domenica 28 settembre 2014

Conferme - 28 settembre 2014

Titolo ambiguo di questa settimana, dedicato a letture “di genere”, che, appunto, confermano quanto di buono e di cattivo possa riservare questa scrittura. Leggo l’osannato libro di Alessia Gazzola, e confermo che è interessante. Leggo il primo libro della saga del commissario Miceli, e confermo che ne leggerò altri. Leggo un vecchio libro ambientato a Palermo e scritto tanti anni fa da Silvana La Spina, e confermo che avrebbe scritto altro di interessante. Leggo l’ultimo libro della serie di Camilla (ultimo che nel frattempo Pederiali è morto) e confermo di non aver ancora capito perché ne ho letti 4!
Gianni Simoni “Un mattino d’ottobre” TEA euro 12
[A: 15/04/2013– I: 28/04/2014 – T: 01/05/2014] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 294; anno 2007]
Avevo sentito parlare di questo magistrato in pensione che comincia a scrivere di quello che sa: la vita ed i casi di magistratura e polizia. Da magistrato aveva indagato su molti e importanti casi (da alcune Brigate Rosse a Sindona ed altro). Da scrittore sicuramente ci dà un’immagine molto accurata e veritiera di quello che accade durante un’indagine. Le forze in campo, gelosie e amicizie, metodo e fortuna. Ho aspettato che fosse ripubblicato il suo primo libro, dove cominciamo a conoscere quelli che, secondo la quarta, sono gli eroi dei suoi scritti: il giudice in pensione Carlo Petri ed il commissario Miceli. Devo dire però che la prima impressione è che la bilancia, non a caso, punti più sul magistrato che sul poliziotto (una proiezione?). Comunque, l’ho trovato scritto bene, anche se comincia a decollare dopo una cinquantina di pagine, quando più si danno spazio alle indagini ed alla descrizione dei vari componenti della “squadra”. Sul giudice torneremo più avanti, intanto abbiamo il commissario che immaginiamo una sorta di Maigret verso fine carriera, con tanto di moglie e paternalismi vari. Poi c’è l’ispettrice Grazia Bruni, romana (l’azione si svolge a Milano), bella, rossa di capelli, intelligente e solitaria; c’è l’agente Maccari, giovane e dotato di grande acume e capacità di collegamenti (oltre ad essere segretamente innamorato della Bruni); c’è il contro-altare, l’ispettore Rosati, tronfio ed arruffone, oltre a sentirsi piacente e conquistatore; e ci sono i Gianni e Pinotto della squadra, gli agenti Grasso e Tondelli, che discutono dei casi alla Flaubert con l’acume appunto dei due comici (anche se ricordiamo per inciso che i due comici si chiamavano in realtà Abbott e Costello). Il caso, che parte proprio una mattina di ottobre (e si concluderà solo a Natale) nasce da una serie di coincidenze che fanno precipitare una valanga. L’ingegnere Rava, con moglie un po’ sciatta, sta andando in cantiere quando è distratto da un’improvvisa telefonata al cellulare. Scarta di lato, e la sua auto è presa in pieno dal furgone di Anselmi che, in ritardo, correva un po’ troppo. La carambola finisce ai limiti di un giardino investendo ed uccidendo la piccola Giulia Strambi, sfuggita al controllo della tata Santina, distratta dai colloqui con il suo spasimante Sandro. Il Rava va in coma, ma dopo una quindicina di giorni viene ucciso nel suo letto d’ospedale da due colpi di pistola. Dopo di che nasce una catena di morti: Anselmi, Letizia Strambi (la madre di Giulia, che poi si scopre essere l’amante del Rava), Santina, Sandro. Poi un colpo a vuoto: il meccanico di Rava mirato ma non colpito. Poi l’edicolante di Rava stesso. La squadra, dove ancora non entra nel vivo il nostro giudice, è sballottolata tra il non riuscire a collegare tutte le morti (che la storia di Santina e Sandra non era nota) e l’ipotesi che dietro a tutti ci sia l’avvocato Strambi, il padre di Giulia, distrutto dalla morte della figlia e forse improvvisatosi giustiziere solitario. Ammiriamo Maccari nella sua capacità di leggere giornali e verbali, e cominciare ad ipotizzare un collegamento. Così come fa l’ispettore Bruni, pensando alla pistola (sempre una calibro 22) ma senza che le scatti una domanda fondamentale (chi possiede armi?). In tutto ciò, l’unica cosa positiva che fa il commissario Miceli è coinvolgere il suo vecchio amico ed ex-giudice Petri nelle indagini. Ed il nostro fa subito i collegamenti giusti. Il colpo a vuoto risulta anomalo, e si scopre che sia voluto. Parlando con una vecchia vicina allo svolgimento dei fatti scopre il legame tra Santina e Sandro. Ed avvia l’indagine che porta alla scoperta che la pistola la possiedono l’avvocato, la moglie di Rava ed il meccanico. Escludendo quest’ultimo (difficile cercare di auto-colpirsi) rimangono i due, che noi lettori capaci ed esterni avevamo subito pensato fossero gli unici reali possibili colpevoli. Sarà una mossa azzardata di Petri che scatenerà la paura e darà modo di chiudere il cerchio. Insomma, per riprendere l’analisi della squadra, Petri risalta come l’unico che si fa le domande giuste, anche se non ha le risposte. Così come deve fare un investigatore degno di questo nome. Mi chiedo solo com’è che in Polizia nessuno si sia fatto le stesse domande e gli stessi collegamenti (forse solo Maccari, che però è l’ultima ruota del carro). Per concludere, un bell’impianto, qualche tentativo di depistaggio, ma una buona mano che conduce i fili del gioco. E bene anche le caratterizzazioni dei personaggi (a me sta più simpatica la Bruni, comunque). Mi sa che se ne leggerà ancora.
Alessia Gazzola “L’allieva” TEA euro 12
[A: 15/04/2013 – I: 01/05/2014 – T: 03/05/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 374; anno 2011]
Alla sua uscita, il libro della trentenne Alessia Gazzola ebbe un buon successo di critica e di pubblico. Io ho aspettato pazientemente l’uscita in economica, poi ho aspettato di volerlo leggere, facendo passare un tempo giusto (secondo me) che avrebbe smussato le voluttà mediatiche per lasciare i sedimenti dello scrivere. Devo dire che sono contento del libro. Non stravolge le categorie di bellezza, né assurge a vette inarrivabili di capolavoro, ma è un libro che si legge, che scorre, che ha un discreto mix di tensione e ironia, nonché un sottofondo di sentimenti e di umanità che non guasta. Certo, Alice Allevi, l’allieva di patologia medica non può essere annoverata (come ci fa credere la quarta) come epigono di Kay Scarpetta. Non ne ha il ruolo, forse non ne ha ancora le capacità. E soprattutto, la medicina forense in Italia non ha quel ruolo di preminenza nelle indagini come quella d’oltre oceano. In compenso, la scrittrice (forse memore delle sue vicende personali) ben descrive l’ambiente post-universitario italiano, con gli arrivismi, i nepotismi e le gelosie (pubbliche e private) che (purtroppo) caratterizzano il panorama italiano. La dottoressa Allevi, come detto, è al secondo anno di specializzazione in medicina legale, ultimo (o quasi) gradino della piramide dell’Istituto, con a capo il Supremo, anglo-italiano di molte capacità, con a livello professori una serie di chiare tipologie italiote, di cui seguiamo al meglio il dr. Claudio Conforti, tutor della nostra, galletto sempre pronto alla battuta equivoca verso le donne, e nei cui confronti Alice ha un certo trasporto. E poi gli specializzandi, con la battaglia per i pochi posti tra la nostra (capace, ma insicura e svagata), Lara (la migliore, per sua sfortuna bruttina) e Ambra (la vamp, che utilizza tutte le sue armi per la carriera). La storia prende le mosse dalla morte di tal Giulia, fortuitamente incontrata da Alice poche ore prima della morte. Seguiamo le varie fasi delle analisi forensi: autopsie, esami tossicologici, esami di presunte prove, test di DNA e affini. La vicenda complessa deriva dalla presenza di una strana famiglia alle spalle della morta. Orfana di genitori, con sorella Bianca tornata dagli USA per darle sostegno, vissuta con gli zii, e con un cuginastro (figlio di primo letto della moglie del fratello della madre di Giulia) in attesa di convolare a giuste nozze con l’abulica Doriana. Giulia viveva sola, con l’amica Sofia. Ed insieme si davano alla tossicologia non spinta (spinelli a gogò, all’inizio, poi eroina solo sniffata, ma poi chissà). Gli esami dei nostri (dove ogni volta Alice riesce a fare un po’ di casino) mostrano che Giulia ha avuto rapporti prima di drogarsi e prima di assumere del paracetamolo (cui è allergica) che le provoca lo choc anafilattico e la morte. Tutti, commissario in testa, propendono per tragica casualità. Solo Bianca non sembra convinta, e convince Alice (che comincia a frequentare la famiglia della morta per la casuale conoscenza di cui sopra) a cercare altre strade. Cosa che Alice fa, andando prima sul bordo, poi decisamente fuori della legge. Tutto questo mentre la sua situazione in istituto è sempre più precaria. I capi vogliono bocciarla, e tutti i casini che combina non l’aiutano certo. Ma in seguito alle sue analisi parallele, scopre che Giulia si è drogata con una persona diversa da quella con cui ha avuto rapporti, che ha litigato ferocemente con una donna prima di morire. Istigata da Bianca, scopre che Giulia aveva rapporti sessuali con il cuginastro, la cui futura moglie era responsabile della lite poco prima della morte. Tuttavia, anche Bianca ha un debole per il cugino, e lei, come tutta la famiglia, sa delle allergie di Giulia. I ragionamenti di Alice porteranno il commissario sulla giusta strada, anche se in Italia spesso i colpevoli non pagano il fio delle loro azioni. Ma il commissario è grato ad Alice, e le propone una consulenza che sarà foriera di altri libri. In tutto ciò, non ci dimentichiamo che Alice si innamora di Arthur, giornalista free lance, casualmente figlio del Supremo. Che Arthur, dopo la breve storia con Alice, parte per il Sudan dove si ammala di malaria. Nel frattempo fa in modo che le doti di patologo della bella risaltino (e Alice sarà promossa), ed anche se senza prospettive, Alice lo raggiunge in Sudan, perché l’amore è l’amore. La storia tra i due non sembra avrà molto respiro, ma ci sono delle pagine discrete tra di loro. Tralascio le beghe dell’Istituto e la scalata di Ambra attraverso il letto del professore, che concedo ai fortunati lettori di questo libro direi tipicamente estivo. Da relax sotto l’ombrellone. Comunque un relax intelligente e ben scritto.
“Mi sento morire quando sto fermo nello stesso posto per più di due mesi. Quando torno a casa, ho già voglia di ripartire. È una curiosità infinita del mondo ma, forse, anche una forma di instabilità. Sono un irrequieto, di fondo.” (120)
Silvana La Spina “Morte a Palermo” Et al. Euro 9
[A: 13/12/2013– I: 05/05/2014 – T: 07/05/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201; anno 1987]
Avevo intravisto questo libro a “Più Libri Più Liberi”, ma poi mi ero scordato di prenderlo. L’ho poi ritrovato da Feltrinelli e mi sono detto che poteva valere la pena di leggerlo, sebbene fosse datato. Intuizione corretta, che è un libro piacevole e ben scritto. Devo dire tuttavia che durante la lettura mi aspettavo qualcosa di più, qualcosa che invece non è scattato, lasciandomi l’impressione di un libro con maggiori possibilità, se solo fosse stato scritto qualche anno dopo. Che è il primo libro della scrittrice siciliana, ancora forse pieno di troppi desideri inespressi. Tanto che la parte “gialla”, pur ben congeniata, si complica man mano la vita, sino a risolversi in una soluzione direi forse scontata (data la costruzione che se ne fa intorno). Piacevole se non altro, invece, l’inserimento di un personaggio finto – reale che funge quasi da contraltare di noi lettori, dando voce ai ragionamenti che si fanno nel corso della lettura. E non è difficile scorgere nell’anziano Honorio Bustos Domecq, cieco scrittore con dama di compagnia, la figura di un Borges che, realmente, trascorse giorni a Palermo e vi fece anche una lectio brevis sul concetto di metafora. Per i miei lettori di scarsa memoria, ricordo che Bustos Domecq è stato uno pseudonimo, presto svelato, di Borges stesso, durante la scrittura di alcuni racconti polizieschi (di trama, ovviamente) che il vate argentino produsse nelle sue lunghe stagioni di scrittura. Avrei forse speso qualche parola in più, nella postfazione della stessa Silvana, visto che il libro uscì proprio poco tempo dopo la morte di Borges stesso. La presenza di “Borges” consente anche alla scrittrice un bel gioco di citazioni, in primis sulle metafore, ma poi anche più strettamente connesse alla trama. Che il morto, su cui si innesta tutto il racconto, è un professore di storia antica che sta per pubblicare un libro sulle influenze cretesi in Sicilia, e su eventuali e possibili ritrovamenti cretesi nell’isola. E viene ucciso, e poi “affogato” in una cisterna, così come il buon Teseo, quello che liberò Arianna, complice il filo, dal labirinto (e qui le citazioni con Borges si sprecano) del Minotauro. Poi c’è il secondo morto, o meglio morta, la moglie del professore, uccisa e poi impiccata così come Arianna quando scopre la morte di Teseo, che si impicca dal dolore (e non ripercorro la ben nota storia). Il tutto si muove in uno dei più intriganti scenari cittadini, quello appunto di Palermo. Sia per la città stessa che per il mondo di potenti e di ricatti che ben si conosce (o che dovrei dire ora ben si conosce, forse trenta anni fa era meno palesemente noto). Come non aver un moto di simpatia, verso la scrittrice che fa muovere i personaggi ora alla Kalsa ora a Ballarò? E soprattutto, quando gran parte della storia si muove in piazza della Marina, con quei bei giardini che tanto mi piacciono. Nei bei palazzi intorno alla piazza stessa, tra cui il Palazzo Chiaromonte Steri, teatro di molta parte della vicenda. Peccato solo non faccia neanche un salto nella mia chiesa favorita, la bellissima Santa Maria della Catena. Il mondo dei potenti invece è visto con gli occhi ed i sentimenti del commissario Santoro incaricato delle indagini. Poiché il morto è persona ben nota, si ha subito paura di scoprire altarini vari. E lì intorno si muovono il barone spiantato che si interessa di giardini (e di labirinti), l’architetto rampante (e Dedalo stesso, l’artefice dei labirinti, era un architetto), il prete in odore di troppa accondiscendenza verso chi muove i fili delle borse, il professore nemico giurato del morto, assistenti universitari rampanti e senza scrupoli, politici pronti a cambiar bandiera al primo soffio di vento. Il commissario segue un suo ragionamento, corredato da tracce ben visibili (a chi le sappia vedere, che tracce palesi sono invisibili, come dimostrò cento cinquanta anni fa “La lettera rubata”, per chi ha buona memoria) ed arriva all’individuazione del colpevole, che ovviamente ha mascherato il crimine per evitare che le scoperte archeologiche del morto portino a cambiamenti negli assetti di investimenti per … Ma il commissario vi arriverà secondo, che Borges, seguendo il suo ragionamento letterario (non a caso appunto ogni passo è citazione e metafora) arriva alla scoperta del colpevole. E ce lo dirà, con un bel ragionamento, anche se dovrà confessare che non può portare prove in merito. Ci penserà Santoro… Qualche sospensione per farvi leggere il libro. Soprattutto per convincervi di fare una passeggiata a Palermo con lui. Un ultimo punto dolente (bisogna pur fare qualche critica, no?) è la scarsa attenzione della scrittrice a svelarci i meccanismi ultimi in particolare della prima uccisione. Si sorvola un po’ troppo, e ciò non giova alla comprensione globale del testo. Che, e qui chiudo, in ogni caso, mi è piaciuto (e non è neanche troppo invecchiato).
“Ogni mattina lo specchio gli rimandava una faccia sempre più simile a quella del padre.” (111)
“In fondo le certezze servono solo agli imbecilli.” (195)
Giuseppe Pederiali “Camilla e il rubacuori” Garzanti euro 9,90 (in realtà, scontato a 7,43 euro)
[A: 18/06/2013– I: 05/07/2014 – T: 07/07/2014] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 313; anno 2010]
Stranamente, misteri del caso, della cabala, della lettura, di chi volete voi, leggendo un precedente episodio dell’ispettore Camilla Cagliostri nel 2012 chiudevo con queste parole: “Chissà cosa leggerò tra due anni?” ora rispondo, un po’ profetico ed un po’ mesto. Ho letto il quarto ed ultimo episodio della serie di Camilla, perché, purtroppo, lo scorso anno, Pederiali è deceduto in seguito alle complicazioni di un incidente stradale. Quindi, senz’ombra di dubbio, non si leggerà altro di Camilla. E pur rimanendo una serie non eccelsa, questo mi è risultato leggermente meno indigesto dei precedenti. Non che sia migliorata la trama, sempre un po’ piatta nella parte “gialla”, né l’ambientazione generale, anche se guardo sempre con occhio benevolo Modena e dintorni. Un po’ c’entra il gioco del titolo, un po’ l’affetto per una persona che, pur diversa da me, tante volte ho incrociato nelle mie letture (spesso indirettamente, soprattutto in gioventù nel versante delle opposte visioni fantascientifiche). Il titolo dicevo. Che Camilla sappiamo essere un ispettore ed una donna un po’ fuori le regole, molto intuito (nelle indagini) e molta spontaneità (nella vita privata, un filo libertina). E se ci si aspettava il rubacuori come una lotta tra polizia e un gigolò, ci troviamo invece di fronte ad un serial killer che uccide le sue vittime … rubandone il cuore. Dopo due uccisioni similari, Camilla ed il suo gruppo si vedono quindi sulle tracce di qualcuno che sceglie le sue vittime anche in funzione del cuore stesso. E la parola “cuore” entra come tormentone per tutto il libro: persone di buon cuore, cantanti di basso profilo che hanno per sigla “Cuore” di Rita Pavone, tentativi d’adescamento sotto le spoglie di un concorso su “Cuore d’oro”, voyeur innamorati di “Cuore matto” di Little Tony. Pederiali si è sbizzarrito su questo versante. Ma non contento, ha inserito anche una variante che discende dai suoi vecchi amori su misteri ed altro, inserendo le vicissitudini egizio - tolteche sul cuore, sulla bilancia che lo pesa insieme ad una piuma. Inserendo nel contesto altre due morti legate all’estirpazione del cuore dal petto. Noi attenti lettori capiamo bene che i due filoni sono disgiunti, cioè gli assassini sono senz’altro due. E con Camilla decidiamo di seguire il primo, quello che uccide le giovani donne. Quello dove Camilla si propone da esca con un articolo sul giornale locale. Quello dove, da pagina 1, capiamo sarà coinvolta la giovane Danila, diciassettenne sorella dell’amante di Camilla. Pederiali ha buon gioco nel condurci in giro per l’Emilia e per possibili sospetti, ma non ci trae in inganno. Sappiamo che il cattivo deve essere uno con dei traumi profondi, e come ci insegnano i profiler americani, uno cui ad un certo punto sia scattato un meccanismo di follia. Legato magari ad una ricorrenza. E mentre la macchina delle indagini procede farraginosa, Pederiali ha anche buon gioco nel mostrare le inconcludenti misure prese dalle forze dell’ordine, inclusa una task force di cervelli conoscitori di assassini seriali e di cuori estirpati. Cerca anche di farci cadere nel tranello verso quest’ultimo esperto, l’archeologo conoscitore dell’Egitto, cui dei balordi, anni prima, hanno rapito e ucciso moglie e figlia. Ma intanto Danila scompare, Camilla (contro ogni regola) si mette in cerca da sola, capisce improvvisamente i retroscena, si presenta nella villa del cattivo, che ormai sappiamo tutti chi sia. Ed ovviamente cade in trappola. Sarà salvata dall’archeologo che in extremis riesce ad uccidere il cattivo, strappandogli il cuore. Perché lui è l’altro assassino (lo sapevamo da tempo, era facilino anche questo), ma un assassino “etico”, che i due morti sono coinvolti nella tratta di organi umani dal terzo mondo e nel riciclo di rifiuti tossici in Somalia. Il finale lascia intuire che, se non fosse sopraggiunta la morte di Giuseppe, avremmo avuto altre puntate. Che Camilla si salva, ma l’archeologo riesce a fuggire. E di sicuro sarebbe stato il protagonista di un possibile quinto romanzo. Invece salutiamo Camilla, i suoi facili amori (ma anche felici), la sua spregiudicatezza, e la sua avvenenza. Salutiamo i tortellini, gli aperitivi in piazza. E gustiamo un piccolo intarsio di un’indagine sull’uccisione di un ex-generale serbo, partecipante alla mattanza di Sebrenica, ora riciclato in mafioso emiliano. Dove Camilla trova il colpevole, ma non la denuncia, che questa è una vittima degli stupri etnici jugoslavi. Possiamo eccepire sulla morale, non sulle scelte. Dicevamo, in conclusione, tutto un po’ sotto il livello del coinvolgimento emotivo ed intellettuale, ma sempre un onesto prodotto. Ed un addio in finale ad un altro scrittore. Comunque, con affetto.
Abbiamo finalmente, questo nuovo computer, dal quale vi scrivo e sul quale sto cercando di ripristinare l’efficienza del precedente, in termini di contatti ed info. Spero di non aver dimenticato troppa gente nel passaggio tra il vecchio ed il nuovo. E cerchiamo di guardare quindi alle prossime settimane con l’occhio benevole di cominciare nuove imprese, avendo consolidato le vecchie.

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