a guardare apposta film inglesi per scoprire come sono fatte le strade di Londra… Ma il tanto desiderato viaggio si realizzerà purtroppo troppo tardi. Nel 1969 Frank muore prematuramente a seguito di una peritonite e dopo poco tempo Marks & Co deve chiudere definitivamente i battenti. Eppure, quando finalmente riuscirà a entrare nella polverosa libreria che aveva dato forma e risposta a molti dei suoi desideri, Helene si rivolgerà all’amico tanto caro e mai conosciuto di persona, commentando, a metà strada tra il rimpianto e la riconoscenza: “Che ne dice, Frankie, finalmente ce l’ho fatta!”. Il libro, sottilmente, mai esplicitamente, ma con forza, ci ricorda sempre che dobbiamo lottare per ottenere quello che desideriamo, senza mai tirarci indietro. Annullando il tempo e la morte, attraverso l’unico modo sempre valido da millenni: attraverso la letteratura. Certo, io ora mi domando come si sarebbe trasformato il libro e tutto il contorno ai tempi di Internet, tra acquisti online divisi tra Amazon ed e-Bay, amicizie su Facebook, chat su Skype, pubblicazioni in e-book ed altro. Ma questo potrebbe essere l’inizio di un nuovo libro e di una nuova trama. In chiusura, devo però dire che, date le premesse, mi aspettavo uno scatto maggiore, un piacere maggiore della lettura. Forse perché pieno di citazioni ed incroci, avrebbe avuto bisogno anche di un più corposo impianto di note e spiegazioni. Per cui alla fine arriva “solo” a quattro libricini su sei. Certo, comunque un buon voto. Ed un libro (ed un film) da conservare nella memoria di chi ama la carta stampata.
“Sono una scrittrice senza soldi che ama i libri.” (1)
E veniamo allora, come ad ogni inizio mese, alle 18 letture di maggio, numero che ricorre spesso in questo 2014. Un mese di letture mediane, senza troppi sbalzi, illuminato solo da “La storia dell’amore” di Nicole Kraus ad inizio mese, ed oscurato in finale da un mediocre libro di Morozzi che a ben altre letture mi aveva abituato.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Gianni Simoni
Un mattino d’ottobre
TEA
12
3
2
Alessia Gazzola
L’allieva
TEA
12
3
3
Nicole Kraus
La storia dell’amore
Guanda
12
4
4
Silvana La Spina
Morte a Palermo
Et al.
9
3
5
Isabel Allende
Il quaderno di Maya
Feltrinelli
9
3
6
Jean-Yves Ferri & Didier Conrad
Asterix e i Pitti
Mondadori
s.p.
3
7
Robert Van Gulik
Il paravento di lacca
Repubblica – Noir
s.p.
3
8
Elizabeth Peters
Tomb of the Golden Bird
Robinson
12
3
9
Alessandro Perissinotto
La canzone di Colombano
Sellerio
11
3
10
Diego De Silva
Non avevo capito niente
Einaudi
s.p.
2
11
Cristina Rava
Un’indagine al nero di seppia
Sole 24 ore – Noir
6,90
3
12
Èlisabeth Gille
Un paesaggio di ceneri
Marsilio
s.p.
3
13
Kathy Reichs
Le ossa del ragno
BUR
9,90
3
14
Gianluca Morozzi
Chi non muore
TEA
10
1
15
Kathy Reichs
Virals
BUR
s.p.
3
16
Helene Hanff
84, Charing Cross Road
Archinto
10
3
17
Italo Calvino
La giornata d’uno scrutatore
Mondadori
9
3
18
Francesco Guccini
Nuovo dizionario delle cose perdute
Mondadori
12
2

Agosto si sa è un mese capriccioso, in cui i giorni si mescolano tra loro. Quindi ecco un invio sul filo di lana festivo, e, per il futuro, alcune settimane di riposo per tutti. Si va verso la Francia, dove da troppo si era lontani. Torneranno le mie righe per voi, ma solo verso la fine del mese. Allora, riposatevi tutti, ricaricatevi.

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