domenica 7 settembre 2014

Spanish Tales - 07 settembre 2014

Mettiamo un titolo inglese per una tramona di spagnoli, dove però non arriva il quarto e ci si mette un ottimo e robusto americano. Tra gli spagnoli, non mi ha convinto molto la prova di Mendoza, di cui avevo letto altro e mi sembrava meglio. E per nulla mi ha intrigato la complessa ed immaginaria storia personale di Jodorowsky. Meglio, e di molto, i dolci ricordi di Skármeta (con nella testa le immagini sempre presenti di Troisi) e le girandole di San Francisco dove ci portano le invenzioni e le storie di Maupin.
Eduardo Mendoza “O la borsa o la vita” Feltrinelli s.p. (prestito di Roberto “Fako”)
[A: 08/11/2013– I: 24/02/2014 – T: 27/02/2014] - &&
[tit. or.: El enredo de la bolsa y la vida; ling. or.: spagnolo; pagine: 235; anno 2012]
Peccato, peccato anche qui. Traduzione così, verve così, tutto un po’ così. Come dice una persona con cui ne ho parlato, si sente che gli anni passano. E già, perché negli anni ’90, le vicende del detective senza nome, che Mendoza ci tramanda con quei capolavori pirotecnici de “Il mistero della cripta stregata” o “Il tempo degli ulivi”, avevano un altro passo. Qui rimane una comicità di testa, che si perde nell’insipienza di una trama che non esiste. Sono tutti spunti, momenti di vita barcellonese, dei soliti personaggi ai margini che Mendoza cura e ci descrive con la sua indubbia perizia. Ma non c’è carica eversiva come quando, nell’anno della morte di Franco usciva l’inarrivabile “La verità sul caso Savolta”. Senza parlare della traduzione, che cerca di restituirci momenti ilari, ma non sempre ci riesce. E soprattutto se si parte dal titolo. Un conto è parlare di un grido da rapinatore sbandato, quell’italiano “o la borsa o la vita”. Un altro è parlare dell’imbroglio della borsa e della vita. Mendoza vuole dirci che siamo tutti in una grande crisi. Poco lavoro, poco prospettive, pochi euro che girano. Le banche fanno prestiti solo per strangolare i mutuati. E l’Europa non da prospettive, soprattutto prospettive comuni. Per questo, il nostro ironico scrivano imbastisce, con i suoi soliti personaggi di questi quattro episodi del detective senza nome, una storia senza capo né coda. Dove i nostri tentano (ci riusciranno? Questo magari lo leggete) di salvare Angela Merkel da un rapimento e forse da un omicidio in terra di Spagna. La banda dei buoni è la solita unione di strambi personaggi “alla Mendoza”. In testa a tutti, il detective senza nome, sempre con un passo sbagliato rispetto alla realtà. Lui vede problemi e soluzioni, ma il mondo è sfasato rispetto a lui. Per questo, fin dal tempo della cripta, la maggior parte del tempo lo passa in manicomio. Ora ne è uscito da un po’, e come ci avrebbe detto il terzo episodio, non ancora uscito in Italia, ha messo su un (inutile) parrucchiere per signora (“La aventura del tocador de señoras”). Ma quando scompare il suo pazzo amico Romulo el Guapo, uno che si inventa rapine che più pazze non si può, e che per questo anche lui si ritrova spesso in manicomio, il nostro si attiva. Spinto anche dalla piccola Quesito (questo il nome originale della così tradotta Formaggino). E nelle indagini e ricerche coinvolge le statue viventi delle Ramblas, utilizzate come pali per controllare entrate ed uscite da palazzi pieni di sospettati. O la stramba Moski, fuoriuscita russa, stalinista nell’anima, che si guadagna la vita suonando una fisarmonica senza saperlo fare. O Menelik, il moto-pizzettaio che si mangia le pizze invece di consegnarle a domicilio. Il nostro e la sua banda, di errore in catastrofe non potranno che portare avanti la loro lotta alternativa allo status quo, inscenando gustosi siparietti con i vicini di strada, i cinesi del bazar. Ovviamente Mendoza ne approfitta per fare una (piccola) critica alle economie occidentali che da un lato lasciano molto spazio agli orientali senza orari, dall’altro ne cercano aiuto in caso di difficoltà. Ed altrettanto gustosi i siparietti con il finto santone yogi, innamorato non corrisposto della moglie di Romulo. Alla fine ci scappa anche un insight del nostro detective con la madre di Quesito, che scopriamo essere l’Emilia già incontrata nelle altre puntate della saga. Ma il testo scorre veloce, senza dare troppo aiuto ai pensieri profondi, soltanto con qualche sorriso (certo, vedere la Merkel svampita innamorata ancora del giovane Manolo incontrato in gioventù, o Candida, la sorella del nostro, che ne fa la controfigura, sono dei gustosi cammei). Non ne ho visto le critiche sociali che sembra adombrino la quarta di copertina, o altre critiche accolte in giro. No, comicità, divertissement, ma niente, niente di più. Mendoza è bravo ad imbastire situazioni surreali come se fossero possibili. Ma non va molto più in profondo. Un’altra occasione non centrata completamente.
Antonio Skármeta “Il postino di Neruda” Einaudi euro 9,50 (in realtà, scontato a 7,13 euro)
[A: 01/02/2014– I: 04/04/2014 – T: 05/04/2014] - &&&&
[tit. or.: Ardente pacienca; ling. or.: spagnolo; pagine: 117; anno 1985]
Un altro bello anche se non eccellentissimo romanzo. Di quelli che una volta farebbero piangere lacrime a fiumi. Per la storia in sé. E per il suo contesto, cioè quel bello e dolentissimo film che segnò l’ultima apparizione di Troisi, morto poche ore dopo la fine delle riprese. Sono 20 anni che Massimo c’ha lasciato, ma il suo ricordo è sempre lì, o qui nella memoria. Ma il contesto è anche il Cile dell’85, dodici anno dopo il colpo di stato militare. Ed allora, dimentichiamoci il film (anche se quella prima apparizione della Cucinotta…), e veniamo al veloce romanzo breve. Sicuramente torneremo sulla sciagurata traduzione del titolo alla fine di questa trama. La storia in realtà è breve come il romanzo. C’è Mario, ragazzo di 17 anni, sognatore, senza arte né parte. Siamo nel 1969, e siamo ad Isla Negra (che non è un’isola ma una località ad un centinaio di chilometri da Santiago), dove per decenni ha eletto la sua residenza Pablo Neruda (che in realtà non si chiamava né Pablo né Neruda, ma Ricardo Neftalì Reyes Basoalto). Mario ha solo una bicicletta, e per questo viene assunto come postino. Con un unico cliente, appunto il poeta, dato che nessuno riceve lettere ad Isla. Il rapporto tra i due si fa prima di sguardi, poi di timide avances di Mario, affascinato dalla poesia. Il sessantacinquenne poeta non è molto incline alla confidenza, ma viene poi preso dall’innocenza di Mario, dal suo entusiasmo. E diventano grandiose le discussioni tra i due sulle metafore e sul loro uso in poesia. Parallelamente al rapporto di conoscenza, se non di amicizia, tra i due, si sviluppano due momenti importanti per Isla Negra, uno interno ed uno esterno. Si avvicinano, dall’esterno, le elezioni del settembre del 1970, quelle che portarono al Governo Allende, con la grande spaccatura del popolo cileno, anche sotto la spinta delle manovre nordamericane. Dall’interno, Mario conosce la giovane Beatriz e se ne innamora perdutamente. Tanto che chiede al poeta di aiutarlo a conquistare il cuore della donna. Neruda non lo fa direttamente, ma rinfocola la via di Mario alla metafora, e con le parole, le azioni, e vincendo la resistenza della futura suocera, finalmente i diciottenni convolano a giuste nozze. Intanto Neruda è nominato ambasciatore in Francia e lascia Isla Negra. Dove la vita procede, anche con la nascita del piccolo Pablo Neftalì. Mario aiuta l’osteria, ma nel 1971 è chiamato da Neruda ad una missione personale. Pieno di nostalgia, il poeta vuole sentire i suoni di Isla Negra, e Mario gira con un registratore per la zona, cogliendo le campane, la risacca del mare, i gabbiani che si alzano in volo, ed il pianto del piccolo Pablito. È uno dei momenti più belli la descrizione dei suoni del nastro. E poi Mario riunisce tutta Isla Negra, di destra e di sinistra, persino il fascista Labbé, per vedere alla televisione il conferimento del Premio Nobel a Neruda. Ma se la storia di Mario e Beatriz prosegue con passione (e tanta) non altrimenti avviene nel Cile, che passo dopo passo si avvicina al baratro. Nell’agosto del ’73 Neruda torna a Isla Negra malato. Mario cerca di confortarlo, ma anche la moglie del poeta, Matilde, è preda ad oscuri presentimenti. Poi, il settembre nero, il golpe di Pinochet pagato dalla CIA, la morte di Allende, l’occupazione militare di Isla Negra. Ed il poeta viene prelevato, portato nella capitale, dove, 12 giorni dopo il golpe muore. Amato da tutto il paese, i generali negano i funerali. Solo Mario, nella cittadina, ne fa l’orazione, internamente, ricordando il passaggio della poesia di Rimbaud citata da Neruda al Nobel (“armati di ardente pazienza entreremo nelle città splendide”), verso che il poeta riprende nella sua bellissima poesia “Lentamente muore”. Il giorno dopo Labbé arresta Mario, che “desaparece”. Rimango quindi sul testo (scordando definitivamente il film), sottolineando la dolenza estrema che Skármeta infonde nelle delicate descrizioni della vita di Mario. Della sua presa di coscienza, e della sua scomparsa a soli 21 anni, insieme alla migliore gioventù cilena (quella dei Victor Jara, delle Violeta Parra, dei Miguel Littin, e di tanti altri). Un libro triste, ma con la speranza che “Solamente l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”.
Alejandro Jodorowsky “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” Feltrinelli s.p. (prestato da Alessandra)
[A: 26/04/2014– I: 27/04/2014 – T: 30/04/2014] - &
[tit. or.: Donde Mejor canta un Pájaro; ling. or.: spagnolo; pagine: 331; anno 1992]
Anche questo viene dal natalino dell’arabista, e sono stato “piacevolmente” costretto a leggerlo dall’insistenza di chi voleva un parere su di un autore che conosco (per altre cose di cui dirò) e che non era riuscito a convincere. Veniamo allora a Jodorowsky, che frequentavo una trentina di anni fa, quando insieme al geniale Moebius diede vita ad uno dei più bei fumetti della storia dei comics: “L’Incal”. Una storia onirica, complicata, ma rese graficamente da Moebius con una capacità e semplicità che ne smussava i toni altri. Conoscevo anche in parte l’opera teatrale del nostro, più che altro perché ero stato un ammiratore in gioventù del grande Fernando Arrabal. Poi lo avevo lasciato andare per la sua strada, non convinto né dalle sue performance filmiche (“El Topo” o “La montagna sacra”), ed in seguito per quella svolta verso la disciplina esoterica da lui inventata: la psicomagia. Mi era sembrata una strada non mia, che non mi avrebbe portato nulla di interessante, coniugando dimensioni che (in parte) conosco come carattere e psicologia, ad altre che sinceramente non mi convincono o coinvolgono (magie, onirismi, ed altri stati di alterazione). Certo Jodorowsky è un personaggio interessante, con quegli anni passati alla corte di Marcel Marceau che sicuramente andrebbero ripensati e rivalutati. In questo libro, che non è altro che la trasposizione magica della storia della famiglia Jodorowsky, a partire dai nonni paterni per arrivare alla nascita del nostro, questa storia viene “stravolta” non tanto capovolgendone o inventandone avvenimenti, quanto amplificandoli ed inframmezzandoli da salti logici, che secondo Jodo fanno parte del suo realismo magico. Come quando parla del terremoto che accoglie i suoi all’arrivo a Valparaiso o quando immagina se stesso nella sua incarnazione precedente che tira le fila per far congiungere quelli che aveva deciso fin dalla cacciata degli ebrei dalla Spagna che fossero i suoi genitori, cioè Jaime e Sara Felicidad. La realtà, depurata dai suoi voli eccessivi, è in realtà abbastanza (anche se non completamente) semplice. Nel tardo diciannovesimo secolo, Aleksandr Levi (n.1873), nonno paterno di Jodorowsky era un ebreo ucraino che nel 1900 si sposa Teresa Groismann (n.1879). L'anno seguente, nasce Jaime, il secondo di cinque fratelli (il figlio maggiore muore annegato e nonna Teresa ne sarà stravolta per tutta la vita) e sarà l’unico ad avere a sua volta dei figli. Nel 1909, il nonno  compra il cognome Jodorowsky da un nobile polacco e cambia legalmente il suo originale nome ebraico, Levi, probabilmente a causa dei pogrom che avvenivano nella regione, ma secondo l'autore l’ha fatto per evitare al polacco di essere arruolato nell'esercito. Poco prima della fine della prima guerra mondiale, i nonni paterni di Alessandro fuggono in Francia. A Parigi sono aiutati da un gioielliere di nome Moishe Rosenthal, membro del Comitato  israelita di Mutuo Soccorso. Poco dopo partono per Marsiglia e, come molti altri immigrati ebrei della diaspora, da qui partono con i loro figli in Sud America, con un viaggio che termina in Cile, da dove non torneranno  mai più in Europa. La migrazione di sua madre, Sara Felicidad Prullansky, nata a Buenos Aires è più complicata. Durante l’epoca dei pogrom fomentati dallo Zar Alessandro III, Jashe, la nonna materna, sefardita, bruna di pelle, viene violentata da un cosacco. Incinta, fugge dalla Russia, sbarca in Argentina, dove dà alla luce una ragazza dalla pelle di marmo e dai grandi occhi azzurri: Sara. La nonna Jashe sposa poi in Argentina un uomo d'affari ebreo, Mosè, con il quale ha altri due figli. La famiglia si trasferisce a Iquique, un porto fiorente dove venivano imbarcati nitrati per l’Europa. Sua madre Sara ha una relazione peccaminosa con un non-Ebreo e la famiglia la costringe quindi a sposare Jaime Jodorowsky, spostandoli nella vicina Tocopilla per sfuggire ai pettegolezzi della comunità ebraica di Iquique. Pertanto, nel suo albero, oltre agli ucraini paterni, ci sono per via matrilineare ebrei polacchi (i Prullansky), i lituani (Trumper), i russi di origine germanica (Groismann) e sefardita (Arcavi). Tuttavia Jodorowsky non ha mai ricevuto come figlio l'educazione religiosa ebraica (o di qualsiasi altra religione), se non altro perché suo padre, un militante comunista, era profondamente anti-religioso. Anche per questo, nella parte cilena, l’autore infarcisce il tutto con manifestazioni, attentati anarchici, ed altre diavolerie pseudo-rivoluzionarie. Jodorowsky ha spiegato innumerevoli volte che dal divieto del culto religioso, emerse il suo interesse per lo studio di molte religioni e dei loro simboli, che lo porta alle sue teorie attuali. Jodorowsky basa la sua  metodologia sul presupposto che l'inconscio prende atti simbolici come fatti reali,  in modo che un sacro atto simbolico magico può cambiare il comportamento dell'inconscio, e quindi se bene applicato, può curare alcuni traumi psicologici. Questi atti sono "su misura"  e sono prescritti dopo che lo "psicomago" analizza le caratteristiche personali del cliente, anche studiandone l’albero genealogico. Per questo, Jodorowsky ha creato anche la Psicogenealogia. Questa parte della premessa che certi traumi e comportamenti inconsci vengono trasmessi di generazione in generazione, in modo che, un individuo, per  diventarne consapevole e separarsi da loro, deve studiare e poi agire in base al suo albero genealogico. E questo risulta anche dal titolo di questo romanzo che si riferisce proprio alle origini di una persona. Il titolo spagnolo si riferisce a “Dove meglio canta un uccello”, riprendendo una frase ironica di Jean Cocteau che dice “Un uccello canta meglio sul proprio albero genealogico”. Mi convince allora Jodorowsky e tutto ciò? Devo proprio dire di no. Come non mi è piaciuta, non mi ha coinvolto la scrittura. Senza la mediazione della grafica, rimane un esercizio per “épater le bourgeois”, e non è nelle mie corde. Ritengo che Jodo abbia di certo una bella testa, ed una capacità di essere ancora ben lucido alla sua attuale età di 85 anni. Anche se, appunto, le sue fantasie non mi incuriosiscono. Come, e per finire, nel sostenere nel libro di essere nato il giorno della caduta delle borse di New York (che ricordo essere il 24 ottobre del 1929), mentre in tutte le biografie risulta essere nato il 7 febbraio dello stesso anno. Mah!
Armistead Maupin “I racconti di San Francisco” BUR euro 10 (in realtà, scontato a 8,10 euro)
[A: 01/02/2014– I: 13/07/2014 – T: 15/07/2014] - &&&&
[tit. or.: Tales of the City; ling. or.: inglese; pagine: 480; anno 1978]
Un libro allegro, scanzonato, fuori le righe, certo, sicuramente datato (ha quasi quaranta anni!). Anche, se vogliamo, pieno di luoghi comuni (San Francisco città della gioia, dove tutto è permesso e tutto è possibile, ma anche città della tristezza dove non si realizza nulla e si va alla deriva). Sarà, comunque Maupin proprio quaranta anni fa, nel 1974, inizia a scrivere prima su un giornale locale, poi sul più diffuso “San Francisco Chronicle”, dei piccoli pezzi sulla città. E non a caso questi si chiamavano “Tales of the City” (Racconti della città). In cui si parlava di rapporti, di lavoro, di gay, di spinelli, di licenziamenti, di appartamenti, di strade. Quasi come tanti anni dopo, anche se con meno allegria, farà McCall Smith con Edimburgo e il 44 di Scotland Street. Dopo due anni di raccontini,  l’editore gli chiede di omogeneizzarli nello stile, e di dar loro una veste “libresca”. Esce così il libro che ho appena finito di leggere. Che per molti versi è irraccontabile. Proprio perché è un continuo “episodizzare”, anche se, volendo tirare un filo, possiamo seguire Mary Ann Singleton (cognome tutto un programma, che, in effetti, è forse la sola che non riuscirà a concludere nessuna storia) che decide di lasciare la triste e natia Cleveland per cercare fortuna nella grande città. Trova un posto da dormire al 28 di Barbary Lane, dalla simpatica Anna Madrigal, che nel retro della casa ha una piccola coltivazione di “maria”, ed accoglie gli ospiti offrendo loro uno spinello augurale. Trova anche lavoro presso il boss Halcyon, che è il contraltare come atmosfera di Barbary Lane: posto di lavoro duro, dove si licenzia facile, ma che vive una vita parallela con la casa. E spesso i personaggi si mischiano. Quando si innescano giri alla Schnitzler, con Michael, abitante della casa, gay sfortunato che ha una storia con Jon, il quale lo lascia, ed in una sauna è rimorchiato da Beauchamp, il genero di Halcyon, la cui moglie è in cura dal ginecologo Jon (si quello gay). E così sfreccia la vita, dove appunto, sono più i personaggi che fanno la storia che la storia in sé. Oltre alla sunnominata Mary Ann, ne abbiamo tanti. Anna Madrigal, come detto la proprietaria della casa, che cerca un rapporto materno con ciascuno dei suoi inquilini, solo un po’ più aggressivo con Mona Ramsey; spinge sempre Mary Ann verso qualche “avventura”, ma più che altro, intreccia una tenera storia d’amore con il morente Edgar Halcyon (sempre nell’intreccio tra i due filoni). Mona Ramsey il contraltare di Mary Ann, bohemien, e malinconica, si ritrova disoccupata, licenziata da Beauchamp dopo una giornata tremenda in ufficio, convince il suo amico gay Michael a restare con lei, fino a che non decide di riallacciare un rapporto con la sua vecchia fiamma D'orothea Wilson, una strana modella di colore. Michael 'Mouse' Tolliver, il migliore amico di Mona ed il confidente di Mary Ann; Mouse è fiducioso che alla fine tutto andrà bene, anche se passa di storia in storia, e tutte gli vanno male, anche quella che sembrava promettente con il ginecologo Jon. Brian Hawkins un cameriere per scelta dopo aver abbandonato la professione di avvocato a seguito dei moti del ’68; considerato un donnaiolo, passa quasi tutto il suo tempo alla ricerca di  discoteche e taverne dove rimorchiare. Norman Neal Williams vive nel sottotetto della casa, ed è schizzato da tutti, solo Mary Ann prova ad avere una relazione con lui, che finirà male quando si scopriranno segreti che non vi narro (volete leggerlo o no questo libro?). Jon Fielding, il ginecologo, si fidanza con Mouse per un breve periodo, ma lui è della cerchia dei gay di alta levatura, gli omosessuali snob che fanno una casta a sé stante, oltre però ad essere il centro di quel girotondo che ho accennato sopra. Beauchamp Day è il marito narcisista e donnaiolo di DeDe, che trova modo di avere relazioni extraconiugali sia con Mary Ann (che è segretaria di Edgar, ma con cui esce una volta sola) e con Jon. DeDe Halcyon è una delle infelici donzelle d’alto bordo della parte “ricca” di SiFi (come viene chiamata San Francisco per contrapposizione con LA – Los Angeles), per noia ha una relazione con un fattorino cinese, che la mette incinta, poi va in una clinica sofisticata per dimagrire, dovendo al ritorno, magra ed agguerrita, combattere con la gravidanza e le scappatelle del marito. Infine Edgar Halcyon, capo della ditta dove transitano molti dei nostri, allontanatosi da Frannie, la moglie alcolista, che si accompagna con Anna durante la fatale malattia. Il tutto per restituirci il senso della vita nella città, al tempo in cui tutto sembrava possibile. E Maupin lo fa con una scrittura fresca, che attraversa con ironia anche i momenti cupi, e rende plausibile ogni eccesso (ma poi scopriamo che si fanno veramente le gare di ballo in mutande per soli gay…). Chiudendo, come fa l’autore nella bella postfazione che percorre anche i fatti ed i libri successivi a questo primo, con la “gioiosa accettazione della differenza che è il bello della vita a Barbary Lane”.
Nel giugno si sono lette altre 17 storie (di cui ben 5 provenienti da regali, quasi un record), ma senza che nessuna superi la mediocrità. E con una delle peggiori prove del buon Vitali, che quando si allontana dal ventennio stenta a trovare corde discrete per le sue frecce.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Carlo Barbieri
La pietra al collo
Sole 24 ore – Noir
6,90
3
2
Andrea Vitali
Galeotto fu il collier
Garzanti
s.p.
3
3
James Lloyd Carr
Un mese in campagna
Fazi editore
12,50
3
4
Alexander McCall Smith
Lettera d’amore dalla Scozia
TEA
9
3
5
Andrea Vitali
Dopo lunga e penosa malattia
Garzanti
9,90
1
6
Camilla Läckberg
L’uccello del malaugurio
Marsilio
s.p.
2
7
Kathy Reichs
La cacciatrice di ossa
BUR
9,90
3
8
Kathy Reichs
La voce delle ossa
BUR
13
3
9
Alexander McCall Smith
The World according to Bertie
Abacus
s.p.
3
10
Elena Ferrante
L’amica geniale
E/O
s.p.
3
11
Clive Cussler & Grant Blackwood
L’oro di Sparta
TEA
9
2
12
Giorgio Scerbanenco
Le spie non devono amare
Corriere della Sera
6,90
3
13
Andrea Vitali
La leggenda del morto contento
Garzanti
10,90
3
14
Andrea Camilleri
Un covo di vipere
Sellerio
14
2
15
Herman Koch
La cena
Beat
9
2
16
Roberto Mazzucco
I sicari di Trastevere
Sellerio
13
3
17
Pino Cacucci
Mahahual
Feltrinelli
s.p.
3

Come sapete dalle mie altre scritture, dopo i fasti francesi, si stanno azzerando le possibilità di viaggiare4 nel breve con le nostre Avventure. Se fossi meno pigro dovrei approfittarne per mettere ordine in tutte le altre e quotidiane faccende. Speriamo di esserne capaci.

Nessun commento:

Posta un commento