Titolo ambiguo di questa
settimana, dedicato a letture “di genere”, che, appunto, confermano quanto di
buono e di cattivo possa riservare questa scrittura. Leggo l’osannato libro di
Alessia Gazzola, e confermo che è interessante. Leggo il primo libro della saga
del commissario Miceli, e confermo che ne leggerò altri. Leggo un vecchio libro
ambientato a Palermo e scritto tanti anni fa da Silvana La Spina, e confermo
che avrebbe scritto altro di interessante. Leggo l’ultimo libro della serie di
Camilla (ultimo che nel frattempo Pederiali è morto) e confermo di non aver
ancora capito perché ne ho letti 4!
Gianni Simoni “Un mattino d’ottobre” TEA euro 12
[A: 15/04/2013– I: 28/04/2014 – T: 01/05/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 294;
anno 2007]
Avevo
sentito parlare di questo magistrato in pensione che comincia a scrivere di
quello che sa: la vita ed i casi di magistratura e polizia. Da magistrato aveva
indagato su molti e importanti casi (da alcune Brigate Rosse a Sindona ed
altro). Da scrittore sicuramente ci dà un’immagine molto accurata e veritiera
di quello che accade durante un’indagine. Le forze in campo, gelosie e amicizie,
metodo e fortuna. Ho aspettato che fosse ripubblicato il suo primo libro, dove
cominciamo a conoscere quelli che, secondo la quarta, sono gli eroi dei suoi
scritti: il giudice in pensione Carlo Petri ed il commissario Miceli. Devo dire
però che la prima impressione è che la bilancia, non a caso, punti più sul
magistrato che sul poliziotto (una proiezione?). Comunque, l’ho trovato scritto
bene, anche se comincia a decollare dopo una cinquantina di pagine, quando più
si danno spazio alle indagini ed alla descrizione dei vari componenti della
“squadra”. Sul giudice torneremo più avanti, intanto abbiamo il commissario che
immaginiamo una sorta di Maigret verso fine carriera, con tanto di moglie e
paternalismi vari. Poi c’è l’ispettrice Grazia Bruni, romana (l’azione si
svolge a Milano), bella, rossa di capelli, intelligente e solitaria; c’è l’agente
Maccari, giovane e dotato di grande acume e capacità di collegamenti (oltre ad
essere segretamente innamorato della Bruni); c’è il contro-altare, l’ispettore
Rosati, tronfio ed arruffone, oltre a sentirsi piacente e conquistatore; e ci
sono i Gianni e Pinotto della squadra, gli agenti Grasso e Tondelli, che
discutono dei casi alla Flaubert con l’acume appunto dei due comici (anche se
ricordiamo per inciso che i due comici si chiamavano in realtà Abbott e
Costello). Il caso, che parte proprio una mattina di ottobre (e si concluderà
solo a Natale) nasce da una serie di coincidenze che fanno precipitare una valanga.
L’ingegnere Rava, con moglie un po’ sciatta, sta andando in cantiere quando è
distratto da un’improvvisa telefonata al cellulare. Scarta di lato, e la sua
auto è presa in pieno dal furgone di Anselmi che, in ritardo, correva un po’
troppo. La carambola finisce ai limiti di un giardino investendo ed uccidendo
la piccola Giulia Strambi, sfuggita al controllo della tata Santina, distratta
dai colloqui con il suo spasimante Sandro. Il Rava va in coma, ma dopo una
quindicina di giorni viene ucciso nel suo letto d’ospedale da due colpi di
pistola. Dopo di che nasce una catena di morti: Anselmi, Letizia Strambi (la
madre di Giulia, che poi si scopre essere l’amante del Rava), Santina, Sandro.
Poi un colpo a vuoto: il meccanico di Rava mirato ma non colpito. Poi
l’edicolante di Rava stesso. La squadra, dove ancora non entra nel vivo il
nostro giudice, è sballottolata tra il non riuscire a collegare tutte le morti
(che la storia di Santina e Sandra non era nota) e l’ipotesi che dietro a tutti
ci sia l’avvocato Strambi, il padre di Giulia, distrutto dalla morte della
figlia e forse improvvisatosi giustiziere solitario. Ammiriamo Maccari nella
sua capacità di leggere giornali e verbali, e cominciare ad ipotizzare un
collegamento. Così come fa l’ispettore Bruni, pensando alla pistola (sempre una
calibro 22) ma senza che le scatti una domanda fondamentale (chi possiede armi?).
In tutto ciò, l’unica cosa positiva che fa il commissario Miceli è coinvolgere
il suo vecchio amico ed ex-giudice Petri nelle indagini. Ed il nostro fa subito
i collegamenti giusti. Il colpo a vuoto risulta anomalo, e si scopre che sia
voluto. Parlando con una vecchia vicina allo svolgimento dei fatti scopre il
legame tra Santina e Sandro. Ed avvia l’indagine che porta alla scoperta che la
pistola la possiedono l’avvocato, la moglie di Rava ed il meccanico. Escludendo
quest’ultimo (difficile cercare di auto-colpirsi) rimangono i due, che noi lettori
capaci ed esterni avevamo subito pensato fossero gli unici reali possibili
colpevoli. Sarà una mossa azzardata di Petri che scatenerà la paura e darà modo
di chiudere il cerchio. Insomma, per riprendere l’analisi della squadra, Petri
risalta come l’unico che si fa le domande giuste, anche se non ha le risposte.
Così come deve fare un investigatore degno di questo nome. Mi chiedo solo com’è
che in Polizia nessuno si sia fatto le stesse domande e gli stessi collegamenti
(forse solo Maccari, che però è l’ultima ruota del carro). Per concludere, un
bell’impianto, qualche tentativo di depistaggio, ma una buona mano che conduce
i fili del gioco. E bene anche le caratterizzazioni dei personaggi (a me sta
più simpatica la Bruni, comunque). Mi sa che se ne leggerà ancora.
Alessia Gazzola “L’allieva” TEA euro 12
[A: 15/04/2013 – I: 01/05/2014 – T: 03/05/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 374;
anno 2011]
Alla
sua uscita, il libro della trentenne Alessia Gazzola ebbe un buon successo di
critica e di pubblico. Io ho aspettato pazientemente l’uscita in economica, poi
ho aspettato di volerlo leggere, facendo passare un tempo giusto (secondo me)
che avrebbe smussato le voluttà mediatiche per lasciare i sedimenti dello
scrivere. Devo dire che sono contento del libro. Non stravolge le categorie di
bellezza, né assurge a vette inarrivabili di capolavoro, ma è un libro che si
legge, che scorre, che ha un discreto mix di tensione e ironia, nonché un
sottofondo di sentimenti e di umanità che non guasta. Certo, Alice Allevi,
l’allieva di patologia medica non può essere annoverata (come ci fa credere la
quarta) come epigono di Kay Scarpetta. Non ne ha il ruolo, forse non ne ha
ancora le capacità. E soprattutto, la medicina forense in Italia non ha quel
ruolo di preminenza nelle indagini come quella d’oltre oceano. In compenso, la
scrittrice (forse memore delle sue vicende personali) ben descrive l’ambiente
post-universitario italiano, con gli arrivismi, i nepotismi e le gelosie (pubbliche
e private) che (purtroppo) caratterizzano il panorama italiano. La dottoressa
Allevi, come detto, è al secondo anno di specializzazione in medicina legale,
ultimo (o quasi) gradino della piramide dell’Istituto, con a capo il Supremo,
anglo-italiano di molte capacità, con a livello professori una serie di chiare
tipologie italiote, di cui seguiamo al meglio il dr. Claudio Conforti, tutor
della nostra, galletto sempre pronto alla battuta equivoca verso le donne, e
nei cui confronti Alice ha un certo trasporto. E poi gli specializzandi, con la
battaglia per i pochi posti tra la nostra (capace, ma insicura e svagata), Lara
(la migliore, per sua sfortuna bruttina) e Ambra (la vamp, che utilizza tutte
le sue armi per la carriera). La storia prende le mosse dalla morte di tal
Giulia, fortuitamente incontrata da Alice poche ore prima della morte. Seguiamo
le varie fasi delle analisi forensi: autopsie, esami tossicologici, esami di
presunte prove, test di DNA e affini. La vicenda complessa deriva dalla
presenza di una strana famiglia alle spalle della morta. Orfana di genitori,
con sorella Bianca tornata dagli USA per darle sostegno, vissuta con gli zii, e
con un cuginastro (figlio di primo letto della moglie del fratello della madre
di Giulia) in attesa di convolare a giuste nozze con l’abulica Doriana. Giulia
viveva sola, con l’amica Sofia. Ed insieme si davano alla tossicologia non
spinta (spinelli a gogò, all’inizio, poi eroina solo sniffata, ma poi chissà).
Gli esami dei nostri (dove ogni volta Alice riesce a fare un po’ di casino)
mostrano che Giulia ha avuto rapporti prima di drogarsi e prima di assumere del
paracetamolo (cui è allergica) che le provoca lo choc anafilattico e la morte.
Tutti, commissario in testa, propendono per tragica casualità. Solo Bianca non
sembra convinta, e convince Alice (che comincia a frequentare la famiglia della
morta per la casuale conoscenza di cui sopra) a cercare altre strade. Cosa che
Alice fa, andando prima sul bordo, poi decisamente fuori della legge. Tutto
questo mentre la sua situazione in istituto è sempre più precaria. I capi
vogliono bocciarla, e tutti i casini che combina non l’aiutano certo. Ma in
seguito alle sue analisi parallele, scopre che Giulia si è drogata con una
persona diversa da quella con cui ha avuto rapporti, che ha litigato ferocemente
con una donna prima di morire. Istigata da Bianca, scopre che Giulia aveva
rapporti sessuali con il cuginastro, la cui futura moglie era responsabile
della lite poco prima della morte. Tuttavia, anche Bianca ha un debole per il
cugino, e lei, come tutta la famiglia, sa delle allergie di Giulia. I
ragionamenti di Alice porteranno il commissario sulla giusta strada, anche se
in Italia spesso i colpevoli non pagano il fio delle loro azioni. Ma il
commissario è grato ad Alice, e le propone una consulenza che sarà foriera di
altri libri. In tutto ciò, non ci dimentichiamo che Alice si innamora di
Arthur, giornalista free lance, casualmente figlio del Supremo. Che Arthur,
dopo la breve storia con Alice, parte per il Sudan dove si ammala di malaria.
Nel frattempo fa in modo che le doti di patologo della bella risaltino (e Alice
sarà promossa), ed anche se senza prospettive, Alice lo raggiunge in Sudan,
perché l’amore è l’amore. La storia tra i due non sembra avrà molto respiro, ma
ci sono delle pagine discrete tra di loro. Tralascio le beghe dell’Istituto e
la scalata di Ambra attraverso il letto del professore, che concedo ai
fortunati lettori di questo libro direi tipicamente estivo. Da relax sotto
l’ombrellone. Comunque un relax intelligente e ben scritto.
“Mi sento morire quando sto fermo nello
stesso posto per più di due mesi. Quando torno a casa, ho già voglia di
ripartire. È una curiosità infinita del mondo ma, forse, anche una forma di
instabilità. Sono un irrequieto, di fondo.” (120)
Silvana La Spina “Morte a Palermo” Et al. Euro 9
[A: 13/12/2013– I: 05/05/2014 – T: 07/05/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201;
anno 1987]
Avevo
intravisto questo libro a “Più Libri Più Liberi”, ma poi mi ero scordato di
prenderlo. L’ho poi ritrovato da Feltrinelli e mi sono detto che poteva valere
la pena di leggerlo, sebbene fosse datato. Intuizione corretta, che è un libro
piacevole e ben scritto. Devo dire tuttavia che durante la lettura mi aspettavo
qualcosa di più, qualcosa che invece non è scattato, lasciandomi l’impressione
di un libro con maggiori possibilità, se solo fosse stato scritto qualche anno dopo.
Che è il primo libro della scrittrice siciliana, ancora forse pieno di troppi
desideri inespressi. Tanto che la parte “gialla”, pur ben congeniata, si
complica man mano la vita, sino a risolversi in una soluzione direi forse
scontata (data la costruzione che se ne fa intorno). Piacevole se non altro,
invece, l’inserimento di un personaggio finto – reale che funge quasi da contraltare
di noi lettori, dando voce ai ragionamenti che si fanno nel corso della
lettura. E non è difficile scorgere nell’anziano Honorio Bustos Domecq, cieco
scrittore con dama di compagnia, la figura di un Borges che, realmente,
trascorse giorni a Palermo e vi fece anche una lectio brevis sul concetto di
metafora. Per i miei lettori di scarsa memoria, ricordo che Bustos Domecq è
stato uno pseudonimo, presto svelato, di Borges stesso, durante la scrittura di
alcuni racconti polizieschi (di trama, ovviamente) che il vate argentino produsse
nelle sue lunghe stagioni di scrittura. Avrei forse speso qualche parola in
più, nella postfazione della stessa Silvana, visto che il libro uscì proprio
poco tempo dopo la morte di Borges stesso. La presenza di “Borges” consente
anche alla scrittrice un bel gioco di citazioni, in primis sulle metafore, ma
poi anche più strettamente connesse alla trama. Che il morto, su cui si innesta
tutto il racconto, è un professore di storia antica che sta per pubblicare un
libro sulle influenze cretesi in Sicilia, e su eventuali e possibili
ritrovamenti cretesi nell’isola. E viene ucciso, e poi “affogato” in una cisterna,
così come il buon Teseo, quello che liberò Arianna, complice il filo, dal labirinto
(e qui le citazioni con Borges si sprecano) del Minotauro. Poi c’è il secondo
morto, o meglio morta, la moglie del professore, uccisa e poi impiccata così
come Arianna quando scopre la morte di Teseo, che si impicca dal dolore (e non
ripercorro la ben nota storia). Il tutto si muove in uno dei più intriganti
scenari cittadini, quello appunto di Palermo. Sia per la città stessa che per
il mondo di potenti e di ricatti che ben si conosce (o che dovrei dire ora ben
si conosce, forse trenta anni fa era meno palesemente noto). Come non aver un
moto di simpatia, verso la scrittrice che fa muovere i personaggi ora alla
Kalsa ora a Ballarò? E soprattutto, quando gran parte della storia si muove in
piazza della Marina, con quei bei giardini che tanto mi piacciono. Nei bei
palazzi intorno alla piazza stessa, tra cui il Palazzo Chiaromonte Steri,
teatro di molta parte della vicenda. Peccato solo non faccia neanche un salto
nella mia chiesa favorita, la bellissima Santa Maria della Catena. Il mondo dei
potenti invece è visto con gli occhi ed i sentimenti del commissario Santoro incaricato
delle indagini. Poiché il morto è persona ben nota, si ha subito paura di
scoprire altarini vari. E lì intorno si muovono il barone spiantato che si
interessa di giardini (e di labirinti), l’architetto rampante (e Dedalo stesso,
l’artefice dei labirinti, era un architetto), il prete in odore di troppa accondiscendenza
verso chi muove i fili delle borse, il professore nemico giurato del morto, assistenti
universitari rampanti e senza scrupoli, politici pronti a cambiar bandiera al
primo soffio di vento. Il commissario segue un suo ragionamento, corredato da
tracce ben visibili (a chi le sappia vedere, che tracce palesi sono invisibili,
come dimostrò cento cinquanta anni fa “La lettera rubata”, per chi ha buona
memoria) ed arriva all’individuazione del colpevole, che ovviamente ha mascherato
il crimine per evitare che le scoperte archeologiche del morto portino a cambiamenti
negli assetti di investimenti per … Ma il commissario vi arriverà secondo, che
Borges, seguendo il suo ragionamento letterario (non a caso appunto ogni passo
è citazione e metafora) arriva alla scoperta del colpevole. E ce lo dirà, con
un bel ragionamento, anche se dovrà confessare che non può portare prove in
merito. Ci penserà Santoro… Qualche sospensione per farvi leggere il libro.
Soprattutto per convincervi di fare una passeggiata a Palermo con lui. Un
ultimo punto dolente (bisogna pur fare qualche critica, no?) è la scarsa
attenzione della scrittrice a svelarci i meccanismi ultimi in particolare della
prima uccisione. Si sorvola un po’ troppo, e ciò non giova alla comprensione globale
del testo. Che, e qui chiudo, in ogni caso, mi è piaciuto (e non è neanche
troppo invecchiato).
“Ogni mattina lo specchio gli rimandava una
faccia sempre più simile a quella del padre.” (111)
“In fondo le certezze servono solo agli
imbecilli.” (195)
Giuseppe Pederiali “Camilla e il rubacuori” Garzanti euro 9,90 (in
realtà, scontato a 7,43 euro)
[A: 18/06/2013– I: 05/07/2014 – T: 07/07/2014] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 313;
anno 2010]
Stranamente,
misteri del caso, della cabala, della lettura, di chi volete voi, leggendo un
precedente episodio dell’ispettore Camilla Cagliostri nel 2012 chiudevo con
queste parole: “Chissà cosa leggerò tra due anni?” ora rispondo, un po’
profetico ed un po’ mesto. Ho letto il quarto ed ultimo episodio della serie di
Camilla, perché, purtroppo, lo scorso anno, Pederiali è deceduto in seguito
alle complicazioni di un incidente stradale. Quindi, senz’ombra di dubbio, non
si leggerà altro di Camilla. E pur rimanendo una serie non eccelsa, questo mi è
risultato leggermente meno indigesto dei precedenti. Non che sia migliorata la
trama, sempre un po’ piatta nella parte “gialla”, né l’ambientazione generale,
anche se guardo sempre con occhio benevolo Modena e dintorni. Un po’ c’entra il
gioco del titolo, un po’ l’affetto per una persona che, pur diversa da me,
tante volte ho incrociato nelle mie letture (spesso indirettamente, soprattutto
in gioventù nel versante delle opposte visioni fantascientifiche). Il titolo
dicevo. Che Camilla sappiamo essere un ispettore ed una donna un po’ fuori le
regole, molto intuito (nelle indagini) e molta spontaneità (nella vita privata,
un filo libertina). E se ci si aspettava il rubacuori come una lotta tra
polizia e un gigolò, ci troviamo invece di fronte ad un serial killer che
uccide le sue vittime … rubandone il cuore. Dopo due uccisioni similari,
Camilla ed il suo gruppo si vedono quindi sulle tracce di qualcuno che sceglie
le sue vittime anche in funzione del cuore stesso. E la parola “cuore” entra
come tormentone per tutto il libro: persone di buon cuore, cantanti di basso
profilo che hanno per sigla “Cuore” di Rita Pavone, tentativi d’adescamento
sotto le spoglie di un concorso su “Cuore d’oro”, voyeur innamorati di “Cuore
matto” di Little Tony. Pederiali si è sbizzarrito su questo versante. Ma non
contento, ha inserito anche una variante che discende dai suoi vecchi amori su
misteri ed altro, inserendo le vicissitudini egizio - tolteche sul cuore, sulla
bilancia che lo pesa insieme ad una piuma. Inserendo nel contesto altre due
morti legate all’estirpazione del cuore dal petto. Noi attenti lettori capiamo
bene che i due filoni sono disgiunti, cioè gli assassini sono senz’altro due. E
con Camilla decidiamo di seguire il primo, quello che uccide le giovani donne.
Quello dove Camilla si propone da esca con un articolo sul giornale locale.
Quello dove, da pagina 1, capiamo sarà coinvolta la giovane Danila,
diciassettenne sorella dell’amante di Camilla. Pederiali ha buon gioco nel
condurci in giro per l’Emilia e per possibili sospetti, ma non ci trae in
inganno. Sappiamo che il cattivo deve essere uno con dei traumi profondi, e
come ci insegnano i profiler americani, uno cui ad un certo punto sia scattato
un meccanismo di follia. Legato magari ad una ricorrenza. E mentre la macchina
delle indagini procede farraginosa, Pederiali ha anche buon gioco nel mostrare
le inconcludenti misure prese dalle forze dell’ordine, inclusa una task force
di cervelli conoscitori di assassini seriali e di cuori estirpati. Cerca anche
di farci cadere nel tranello verso quest’ultimo esperto, l’archeologo
conoscitore dell’Egitto, cui dei balordi, anni prima, hanno rapito e ucciso
moglie e figlia. Ma intanto Danila scompare, Camilla (contro ogni regola) si
mette in cerca da sola, capisce improvvisamente i retroscena, si presenta nella
villa del cattivo, che ormai sappiamo tutti chi sia. Ed ovviamente cade in
trappola. Sarà salvata dall’archeologo che in extremis riesce ad uccidere il
cattivo, strappandogli il cuore. Perché lui è l’altro assassino (lo sapevamo da
tempo, era facilino anche questo), ma un assassino “etico”, che i due morti
sono coinvolti nella tratta di organi umani dal terzo mondo e nel riciclo di
rifiuti tossici in Somalia. Il finale lascia intuire che, se non fosse
sopraggiunta la morte di Giuseppe, avremmo avuto altre puntate. Che Camilla si
salva, ma l’archeologo riesce a fuggire. E di sicuro sarebbe stato il
protagonista di un possibile quinto romanzo. Invece salutiamo Camilla, i suoi
facili amori (ma anche felici), la sua spregiudicatezza, e la sua avvenenza.
Salutiamo i tortellini, gli aperitivi in piazza. E gustiamo un piccolo intarsio
di un’indagine sull’uccisione di un ex-generale serbo, partecipante alla mattanza
di Sebrenica, ora riciclato in mafioso emiliano. Dove Camilla trova il
colpevole, ma non la denuncia, che questa è una vittima degli stupri etnici
jugoslavi. Possiamo eccepire sulla morale, non sulle scelte. Dicevamo, in
conclusione, tutto un po’ sotto il livello del coinvolgimento emotivo ed
intellettuale, ma sempre un onesto prodotto. Ed un addio in finale ad un altro
scrittore. Comunque, con affetto.
Abbiamo finalmente,
questo nuovo computer, dal quale vi scrivo e sul quale sto cercando di ripristinare
l’efficienza del precedente, in termini di contatti ed info. Spero di non aver
dimenticato troppa gente nel passaggio tra il vecchio ed il nuovo. E cerchiamo
di guardare quindi alle prossime settimane con l’occhio benevole di cominciare
nuove imprese, avendo consolidato le vecchie.