Neologismo intradotto che indica
un’insalata di donne (Woman sALAD). Dopo tutte le mescolanze fatte nel mese
scorso, questa volta, infatti, abbiamo a che fare con quattro scrittrici di
lingua inglese. E tutte di buono ed anche eccelso livello. Tutte inoltre alla
mia prima lettura, con delle buonissime sensazioni per lo scritto di Siri
Hustvedt, con il piacere (anche se non fin in fondo) del premio Nobel Morrison,
e con la piacevole sorpresa dell’agevole lettura di Helen Simonson. Ed alla
fine, ciliegina morale della torta, la lettura dell’inno alla carta stampata
fatto da Helene Hanff con il mai troppo lodato 84 Charing Cross Road (lodato
per il suo simbolo, anche se, come sottolineo, il libro è di resa normale). E
non è un caso che siano anche libri pieni di citazioni e di rimandi.
Siri Hustvedt “L’estate senza uomini” Einaudi euro 9,50 (in realtà,
scontato a 5,70 euro)
[A: 10/01/2014– I: 12/03/2014 – T: 13/03/2014] - &&&& e ½
[tit. or.: The Summer without Men; ling. or.: inglese; pagine: 165; anno 2011]
Una
nuova, splendente, interessante entrata nella mia pur vasta biblioteca. Entrata
autonoma, che ne avevo visto recensioni in giro per librerie. Scoprendo poi che
l’esimia Siri è, anche, moglie di Paul Auster. Ma per la lettura e per i suoi libri,
questo è un dato assolutamente marginale. La bellezza di questo testo mi ha
preso sin dalle prime pagine, dove, e finalmente, c’è una donna che parla da
donna. In un’atmosfera che se fosse solo ironica, ricorderebbe quel bel ritratto
della metà di niente della Dunne. Ma non è solo ironica, anche se c’è l’ironia.
È dolente, è coinvolgente, è cattiva, è reale come la vita. Insomma, è bella e
mi è piaciuta. Anche se l’io narrante non è nelle mie corde: Mia, una donna,
intelligente, poetessa, colta, ma fragile, viene lasciata dal marito Boris,
neuro scienziato, colto e stronzo, che si vuole prendere una “Pausa” (che nella
fattispecie è una bionda francese), dopo trenta anni di matrimonio ed una
figlia più che ventenne. Mia va in pezzi, tanto da finire per una settimana in
un trattamento psichiatrico. Ne esce, ma deve ricostruire se stessa e la sua
fiducia nel mondo. Per questo decide di andare nel “buen retiro” dove la madre
sta invecchiando per gli ultimi suoi anni insieme a sue coeve amiche. E dove
decide, di tenere un corso di poesia, cui si iscrivono sette fanciulle. Questa
estate senza uomini è appunto la storia di questa estate passata a Bonden nel
Minnesota, e dove (appunto) gli uomini sono solo lo sfondo della scena.
Necessari ma se ne può fare a meno. Mia nel percorrere i suoi giorni, percorre
anche tratti della sua vita. Ricerca le sue prime esperienze sessuali. Rafforza
il legame con la figlia Daisy, aspirante attrice (che non sopporta la “Pausa”
del padre). Conosce queste anziane signore, ed alcune le accompagna altrove.
Muore la vecchia Georgine di 102 anni. Muore la simpatica Abigail, che per
tutta la vita ha fatto ricami a mano, con una perizia tale che, quando li
spiega a Mia, le fa vedere le trame nascoste dei ricami. Dove compaiono suntuose
e lascive scene di sesso e di eroticità. Discute con la madre il loro diverso
rapporto con il padre morto alcuni anni prima. Anche lui con le sue “Pause”, ma
che sempre tornava ed era accolto dalla madre. E soprattutto, la storia delle
lezioni di poesia e scrittura creativa con le giovani adolescenti. Che Mia
scruta, trovandole diverse dal se a quella età, diversa dalla figlia a quella
età, ma con tanti punti in comune. Il branco che lotta, la “pecora nera” (cioè
quella diversa, per una qualsiasi ragione) che viene sbeffeggiata, allontanata,
con tantissima crudeltà (come non ricordare la crudeltà dei giovani di cui si
legge nei giornali, che portano anche al suicidio le pecore nere prese di
mira). Le discussioni poetiche (stupendo l’Haiku che cito in basso). Le
discussioni sull’amore (non solo con le giovani, ma anche con le anziane amiche
della madre, durante l’analisi di un libro di Jane Austen). Le crisi che Mia
riesce ad indurre nelle giovani, e la catarsi che ne esce fuori. E quel
riandare periodico da un lato all’ospedale psichiatrico ed alla dottoressa che
la cura e la tira fuori di lì, e dall’altro ad episodi e momenti della vita con
Boris. Finché la “Pausa” non molla Boris, e questi tenta (ci riuscirà?) di riconquistare
Mia. Il tutto contrappuntato da uno scambio di mail anonimo con un mai scoperto
intellettuale, che prima la prende in giro, poi si mette a discettare con lei
di massimi sistemi (dalla letteratura a Kant). Ma il nodo è lì: Mia che si
analizza, Mia che percorre la sua vita, Mia che deve decidere se dare una nuova
possibilità a Boris, Mia con la figlia Daisy, Mia con la madre. Insomma, un
TuttoMia molto intrigante. E ben scritto. Da leggere e commentare (sulle
possibili declinazioni del finale). Intanto, e solo per finire, una sonora
tirata d’orecchi ai curatori dell’edizione italiana, poco accurati. A pagina 96
si fa riferimento ad una citazione/episodio descritto precedentemente,
indicandolo avvenuto a pagina 57. Peccato che il formato delle pagine cambi da
edizione ad edizione, da originale a traduzione, e così via. Per cui, in questo
libro, il riferimento andrebbe collocato come avvenuto a pagina 61. Insomma,
che ci vuole ad essere attenti?
“Ed io recitai la poesia di Ron Padgett
‘Haiku’: è stata veloce / intendo la vita.” (86)
“Un libro è una collaborazione tra chi legge
e ciò che si legge e, se tutto va per il meglio, quell’unione è una storia
d’amore.” (135)
Toni Morrison “Amatissima” Pickwick euro 10,90
[A: 04/01/2014 – I: 08/04/2014 – T: 12/04/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: Beloved; ling. or.: inglese; pagine: 406;
anno 1987]
Saranno più di venti anni che la
mia amica Cristina cerca di convincermi a leggere gli scritti del Premio Nobel
1993, l’americana Toni Morrison. E per una somma di motivi (stanchezza, casualità
ed altro) avevo fino ad ora tralasciato questa potente scrittura nero
americana. Preso ora da voglie di recupero di tanti testi passati (ma non
invano) ho preso e letto questo scritto, tra l’altro Premio Pulitzer nel 1988.
Che dire? Non è un testo facile, né una lettura che lascia indifferenti. Anche
se, appunto, è pieno di citazioni e rimandi alla storia americana, non sempre decifrabili
da noi poveri d’oltreoceano (e ringrazio per le esaurienti note al testo). Ed
è, sopratutto, una scrittura personalmente ostica, che rimanda molto (pur con i
dovuti distinguo) ad alcune belle prose sudamericane, con voli nello spazio e
nel tempo, con sogni, con invenzioni ed irrealtà difficili da comprendere. Una
specie di “flusso di coscienza” collettivo, che ci porta in pieno Ottocento
americano, e per la precisione, nel pieno della metà del Secolo. Con tutte le
lotte tra neri e bianchi, e tra bianchi e bianchi, che quell’epoca provocò la
schiavitù. La Morrison, dobbiamo senz’altro dargliene atto, dà voce, e che
voce, ai neri, tirando fuori, ad una ad una tutti i soprusi, gli abusi, le
negazioni dell’individuo che l’epoca schiavista portò alla luce. Lo fa
attraverso la storia di Sethe (tra l’altro lo spunto è una storia vera, qui
romanzata e portata ad epigono di un momento storico), dei momenti della sua
schiavitù, della fuga, del carcere, della libertà, dell’angoscia, e di un
finale forse non allegro, ma forse speranzoso e non più disperato. La
difficoltà, dicevo, è che il racconto non è lineare, ma va a balzi, passa da un
personaggio all’altro, il quale ci porta i suoi pensieri, i suoi ricordi, di
modo che, certo, alla fine, si potrà avere una pittura completa, ma bisogna
prestare attenzione a tutti i passaggi (e non è un caso che ho impiegato più
tempo a leggerlo e capirlo). Quindi da una parte c’è la storia come la possiamo
ricostruire: Sethe è schiava in una piantagione dove non conosce sua madre,
dove deve scegliersi un compagno nero che possa dare figli schiavi al padrone
(sempre indecisa tra due, Halle e Paul D), nelle grazie dei padroni (più umani
di loro simili negrieri) finché uno muore e la signora si ammala e cerca aiuto
in un nuovo gestore della piantagione. Questo sarà come la quasi totalità degli
schiavisti, pieno di rancore verso i neri (ma perché non si capisce),
consentirà lo stupro di Sethe da parte del nipote, metterà ferri e catene ai
neri validi per età. Tanto che un gruppo cerca di fuggire. Halle sembra
scomparire. Paul D viene ripreso, messo alla catena, e solo dopo mille
traversie riuscirà ad arrivare a Cincinnati. Sethe ed i suoi tre figli più la
piccola che ha in pancia arrivano per primi a casa della madre di Halle (che
questi aveva riscattato). Ma il cattivo padrone li ritrova e mentre sta per
prenderli, per non essere di nuovo ridotta in schiavitù, Sethe uccide la figlia
piccola. Tutto si ferma allora. La prendono, la processano, la giudicano pazza.
Poi tornerà dalla nonna, in una casa piena dei fantasmi della figlia uccisa
(che lei chiamerà solo e soltanto “Beloved”, Amatissima, come dice il titolo
italiano, ma anche Adorata o Diletta, che avrebbe rispettato le 7 lettere
dell’inglese). I maschi partiranno presto, e lei rimarrà con la piccola Denver.
Dopo la morte della nonna li raggiungerà Paul D che per un po’ scaccerà i
fantasmi, fino a che Diletta (così la chiamerò io) non compare di nuovo, come
fantasma tangibile, intossicando la vita ai presenti, facendoli piombare nei
rimorsi. Paul D viene subito emarginato. Denver pensa di aver ritrovato una
sorella, la cerca, le sta vicino, ma si accorge ben presto che Diletta è tornata
per tormentare la madre. Sethe proverà a spiegarle e spiegarci che stava
uccidendo i suoi figli per non farli tornare schiavi. Ma Diletta non la
comprende. E quel che è peggio, neanche Sethe, pur capendosi, si assolve. Fino
a che, grazie alla costanza ed all’amore sia di Denver che di Paul D, Diletta
scompare e rimarranno i vivi a cercare di portare avanti una vita non certo
facile. La forza e la potenza del libro sono quegli squarci quasi giornalistici
sulla crudeltà subita dai neri durante la schiavitù (e non a caso, il libro è
dedicato ai milioni di persone morte durante la traversata atlantica nelle
navi-prigione). La difficoltà (mia) è nel seguire le vicende di Diletta come se
fosse vera, come se il fantasma potesse muoversi tra noi, agire fisicamente e
non solo nella mente e nella coscienza delle persone. Ma il libro, che
nonostante tutto consiglio di leggere, pone tante domande forti, oltre a quelle
sul rapporto tra le due razze, tuttora irrisolto (lì e altrove). Pone domande
sull’amore e sul rapporto tra Sethe e Paul D. Pone soprattutto domande sul
rapporto genitori – figli e sui sensi di colpa che i genitori potranno avere
(avranno) per tutta la loro vita, perché “un figlio è sempre un figlio”. Al
solito, ora che ne scrivo, lucidamente dopo la lettura, trovo punti e spunti
migliori, che durante le pagine mi lasciavano perplesso, e mi mettevano fatica.
Chissà forse questo ci insegnerà qualcosa.
“Grande non significa niente per una mamma. Un figlio è sempre un
figlio. È chiaro, crescono, invecchiano. Grande, però, cosa vuol dire? … Io la
proteggerò quando sarò viva e la proteggerò anche quando non ci sarò più.” (64)
“Quello che è giusto non è detto che vada bene per forza.” (357)
“Io e te messi assieme abbiamo più passato di tutti quanti. Ora abbiamo
bisogno di un po’ di futuro.” (382)
Helen Simonson “Una passione tranquilla” Pickwick euro 10,90
[A: 04/01/2014 – I: 30/03/2014 – T: 03/04/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: Major Pettigrew’s Last Stand; ling. or.: inglese; pagine: 438; anno 2010]
Quali
circostanze del caso portano Mrs Jasmina Ali ad andare a trovare il maggiore in
pensione Ernest Pettigrew proprio quando questi si sente mancare a seguito
della morte del fratello? Da questo attacco in sordina, quasi a voler parlar
d’altro, nasce l’interessante (seppur non eccelso) libro della Simonson.
Inglese trapiantata in America, che con questo libro molto acclamato dai passaparola,
ci descrive e ci fa vivere uno spaccato contemporaneo delle vicende che intercorrono
tra i due personaggi nella campagna inglese. Il tono è quasi di un distaccato
umorismo, laddove le descrizioni dei tic e delle nevrosi inglesi certamente
suscitano del rilassamento nelle nostre facce intente alla lettura. Ma pur con
una venatura ironica, non è un libro comico, anche se, nonostante tutto, l’ho
trovato un libro allegro. La Simonson ambienta la vicenda nell’attuale campagna
inglese, dove ci sono proprietari terrieri, piccoli lord in disarmo, un circolo
del golf, le signore che gravitano intorno al pastore con le loro iniziative,
tra il benefico e l’auto-referente, nonché immigrati di prima e seconda
generazione. La storia ha un andamento lento per più di metà, per poi accelerare
in un finale di lungo respiro e di buona resa. La lentezza serve a
caratterizzare i personaggi. Al centro, il maggiore, vedovo da sette - otto
anni, preso nella routine delle piccole cose quotidiane (la colazione, il tè,
la cura dei fucili per la caccia alle anatre, le partite a golf e quella a
scacchi, gli acciacchi che inevitabilmente porta l’età, e l’amore per i libri e
la cultura). È un inglese di stampo antico, legato ai valori diremmo tradizionali,
eppure non chiuso, non ottusamente fermo nelle sue posizioni. Di lato, l’altro
personaggio centrale, la vedova Mrs Ali, inglese di nascita, ma pur sempre
pakistana di origine, che gestisce l’emporio cittadino, e di cui scopriamo,
pagina dopo pagina, l’intelligenza, la cultura (conosce sei lingue) e l’amore
per i libri e per Kipling. Tra i due vediamo subito nascere una scintilla di
piacere della frequentazione, che laddove si parla e si comunica non può non
esserci un moto di convergenza. Ma per far scoppiare la convergenza, l’autrice
ci dipinge, con capacità, la possibile vita di questa campagna. E le potenti
lotte nell’ambito della cosiddetta convenienza sociale. C’è la morte del
fratello del maggiore, e la conseguente lite tra le due famiglie per l’eredità
dei fucili del padre colonnello. C’è Roger, il rampante figlio del maggiore,
che costruisce la propria vita alla ricerca del denaro, dell’accumulazione, con
una capacità, proprio laddove il padre sarebbe tranquillo, di coinvolgerlo in
situazioni di difficile gestione. Affitti di casolari, improbabile rapporto con
una bella americana (tipico l’atteggiamento tra vecchio e nuovo mondo quando si
incontrano, anche se poi Sandy l’americana sarà capita meglio dal maggiore che
dal figlio), battute di caccia dove Roger fa sempre più figure barbine. Ci sono
le signore benpensanti, che devono organizzare il ballo annuale, e che
vorrebbero accasare il maturo maggiore con la zitella Grace. Ma c’è anche la
comunità pakistana, con altrettanto ferree regole di comportamento. Il rispetto
delle decisioni dei maschi di casa, l’orrore dei rapporti fuori dal matrimonio,
la pacchianeria di esposizioni di fiori finti. I nostri due vedovi, attratti
dalle loro teste, a poco a poco si avvicinano, ma non sanno che lo status quo
non è così facile da scalfire. Il punto di rottura si avrà al ballo organizzato
dalle signore. Un ballo in costume, per celebrare i lontani fasti indiani, e
rendere omaggio alla memoria del colonnello (il padre del nostro Ernest) che
ebbe appunto i fucili al centro di quasi tutte le vicende come dono del
maharajah avendo salvato la di lui moglie. Banchetto organizzato con l’aiuto
delle due comunità, che però rompe l’equilibrio quando il capostipite pakistano
si accorge che la battaglia celebrata fu dove persero la vita quasi tutti i
suoi parenti. Rottura inevitabile. Maggiore in crisi che non sa che pesci
prendere. Jasmina che torna in famiglia in Scozia lasciando il negozio al bigotto
nipote (che però aveva pur sempre messo incinta la bella Amina). Qui si opera
l’insight del maggiore. Lontano dalla quotidianità di Jasmina, cade nella più
fatale delle depressioni, certo non aiutato dal figlio stupidino che si lascia
con Sandy, cercando di circuire la figlia del Lord (che gli preferirà
giustamente un magnate americano). Sarà invece proprio Grace che, rifiutando il
suo ruolo, spinge il maggiore a ricercare Jasmina. Il maggiore la trova, si
scontra con la di lei famiglia, capisce che anche lei, inespressamente, voleva
un suo ritorno. E fanno una fuga d’amore, come se fossero ancora ventenni.
Bellissima l’immagine di loro due nel freddo casotto di pesca, pur consci del
loro passato, e non rinnegando i loro morti, cominciano a vivere, pur anziani,
la loro passione. Contro tutto e contro tutti. Ci sono scene forti sul
rivolgimento delle convenzioni e sulla forza della passione, che sarà pure
tranquilla, ma se ostacolata, travolge tutto e tutti. Per questo la trovo una
storia allegra. Perché molti si mostrano al fine come sono, e le persone che
avranno la meglio saranno sempre quelle che mostrano più rispetto per l’altro.
Anche quando i parenti dell’uno fecero male ai parenti dell’altro. Al fine, non
posso definirlo un capolavoro, ma un libro da leggere, con qualche tocco di
riflessione che non guasta. E che mi ha anche insegnato la parola “oleaginoso”,
un termine più intenso di oleoso, perché contiene anche olio, oltre ad essere
sguiscido. Un altro buon suggerimento delle ultime letture incrociate.
“Nessuno contempla la morte quando prende le
decisioni per la propria vita.” (17)
“Mi rifiuto … di accettare che la vita sia
fatta di tepore e buon senso. … Senza [la passione] due persone che vivono
insieme possono ritrovarsi più sole che se vivessero ognuna per conto proprio.”
(356)
“A volte il mio amico … sogna di vivere una
vita che non può avere. … Invece noi, che potremmo fare tutto, noi rifiutiamo
di vivere i nostri sogni solo perché non sono sensati.” (389)
Helene Hanff “84,
Charing Cross Road” Archinto euro 10
[A: 18/02/2014– I:
24/05/2014 – T: 25/05/2014] - &&&&
[tit. or.: 84, Charing Cross Road; ling. or.: inglese; pagine: 120; anno 1970]
Un
libro che non c’è bisogno di leggerlo per conoscerlo, ma che bisogna leggerlo
per capire perché non si può non amarlo. Perché è un inno ai libri stessi,
all’amore per la carta stampata, per la lettura, per la ricerca di connessioni
tra testi. Ma anche un libro pieno di affetto, di amicizia, di rispetto. Ed una
piccola fotografia in evoluzione di come sia cambiato il mondo stesso, dalla
prima lettera con cui comincia, nel 1949, fino all’ultima, triste ed umana, nel
1970. E chi non conosce il libro, avrà comunque sentito parlare del film che ne
fu tratto, con una magica interpretazione di Anne Bancroft ed una sempre
eccellente di Anthony Hopkins. Entrambi, libro e film, oggetti di culto tra gli
appassionati. È un libro epistolare, che riporta le più significative lettere
scambiate dall’autrice Helene Hanff, per la maggior parte con Frank Doel, librario
antiquario della libreria Marks & Co, sita, appunto, all’indirizzo del
titolo. Helene, amante della letteratura, nonché squattrinata, dopo la seconda
guerra mondiale, trova un’inserzione di libri antiquari acquistabili, lei abitante
a New York, di là dell’oceano, in quel di Londra. Scrive, e comincia lo scambio
tra lei e Frank. Dalle lettere emerge l’amore, di entrambi, per la carta stampata.
La ricerca di testi rari, di connessioni, di edizioni integrali (che bei
commenti sulla Vulgata della Bibbia o su alcune poesie di John Donne). Emerge
in filigrana la vita dell’americana Hanff, che trova anche un suo spazio nel
mondo dei libri. Prima come lettrice di testi, poi come sceneggiatrice di
serial storici, infine anche autrice di libri per l’infanzia. Ed anche quella
del compassato Doel, con la sua famiglia, e la passione per la ricerca della
soddisfazione del cliente (tipico esempio del modo d’approccio di commessi
anglo-sassoni, che sempre mi ha riempito di ammirazione). Ma tra un testo e
l’altro, una citazione e l’altra, le lettere si riempiono anche di altro.
L’inglese le manda la ricetta originale dello Yorkshire Pudding o la
descrizione dell’incoronazione della regina Elisabetta. Helene ribatte con le
partite di baseball dei Brooklyn Dodgers, l’invio di uova in polvere e di calze
di nailon (articoli introvabili nell’Inghilterra del primo dopo-guerra). Gli
inglesi troveranno in Helene una zia lontana cui inviare pensieri e foto ricordo. Helene comincerà a mettere da parte
dollari su dollari per cercare di visitare l’Inghilterra di Geoffrey Chaucer e
di Frank Doel. Miss Hanff sbarcherà effettivamente in Inghilterra, dopo aver
trascorso anni a guardare apposta film inglesi per scoprire come sono fatte le
strade di Londra… Ma il tanto desiderato viaggio si realizzerà purtroppo troppo
tardi. Nel 1969 Frank muore prematuramente a seguito di una peritonite e dopo
poco tempo Marks & Co deve chiudere definitivamente i battenti. Eppure,
quando finalmente riuscirà a entrare nella polverosa libreria che aveva dato
forma e risposta a molti dei suoi desideri, Helene si rivolgerà all’amico tanto
caro e mai conosciuto di persona, commentando, a metà strada tra il rimpianto e
la riconoscenza: “Che ne dice, Frankie, finalmente ce l’ho fatta!”. Il libro,
sottilmente, mai esplicitamente, ma con forza, ci ricorda sempre che dobbiamo
lottare per ottenere quello che desideriamo, senza mai tirarci indietro.
Annullando il tempo e la morte, attraverso l’unico modo sempre valido da millenni:
attraverso la letteratura. Certo, io ora mi domando come si sarebbe trasformato
il libro e tutto il contorno ai tempi di Internet, tra acquisti online divisi
tra Amazon ed e-Bay, amicizie su Facebook, chat su Skype, pubblicazioni in
e-book ed altro. Ma questo potrebbe essere l’inizio di un nuovo libro e di una
nuova trama. In chiusura, devo però dire che, date le premesse, mi aspettavo
uno scatto maggiore, un piacere maggiore della lettura. Forse perché pieno di
citazioni ed incroci, avrebbe avuto bisogno anche di un più corposo impianto di
note e spiegazioni. Per cui alla fine arriva “solo” a quattro libricini su sei.
Certo, comunque un buon voto. Ed un libro (ed un film) da conservare nella
memoria di chi ama la carta stampata.
“Sono una scrittrice senza soldi che ama i
libri.” (1)
E
veniamo allora, come ad ogni inizio mese, alle 18 letture di maggio, numero che
ricorre spesso in questo 2014. Un mese di letture mediane, senza troppi sbalzi,
illuminato solo da “La storia dell’amore” di Nicole Kraus ad inizio mese, ed
oscurato in finale da un mediocre libro di Morozzi che a ben altre letture mi
aveva abituato.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Gianni Simoni
|
Un mattino d’ottobre
|
TEA
|
12
|
3
|
2
|
Alessia Gazzola
|
L’allieva
|
TEA
|
12
|
3
|
3
|
Nicole Kraus
|
La storia dell’amore
|
Guanda
|
12
|
4
|
4
|
Silvana La Spina
|
Morte a Palermo
|
Et al.
|
9
|
3
|
5
|
Isabel Allende
|
Il quaderno di Maya
|
Feltrinelli
|
9
|
3
|
6
|
Jean-Yves Ferri
& Didier Conrad
|
Asterix e i Pitti
|
Mondadori
|
s.p.
|
3
|
7
|
Robert Van Gulik
|
Il paravento di lacca
|
Repubblica – Noir
|
s.p.
|
3
|
8
|
Elizabeth
Peters
|
Tomb of
the Golden Bird
|
Robinson
|
12
|
3
|
9
|
Alessandro Perissinotto
|
La canzone di Colombano
|
Sellerio
|
11
|
3
|
10
|
Diego De Silva
|
Non avevo capito niente
|
Einaudi
|
s.p.
|
2
|
11
|
Cristina Rava
|
Un’indagine al nero di seppia
|
Sole 24 ore – Noir
|
6,90
|
3
|
12
|
Èlisabeth Gille
|
Un paesaggio di ceneri
|
Marsilio
|
s.p.
|
3
|
13
|
Kathy Reichs
|
Le ossa del ragno
|
BUR
|
9,90
|
3
|
14
|
Gianluca Morozzi
|
Chi non muore
|
TEA
|
10
|
1
|
15
|
Kathy Reichs
|
Virals
|
BUR
|
s.p.
|
3
|
16
|
Helene Hanff
|
84, Charing Cross Road
|
Archinto
|
10
|
3
|
17
|
Italo Calvino
|
La giornata d’uno scrutatore
|
Mondadori
|
9
|
3
|
18
|
Francesco Guccini
|
Nuovo dizionario delle cose perdute
|
Mondadori
|
12
|
2
|
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