domenica 19 ottobre 2014

Almost McCall - 19 ottobre 2014

Solo quasi, perché abbiamo ben 3 libri dello scrittore dello Zimbabwe, per celebrarne alcuni fasti. Quello delle letture e dei comportamenti etici (e quanti di noi si interrogano su come si comportano giorno per giorno?) e quello dei fasti e nefasti quotidiani della città di Edimburgo e dei suoi scozzesi. Il quarto posto per un libro comperato con tante speranze all’aeroporto di Istanbul, ma che si è rivelato inferiore (e molto) alle attese che vi avevo riposto.
Alexander McCall Smith “The Lost Art of Gratitude” Abacus euro 10
[A: 20/04/2014 – I: 20/04/2014 – T: 20/04/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 249; anno 2009]
Non è un errore: questo libro è stato comprato, iniziato e finito in un giorno, in un lungo giorno di viaggio, ritorno della Pasqua da Edimburgo a Roma. E quale migliore omaggio alla città che leggerne di uno dei suoi più noti scrittori viventi? Uno di cui (e non è un caso) molti libri sono presenti nella mia libreria. L’autore è anche prolifico e multiforme. La sua serie maggiore, ricordo della giovinezza ed altri pensieri del nativo Botswana, è imperniata sulla detective africana Precious Ramotswe, serie che però non mi convince e non ho letto. Ho invece libri delle due serie successive: quella ambientata al numero 44 di Scotland Street (e di cui parlerò quando tramerò quei libri) e questa che ha per protagonista Isabel Dalhousie ed imperniata sulla sua vita e su vari dilemmi etici e filosofici cui va incontro. Intanto, sottolineo che questo è il primo libro in originale che leggo, e devo convenire, con la mia amica Chiara, che, in effetti, la lettura in inglese non solo è (discretamente) agile, ma anche aiuta a ripassare la lingua, visto che utilizza schemi grammaticali semplici e poche parole “nuove”. Allora, con la mente ancora fresca della gita scozzese, ecco mi immergo in un pranzo da “Glass & Thomson”, in una visita alla National Library o al National Museum, in una passeggiata per i Princess Garden. Insomma, leggere di Isabel e soci è come continuare la visita alla Scozia, frequentando anche nuovi luoghi. Ma detto del piacere direi estetico della lettura, questa volta il piacere etico è leggermente inferiore, anche se le avventure che seguiamo a loro volta seguono il filo rosso del titolo. Sono situazioni in cui qualcuno fa qualcosa per qualche altro. Bisogna essere grati per questo? E come manifestarlo? Questo in fondo il piccolo dilemma dei nostri filosofi. C’è il bel rapporto tra Isabel e Jamie, suggellato dalla nascita e dalla cura del loro piccolo Charlie. Tanto che Jamie finalmente chiede ad Isabel di sposarsi. Come reagiranno gli altri? Cosa dirà la tata Grace? Ma soprattutto, Cat, la nipote che alcuni anni prima si era messa lei con Jamie (per poi lasciarsi, senza nessun rancore)? Poi c’è la rivista di Etica, di cui Isabel è editore. Dove viene incautamente pubblicato un articolo con una citazione non referenziata. Cosa che fa alzare gli scudi agli oppositori della linea editoriale di Isabel. Professori saccenti, che non si accontentano di scuse. E come reagiranno quando Isabel presenterà un loro scritto anch’esso con una citazione saltata? Saranno capaci di mostrare gratitudine? Infine, c’è la perfida Minty, rampante donna della finanza che abbiamo già incontrato in qualche libro precedente, che irretisce Isabel in una sua complessa macchinazione. Dove entrano: il piccolo di Minty, coetaneo di Charlie, che però Minty ha avuto con un altro, e che il marito di lei non sa di essere cornuto, l’amante di Minty, che vorrebbe interagire con questo suo figlio naturale, un investitore cui Minty ha truffato, anche se non si hanno prove, un po’ di denaro. Minty chiede aiuto a Isabel per il primo problema, sfruttandone, a sua insaputa, la presenza come deterrente per tutte le altre due. Isabel cade nella trappola, vorrebbe che Minty pagasse il fio delle malefatte. Ma questo significherebbe mettere nei guai l’amante e l’investitore. Fatti i conti con la sua etica personale, Isabel decide che il suo carattere (quello per cui occorre praticare ogni giorno al fine di farlo crescere come vogliamo noi) non gli consente una tale mossa. Spiega lo spiegabile a chi la può capire, ricevendone attestati di quella gratitudine di cui sopra. Lo dirà anche a Minty, fuori dai denti, come si dice in gergo. Minty capisce che Isabel non andrà mai oltre le parole. E rimarrà sulle sue, senza un’ombra di ringraziamento. Insomma, rispetto ad altri momenti della vita della capitale scozzese, siamo in un racconto in minore. Eppur tuttavia, godibile, e, come detto sopra, leggibile facilmente anche in originale. Dove ho imparato che “playpen” è il box dove si mettono i bambini piccoli a giocare. Una buona compagnia, per un ritorno a casa anch’esso facile e senza problemi.
“She thought … how often what we say is the exact opposite of what we really mean.” [Pensò … quanto spesso ciò che diciamo è l’esatto opposto di quello che vorremmo dire realmente.] (29)
“That was the problem with any large collection of books, whether in a library or a bookshop: one might feel intimidated by the fact that there were simply too many to read and not know where to start.” [Questo era il problema con qualsiasi grande collezione di libri, sia in una biblioteca o in una libreria: ci si sente intimiditi dal fatto che ci sono troppi libri da leggere e non si sa da dove cominciare.] (83)
“The best sort of relationship … was where each person had a private area.” [Le migliori relazioni sono lì … dove ognuno ha una sua zona privata.] (109)
Alexander McCall Smith “Lettera d’amore dalla Scozia” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 6,75 euro)
[A: 01/02/2014 – I: 04/06/2014 – T: 06/06/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: Love over Scotland; ling. or.: inglese; pagine: 352; anno 2006]
Quest’altro McCall Smith l’avevo preso da tempo, ma non ancora letto. Ricordo alcuni capisaldi per i miei amici lettori un po’ smemorati: il nostro Alexander, pur essendo nato in Zimbabwe, è uno scozzese purosangue, e scrive in un inglese piano e di facile comprensione. Motivo per cui, come dicevo sopra, ne viene consigliata la lettura in lingua. Il nostro è poi un autore prolifico, che si diletta in serial – fiction, di cui tre sono le più note ed acclamate: la serie di Precious Ramotswe (detta “Serie della detective n.1 dello Zimbabwe”), la serie di Isabel Dalhousie (detta “Il club dei filosofi dilettanti”) e la serie di Pat Macpherson (detta “Le storie del 44 Scotland Street”). Ne ho già parlato, quindi vado avanti, dedicandomi a questo che è il terzo libro della serie di Scotland Street. Devo confessare che nella Pasqua edimburghese ho fatto di proposito anche una passeggiata per Scotland Street, scoprendo che i numeri pari arrivavano a … 42! Ma cogliendo bene i riferimenti che si fanno ai luoghi delle vicinanze: i parchi, i caffè, i Princess Garden ed altro. La sortita scozzese mi ha anche consentito di capire meglio questa serie di libri, che nelle trame precedenti mi lasciavano ogni tanto perplesso per la loro discontinuità, per il fatto che saltavano qua e là, a volte senza spiegazioni. Ho scoperto, infatti, che i brevi capitoli (ogni libro ne ha almeno un centinaio) derivano dal fatto che l’autore ne pubblica giornalmente sullo “Scotsman”, uno dei giornali locali più letti. Da qui le piccole storie, il passare argomenti, ma anche la capacità di narrare tra le righe la vita locale, le manie. Insomma, tutto quello che fa “scozzese”, ma che non si disgiunge mai dall’intento di fondo dell’autore. Porre problemi di comportamento e di relazione, facendoci riflettere su come ci si comporta, sui fili ragionativi che seguiamo per prendere decisioni. Certo, son libri facili, anche se di corposa scrittura. Ma continuo a trovarli piacevoli. A parte, ovviamente, avere da ridire sul modo di tradurre il titolo. Che di lettera d’amore non se ne trova traccia. Di lettere sì, ed anche d’amore. Ed è forse quello l’intreccio che interessa di più Alexander. L’amore tra i giovani, l’amore tra genitori e figli, l’amore per il lavoro, l’amore tra persone mature. Diversi gradi d’amore (e spesso lontano dalla componente sesso), ma, come diceva il Poeta, è l’amore che muove il mondo. Ed allora veniamo ai personaggi che si muovono in città (ma anche fuori). C’è la nostra eroina Pat, che lascia temporaneamente il 44 di Scotland Street dopo la delusione con il narcisista Bruce (che fortunatamente lascia la serie e si trasferisce a Londra). Pat riprende l’Università dove incontra il belloccio Wolf, che scopriamo ben presto essere un cacciatore di femmine. Anche lui prestante, per cui Pat “scivola” un po’, accorgendosi ben presto che Wolf sta con la sua nuova coinquilina Tess. Qualche scaramuccia da “convivenza forzata”, poi Pat lascia anche questa casa e trova rifugio dal suo datore di lavoro, il trentenne Matthew, quello giovanile, ricco, e molto imbranato. Quello della galleria d’arte (e chi è stato ad Edinburgh sa quante ce ne siano). Ed anche innamorato senza speranza proprio di Pat. Qualche pennellata per rimarcare l’incapacità del giovane ad agire in prima persona (e l’unica cosa che fa da solo, sarà comprarsi un maglione color porridge, veramente inqualificabile). Ma tra i due potrebbe nascere qualcosa. Mettiamoci alla finestra a vedere. Prende maggior copro la presenza dell’attempato Angus che si ritrova solo, dato che la sua grande amica antropologa Domenica è partita per una ricerca sul campo nella penisola malacca. Qui Alexander fa delle digressioni esotiche e comportamentali sia sugli studiosi che fanno inutili ricerche in giro per il mondo (la nostra non trova di meglio che cercare di scoprire la vita dei pirati malesi, per ritrovarsi, delusa, ad osservare un gruppo di “pirati” locali che l’unica pirateria che fanno è quella di contraffare CD!) sia sul comportamento degli anglo-sassoni a contatto con le altre culture (cosa che ben gli deriva dal suo passato australe). Seguiamo però con piacere Angus, i suoi tentativi di socializzazione, ma soprattutto le sue puntate al market Valvona & Crolla (ci sono stato, ed è veramente carino, e costoso, in particolare con i prodotti italiani importati). Ma quello che più mi attira è l’agire del piccolo Bertie. Il piccolo genio, con una madre da sopprimere seduta stante (una che imposta la vita del piccolo con il titolo “il progetto Bertie”, come fosse un prodotto da vendere sul mercato, e che serve solo a soddisfare le sue voglie da primadonna). Bertie è pur tuttavia simpatico, con il suo sax, la sua innocenza. Come non godere della sua trasferta a Parigi dove, lui di sei anni e ignorante della lingua, mette alla berlina un professore della Sorbona ed il suo destrutturalismo. Credo che Bertie potrà e dovrà avere spazio nelle seguenti puntate, soprattutto sperando che riesca a mettere a posto la madre. Tra macchiette varie, bevute di birra tra i vari personaggi, consolazione verso bariste dai pensieri filosofici, ed altre piccole amenità, il libro scorre, si fa leggere e ci lascia qualche domanda su quei comportamenti di cui prima. Di chi innamorarsi? Come reagire alla morte di una persona conosciuta? Cosa fare aprendo la porta di un bagno e trovarvi un uomo nudo? A me continua a divertire, nel suo andamento un po’ sconclusionato, ma molto, molto Scottish.
“Gli piacevano le cene … ma in generale preferiva essere ospite che ospitare. … Trovava difficile rilassarsi e godersi la conversazione se doveva anche tenere d’occhio la necessità degli invitati. E alla fine di tutto, come se non bastasse, toccava rassettare.” (139)
“Si diventa sempre come i propri genitori. I loro consigli inizialmente disprezzati … e le loro opinioni vengono avvalorati, uno per uno, dalle nostre scoperte e dall’idea che ci facciamo del mondo. E intanto, con orrore crescente, diamo credito ad un’affermazione che prima non avremmo mai considerato: le nostre mamme avevano ragione!” (311)
“In te ho trovato me stesso.” (334)
È molto importante essere capaci di accettare i regali. … Pensiamo di dover imparare a dare, ma dimentichiamo il ricevere, che può essere anche più difficile del dare.” (348)
Alexander McCall Smith “The World according to Bertie” Abacus s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 20/04/2014 – I: 12/06/2014 – T: 20/06/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 329; anno 2007]
Nella trasferta scozzese, due libri di Alexander entrarono in libreria: l’arte perduta di cui ho scritto tempo fa, e questo nuovo episodio del 44 di Scotland Street. Tra l’altro, libro che, leggendone risvolti, intro e quarte, mi ha fatto appunto capire la genesi di questa serie, pacificandomi un po’ con quell’andamento apodittico che mi aveva inizialmente turbato. Ed ho quindi anche compreso che, per il nostro autore, in questa serie la storia (o le storie) hanno il solo senso di arrivare a nodi comportamentali ed a svelare usi e costumi scozzesi. Devo di converso sottolineare che invece, rispetto agli altri scritti, in questo McCall Smith usa un inglese un po’ più difficile. Forse perché, uscendo giornalmente sul quotidiano locale, inclina maggiormente ad un uso della lingua più colloquiale e vicino alla vita giornaliera dei simpatici edimburghesi. Inoltre, mentre il precedente, come rilevato, si incentrava sull’amore, qui si torna, ed alla grande, sull’analisi dei comportamenti e sulle reciproche relazioni. Muovendosi su tre binari paralleli (la vita del piccolo Bertie e della sconsiderata madre, il mondo degli “anziani” Domenica ed Angus, le vicissitudini dei giovani in cerca di futuro, e sui quali torneremo), utilizzando sia l’indirizzo-titolo della serie sia alcuni personaggi “cross” per cementare vicende e seguirne sviluppi. Dal punto di vista della trama, allora, in questa puntata abbiamo l’inserimento del nuovo nato, fratellino di Bertie, inopinatamente chiamato Ulysses (a proposito, si scopre che Bertie è diminutivo di Roberto, nella mania italianeggiante di mamma Irene), degli scompensi che provoca in Bertie (che ne vede una preoccupante somiglianza con lo psicoterapeuta presso cui è in cura), e degli scompensi che provoca anche nella vita di Mummy e Daddy, quando “dimenticano” il piccolo e la carrozzina all’entrata di Valvona & Crolla (un must, come si diceva; tra l’altro, con la passeggiata che i quattro fanno da casa in Scotland Street verso il negozio che io e Alessandra s’è fatta più volte sotto il sole di Pasqua). Il secondo filone dei comportamenti studiati è quello della classe di Bertie, con le cattiverie e le crudeltà dei suoi coetanei, con l’atteggiamento di Irene che, purtroppo, la passa sempre liscia (ma spero che prima o poi riceva la paga per le sue malefatte psicologiche), e con la povera insegnante, Miss Harmony (povera due volte, sia per la classe che deve sopportare sia per quel cognome molto impegnativo) che non riuscirà ad esimersi di dare una tirata d’orecchie all’impertinente Olive (una ragazzina che andrebbe bene sotto la tutela di Irene, e che si ostina a mettere paura a Bertie sostenendo come lui si affetto da … lebbra). Tirata che le costa la sospensione dalla scuola. Ma che porta risvolti positivi, poiché, libera da lezioni, si aggira per Dundas Street, dove incontra Matthews, che se ne innamora all’istante. Troncando (con sospiro reciproco) l’infatuazione con Pat che non stava portando nessuno dei due verso “nuove spiagge amorose”. Pat si trova così di nuovo, sola, e ritorna sotto l’ala paterna. Ma in questo modo riesce anche ad evitare il ritorno di Bruce (e sì, purtroppo ritorna…), sempre con il suo narcisismo, con lo sfruttamento delle altrui debolezze. Cinismo che lo porta a convivere con la bella (ma molto, molto oca) Julie, e, quando questa rimane incinta, Bruce si fa convincere dai soldi del padre di Julie ad un matrimonio riparatore (mi sa che se ne vedranno delle belle in futuro). Infine ci sono i drammi degli “anziani”: la barista Big Lou si innamora di un monarchico anti-inglese che sogna il ritorno degli Stuart sul trono di Scozia; il cane di Angus viene arrestato per presunti morsi, lasciandoci intravedere anche piccoli aspetti della giustizia scozzese (con dei risvolti che ne fanno il paio con la nostra italica), ma che, sotto la testimonianza di Bertie, viene rilasciato; Domenica torna dall’Asia, pubblica un articolo sulla sua ricerca, ma soprattutto è coinvolta nello strano comportamento della sua vicina e (forse ex) amica Antonia. Che lascia l’appartamento di Domenica e compra il vecchio appartamento di Bruce, che ha una storia di sesso con il muratore polacco che sa dire una sola parola in inglese (“Brick!”, d’altra parte è muratore…), che lascia morire le piante di Domenica, che sottrae forse inconsapevolmente forse no tazzine di tè alla stessa. Insomma, un difficile rapporto d’amicizia che si va deteriorando. Ecco, tutto questo è il coro greco che si avanza da Scotland Street, attraversa Drummond Place, si disseta al Cumberland Bar, e poi si riversa per le strade della pacifica città. Ma si diceva questi sono tutti elementi o episodi che servono a far dire al nostro qualcosa sui comportamenti umani. Ci sarebbero diversi spunti da approfondire. A me piace rimarcarne due: il leggere, la bibliomania, con annessi e connessi (credo che se incontrassi McCall gli citerei volentieri la battuta di Troisi: voi siete tanti a scrivere ed io sono solo a leggere). Ma soprattutto la condivisione delle esperienze. Nello strano rapporto tra il polacco e la scozzese, Domenica si interroga su come si possa avere un rapporto con qualcuno che non parla la tua lingua. Ed io le risponderei, appunto, che guardare insieme un tramonto, e poi guardarsi negli occhi, se c’è quella luce che ci si può trovare, vale più di mille discorsi fatti in una lingua comune. Insomma, a me i suoi scritti piacciono, con quell’alternarsi di serietà ed humour, e penso che ne continuerò a leggere. Impagabile, ad esempio (e qui chiudo) la prima frase che riporto sulla descrizione di un quadro tutto verde, dove lo si chiama come un ambientalista (un verde) invidioso (verde di rabbia) seduto sull’erba (verde) che legge un famoso romanzo di Graham … Greene!!
“[What would you call] a completely green canvas? – “An Envious Conservationist sitting on the Grass”, he said. And then he added: ‘Reading Our Man in Havana’.” [Come intitoleresti un quadro completamente verde? Un ambientalista invidioso seduto sull’erba, rispose. E poi aggiunse: mentre legge ‘Il nostro agente a L’Avana’.]  (45)
“Somewhere there might be those who read each and every book they acquired.” [Da qualche parte ci sarà pure qualcuno che ha letto ogni libro che ha comperato.] (164)
“Domenica herself had tried to read Vikram Seth’s ‘A Suitable Boy’ four times, but on each occasion had got only as far as page eighty… Such a fat book, so many pages, and marriages, and family relationship.” [La stessa Domenica ha provato a leggere il libro di Vikram Seth ‘Un ragazzo giusto’. Quattro volte, ma ogni volta si era fermata a pagina ottanta … Un libro così spesso … così tante pagine, e matrimoni, e rapporti familiari.] (166)
“Proust … was a chronic hypochondriac … [that produces] sentences of remarkable length, the longest one being the sentence which, if printed out in standard-size type, would wind round a wine bottle seventeen and half times, or so we are told by Alan de Botton in his ‘How Proust can change your life’, a book which has surely been read by most of those who have bought it, so light and amusing it is.” [Proust … era un ipocondriaco cronico … [che ha scritto] frasi di notevole lunghezza, la più lunga delle quali, stampata in corpo standard, avrebbe fatto diciassette volte e mezzo il giro di una bottiglia di vino, o così ha scritto Alan de Botton nel suo ‘Come Proust può cambiarti la vita’, un libro che sicuramente è stato letto da quasi tutti coloro che lo hanno comperato, per com’è leggero e divertente.] (166)
“You never really knew your friends until you had lived in close proximity with them for some time.” [Non conoscerai mai veramente i tuoi amici, finché non hai vissuto insieme a loro per qualche tempo.] (169)
“If one could not say anything to the other, and he could not say nothing to you, what remained?” [Se non puoi dire nulla all’altro, e lui non può dirti nulla, cosa resta?] (174)
Elif Shafak “The Flea Palace” Penguin euro 11
[A: 02/06/2014– I: 30/06/2014 – T: 11/07/2014] - & e ½ 
[tit. or.: Bit Palas; ling. or.: turco; pagine: 444; anno 2002]
Sono rimasto molto deluso, dal libro, dall’autrice ed anche dalla traduzione (avevo, infatti, pensato che traduzione per traduzione, visto che non conosco il turco, potevo leggerlo in inglese, ma il traduttore non mi ha convinto fino in fondo). Ho comprato il volume il giorno della partenza da Istanbul per tornare in Italia, dopo un viaggio bello ed intenso. E volevo qualcosa che, come accade dopo ogni viaggio, mi facesse restare un po’ sui luoghi appena trascorsi. Quindi, niente sembrava meglio di una storia ambientata in un Palazzo di Istanbul. Inoltre, la scrittrice, pur dopo la non eccellentissima prova del “Latte Nero”, rimaneva sempre nella mia testa per “La Bastarda d’Istanbul”, sicuramente la sua prova migliore. Ora, se ci si impiegano quasi due settimane per un libro c’è qualcosa che non va. Ed in questo, non va la lentezza, non della lettura ma della scrittura. È un libro che piace per le prime 50 pagine, poi vegeta per almeno altre 370, ed infine precipita nelle ultime 20-30, dove cerca di dare significati, ma si perde. Anche se potrebbe averne, di significati. È vero che l’autrice è stata perseguitata dopo “La Bastarda” per alcuni giudizi (condivisibili ed impietosi) sull’atteggiamento turco verso lo sterminio armeno. Ma questo viene prima, ed anche qui non risparmia certo critiche trasversali (e qualche volta criptiche) al suolo patrio. Con un gioco ad incastri, la narratrice scopriamo essere una manifestante arrestata durante uno sciopero nel maggio del 2002. Per vincere la paura di pulci ed altri animaletti, scrive un racconto infestato da questi esserini. È la prima parte, che narra la nascita del “Bonbon Palas” quello che diventerà il muto protagonista della seconda, quella più frizzante, con salti temporali, la comparsa del disinfestatore Ingiustizia, della coppia di esuli russi, prima squattrinati, poi ricchissimi e padroni del palazzo, nonché la storia dei due cimiteri (armeno e mussulmano) e della loro scomparsa, ma non di quella di un fantomatico santone. Dopo tutto questo fuoco d’artificio, tutto il resto del libro si concentra sui dieci appartamenti del palazzo, narrandoci le storie dei loro abitanti, che si intrecciano tra loro e con la puzza che pian pianino sommerge il palazzo. Fino alla catarsi descritta nelle ultime pagine, che vi lascio leggere, se ne avrete la voglia ed il coraggio. Da un punto di vista testuale, l’idea non era poi malvagia, quasi a riprendere il bellissimo “La vita istruzioni per l’uso” di Perec (ma che aveva tutto un diverso stile dietro). E se come altri critici hanno detto, avesse usato i dieci appartamenti per raccontarci dieci storie, forse avrebbe avuto un diverso effetto. Invece questo saltare senza costrutto da una all’altra, agendo da scrittore onnisciente che sa dove vuole arrivare e dove vuole portare il lettore, cercando di mandare messaggi ad ogni giro di pagina, beh, mi ha lasciato freddo, e devo dire un pochino annoiato. Ripeto, l’dea degli appartamenti è quanto meno divertente, e quindi vediamo. Al numero 1, c’è una famiglia turco-islamica, dove i tre hanno nomi cari all’iconografia religiosa (Mosè, Myriam e Muhammet), con la donna che fa la pulizia a tutti gli appartamenti del palazzo, il marito che non fa nulla, ed il ragazzo di sei anni ha la crisi di crescita di chi, dopo aver vissuto in famiglia, deve affrontare il pauroso mondo della scuola. Al numero 2, c’è lo strafatto studente Sidar con il suo cagnone Gaba (acronimo dell’acido gamma-aminobutirrico, un regolatore delle inibizioni emozionali) con la sua paranoia di vivere da solo, e con l’unico punto a favore che incontrerà in uno sperduto cimitero il fratello del numero 10, ma non lo saprà mai. Al numero 3, ci sono Cemal e Celal, i gemelli parrucchieri gay, che usano la casa come bottega, e che serve alla scrittrice come momento di raccordo tra i vari piani e le varie avventure, che dal parrucchiere si chiacchiera. Al numero 4 la famiglia FigliDelFuoco, inutile presenza di cui si nota solo che tutta la famiglia ha il nome che inizia con Zeta. Al numero 5 la famiglia del nonno Hadji Hadji e dei suoi nipoti, cui il vecchio continua a narrare storie al solo scopo di mettere paura ai bambini. Al numero 6 Metin con SuaMoglieNadia, profuga ucraina la cui unica attività è vedere le soap opera in TV. Al numero 7 il finto narratore della storia, di cui ci viene narrata la storia, il divorzio, le sue lezioni all’università, il suo permanente stato alcolico, che inventa la presenza di un santo per tenere lontano i depositi di mondezza (senza sapere che poi la storia è vera) nonché la relazione con il numero 8. Al numero 8 l’Amante Blu, mantenuta da un mercante di olio d’oliva che muore di un attacco di cuore, e quando lei si rifugerà nell’amore del numero 7 scopriremo anche la storia delle sue cicatrici. Al numero 9 Igiene Tijen e la figlia Su, la prima nominata Igiene per la sua mania di pulizia, la seconda infestata di pidocchi (e poi ne capiremo meglio il senso), unica che riesce a far breccia nella solitudine del numero 10. Al numero 10 Madame Zietta, l’unica che ha conosciuto i proprietari, e che… Ma questo lo scoprirete nelle pagine finali. Inciso, ho messo i nomi degli abitanti così come vengono tradotti nell’edizione italiana, da me consultata per scrivere questa trama. Dicevo, se la scrittrice si fosse concentrata su queste storie sarebbe forse arrivato un libro decente. Così è, come detto, lento, slegato, dove con difficoltà si passava da un appartamento all’altro. Un’ultima cosa sul titolo, che in turco sta per Palazzo dei Pidocchi e non delle Pulci. E questo è un punto fondamentale per capire i messaggi della scrittrice. Perché, pur essendo simili, i due animaletti hanno una differenza fondamentale: i pidocchi sono specie specifici, cioè non passano da una specie all’altra, cioè ancora i pidocchi del cane restano sul cane ed i pidocchi dell’uomo colpiscono solo l’uomo. Le pulci invece al contrario, si attaccano dove capita. E per capire la filosofia del libro, questa differenza è basilare. Alla fine, certo, Elif Shafak scrive bene, ha delle intuizioni, si vede (e lo dimostrerà) che è capace anche di meglio. Ma, riprendendo il commento fatto sul web da Tina96 e parafrasando ancora De Gregori, non è da un solo libro che si giudica uno scrittore.
“I demand from her far less than what she is willing to give. In return, I receive far more than what I had demanded initially.” [Io le chiedo molto meno di quello che lei è disposta a dare. In cambio, ricevo molto più di quello che avevo chiesto all’inizio.] (373)
Mentre con un poco di fatica si accumulano proseliti per il possibile viaggio asiatico di inizio dicembre, colgo l’occasione di questa puntata ottobrina per fare gli auguri a… mia madre. Che oggi tocca la buona soglia dei 90 anni. Sperando che la festa che le stiamo preparando riesca come noi si speri nell’averla preparata.

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