Mettiamo un titolo inglese per
una tramona di spagnoli, dove però non arriva il quarto e ci si mette un ottimo
e robusto americano. Tra gli spagnoli, non mi ha convinto molto la prova di
Mendoza, di cui avevo letto altro e mi sembrava meglio. E per nulla mi ha
intrigato la complessa ed immaginaria storia personale di Jodorowsky. Meglio, e
di molto, i dolci ricordi di Skármeta (con nella testa le immagini sempre
presenti di Troisi) e le girandole di San Francisco dove ci portano le
invenzioni e le storie di Maupin.
Eduardo Mendoza “O la borsa o la vita” Feltrinelli s.p. (prestito di
Roberto “Fako”)
[A: 08/11/2013– I: 24/02/2014 – T: 27/02/2014] - &&
[tit. or.: El enredo de la
bolsa y la vida; ling. or.: spagnolo; pagine: 235; anno 2012]
Peccato,
peccato anche qui. Traduzione così, verve così, tutto un po’ così. Come dice
una persona con cui ne ho parlato, si sente che gli anni passano. E già, perché
negli anni ’90, le vicende del detective senza nome, che Mendoza ci tramanda
con quei capolavori pirotecnici de “Il mistero della cripta stregata” o “Il
tempo degli ulivi”, avevano un altro passo. Qui rimane una comicità di testa,
che si perde nell’insipienza di una trama che non esiste. Sono tutti spunti,
momenti di vita barcellonese, dei soliti personaggi ai margini che Mendoza cura
e ci descrive con la sua indubbia perizia. Ma non c’è carica eversiva come
quando, nell’anno della morte di Franco usciva l’inarrivabile “La verità sul
caso Savolta”. Senza parlare della traduzione, che cerca di restituirci momenti
ilari, ma non sempre ci riesce. E soprattutto se si parte dal titolo. Un conto
è parlare di un grido da rapinatore sbandato, quell’italiano “o la borsa o la
vita”. Un altro è parlare dell’imbroglio della borsa e della vita. Mendoza
vuole dirci che siamo tutti in una grande crisi. Poco lavoro, poco prospettive,
pochi euro che girano. Le banche fanno prestiti solo per strangolare i mutuati.
E l’Europa non da prospettive, soprattutto prospettive comuni. Per questo, il
nostro ironico scrivano imbastisce, con i suoi soliti personaggi di questi
quattro episodi del detective senza nome, una storia senza capo né coda. Dove i
nostri tentano (ci riusciranno? Questo magari lo leggete) di salvare Angela
Merkel da un rapimento e forse da un omicidio in terra di Spagna. La banda dei
buoni è la solita unione di strambi personaggi “alla Mendoza”. In testa a
tutti, il detective senza nome, sempre con un passo sbagliato rispetto alla realtà.
Lui vede problemi e soluzioni, ma il mondo è sfasato rispetto a lui. Per
questo, fin dal tempo della cripta, la maggior parte del tempo lo passa in
manicomio. Ora ne è uscito da un po’, e come ci avrebbe detto il terzo
episodio, non ancora uscito in Italia, ha messo su un (inutile) parrucchiere
per signora (“La aventura del tocador de señoras”). Ma quando scompare il suo
pazzo amico Romulo el Guapo, uno che si inventa rapine che più pazze non si può,
e che per questo anche lui si ritrova spesso in manicomio, il nostro si attiva.
Spinto anche dalla piccola Quesito (questo il nome originale della così tradotta
Formaggino). E nelle indagini e ricerche coinvolge le statue viventi delle
Ramblas, utilizzate come pali per controllare entrate ed uscite da palazzi
pieni di sospettati. O la stramba Moski, fuoriuscita russa, stalinista
nell’anima, che si guadagna la vita suonando una fisarmonica senza saperlo
fare. O Menelik, il moto-pizzettaio che si mangia le pizze invece di
consegnarle a domicilio. Il nostro e la sua banda, di errore in catastrofe non
potranno che portare avanti la loro lotta alternativa allo status quo, inscenando
gustosi siparietti con i vicini di strada, i cinesi del bazar. Ovviamente
Mendoza ne approfitta per fare una (piccola) critica alle economie occidentali
che da un lato lasciano molto spazio agli orientali senza orari, dall’altro ne
cercano aiuto in caso di difficoltà. Ed altrettanto gustosi i siparietti con il
finto santone yogi, innamorato non corrisposto della moglie di Romulo. Alla
fine ci scappa anche un insight del nostro detective con la madre di Quesito,
che scopriamo essere l’Emilia già incontrata nelle altre puntate della saga. Ma
il testo scorre veloce, senza dare troppo aiuto ai pensieri profondi, soltanto
con qualche sorriso (certo, vedere la Merkel svampita innamorata ancora del giovane
Manolo incontrato in gioventù, o Candida, la sorella del nostro, che ne fa la
controfigura, sono dei gustosi cammei). Non ne ho visto le critiche sociali che
sembra adombrino la quarta di copertina, o altre critiche accolte in giro. No,
comicità, divertissement, ma niente, niente di più. Mendoza è bravo ad
imbastire situazioni surreali come se fossero possibili. Ma non va molto più in
profondo. Un’altra occasione non centrata completamente.
Antonio Skármeta “Il postino di Neruda” Einaudi euro 9,50 (in realtà,
scontato a 7,13 euro)
[A: 01/02/2014– I: 04/04/2014 – T: 05/04/2014] - &&&&
[tit. or.: Ardente pacienca; ling. or.: spagnolo; pagine: 117;
anno 1985]
Un
altro bello anche se non eccellentissimo romanzo. Di quelli che una volta
farebbero piangere lacrime a fiumi. Per la storia in sé. E per il suo contesto,
cioè quel bello e dolentissimo film che segnò l’ultima apparizione di Troisi,
morto poche ore dopo la fine delle riprese. Sono 20 anni che Massimo c’ha
lasciato, ma il suo ricordo è sempre lì, o qui nella memoria. Ma il contesto è
anche il Cile dell’85, dodici anno dopo il colpo di stato militare. Ed allora,
dimentichiamoci il film (anche se quella prima apparizione della Cucinotta…), e
veniamo al veloce romanzo breve. Sicuramente torneremo sulla sciagurata
traduzione del titolo alla fine di questa trama. La storia in realtà è breve
come il romanzo. C’è Mario, ragazzo di 17 anni, sognatore, senza arte né parte.
Siamo nel 1969, e siamo ad Isla Negra (che non è un’isola ma una località ad un
centinaio di chilometri da Santiago), dove per decenni ha eletto la sua
residenza Pablo Neruda (che in realtà non si chiamava né Pablo né Neruda, ma
Ricardo Neftalì Reyes Basoalto). Mario ha solo una bicicletta, e per questo
viene assunto come postino. Con un unico cliente, appunto il poeta, dato che
nessuno riceve lettere ad Isla. Il rapporto tra i due si fa prima di sguardi,
poi di timide avances di Mario, affascinato dalla poesia. Il sessantacinquenne
poeta non è molto incline alla confidenza, ma viene poi preso dall’innocenza di
Mario, dal suo entusiasmo. E diventano grandiose le discussioni tra i due sulle
metafore e sul loro uso in poesia. Parallelamente al rapporto di conoscenza, se
non di amicizia, tra i due, si sviluppano due momenti importanti per Isla
Negra, uno interno ed uno esterno. Si avvicinano, dall’esterno, le elezioni del
settembre del 1970, quelle che portarono al Governo Allende, con la grande
spaccatura del popolo cileno, anche sotto la spinta delle manovre nordamericane.
Dall’interno, Mario conosce la giovane Beatriz e se ne innamora perdutamente.
Tanto che chiede al poeta di aiutarlo a conquistare il cuore della donna.
Neruda non lo fa direttamente, ma rinfocola la via di Mario alla metafora, e
con le parole, le azioni, e vincendo la resistenza della futura suocera,
finalmente i diciottenni convolano a giuste nozze. Intanto Neruda è nominato
ambasciatore in Francia e lascia Isla Negra. Dove la vita procede, anche con la
nascita del piccolo Pablo Neftalì. Mario aiuta l’osteria, ma nel 1971 è
chiamato da Neruda ad una missione personale. Pieno di nostalgia, il poeta
vuole sentire i suoni di Isla Negra, e Mario gira con un registratore per la zona,
cogliendo le campane, la risacca del mare, i gabbiani che si alzano in volo, ed
il pianto del piccolo Pablito. È uno dei momenti più belli la descrizione dei
suoni del nastro. E poi Mario riunisce tutta Isla Negra, di destra e di
sinistra, persino il fascista Labbé, per vedere alla televisione il conferimento
del Premio Nobel a Neruda. Ma se la storia di Mario e Beatriz prosegue con
passione (e tanta) non altrimenti avviene nel Cile, che passo dopo passo si
avvicina al baratro. Nell’agosto del ’73 Neruda torna a Isla Negra malato.
Mario cerca di confortarlo, ma anche la moglie del poeta, Matilde, è preda ad
oscuri presentimenti. Poi, il settembre nero, il golpe di Pinochet pagato dalla
CIA, la morte di Allende, l’occupazione militare di Isla Negra. Ed il poeta
viene prelevato, portato nella capitale, dove, 12 giorni dopo il golpe muore.
Amato da tutto il paese, i generali negano i funerali. Solo Mario, nella
cittadina, ne fa l’orazione, internamente, ricordando il passaggio della poesia
di Rimbaud citata da Neruda al Nobel (“armati di ardente pazienza entreremo
nelle città splendide”), verso che il poeta riprende nella sua bellissima
poesia “Lentamente muore”. Il giorno dopo Labbé arresta Mario, che
“desaparece”. Rimango quindi sul testo (scordando definitivamente il film), sottolineando
la dolenza estrema che Skármeta infonde nelle delicate descrizioni della vita
di Mario. Della sua presa di coscienza, e della sua scomparsa a soli 21 anni,
insieme alla migliore gioventù cilena (quella dei Victor Jara, delle Violeta
Parra, dei Miguel Littin, e di tanti altri). Un libro triste, ma con la
speranza che “Solamente l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicità”.
Alejandro Jodorowsky “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” Feltrinelli
s.p. (prestato da Alessandra)
[A: 26/04/2014– I: 27/04/2014 – T: 30/04/2014] - &
[tit. or.: Donde Mejor canta
un Pájaro; ling. or.: spagnolo; pagine: 331; anno 1992]
Anche
questo viene dal natalino dell’arabista, e sono stato “piacevolmente” costretto
a leggerlo dall’insistenza di chi voleva un parere su di un autore che conosco
(per altre cose di cui dirò) e che non era riuscito a convincere. Veniamo
allora a Jodorowsky, che frequentavo una trentina di anni fa, quando insieme al
geniale Moebius diede vita ad uno dei più bei fumetti della storia dei comics:
“L’Incal”. Una storia onirica, complicata, ma rese graficamente da Moebius con
una capacità e semplicità che ne smussava i toni altri. Conoscevo anche in
parte l’opera teatrale del nostro, più che altro perché ero stato un ammiratore
in gioventù del grande Fernando Arrabal. Poi lo avevo lasciato andare per la
sua strada, non convinto né dalle sue performance filmiche (“El Topo” o “La
montagna sacra”), ed in seguito per quella svolta verso la disciplina esoterica
da lui inventata: la psicomagia. Mi era sembrata una strada non mia, che non mi
avrebbe portato nulla di interessante, coniugando dimensioni che (in parte)
conosco come carattere e psicologia, ad altre che sinceramente non mi
convincono o coinvolgono (magie, onirismi, ed altri stati di alterazione).
Certo Jodorowsky è un personaggio interessante, con quegli anni passati alla
corte di Marcel Marceau che sicuramente andrebbero ripensati e rivalutati. In
questo libro, che non è altro che la trasposizione magica della storia della
famiglia Jodorowsky, a partire dai nonni paterni per arrivare alla nascita del
nostro, questa storia viene “stravolta” non tanto capovolgendone o inventandone
avvenimenti, quanto amplificandoli ed inframmezzandoli da salti logici, che
secondo Jodo fanno parte del suo realismo magico. Come quando parla del
terremoto che accoglie i suoi all’arrivo a Valparaiso o quando immagina se
stesso nella sua incarnazione precedente che tira le fila per far congiungere
quelli che aveva deciso fin dalla cacciata degli ebrei dalla Spagna che fossero
i suoi genitori, cioè Jaime e Sara Felicidad. La realtà, depurata dai suoi voli
eccessivi, è in realtà abbastanza (anche se non completamente) semplice. Nel
tardo diciannovesimo secolo, Aleksandr Levi (n.1873), nonno paterno di
Jodorowsky era un ebreo ucraino che nel 1900 si sposa Teresa Groismann
(n.1879). L'anno seguente, nasce Jaime, il secondo di cinque fratelli (il
figlio maggiore muore annegato e nonna Teresa ne sarà stravolta per tutta la
vita) e sarà l’unico ad avere a sua volta dei figli. Nel 1909, il nonno compra il cognome Jodorowsky da un nobile
polacco e cambia legalmente il suo originale nome ebraico, Levi, probabilmente
a causa dei pogrom che avvenivano nella regione, ma secondo l'autore l’ha fatto
per evitare al polacco di essere arruolato nell'esercito. Poco prima della fine
della prima guerra mondiale, i nonni paterni di Alessandro fuggono in Francia.
A Parigi sono aiutati da un gioielliere di nome Moishe Rosenthal, membro del
Comitato israelita di Mutuo Soccorso.
Poco dopo partono per Marsiglia e, come molti altri immigrati ebrei della diaspora,
da qui partono con i loro figli in Sud America, con un viaggio che termina in Cile,
da dove non torneranno mai più in
Europa. La migrazione di sua madre, Sara Felicidad Prullansky, nata a Buenos
Aires è più complicata. Durante l’epoca dei pogrom fomentati dallo Zar
Alessandro III, Jashe, la nonna materna, sefardita, bruna di pelle, viene
violentata da un cosacco. Incinta, fugge dalla Russia, sbarca in Argentina,
dove dà alla luce una ragazza dalla pelle di marmo e dai grandi occhi azzurri:
Sara. La nonna Jashe sposa poi in Argentina un uomo d'affari ebreo, Mosè, con
il quale ha altri due figli. La famiglia si trasferisce a Iquique, un porto
fiorente dove venivano imbarcati nitrati per l’Europa. Sua madre Sara ha una
relazione peccaminosa con un non-Ebreo e la famiglia la costringe quindi a
sposare Jaime Jodorowsky, spostandoli nella vicina Tocopilla per sfuggire ai
pettegolezzi della comunità ebraica di Iquique. Pertanto, nel suo albero, oltre
agli ucraini paterni, ci sono per via matrilineare ebrei polacchi (i
Prullansky), i lituani (Trumper), i russi di origine germanica (Groismann) e
sefardita (Arcavi). Tuttavia Jodorowsky non ha mai ricevuto come figlio l'educazione
religiosa ebraica (o di qualsiasi altra religione), se non altro perché suo
padre, un militante comunista, era profondamente anti-religioso. Anche per
questo, nella parte cilena, l’autore infarcisce il tutto con manifestazioni,
attentati anarchici, ed altre diavolerie pseudo-rivoluzionarie. Jodorowsky ha
spiegato innumerevoli volte che dal divieto del culto religioso, emerse il suo
interesse per lo studio di molte religioni e dei loro simboli, che lo porta
alle sue teorie attuali. Jodorowsky basa la sua
metodologia sul presupposto che l'inconscio prende atti simbolici come
fatti reali, in modo che un sacro atto
simbolico magico può cambiare il comportamento dell'inconscio, e quindi se bene
applicato, può curare alcuni traumi psicologici. Questi atti sono "su
misura" e sono prescritti dopo che
lo "psicomago" analizza le caratteristiche personali del cliente,
anche studiandone l’albero genealogico. Per questo, Jodorowsky ha creato anche
la Psicogenealogia. Questa parte della premessa che certi traumi e
comportamenti inconsci vengono trasmessi di generazione in generazione, in modo
che, un individuo, per diventarne
consapevole e separarsi da loro, deve studiare e poi agire in base al suo
albero genealogico. E questo risulta anche dal titolo di questo romanzo che si
riferisce proprio alle origini di una persona. Il titolo spagnolo si riferisce
a “Dove meglio canta un uccello”, riprendendo una frase ironica di Jean Cocteau
che dice “Un uccello canta meglio sul proprio albero genealogico”. Mi convince
allora Jodorowsky e tutto ciò? Devo proprio dire di no. Come non mi è piaciuta,
non mi ha coinvolto la scrittura. Senza la mediazione della grafica, rimane un
esercizio per “épater le bourgeois”, e non è nelle mie corde. Ritengo che Jodo
abbia di certo una bella testa, ed una capacità di essere ancora ben lucido
alla sua attuale età di 85 anni. Anche se, appunto, le sue fantasie non mi
incuriosiscono. Come, e per finire, nel sostenere nel libro di essere nato il
giorno della caduta delle borse di New York (che ricordo essere il 24 ottobre
del 1929), mentre in tutte le biografie risulta essere nato il 7 febbraio dello
stesso anno. Mah!
Armistead Maupin “I racconti di San Francisco” BUR euro 10 (in realtà,
scontato a 8,10 euro)
[A: 01/02/2014– I: 13/07/2014
– T: 15/07/2014] - &&&&
[tit. or.: Tales of the City; ling. or.: inglese; pagine: 480; anno 1978]
Un
libro allegro, scanzonato, fuori le righe, certo, sicuramente datato (ha quasi
quaranta anni!). Anche, se vogliamo, pieno di luoghi comuni (San Francisco
città della gioia, dove tutto è permesso e tutto è possibile, ma anche città
della tristezza dove non si realizza nulla e si va alla deriva). Sarà, comunque
Maupin proprio quaranta anni fa, nel 1974, inizia a scrivere prima su un
giornale locale, poi sul più diffuso “San Francisco Chronicle”, dei piccoli
pezzi sulla città. E non a caso questi si chiamavano “Tales of the City”
(Racconti della città). In cui si parlava di rapporti, di lavoro, di gay, di
spinelli, di licenziamenti, di appartamenti, di strade. Quasi come tanti anni
dopo, anche se con meno allegria, farà McCall Smith con Edimburgo e il 44 di
Scotland Street. Dopo due anni di raccontini, l’editore gli chiede di omogeneizzarli nello
stile, e di dar loro una veste “libresca”. Esce così il libro che ho appena
finito di leggere. Che per molti versi è irraccontabile. Proprio perché è un continuo
“episodizzare”, anche se, volendo tirare un filo, possiamo seguire Mary Ann
Singleton (cognome tutto un programma, che, in effetti, è forse la sola che non
riuscirà a concludere nessuna storia) che decide di lasciare la triste e natia
Cleveland per cercare fortuna nella grande città. Trova un posto da dormire al
28 di Barbary Lane, dalla simpatica Anna Madrigal, che nel retro della casa ha
una piccola coltivazione di “maria”, ed accoglie gli ospiti offrendo loro uno
spinello augurale. Trova anche lavoro presso il boss Halcyon, che è il contraltare
come atmosfera di Barbary Lane: posto di lavoro duro, dove si licenzia facile,
ma che vive una vita parallela con la casa. E spesso i personaggi si mischiano.
Quando si innescano giri alla Schnitzler, con Michael, abitante della casa, gay
sfortunato che ha una storia con Jon, il quale lo lascia, ed in una sauna è
rimorchiato da Beauchamp, il genero di Halcyon, la cui moglie è in cura dal ginecologo
Jon (si quello gay). E così sfreccia la vita, dove appunto, sono più i personaggi
che fanno la storia che la storia in sé. Oltre alla sunnominata Mary Ann, ne
abbiamo tanti. Anna Madrigal, come detto la proprietaria della casa, che cerca
un rapporto materno con ciascuno dei suoi inquilini, solo un po’ più aggressivo
con Mona Ramsey; spinge sempre Mary Ann verso qualche “avventura”, ma più che altro,
intreccia una tenera storia d’amore con il morente Edgar Halcyon (sempre
nell’intreccio tra i due filoni). Mona Ramsey il contraltare di Mary Ann,
bohemien, e malinconica, si ritrova disoccupata, licenziata da Beauchamp dopo
una giornata tremenda in ufficio, convince il suo amico gay Michael a restare
con lei, fino a che non decide di riallacciare un rapporto con la sua vecchia
fiamma D'orothea Wilson, una strana modella di colore. Michael 'Mouse' Tolliver,
il migliore amico di Mona ed il confidente di Mary Ann; Mouse è fiducioso che
alla fine tutto andrà bene, anche se passa di storia in storia, e tutte gli vanno
male, anche quella che sembrava promettente con il ginecologo Jon. Brian
Hawkins un cameriere per scelta dopo aver abbandonato la professione di avvocato
a seguito dei moti del ’68; considerato un donnaiolo, passa quasi tutto il suo
tempo alla ricerca di discoteche e
taverne dove rimorchiare. Norman Neal Williams vive nel sottotetto della casa,
ed è schizzato da tutti, solo Mary Ann prova ad avere una relazione con lui,
che finirà male quando si scopriranno segreti che non vi narro (volete leggerlo
o no questo libro?). Jon Fielding, il ginecologo, si fidanza con Mouse per un
breve periodo, ma lui è della cerchia dei gay di alta levatura, gli omosessuali
snob che fanno una casta a sé stante, oltre però ad essere il centro di quel
girotondo che ho accennato sopra. Beauchamp Day è il marito narcisista e
donnaiolo di DeDe, che trova modo di avere relazioni extraconiugali sia con
Mary Ann (che è segretaria di Edgar, ma con cui esce una volta sola) e con Jon.
DeDe Halcyon è una delle infelici donzelle d’alto bordo della parte “ricca” di
SiFi (come viene chiamata San Francisco per contrapposizione con LA – Los Angeles),
per noia ha una relazione con un fattorino cinese, che la mette incinta, poi va
in una clinica sofisticata per dimagrire, dovendo al ritorno, magra ed
agguerrita, combattere con la gravidanza e le scappatelle del marito. Infine Edgar
Halcyon, capo della ditta dove transitano molti dei nostri, allontanatosi da
Frannie, la moglie alcolista, che si accompagna con Anna durante la fatale malattia.
Il tutto per restituirci il senso della vita nella città, al tempo in cui tutto
sembrava possibile. E Maupin lo fa con una scrittura fresca, che attraversa con
ironia anche i momenti cupi, e rende plausibile ogni eccesso (ma poi scopriamo
che si fanno veramente le gare di ballo in mutande per soli gay…). Chiudendo,
come fa l’autore nella bella postfazione che percorre anche i fatti ed i libri
successivi a questo primo, con la “gioiosa accettazione della differenza che è
il bello della vita a Barbary Lane”.
Nel
giugno si sono lette altre 17 storie (di cui ben 5 provenienti da regali, quasi
un record), ma senza che nessuna superi la mediocrità. E con una delle peggiori
prove del buon Vitali, che quando si allontana dal ventennio stenta a trovare
corde discrete per le sue frecce.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Carlo Barbieri
|
La pietra al collo
|
Sole 24 ore – Noir
|
6,90
|
3
|
2
|
Andrea Vitali
|
Galeotto fu il collier
|
Garzanti
|
s.p.
|
3
|
3
|
James Lloyd Carr
|
Un mese in campagna
|
Fazi editore
|
12,50
|
3
|
4
|
Alexander McCall Smith
|
Lettera d’amore dalla Scozia
|
TEA
|
9
|
3
|
5
|
Andrea Vitali
|
Dopo lunga e penosa malattia
|
Garzanti
|
9,90
|
1
|
6
|
Camilla Läckberg
|
L’uccello del malaugurio
|
Marsilio
|
s.p.
|
2
|
7
|
Kathy Reichs
|
La cacciatrice di ossa
|
BUR
|
9,90
|
3
|
8
|
Kathy Reichs
|
La voce delle ossa
|
BUR
|
13
|
3
|
9
|
Alexander McCall Smith
|
The World according to Bertie
|
Abacus
|
s.p.
|
3
|
10
|
Elena Ferrante
|
L’amica geniale
|
E/O
|
s.p.
|
3
|
11
|
Clive Cussler & Grant Blackwood
|
L’oro di Sparta
|
TEA
|
9
|
2
|
12
|
Giorgio Scerbanenco
|
Le spie non devono amare
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
13
|
Andrea Vitali
|
La leggenda del morto contento
|
Garzanti
|
10,90
|
3
|
14
|
Andrea Camilleri
|
Un covo di vipere
|
Sellerio
|
14
|
2
|
15
|
Herman Koch
|
La cena
|
Beat
|
9
|
2
|
16
|
Roberto Mazzucco
|
I sicari di Trastevere
|
Sellerio
|
13
|
3
|
17
|
Pino Cacucci
|
Mahahual
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
3
|
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