Ed ovviamente, english as woman.
Una dei migliori quartetti di trame degli ultimi anni. Guidato dall’unica
americana del gruppo, Nicole Krauss, con la sua storia sull’amore, sulla fuga
dalla Polonia e sul rifugio americano. Seguito dai racconti della canadese
Alice Munro, un Nobel veramente azzeccato, e dalla palestinese Susan Abulhawa,
con una storia che tutti conosciamo ma che vedere sulla pagina produce ancora e
sempre tante ferite. Chiude l’inglese Jeanette Winterson, da cui mi aspettavo
di più, almeno a leggerne in giro ed in libreria.
Nicole Krauss “La storia dell’amore” Guanda euro 12 (in realtà,
scontato a 9,72 euro)
[A: 01/02/2014– I:
03/05/2014 – T: 06/05/2014] - &&&&&
[tit. or.: The History of Love; ling. or.: inglese; pagine: 299; anno 2005]
Una
bella ed inaspettata lettura, frutto delle misteriose alchimie delle mie
ricerche bibliografiche in giro per gli scaffali. Solo a libro chiuso ho
scoperto l’autrice essere moglie di Jonathan Safran Foer (altra coppia
interessante come Siri Hustvedt e Paul Auster) e che il libro uscì contemporaneamente
al libro del marito “Molto forte, incredibilmente vicino”. Ma qui siamo a
tramare la scrittrice ed il suo scritto, quindi usciamo dal contesto ed
entriamo nel testo. Un testo che è di una semplicità quasi lineare a volerlo
raccontare, ma che assume connotati di piacevole lettura e coinvolgimento per
il modo in cui la scrittrice svolge la sua di trama. Passando da vari piani
narrativi, saltando su e giù nel tempo e nello spazio. Riuscendo varie volte a
farci perdere il filo, per poi ridarcelo, tutto intero, in una bella scrittura
finale. Ed oltre ad essere un libro imperniato sul disvelamento di un libro che
ha il suo stesso titolo, è sicuramente un libro sull’amore, e sui suoi modi esplicativi.
Amore è quello di Leo per la sua Alma, per Zvi per la sua Rosa, per Alma verso
suo padre e per Bird verso sua sorella Alma. Ed anche per Isaac verso i suoi
genitori. La capacità e bravura di Nicole Krauss è di portarci per mano,
attraverso tutti questi sentimenti, ogni volta usando la prima persona di un
narratore diverso, senza perdere la concentrazione, sua e nostra. Alla fine,
scopriamo che i narratori sono quattro: Leo, Alma e Bird in prima persona e Zvi
in forma oggettiva e non soggettiva. Ognuno esce fuori per sé stesso, quasi a
scrivere quattro diversi romanzi e poi fonderli in uno. Quello che stiamo
leggendo. Quello dedicato ai nonni della scrittrice, con le loro belle facce in
prima pagina. E da loro comincerebbe la vera storia. O meglio dalle loro
origini, da un paesino della Polonia di prima della Guerra, dove vivono due
amici, il giornalista Zvi ed il possibile scrittore Leo. Questi si innamora di
Alma, e le scrive una lunga dedica d’amore, trasformatasi in un libro onirico e
bellissimo. Ma la guerra incombe e scombina tutto. Alma fugge a New York
ospitata da un cugino. Zvi ruba il manoscritto del libro (per delle gelosie
ininfluenti alla trama) e ripara in Cile. Leo rimane, vede sterminare la sua
famiglia, e solo a guerra finita riesce a varcare l’oceano. Dove trova Alma,
che lo credeva morto, sposata e con due figli, il cui primogenito, Isaac fu
frutto della loro unica notte d’amore. Ma Alma è fedele al marito. E Leo,
rimane in America, rifuggendo di toccare per sempre la penna, e si inventa una
vita altra, da mille mestieri prima, e poi da fabbro. Per usare le mani per
fare altro. Sempre rimanendo fedele alla sua Alma, e seguendola da lontano.
Seguendo da lontano anche Isaac che cresce e diventa uno scrittore di talento.
Leo, di cui ammiriamo la capacità della scrittrice di rendercelo settantenne ed
acciaccato nelle vicende quotidiane, ha un sussulto di esternazione amorosa,
quando scopre, dopo la morte di Alma, che anche Isaac è morto. Esce dal suo
anonimato per il funerale del figlio ignoto (cioè lui è l’unico a saperlo), e
ne escono bellissime pagine di tristezza. In tutto ciò non ci siamo dimenticati
di Zvi che in Cile s’innamora della giovane Rosa, e per lei scrive un libro. O
meglio traduce in spagnolo il libro dell’amico Leo, credendolo morto. Rosa fa
pubblicare il libro, che non avrà molta risonanza. I due, dopo un passaggio in
Israele, si sposano e vanno a vivere anche loro a New York, dove avranno due
figli, Alma e Bird. Ma Zvi ben presto muore, lasciando i due figli piccoli sbalestrati.
Alma è infatuata dal padre, e dalle sue cose (la capacità di sopravvivere
all’aperto, come scoprirà chi avrà voglia di leggere il libro). Ed è in pena
per la madre, la vorrebbe felice. Il giro di giostra si avrà con una lettera
ignota (che scopriremo alla fine essere di Isaac) che chiede a Rosa di tradurre
il libro dallo spagnolo all’inglese. Questo mette in moto Alma che cerca di
comprendere se le persone del libro sono poi reali. E lo sono. Sarà il giovane
Bird, che metterà tutti gli indizi in fila, e ci condurrà alla ricongiunzione
finale. Ed alla comprensione di come tutti gli avvenimenti siano concatenati.
Le morti, gli amori, le attività. Alla fine vien quasi voglia di dire che sia
un libro triste. Con Leo che vive una vita innamorato lontano dal suo amore.
Con Zvi che sentirà sempre la colpa del furto e non saprà espiarla. Con Rosa
che forse conosce la verità o forse no. Con Alma che dovrà ridimensionare la
figura del padre. A me è proprio la giovane Alma che invece da speranza, perché
credo sia positiva, e saprà superare le tragicità con lo spirito della
giovinezza. Una bella storia. E ben raccontata. Perché, appunto come dicevo
all’inizio, questa è la trama lineare. Ma il romanzo è tutt’altro che lineare.
E ci sono momenti in cui si segue altro, soprattutto quando si leggono le
parole di Alma giovane. In conclusione, è un libro che fa piacere leggere e
farà piacere parlarne con chi lo leggerà.
“Forse significa questo, essere padre.
Insegnare a tuo figlio a vivere senza di te.” (200)
“La cosa che mi ha sorpreso della vita è la
capacità di cambiarti.” (282)
Susan Abulhawa “Ogni mattina a Jenin” Feltrinelli euro 9,50
[A: 19/06/2013– I: 12/07/2014 – T: 15/07/2014] - &&&&
[tit. or.: Mornings in Jenin; ling. or.: inglese; pagine: 390; anno 2010]
Non
è un libro di bella scrittura, a volte si perde un po’, a volte sembra troppo
didascalico. Ma è un libro scritto con il cuore e che al cuore colpisce. Fin
dall’inizio, tra l’altro, mi risuonava come un eco di sottofondo il bellissimo
“Ritorno ad Haifa” di Ghassan Kanafani, uno dei più bei libri sulla Palestina
che abbia mai letto. E nelle note finali, è la stessa Susan che confessa di
aver avuto l’idea di scrivere questo libro proprio dopo aver letto il libro di
Kanafani. Ho detto colpisce al cuore, perché, e devo dire non è facile
ammetterlo, ci sono punti che forse non per la scrittura in sé, ma per quello
che evoca, mi ha fatto venire un groppo in gola, come non succedeva veramente
da anni ed anni. Ed è anche, contrariamente a quanto edulcorano le note di quarta,
un libro partigiano, nel senso etimologico. Cioè un libro di parte, che sta
dalla parte dei palestinesi, e ne racconta la incredibile odissea dal 1941 al
2002. Sessanta anni di una storia che, anche ora, non finisce, non finirà, non
vedo come possa finire. Certo, ha un occhio di compassione anche verso qualche
ebreo. Perché non è giusto fare di tutta l’erba un fascio. Qui sono tutti
buoni, lì sono tutti cattivi. Forse non fa ammenda che qui, cioè dalla sua
parte, non sono tutti buoni, forse ci sono motivazioni ed anche
giustificazioni. Ma non sono tutti buoni. Tuttavia, volendo colpire per far
riflettere, sceglie di “semplificare”, di non essere prudentemente
equidistante. Ed ecco allora che seguiamo la complessa vicenda della famiglia
Abulheja, cominciando a conoscerla nella sua terra natale di ‘Ain Hod, e
seguendo le prime gesta del patriarca, Yehja Muhammed, per poi proseguire per
circa 60 anni fino alla pronipote Sara Majid. Li seguiamo come in una specie di
via Dolorosa, dove ad ogni tappa ci viene strappato un pezzo di cuore. E pur
essendo, magari (anche se non sempre) vicende note, sempre male fanno.
L’inizio, appunto, nel ’41, in Palestina, con il patriarca, gli ulivi che
sostentano la famiglia, ed i due figli di lui, Hassan e Darwish. È il tempo dei
primi profughi dall’Europa, i primi che riescono a fuggire alla Shoah. Vediamo
l’amicizia, che rimarrà immutata per sempre, tra Hassan e Ari l’ebreo, uno che
ha la tempra dei Grossman, dei Yehoshua e degli Oz. Ebreo ma mai radicale, che
sempre ricorda il male fatto ai suoi parenti in Germania. Seguiamo anche
l’amore tra Hassan e l’indomita Dalia, la nascita di Yussef, poi quella di
Ismail. Qui, cominciano le dolenti note. Siamo arrivati al ’48, gli inglesi si
ritirano, l’Onu decide per la nascita di due Stati, ma gli israeliani (forti
degli appoggi soprattutto americani) occupano gran parte del territorio. E
scacciano Yehja ed i suoi dalle loro case. Nella fuga, Darwish viene ferito e
trascorrerà il resto della vita su di una sedia a rotelle. E Ismail viene
rapito da un soldato, e “ebraizzato”. Dalia non si riprenderà più, anche se la
vita sua e di Hassan viene allietata dalla nascita di Amal (che significa
“speranza”). Vediamo nascere le tende di Jenin, che dovevano essere
provvisorie, ma diventeranno definitive. E vediamo a grandi passi crescere il
muro di incomprensione invalicabile tra i due popoli. Si avvicina a grandi
passi la guerra dei 6 giorni (1967), dove scomparirà Hassan, e la famiglia
subirà gravi perdite. Amal è mandata a studiare in orfanotrofio a Gerusalemme
(che muore di dolore anche Dalia) e Yussef, dopo uno scontro con l’ebreo David
(che poi è suo fratello rapito Ismail) fugge in Giordania e si arruola nell’OLP
di Arafat. Seguiamo allora Amal, che studia, prende borse di studio e si trasferisce
in America, si laurea, diventa cittadina americana. Ma quando il fratello la
chiama dal Libano dove l’OLP è stato costretto a rifugiarsi, torna in patria.
Si innamora di Majid, il bel medico, che sposa e con cui procrea Sara. Ma siamo
negli anni ’80, e vediamo nascere anche il conflitto libanese. Amal e Sara
riescono a fuggire in America, mentre Majid e la famiglia di Yussef vengono
uccisi nei massacri di Sabra e Chatila guidati dal generale Ariel Sharon.
Yussef sembra a questo punto decidere di diventare terrorista e farsi saltare
in aria con un’autobomba (ma non si riuscirà mai a saperlo di certo). Amal e
Sara continuano la loro vita in America, fino a che, dopo l’11 settembre,
vengono rintracciate da David-Ismail cui il padre, morendo, ha confessato la
vicenda di 50 anni prima. Le due donne, allora, tornano ancora in Palestina,
ancora a Jenin, dove Amal ritrova la sua vecchia amica Huda (l’amicizia tra le
due giovani è uno dei pezzi migliori della prima parte). Ma in un nuovo attacco
a Jenin, per salvare Sara anche Amal muore. Finisce così, senza nessuna
speranza di pace, se non nell’idea che esistano le Sara (nome caro ad entrambe
le religioni) e gli Ari che lotteranno fino alla morte per uno spiraglio di
pace. Ma sono passati più di 10 anni dalla fine del libro, e non abbiamo fatto
neanche mezzo passo in avanti. Certo, come detto, il libro è scritto da una
donna profugo palestinese, e si sente. Ma si sente anche che non fa di tutto
gli ebrei un fascio, come non giustifica tutti gli eccessi degli arabi. Cerca
di comprenderli, ma con che difficoltà! In fondo, è un libro in cui tutti sono
vittime, e non si vede uno spiraglio di pace, in nessuno scenario futuro. Ma
andrebbe letto da tutti quelli che poco conoscono la storia mediorientale, che
sicuramente dà alcuni elementi di giudizio in più. Ed io leggendolo, sono
tornato in quei luoghi che amo, che ho visto negli ultimi 20 anni, da Gerusalemme
a Beirut, e rabbia e lacrime non hanno faticato a trovare la loro via. Finisco
ribadendo quanto scritto sopra: non è un bel libro, ma un libro che bisogna
leggere.
“Ho sempre trovato difficile non commuovermi
alla vista di Gerusalemme … La sua visione, da lontano o da dentro il labirinto
delle mura, mi trasmette un senso di dolcezza. Ogni centimetro di questa città
racchiude i segreti di civiltà antiche … è stata conquistata, distrutta e
ricostruita … Eppure, in qualche modo, Gerusalemme trasmette umiltà.” (174)
“L’amore non può conciliarsi con l’inganno.”
(326)
Jeanette Winterson “Non ci sono solo le arance” Mondadori euro 9,50 (in
realtà, scontato a 7,12 euro)
[A: 02/04/2014– I: 10/08/2014
– T: 15/08/2014] - &&& e ½
[tit. or.: Oranges are not the only Fruit; ling. or.: inglese; pagine: 207; anno 1997]
Potremmo
chiamare queste righe viaggio per una trama sbagliata. Oppure non fidarsi delle
apparenze ed andare alle sostanze. Come sapete ho il vizio di non leggere
(quasi) mai le quarte di copertina per non farmi influenzare nelle scelte. E di
leggere le prefazioni dopo aver letto i libri. Di leggiucchiare qua e là su
riviste e giornali su titoli e nuove uscite. Insomma, il vizio di sentire poco
gli altri, prima. Dopo no, dopo sono forse anche troppo logorroico. Ora, erano
anni che i libri della Winterson circolavano sulle librerie italiane, ed a
colpa dei titoli mi sentivo un po’ respinto. C’è questo di cui parlo ora e ce
n’era un altro dal titolo “Il sesso delle ciliegie”. Ed è stato proprio questo
a mandarmi fuori strada, che lo associavo ad un altro titolo che circolava più
o meno nello stesso periodo che recitava “Se la vita è un piatto di ciliegie,
perché a me solo i noccioli?”. Inoltre, mi fuorviava anche il nome che mi
sembrava fasullo. Come se un lettore inglese andasse in giro per autori
stranieri e si imbattesse in un libro dal titolo di frutta e scritto, che so da
Giovannina Figlinverni. Io non lo comprerei, quasi mi sembrava un’emulazione
della Kinsella. Finalmente, tuttavia, nella grande fucina dei suggerimenti di
“Curarsi con…” esce questo titolo, nella mia onnivoracità lo acquisto. E
confesso di aver rimpianto il tempo perso. Non che sia un capolavoro, anche se
è senza dubbio un buon libro sopra la media. Ed è anche un libro dove si fatica
ad entrare, con tutti i capitoli che rimandano a citazioni bibliche. Poi mi ha
preso, fino all’ultimo capitolo che, al contrario, mi ha frenato un po’,
abbassando leggermente il giudizio finale. Forse solo chi ha una buona
conoscenza dei temi religiosi del vecchio testamento potrà godere fino in fondo
del libro. La piccola Jeanette viene adottata da una famiglia molto religiosa
dove abbiamo la presenza una madre ingombrante, ossessiva che cresce la figlia
all’interno di un mondo fatto di canti liturgici, indovinelli sulla Bibbia e
“arance”. Jeanette ha una “forzata vocazione” per diventare missionaria di Dio
e qualsiasi problema, dubbio o incertezza si risolve mangiando un po’ di
arance. Cresce quindi in una comunità bigotta, dove il Diavolo è ovunque e può
manifestarsi in chiunque e in qualsiasi forma. Durante il periodo della sua
adolescenza sarà proprio Jeanette a “essere posseduta dal demonio”, quando per
la prima volta incontra l’amore e per lei è un amore puro e semplice. La madre
e l’intera comunità hanno una reazione scomposta perché a Jeanette piacevano le
persone sbagliate. Per carità! Persone in realtà degnissime sotto ogni aspetto,
salvo che per un piccolo particolare: l’amore per un’altra donna era peccato! E
cosa c’è di più efficace di un esorcismo, di rinchiuderla in una stanza buia e
senza cibo per indebolire i demoni che hanno preso possesso della povera Jeanette?
E poi ovviamente quando ormai è affamata e debilitata arriva la madre con un
cesto di arance e tutta torna come prima!!! Di fronte a questo assurdo,
psicologicamente violento e incomprensibile fanatismo Jeanette non riconosce
più nessuno, non riconosce la madre, non riconosce tutte quelle persone che da
sempre hanno fatto parte della sua vita, in tutto ciò non riconosce e non
riesce a vedere neanche quel Dio che ama tanto e a cui non vuole rinunciare, ma
in fondo non può rinunciare neanche a se stessa. Sarà proprio un’impresa ardua
per Jeanette affrontare un percorso interiore per trovare se stessa, per rispettarsi
e farsi rispettare per quello che è, per scoprire che ci sono varie forme
d’amore e quindi per ritornare al titolo “non ci sono solo le arance”!!! Ripeto
la scrittura non è mia facile, iniziando in tono quasi giocoso, per poi farsi
matura, anche se intervallata da racconti fantastici che, in tono di favola,
ripercorrono i duri momenti della vita di Jeanette. Che non viene mai meno a sé
stessa, in ogni momento. Questa è una delle tematiche forti del romanzo, oltre
a quella dell’accettazione della propria sessualità e della sua difesa, sempre
e comunque. Il messaggio finale, poi, molto semplicisticamente, potremmo riassumerlo
nella constatazione che non esiste solo il bene o solo il male, ma che la
nostra vita è tutta una sfumatura di grigi. Una macedonia di tanti frutti
diversi.
Alice Munro “Le lune di Giove” Einaudi euro 12
[A: 03/08/2013– I:
23/08/2014 – T: 28/08/2014] - &&&& e ½
[tit. or.: The Moons of Jupiter; ling. or.: inglese; pagine: 287; anno 1982]
Ribadisco
e confermo che sono assolutamente convinto della giusta attribuzione del Premio
Nobel della Letteratura alla grande scrittrice canadese. Nonostante, e qui ne
sottolineo la bravura, io non ami (e l’ho scritto più e più volte) il racconto,
e che a volte ne rimanga scarsamente coinvolto, la capacità della Munro sta
proprio nel prenderci per mano, metterci lì con i suoi personaggi, accompagnarli
per un po’, e quindi lasciarli andare per la loro (e la nostra) strada. Non ha
la pretesa di sapere molto, non vuole, alla fine, spiegare cosa farà questo o
quello dei suoi personaggi. Ce ne ha fatto vedere uno scampolo, ma in un modo
che c’è sufficiente per mettere in moto i pochi neuroni che ci sono rimasti.
Inoltre, e questo è forse il motivo per cui i suoi racconti mi piacciono molto,
c’è una sintonia interna tra i vari racconti di ogni sua antologia. Non è solo
l’unità stilistica dovuta all’unicità della scrittrice, ma è la sensazione
(all’inizio) e poi la certezza (alla fine) che in tutti i racconti di una sua
antologia si ripercuote qualcosa di simile. Qui ad esempio ci sono donne,
tante, alle prese con una relazione: la loro, una di cui si parla. Un
sentimento, ovvio, anche se non è solo amore. Mi verrebbe da dire forse che
invece è sempre amore, ma non è solo sesso. C’è l’amica della madre, lo zio, il
padre morente, oltre all’altro sesso, com’è ovvio che sia. Ed è anche
altrettanto difficile, ora che ho chiuso il libro e cerco di ripercorrerlo
nella memoria, narrare questa o quella storia. Affiorano come bolle elementi
sparsi, che forse non fanno parte neanche dello stesso racconto. L’uscita da
una relazione mentre parla con il settantenne infatuato della scrittura di
Willa Carther. Le storie sfortunate che raccontano le due amiche al terzo
incomodo. I due fratelli che si ritrovano dopo tanti anni visti con gli occhi
della cognata. Le due vecchie compagne di scuola che ora si ritrovano
all’ospizio, e ne vediamo, forse con l’orrore dovuto alla vicinanza di età, i
mille difetti. La ragazzina quattordicenne che incontra il fascinoso gay nella
fabbrica dove si preparano i tacchini per le macellerie. I due amanti
interrotti nell’amplesso dall’incidente occorso al figlio del maschio. Il
ripercorrere le storie con l’amico poi amante antropologo di una lei nella casa
dell’amica, tante ipotesi, tante speranze, tanti fallimenti. La figlia che
assiste il padre malato prima dell’ultima operazione. Piccolo stop: questo mi
ha dato dei brividi nella capacità di mostrare l’accettazione della morte da
parte del padre, che vi arriva non solo lucido (cosa che speriamo avvenga di
tutti) ma consapevole e non dolente. I legami degli emigrati con il paese
anglosassone di provenienza, con tutte le costruzioni mitiche che vi vengono
sopra costruite. Quelle brevissime pagine su Prudence detta Prue, e la
scatoletta dei ricordi. Ed ultimo pensiero, quella ricostruzione di una festa
per il “Labour Day” (che in Canada come negli USA si festeggia il primo lunedì
di settembre), dove assistiamo alla descrizione ed alla decostruzione del
rapporto tra George e Roberta. La Munro descrive l’arrivo dei due con le figlie
di lei a casa dell’amica Valerie e dei suoi due figli. Poi ci parla della
festa, e mette lì, ogni tanto, pennellate varie: di ricordi, di sensazioni, di
pensieri. Ed alla fine lasciamo la storia che tutta la vita dei due l’abbiamo
ripassata, con i loro slanci, con i contorni attuali, con le difficoltà e
l’ineluttabilità quasi di un futuro problematico. Non ci sono volute decine e
decine di pagine. Non si è messa, pedantemente, a descrivere tutte le
situazioni, tutti i rapporti, tutte le attività di ogni personaggio. È
riuscita, con sapienti pennellate, a farci un quadro vivente della situazione.
Ecco questo mi è venuto in mente: racconti come quadri, ma con una capacità
espressiva che neanche un film costruito su ognuno di loro sarebbe riuscito a
darmi. Tuttavia alla fine non tutti i racconti (seppur conditi con sapienti
spunti) hanno la stessa riuscita di quest’ultimo e di quello del titolo. Per
cui alla fine, il giudizio è sempre sopra la media, anche se non raggiunge il
vertice massimo. Ma Alice non mi delude mai (almeno fino ad ora).
“Avevano tutte più o meno trent’anni. L’età
in cui a volte si fatica ad ammettere che è la nostra vita quella che stiamo
vivendo.” (99)
“C’è un limite alla quantità di sofferenze e
scombussolamenti che si è disposti a sopportare in nome dell’amore, come c’è un
limite al disordine che siamo disposti a ignorare in una casa. Non si può conoscere
in anticipo, ma quando lo raggiungi, te ne accorgi.” (157)
Certamente,
agosto di ferie e di relax dà una scossa verso il basso alla lettura che si
preferiva andare a zonzo per la Francia piuttosto che fermi in una sdraio
campagnola. Un elenco illuminato dal libro della Munro di cui parlo sopra, e
chiuso nel gradimento da un vecchio libro di Ballard, da cui mi aspettavo di
più e meglio.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
James G. Ballard
|
Crash
|
Feltrinelli
|
8
|
1
|
2
|
Jean-Michel Guenassia
|
Le club des incorrigibles optimistes
|
Livre de Poche
|
9,50
|
3
|
3
|
Elizabeth George
|
Un castello di inganni
|
TEA
|
6,90
|
3
|
4
|
Carmine Abate
|
La collina del vento
|
Mondadori
|
13
|
3
|
5
|
Jeanette Winterson
|
Non ci sono solo le arance
|
Mondadori
|
9,50
|
2
|
6
|
Antonio Tabucchi
|
Requiem
|
Feltrinelli
|
7
|
3
|
7
|
Eric-Emmanuel Schmitt
|
Le sumo qui ne pouvait pas grossir
|
Livre de Poche
|
4,90
|
3
|
8
|
Erik Orsenna
|
La Chanson de Charles Quint
|
Livre de Poche
|
s.p.
|
3
|
9
|
Bruno Morchio
|
Bacci Pagano Una storia da
carrugi
|
Sole 24 ore – Noir
|
6,90
|
2
|
10
|
Julie Bonnie
|
Chambre 2
|
Pocket
|
6,20
|
3
|
11
|
Kathy Reichs
|
Le ossa dei perduti
|
Rizzoli
|
13
|
3
|
12
|
Alice Munro
|
Le lune di Giove
|
Einaudi
|
12
|
4
|
13
|
Hakan Nesser
|
Un corpo sulla spiaggia
|
TEA
|
9
|
3
|
14
|
Michael Connelly
|
Il respiro del drago
|
Piemme
|
13
|
3
|
15
|
Winifred Watson
|
Un giorno di gloria per Miss
Pettigrew
|
BEAT
|
9
|
3
|
Allora,
come sapete, comincia un Novembre di preparazione al viaggio dicembrino, con
qualcosa da aggiustare, e qualcosa da pensare. E non è escluso che si cominci
bene anche il nuovo anno. Vedremo presto. Intanto, un pensiero augurale a
Tommaso influenzato, ed un ricordo a tute le persone che ci hanno preceduto.
Ognuno sa a chi rivolgersi, ed io con voi.
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