domenica 16 novembre 2014

Italia anomala - 16 novembre 2014

Un quartetto italiano con tre scrittori diversi ma vitali, in una settimana in cui, altra anomalia, v’inserisco anche i libri del mese di settembre (poiché questo dicembre non ci sarò, come sanno i miei amici viaggiatori). Così ci anticipiamo un po’. E intanto andiamo a leggere qualcosa di interessante. Il solito Vitali con due prove della saga di Bellano di buon livello (interessante soprattutto la seconda, in quanto primo libro pubblicato dal nostro dottore). Così come interessanti sono l’isolata prova di Mazzucco (migliore anche degli orridi lanci pubblicitari ricevuti) e la pièce quasi teatrale del sempre leggibile Carlotto.
Andrea Vitali “La leggenda del morto contento” Garzanti euro 10,90 (in realtà, scontato a 8,18 euro)
[A: 18/06/2013– I: 25/06/2014 – T: 27/06/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 238; anno 2011]
Siamo fortunatamente dalle parti del Vitali di buona resa, anche se non il migliore. Non siamo nelle vicende recenti, ma, purtroppo, neanche in quelle migliori dell’epoca littoria. Quelle che rendono meglio l’ironia e la fantasia di Vitali. Qui facciamo un ulteriore salto all’indietro. E ci collochiamo nel 1843. Quando Bellano fa parte di un Regno Lombardo - Veneto, indipendentemente dipendente (e vai con l’ossimoro) dalla corona austriaca. L’unico accenno al periodo migliore della sua scrittura, Vitali lo fa collocando l’inizio dell’azione il 25 luglio. E ben sappiamo cosa accadrà esattamente 100 anni dopo. Ma qui siamo sulle rive del lago, siamo nell’ambiente pauperato dei lavoratori di ogni giorno. Il sarto, lo stalliere, il barcaiolo, il trattore (nel senso di gestore della trattoria) ed altri che ho dovuto cercare per capirne il significato desueto (come il magnano, che sta per stagnino e lavoratore di aggeggi saldati). Dall’altro abbiamo i benestanti, per non dire ricchi signori (la famiglia Gorgia, i Testaplana, gli Spanzen), e la coorte del potere: il delegato di polizia, il podestà (che prefigura le figure littorie), il pretore. La storia, esile come tutte quelle di Vitali, non è altro che un susseguirsi di bozzetti di vita, e la descrizione dell’atteggiamento che popolo alto e basso ne ha di fronte. Neredonte (la magnana) reclama un paio di braghe dal sarto Lepido che non le trova. Sua moglie Diomira per ripicca gli nega il pranzo, e Lepido, passeggiando sul lungolago, vede i due giovani Gorgia e Spanzen uscire in barca. Sono due scapestrati, e Lepido si accorge che si avvicina burrasca. Tenta di fermarli, niente, tenta di avvertire Baldi il barcaiolo, ma questi sta pranzando e non gli da ascolto. Ovviamente i due muoiono affogati. Ed il potere, si trova in difficoltà. Primo che si trova solo un corpo, e solo Lepido sostiene che sono usciti in due. Secondo, si vanno montando ripicche e risentimenti, che nulla hanno a che fare con la morte dei giovani e molto con gli odi che sempre sottendono alla vita di un paesotto. Messo in mezzo, il pretore Scaraffia, sostenuto dalla moglie Arcana, cerca di fare un pubblico processo per stabilire cause dell’accaduto. Le sue mire sono tuttavia sconvolte prima da Gorgia senior che, distrutto dal dolore, decide di togliersi la vita. Mai non sia che i potenti non riposino in terra sconsacrata. Quindi pretore ed accoliti nascondono il fatto. E non si può far altro che spostare viepiù la luce sugli affogati. Risalendo di testimonianza in testimonianza, si arriva di nuovo al sarto Lepido. Uno bravo nel cucire, ma inutile al resto. Inutile anche ad usare le parole (ne pronuncerà un paio in tutto il libro). Il pretore capisce di avere un capro espiatorio, e lo condanna “per omessa denuncia” a sei mesi di carcere. Poiché coinvolte sono le famiglie potenti, non volendo che si parli ancora dei morti, gli viene dato carcere in isolamento in quel di Como. E lì, Lepido ha i momenti migliori della sua vita, senza Diomira che lo assilla, o questo o quel cliente che lo tormentano. Ripercorre tutta la vicenda, fino alla scena madre delle braghe. E scoperto che non fu colpa sua la loro scomparsa, si lascia morire di inedia, dando il suo cibo ai gatti. Lo porteranno morto in quel di Bellano, ma con un sorriso di tranquillità sul viso. Lui sarà quel morto del titolo, anche se non si capisce cosa intenda l’autore con la premessa di “leggenda”. La maestria di Vitali è che questa scarna storia è farcita da tanti piccoli ruscelli, che alimentano il grande fiume narrativo. La storia della famiglia Gorgia, i turbamenti del giovane Spanzen, le speranze del pretore di essere trasferito, la gonagra del podestà (come ricorda Emilio, gonagra essendo una gotta localizzata nel ginocchio) ed i suoi tentativi di mangiare comunque i pesci grassi del lago, i pranzi alla trattoria del Crachen, le comari ed i loro “gossip” ante-litteram. Insomma, il solito mondo variopinto di Bellano (e niente dintorni, che qui, essendo nell’Ottocento, ci si muove poco). Quindi, a parte la filologia del titolo, di cui aspetto lumi da intenditori letterari, direi una solida ed onesta prova, di un romanziere che cerca di rinnovare i suoi elementi narrativi, pur rimanendo legato a ciò che lo ha reso celebre nel mondo dei lettori. Il solito plauso va in ogni caso alla ricerca dei nomi di battesimo. Tutti bellissimi.
Roberto Mazzucco “I sicari di Trastevere” Sellerio euro 13 (in realtà, scontato a 11,05 euro)
[A: 18/06/2013– I: 28/06/2014 – T: 30/06/2014] - &&&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 277; anno 1989]
Leggendo i lanci pubblicitari dello scorso anno, che parlavano di una riscoperta di un “romanzo criminale” scritto ben venticinque anni fa, ed ambientato nella fine dell’Ottocento, avevo collocato il libro tra la mega categoria di “Gialli e affini”, lasciandolo sedimentare insieme alla gran massa di quella tipologia di libri. Ora che l’ho finalmente letto, posso smentire categoricamente: è un bello e solido romanzo, che incappa in un morto, in un’inchiesta ed un processo, ma di altro si parla. In realtà, infatti, si parla del crollo della Destra Storica, con il passaggio di potere alla Sinistra, e, contemporaneamente, al primo e definitivo sacco di Roma dopo la breccia di Porta Pia ed il passaggio della mia città a capitale dell’Italia unificata. Mazzucco si è sempre occupato di teatro, e conseguentemente di sceneggiature. E dopo aver partecipato alla stesura dello sceneggiato RAI del 1975 intitolato “Processo per l’uccisione di Raffaele Sonzogno”, con Ferruccio Amendola nella parte del trasteverino, decide di approfondire il tema, arrivando alla stesura di questo romanzo poco prima della sua morte. Peccato, che la scrittura è salda, coinvolgente, e documentata. L’autore si cala nella parte di un giovane redattore del giornale “La Capitale”, Filandro Colacito, e da quel pulpito ci narra la vicenda. Ed ovviamente gli annessi e connessi, che non sembrarono venire in luce a prima vista. Il punto centrale (o iniziale) è appunto l’omicidio di Raffaele Sonzogno, della dinastia dei Sonzogno, quelli della casa editrice. Sonzogno, garibaldino e di sinistra, con vocazione polemica, cala a Roma insieme ai bersaglieri di La Marmora, e dal settembre 1871 inizia a scrivere il suo foglio polemico. È sposato con la giovane Emilia, ed ha come stretto collaboratore un giovane romano, Giuseppe Luciani. Tipo ambiguo, fratello di pregiudicati, che sembra condividere le idee di Sonzogno. Ma forse, l’unica cosa che cerca è “un posto al sole”. Pur non avendo l’età si presenta alle elezioni del 1874, risultando in testa nella circoscrizione di Trastevere. Non potendo essere eletto, si rifugia allora verso le elezioni comunali. La Sinistra, che lo appoggiava prima, sotto la spinta di Sonzogno che sospetta brogli, ritira il suo appoggio alla sua candidatura, così che con due candidati di sinistra, ha buon gioco la destra. Sonzogno, tra l’altro, non tira fuori l’asso dalla manica: Luciani, mentre lui si spingeva verso le lotte politiche, aveva fatto in tempo a circuire la bella Emilia e metterla in cinta. Emilia fugge da Raffaele, ma Luciani, sentendo venir meno gli appoggi politici, corre a Torino dove ancora c’è molto potere, oltre ad esserci il Re. Quello di cui Sonzogno ha le prove è che il voltafaccia di Luciani avviene sotto la spinta (monetaria) dei potentati clericali romani, con capofila la Banca Romana (quella che di lì a vent'anni sarà al centro del grande scandalo). Questo perché si stava giocando la partita edilizia della costruzione della “nuova” Roma, quella che doveva accogliere burocratici ed impiegati pubblici, e le loro famiglie. La Sinistra spingeva per un’urbanizzazione verso Est, mentre il clero e la Destra proponevano Ovest. Ed in particolare la zona Prati (ah, come non sentirsi coinvolto!!!). Questo attraverso la presentazione di un controverso Piano Regolatore, in cui c’era modo di inserire anche la richiesta del Generale Garibaldi di bonificare l’Agro Pontino e di deviare il corso del Tevere a valle del Ponte Mollo. Colacito sa che Sonzogno ha le prove di tutto ciò, e sa che ha appena convinto Garibaldi a tirarsene fuori. Ma il potere è forte. De Luca, della Banca Romana, convince Luciani che deve far qualcosa. E Luciani, usando una tattica che ritroveremo negli anni del terrorismo in Italia, convince dei disadattati di Trastevere, poveri e garibaldini, che Sonzogno sta tramando contro il Generale. E con una catena di soldi e depistaggi vari, si arriva al povero Frezza, che uccide Sonzogno. Ovviamente, la polizia è connivente, ed una volta arrestati “i sicari di Trastevere”, starebbe ben ferma, se non ci fosse il delegato Galeazzi, che, instradato da Colacito, porta tutto almeno a livello Luciani. Colacito vorrebbe andare più su, ma durante il processo (che si tiene all’Oratorio dei Filippini alla Chiesa Nuova), non riesce a far alzare il tiro. Così Luciani e i sicari sono condannati all’ergastolo (e moriranno in carcere a Ventotene). Anche tutta la catena del potere fino a De Luca viene più o meno messa in ombra o “pensionata”. Rimarrà, unico e vittorioso, il potere dei costruttori che avranno mano libera per consegnarci il quartiere Prati così come lo vediamo ora. Due sono le cose che mi sono piaciute maggiormente dello scritto. Quell’entrare ed uscire di personaggi storici, da Garibaldi al figlio Menotti, da Felice Cavallotti ai Rattazzi, e chi più ne ha più ne metta. E la descrizione di alcune parti di Roma, così come quella sotto riportata. Devo inoltre sottolineare, ma non credo che ce ne sia bisogno, come Sonzogno aveva, nelle sue prove scomparse, fatto vedere che anche la Sinistra, che di lì a pochi mesi sarebbe andata al potere, aveva le mani in pasta nello scempio di Roma. Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo. C’è qualche vicenda amorosa, qua e là, ma neanche tanto importante. C’è un dubbio sulla fine di Luciani (che Wikipedia dice essere fuggito con Emilia, ma credo che questa volta sbagli la rete, incredibile!). Dispiace, infine, che Mazzucco non ci abbia potuto dare altri scritti.
“Dopo il XX Settembre si verificò un impetuoso afflusso di nuovi cittadini a Roma: nacque rapido il bisogno di altre case, specie per gli impiegati pubblici, cioè per un ceto di limitate disponibilità economiche. La città non era preparata alla prima ondata immigratoria mentre capitali, chiarezza d'idee ed esperienze erano tutti dalla parte degli speculatori vaticani che già da un quinquennio avevano avviato una serie di costruzioni intensive. Capintesta, Francesco Saverio de Mérode, un ex ufficiale belga passato dalle armi al sacerdozio e dal sacerdozio agli affari. A lui si deve la via Nazionale sorta sulle rovine di splendide ville e di ampi giardini. Intorno a lui, una folla di piccoli imprenditori per lo più abruzzesi (tra cui un d'Amico, padre del futuro grande critico drammatico Silvio), legati a filo doppio con i clericali. Via Nazionale portò abitazioni intorno al Quirinale, residenza del papa, fino ad allora lambita dalle campagne. Ed erano campagne coltivate a vite, fianco a fianco dell'antichissimo e maleodorante quartiere della Suburra. Lassù in cima, la stazione Termini - inaugurata poco prima della Breccia - era isolata in mezzo ai prati. A sua volta, il Campidoglio era un'estrema propaggine della superba città imperiale umiliata dalla storia. Tra il Colosseo e S. Giovanni c'erano ancora gruppi di edifici, ma da lì fino ai Castelli non si vedevano che acquedotti romani e pecore in transumanza.
A nord la città finiva a piazza del Popolo. Al di qua, il medievale Borgo, al di là del fiume, Trastevere che moriva a Porta Portese e a Ripa.
Roma era ancora la Roma di trecento anni prima, la città che alcuni papi illuminati come Sisto V avevano tentato di organizzare intorno a nuclei di sviluppo attrezzati. Roma non aveva conosciuto innovazioni edilizie, accerchiata com'era dalle greggi, dalla malaria, dai banditi e dai risultati di una politica fatta di paura e di repressioni.
La ricongiunzione alla madrepatria, affidandole un ruolo per il quale era impreparata, aveva si sprigionato energie sepolte ma anche tolto ogni freno a predatori e sfruttatori.” (183)
Massimo Carlotto “Il mondo non mi deve nulla” E/O euro 9,50 (in realtà, scontato a 8,08 euro)
[A: 02/04/2014– I: 12/07/2014 – T: 13/07/2014] - &&&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 100; anno 2014]
Libro veloce, di lettura e di fruizione, per un autore che in genere scrive cose più corpose. Un autore su cui non torno sopra tanto ne ho parlato, tanto ho voluto e voglio bene al suo personaggio migliore, l’Alligatore per chi non lo sapesse. Ed alle sue storie di fuga in Sudamerica. Ma questo è un libro diverso, anche perché, personalmente, lo inserisco nella categoria “romanzi” tout court, senza inserire quelle punte di “noir” che sempre accompagnano il nostro amico padovano. Certo, anche qui ci potrebbe essere, forse c’è, ma la trovo non significativa, forse uno degli accidenti della vita così come viene. Inoltre ha un andamento molto “teatrale”, svolgendosi la maggior parte della vicenda in una stanza, ed essendo presenti in tutto, tre personaggi. Adelmo, lavoratore licenziato da un’azienda in crisi, che, per sbarcare il lunario, si adatta a fare il ladro, in genere in appartamenti vuoti in quella città di turisti e stranieri che è Rimini (e che Massimo ricorda con i versi di una canzone di Arbore, anche se forse io avrei citato De Gregori). Carlina, la moglie, ossessionata (e giustamente) dalla mancanza di denaro, che invecchia e non lo accetta (anche se credo siano entrambi tra i quaranta e i cinquanta), che rifiuta spesso di far l’amore con Adelmo, proprio che si sente brutta. E poi c’è Lise, la tedesca, sessantenne ancora nel pieno del suo splendore, una vita passata sulle navi a fare da croupier, ed ora ritiratasi, in base a contorti ricordi di amori passati, in quel di Rimini, dove avrebbe voluto scorrere tranquillamente il resto della sua vita. In uno dei suoi pur maldestri furti, Adelmo entra nella casa di Lise, e qui nasce il nodo del racconto, l’idea narrativa di Carlotto. Perché Lise aspettava che entrasse un ladro per fargli una proposta: investimenti sbagliati l’hanno ridotta quasi a zero. Per una come lei, avere “solo” centomila euro per vivere tutta la vita è come non avere nulla. Con l’arroganza tipica di persona intelligente e tedesca, propone ad Anselmo di dargli tutto, in cambio di una morte onorevole. Questo il dilemma morale che percorre tutto il racconto. Dobbiamo seguire le parole di Lise per capire le sue motivazioni, capire non personalmente accettare. E nel farlo, le sue parole ci fanno intravedere la vita che ha vissuto, le navi, il lusso, gli amori sballati, le decisioni forti. Intelligente e colta ha presto gioco della fantasia di Adelmo, che pur sempre è solo spontaneo, ma, come ce lo dipinge Carlotto, incolto. E come dice Lise con una punta di sarcasmo, Adelmo non è un uomo da profumi e vestiti, ma solo da cioccolatini. Eppure qualcosa aleggia tra i due. La delusione della vita che profondamente segna Lise la porta a concedersi e con trasporto al più giovane Adelmo. E lui, pur comprendendo le parole che continua, furto dopo furto, a sussurrargli Lise, chiedendo di essere onorevolmente strangolata, lui innocentemente se ne innamora. Cerca nel suo modo basico e balneare di far breccia nella granitica idea di Lise. Con regali, con notti d’amore appassionate. Ma sono su due pianeti diversi. E la lotta titanica tra i due non potrà avere che conclusioni ferali. Che Carlina lo chiama al telefono ogni volta che ruba da Lise. Che Lise non accetta ancor di più di vederselo tra i piedi la mattina, dopo un’ultima intensa notte d’amore. Carlotto ci porta con consequenzialità all’unica fine possibile. Alla morte di Lise. Alla rottura tra Adelmo e Carlina. E ad un finale di speranza per Adelmo che, pieno dell’amore a senso unico che ha accumulato in così pochi giorni, parte per Berlino, dove vivrà facendo il cameriere, ed altri “piccoli” mestieri. Finalmente forse sereno verso il mondo che l’aveva esautorato del futuro (“volevo un lavoro semplice, che mi accompagnasse fino alla pensione, e poi passeggiate in riva al mare e partite di briscola al bar, fino a lasciare questa vita senza rimpianti”). L’incontro con Lise, la consapevolezza dell’esistenza palpabile della morte, lo porta ad assaporare la vita, e quello che offre anche di minuto. Sorridendo. Un bel racconto, basato su di un assurdo mentale (il baratto tra denaro e vita), posto in termini che ce lo fanno accettare. Che ce ne fanno immaginare una sorta di eutanasia, non per i mali del corpo, ma per quelli dello spirito. Mi rende perplesso, ma è stato piacevole leggerne.
“La menzogna è l’unico, vero strumento di sopravvivenza a disposizione dell’essere umano.” (25)
“Di quello che ti succede di bello nella vita hai bisogno di parlarne perché il deserto che separa il tuo cuore dalla mente non ha confini e la parola ti aiuta a conservare … qualche indizio di realtà.” (86)
“La vita … che avevo prima me la sono lasciata alle spalle il giorno che ho capito che un uomo nasce e poi muore, ma nel mezzo può avere tutte le vite che vuole.” (97)
Andrea Vitali “Il procuratore” Garzanti euro 9,90 (in realtà, scontato a 7,43 euro)
[A: 05/06/2014– I: 25/10/2014 – T: 27/10/2014] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 144; anno 1990]
Seppur pubblicato in questa veste da Garzanti solo nel 2006, questo testo è in realtà il primo scritto di Vitali, da lui redatto a partire dal 1988, all’età di 32 anni, e pubblicato presso un editore locale appunto nel 1990. Quest’edizione si completa anche con un ricordo dello stesso Vitali sulla sua voglia (atavica) di scrivere, sull’ostilità familiare, e sulla sua “liberazione” che appunto inizia in quel fatidico anno. Non ci dice, ma noi lo sappiamo, che nel frattempo è diventato medico di base a Bellano, e sempre, nelle pause professionali, ha iniziato ad appuntarsi su foglietti volanti le storie che sentiva raccontare in giro. E che poi elaborava per farne questa saga “del lago di Como” così come la conosciamo. Qui, seppure in forma embrionale, ci sono i punti salienti della sua scrittura, quella che ci fa piacere leggere nelle sere distensive. L’ambientazione nel ventennio fascista (che rimane uno dei suoi topos migliori), le piccole vicende, l’estremizzazione di comportamenti quotidiani. Non è ancora giunta a maturazione la stringatezza della pagina (qui ci sono addirittura capitoli lunghi 4 pagine) né il piacere del nome desueto e campagnolo (anche se ne sforna alcuni, come Deilde, Zita e il poco usato ma simpatico Andreina). La storia è una tipica romanza “alla Vitali”. In una giornata al solito nebbiosa sbarca in quel di Bellano, nel corso del 1938, un personaggio cinquantino elegante. È Marco Perini, giovane del luogo, ma presto allontanatosi (e scopriremo anche perché), ora tornato per riscuotere l’eredità familiare. Figlio di commercianti, esuberante (diciamolo con eufemismo) non segue le orme paterne, ma si mette sulle orme … di tutte le donzelle che riesce a trovare. Creando non pochi imbarazzi, ma ben presto volando verso altri lidi dove, tra una conquista e l’altra, si avvia a quella che sarà la sua professione: il procuratore. Non tuttavia nel senso legale del termine, ma nel senso di procuratore di donne per i casini (all’epoca si sa prosperosi). Professione di certo poco onorevole per la benpensante Bellano. Il racconto si snoda quindi su due filoni: da una parte ripercorriamo la storia del Perini, le avventure giovanili, il trasferirsi a Milano come mantenuto della prostituta chiamata Zita, le piccole ruberie, e poi le altrettanto piccole fughe quando si scoprono i suoi magheggi. Quindi una volta a Forlì, poi in campagne romagnole e lombarde, fino a diventare croupier in Svizzera. Dall’altra il suo aggirarsi per Bellano, traccheggiando con il notaio alla ricerca delle sue proprietà, rovinando un banchiere a cui chiede in contanti i soldi dei genitori, e duellando di sguardi e di grappini con il giovane Romano, entrambi avendo gli occhi verso la bella Deilde. Che guada caso, invece, è concupita con maggior successo dal giovane notaio. Come in un ballo austriaco, anche se con meno vivacità di successivi romanzi, personaggi entrano ed escono di scena, soprattutto il locale tutore dell’ordine ed il prevosto, figure al tempo importanti e sempre presenti nelle saghe di Vitali. Perini scopre anche che un lascito dei genitori è appannaggio di tal Maria, presentatasi una ventina d’anni prima con figlia in braccio. Figlia di Marco, ovviamente. Non ci sarà soverchia sorpresa nello scoprire che Maria non è altri che la Zita. E che la figlia è ora la bellissima Deilde. Questo disvelamento porta pensieri a Marco, che decide di far beneficiare la figlia ed altri giovani sodali dei suoi attuali averi. E poi sparire. Come sparirà Romano, una volta che Deilde convolerà nelle braccia del notaio. Con un ultimo sussulto di moralismo, quasi verso un lieto fine non sempre presente nelle altre sue opere, sapremmo al fine che lo scomparso Perini in realtà è di nuovo in Svizzera. Non più procuratore, ma, visto che ormai si è in guerra, traghettatore di ebrei ed antifascisti di là del confine. Ripeto le sottolineature iniziali: un romanzo di formazione del mondo di Bellano, pieno di spunti ancora acerbi che andranno maturando. Tuttavia una discreta lettura, veloce e piacevole, forse non ancora permeata dal futuro umorismo dell’autore (o forse più che umorismo, ironia). Certo un romanzo vitale (mi si permetta il gioco di parole) che rispetta le minuziose ricostruzioni storiche che mi hanno scatenato il piacere della lettura di Vitali, quello che fa muovere le sue pedine nel Ventennio. Perché quando se ne allontana, non sempre (almeno nelle prove lette finora) mi ha convinto.
Come detto, anticipiamo i titoli letti in settembre, dove a fronte di un'unica prova veramente deludente (il giallo di Sarasso), abbiamo ben 6 letture decisamente sopra la media. E se non mi sarei meravigliato se mi avessero anticipato la bellezza di lettura di Pintor, di Bassani o della Walker, non mi sarei aspettato una così degna riuscita dal non sempre riuscito de Botton, o da Peter Cameron, mentre mi aspetto sempre sorprese positive dal messicaneggante anarchico Cacucci.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Alfredo Colitto
La porta del Paradiso
Piemme
9,90
3
2
Carlo Lucarelli
L’ispettore Coliandro
Corriere della Sera
6,90
3
3
Alain de Botton
Esercizi d’amore
Guanda
11
4
4
Luigi Pintor
Servabo
Bollati Boringhieri
s.p.
4
5
Simone Sarasso
Il paese che amo
Corriere della Sera
6,90
1
6
Giorgio Bassani
Dietro la porta
Feltrinelli
7
4
7
Peter Cameron
Quella sera dorata
Adelphi
11
4
8
Rosa Mogliasso
L’assassino qualcosa lascia
Sole 24 ore – Noir
6,90
3
9
Simona Baldanzi
Il Mugello è una trapunta di terra
Laterza
12
3
10
Pino Cacucci
Oltretorrente
Feltrinelli
7,50
4
11
Carrie Bebris
Le ombre di Pemberley
Repubblica – Noir
7,90
2
12
Alice Walker
Il colore viola
Sperling
9,50
4
13
Louis L’Amour
Lo svelto e il morto
Meridiano Zero
10
3
14
Mino Milani
Tradimenti
Corriere della Sera
6,90
3
15
Marco Malvaldi
Argento vivo
Sellerio
14
3
16
Michael Chabon
Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay
BUR
12
3
17
Candace Robb
La croce degli innocenti
Repubblica – Noir
7,90
3
18
Michael Connelly
L’uomo di paglia
Piemme
13
3

Come ho detto più e più volte in questa trama, qui si anticipa e si moltiplica che il Vietnam si avvicina. Ed un viaggio in cui saranno presenti ben tre dei miei amici lettori. Un successo di pubblico, per ora. Speriamo che alla fine lo sia anche di critica. Ma andiamo a continuare la preparazione del viaggio

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