E spero che le mie lettrici
svedesi non mi tirino le orecchie per l’improvvida traduzione. Anche se poi
parliamo di scandinavi e dintorni. Anzi abbiamo gli Hammer, i fratelli danesi,
abbiamo il norvegese Jo Nesbø. L’unico svedese doc, è Bjorn Larsson,
un’interessante scrittore, più famoso all’estero che in patria. E poi abbiamo
la chicca negativa. Quell’orrendo compendio di finta scrittura svedese che è
l’antologia inglese “Giallo Svezia”, curata dal pessimo John-Henri Holmberg.
Lotte & Søren Hammer “La bestia dentro” Feltrinelli euro 9
[A: 13/12/2013– I: 19/11/2014 – T: 23/11/2014] - &&
[tit. or.: Svinehunde; ling. or.: danese; pagine: 500;
anno 2010]
Ovviamente
non conosco il danese, ma il titolo assomiglio ad un insulto tedesco “Scwhinehund”
tale da farmi ipotizzare una vicinanza. E l’insulto, a volerlo tradurre in modo
eufemistico potremmo trasporlo con “Canaglia” (con un significato vicino a
“Sporcaccione”). Il passaggio da canaglia a “Bestia dentro” è sempre nella mente
delle persone di marketing editoriale, una delle categorie a me più invise al
mondo. Fatta quindi questa prima tirata d’orecchie alla Feltrinelli, veniamo al
romanzo dei fratelli Hammer, un sodalizio che unisce la carriera di scrittrice
di Liselotte detta Lotte a quella di insegnante (soprattutto in materie
scientifiche e lingue) di Søren. Un connubio che tuttavia non riesce ad essere
particolarmente avvincente per tutte queste lunghe 500 pagine del romanzo. C’è
un piccolo accenno dove si vede la mano di Søren, quando il commissario
analizza la posizione dei cinque impiccati, come fossero un a struttura
geometrica che magari potrebbe portare nel caso… Lascio molto vago, perché qui,
ed in altre parti del libro, si spendono pagine e pagine su di un indizio, per
poi lasciarlo cadere o liquidarlo in poche battute. Per tutto ilo libro,
comunque, ci si aspetta che accada qualcosa, che ci sia un’accelerazione della
vicenda, magari verso direzioni impreviste. Invece tutto scorre con una
prevedibilità degna di altri scritti (che so, un saggio d’arte di Sgarbi
potrebbe essere più avvincente). Vengono uccise, come detto sopra, cinque
persone, cui si aggiunge poco dopo una sesta. Le prime impiccate nella palestra
di una scuola. La sesta massacrata nella sua rivendita di salsicce. Sappiamo da
subito chi è il colpevole (o i colpevoli) e perché sono avvenute queste
“esecuzioni”. Il deus ex-machina è Clausing un ex-professore di fisica teorica,
ora bidello in seguito alla dipendenza alcoolica seguita al suicidio della figlia.
Suicidio avvenuto dopo che questa confessa di aver subito molestie sessuali da
parte del secondo marito della moglie di Clausing. Il bidello, pur alla deriva,
ha comunque una mente fina e riesce, con tempo e pazienza, a mettere su una
vendetta. Non con l’abusatore della figlia, già da tempo morto di cancro, ma
verso i pedofili in generale. Dove veniamo a sapere che in Danimarca la
legislazione anti-pedofilia è ad uno dei punti più bassi della giustizia
mondiale. Clausing si rivolge ad uno psichiatra che lo cura (o sembra che).
Clausing fa in modo di sembrare normale, e di farsi inserire in un gruppo di
self-help di ex-abusati. Qui costruisce il suo nucleo d’acciaio. Un infermiera
per drogare i futuri giustiziati. Un agricoltore che serve per far sparire le
tracce a valle. Un pubblicitario per lanciare una campagna sui media (e
soprattutto su Internet). Un assassino “puro” (qualcuno deve fare il lavoro
sporco, no?). Con l’inganno riesce a rubare l’indirizzario dello psicologo,
pieno di nomi di pedofili (questo era poi il lavoro del tizio). Convincendolo
poi a fare un’ascensione in Cile ad alta quota, dove, essendo il medico di
pressione alta, questi ha un embolia e muore. Clausing quindi organizza lo show
dell’impiccagione rituale. Peccato che l’assassino “infierisca” sui pedofili
“tagliandolo loro il pisello”. E che poi uccida il sesto, che sarebbe fuori
schema e che permetterà, passetto dopo passetto, al nostro esimio commissario
Simonsen di risalire lungo il cammino dello svelamento dei misteri. Peccato che
Clausing dopo una cinquantina di pagine decida di suicidarsi, e che per le
restanti più di quattrocento aleggi come uno spirito, ma con molta debolezza:
perché le sue marionette, senza di lui, andranno alla deriva, perdendosi una
dopo l’altra. E tutto il libro quindi va sull’onda delle difficoltà della
polizia di trovare prove e collegamenti, sia per la bravura di Clausing, sia
per l’ostilità dell’opinione pubblica, giustamente inferocita più verso i
pedofili che verso i loro assassini. Anche il buon Simonsen sbanda alquanto, se
non fosse aiutato dall’ex-commissario Planck, che, da pensionato (e vediamo
quanto siano utili i pensionati!) ricostruisce tutto come se fosse una partita
a scacchi, mette in difficoltà la giornalista cattiva, emargina la poliziotta
problematica, e mette il nostro sulle tracce giuste. Ma mentre per decine e
decine di pagine assistiamo alla marea montate delle crociate anti-pedofilia,
con giuste nuove iniziative legislative tese ad inasprire le pene alle
“canaglie”, poi la fine svanisce come bolla di sapone. E Simonsen riconnette le
poche cose che gli servono per mettere in prigione l’unico colpevole materiale
(l’assassino appunto). Ma lungo la strada tante cose, come dicevo all’inizio,
vengono buttate là e poi irrisolte. Come l’emarginazione del poliziotto Poul,
che sembrerebbe poter essere connesso al caso, invece, colpito da raffreddore,
si mette in disparte. Come la storia “irregolare” tra Arne e Pauline. Come la
storia che potrebbe portare sviluppi tra il Commissario e la Contessa. E che rapporti
ci sono tra Simonsen e la figlia Anna Mia? E come si svilupperà il lavoro della
giornalista praticante Annette? Speravo sicuramente di meglio, anche perché da
anni ormai viene sbandierata la ventata del giallo scandinavo come portatore di
nuova linfa al genere. Ora, se è vero che alcuni autori (Manning, Nesbø e
Nesser su tutti) hanno portato interesse, molti altri sono anche qui solo
battaglie pubblicitarie. E la coppia danese mi sembra che appartenga decisamente
a questa seconda schiera: quella dei poco utili da leggere. Un solo punto, per
mezzo libricino in più, a favore: lo scoperchiare il finto perbenismo danese
verso un lassismo nei confronti di pedofili e stupratori in genere, che va
preso, ripreso e sostenuto. Per il resto, dimentichiamolo.
Björn Larsson “I poeti morti non scrivono gialli. Una specie di giallo”
Iperborea euro 17 (in realtà, scontato a 12,92 euro)
[A: 06/12/2013– I:
02/01/2015 – T: 09/01/2015] - &&&&
[tit. or.: Döda
poter skriver inte kriminalromaner. Ett slags kriminalroman; ling. or.: svedese; pagine: 353; anno 2010]
Cominciamo
subito, per i non addetti ai lavori svedesi, col dire che il nostro Björn non è
parente ma solo omonimo (o cognonimo?) del defunto Stieg. Il nostro inoltre è
considerato in patria uno scrittore di punta, nonché un ottimo velista (vive
gran parte dell’anno sul suo veliero, un Rustler 31 per chi sa di mare), e
professore di francese all’Università. Da sempre nelle mie liste dei desideri
per quando riuscirò a trovare la voglia di comprare l’intrigante vera storia
del pirata Long John Silver, non potevo esimermi, durante un PiùlibriPiùliberi
di un anno e mezzo fa, di prendere questo libro altrettanto interessante (e
scontato, nel prezzo ovvio). Devo dire che non rimpiango la scelta: un
meta-romanzo giallo, che di giallo ha poco ma pure tanto, scritto da un
non-giallista. Ma anche un romanzo sulla letteratura, sulla scrittura, su cosa
sia e cosa voglia dire scrivere. Ed un romanzo pieno anche di giochi letterari
e di rimandi. Ad esempio, il commissario che indaga su tutta la vicenda si
chiama Martin Barck, e noi riandiamo subito al commissario Martin Beck di Sjöwall
& Wahlöö. Un ispettore che indaga su una morte sospetta avvenuta a
Stoccolma ha lo svedesissimo nome di Sten e l’ottimo cognome di Dahl (!!). E
poi ci sono i rimandi a Wallander (come cito sotto). Nonché una lunga tirata su
Saviano e Gomorra (intrigante). La struttura di questa specie di giallo è
lineare: un poeta di valore, ma povero, Jan Y. viene convinto dal suo editore a
scrivere un romanzo giallo, che in Svezia sono di gran moda. Jan comincia a
scrivere un giallo di denuncia sulle frodi bancarie, sul traffico dei soldi
sporchi e sui manager corrotti. Non è tutto frutto della sua fantasia
purtroppo, chiede molte informazioni in giro per non rischiare di mettere su
carta in milioni di copie accuse infondate. Mancano una cinquantina di pagine
al finale quando Jan viene trovato impiccato nella barca dove vive, ed il
manoscritto scomparso. Al di là dell’iniziale disorientamento il commissario
Barck non avrà dubbi: i poeti si uccidono, non vengono uccisi. Nonostante
questa ferrea constatazione si scoprirà che molteplici sono i possibili motivi
del delitto: il denaro che il poeta avrebbe incassato dalle informazioni
scottanti relative al mondo della finanza, il supposto tradimento dei fedeli lettori,
i rapporti contrastati con il padre, le molteplici relazioni amorose. Ma un
solo esecutore. Il suo editore, Petersen è il solo a possederne una copia
seppur parziale del libro e chiede allo scrittore e ghostwriter Anders Bergsten
di completarlo. Questi si trasferisce allora nei luoghi di Jan Y., entra in
contatto in più di un senso con la musa Tina, esecutrice testamentaria del poeta,
nonché probabilmente segretamente innamorata. Mentre procede nel tentativo di
scrittura, e mentre Barck va avanti nelle indagini, anche Petersen viene
ucciso. E dagli indizi che si accumulano via via, Anders capisce e ricostruisce
gli avvenimenti. Farà in tempo a comunicarli a Barck? Ma se questo è “la specie
di giallo”, riempiono le oltre 300 pagine molte altre cose. Innanzi tutto una
critica dura e spietata del mondo dell’editoria in generale, e di quello
svedese in particolare. A fronte della decisione del poeta di scrivere un
romanzo, i suoi amici più stretti affrontano un serrato dibattito se sia giusto
“vendersi” per un pugno di corone, o mantenersi puro e duro sulla traccia delle
poesie, di ottima fattura, ma di scarso rendimento economico. E tutto il libro
è percorso da brani letterari, dalle poesie di Jan Y., che Larsson confessa nei
ringraziamenti di aver copiato, lui consenziente, dal bretone poeta Yvon Le
Men. Ma dato che anche Barck è appassionato di poesia (e dato che si discute di
letteratura e vita), ecco che compaiono haiku di Bashō, versi di Rafael
Alberti, nonché una poesia dell’allora ignoto Tomas Tranströmer, che l’anno
seguente riceverà il Nobel della Letteratura. Insomma, un giallo che non è un
giallo ma che è anche un giallo, tutto avvolto nella domanda: è giusto “abbassarsi”
a scrivere un giallo, solo per sopravvivere, tralasciando la nobile arte della
poesia? Un libro, ed una risposta, da scoprire. Ah, dimenticavo, Björn è nato
nel 1953…
“È bene essere soli, poiché la solitudine è
difficile; che una cosa sia difficile deve essere per noi un motivo in più per
farla.” (18)
“Non esistono assassini, come diceva sempre
il commissario Wallander della polizia di Ystad, ma solo persone che commettono
omicidi.” (154)
Jo Nesbø “The Bat”
Vintage Book euro 12
[A: 07/02/2014– I:
21/03/2015 – T: 26/03/2015] - &&&
[tit. or.: Flaggermusmannen; ling. or.: norvegese; pagine: 425;
anno 1997]
Esattamente
tre anni dopo aver letto il primo romanzo uscito in Italia del norvegese Nesbø,
leggo anche il primo della serie (cui spesso si fa riferimento ne “Il
pettirosso”, appunto il primo pubblicato). Avevo intanto aspettato anni che in
Italia si decidessero a pubblicare i primi due capitoli della saga di Harry
Hole, ma invano. Tanto che un anno fa, visto che comunque non riesco a leggere
il norvegese (ah, ah) mi sono detto: “tradotto per tradotto, leggiamolo in inglese”.
Ovviamente, due mesi dopo l’acquisto Einaudi ha deciso di pubblicarlo in
italiano, così come ha deciso che quest’anno (2015) dovrà uscire anche il
secondo della serie (“Scarafaggi”), che questa volta aspetteremo, data la non
facile lettura in inglese, piena anche di puntate “slang”. Strano comunque il
percorso fatto da Nesbø e da Hole. Sia in Italia che nei paesi anglosassoni
hanno iniziato le pubblicazioni dal terzo libro, ambientato in Norvegia,
tralasciando appunto i primi due episodi che invece si svolgono per la maggior
parte lontano da Oslo: qui tutto in Australia, ed il secondo gran parte in
Tailandia. Misteri del marketing. Qui il “personaggio” Hole è in costruzione, e
Nesbø ha anche modo di raccontarcene squarci biografici che danno meglio lumi
sul suo modo di comportarsi. Soprattutto il suo rapporto con gli alcolici, che
in tutti i libri ho stigmatizzato come a me incomprensibile, qui viene in un
certo senso illuminato da due fattori specifici: il fatto di aver ucciso indirettamente
un collega guidando in stato di ebbrezza ed il suo rapporto intenso e finito
male con tal Kristina. Proprio per redimerlo dalla difficile posizione dopo la
morte di cui sopra, Harry viene inviato in Australia per indagare sulla morte
di Inger, una stellina norvegese di B-movie. Al suo arrivo, viene preso a balia
da un detective aborigeno Andrew Kensington, in
modo che Nesbø riuscirà anche a parlarci dei problemi del razzismo in
Australia. E di tutte le derive degli emarginati, lì e qui. Andando in giro con
Andrew, Harry incontra Evans, il compagno di Inger, che si rivela essere un
boss degli spacciatori di tutte le droghe (dalla coca alla morfina), una
collega barista di Inger, la svedese Brigitta, con la quale incomincia una
appassionata relazione, un clown omosessuale, Otto, specializzato in un numero
di finta ghigliottina, il pugile aborigeno Toowoomba, dato che anche Andrew in gioventù era
stato un boxeur. In tutto ciò, ci si mette il resto della squadra della omicidi
australiana, divisa tra capi incapaci e sottoposti lunatici. L’idea vincente,
come ovvio, viene a Harry, che chiede di indagare su stupri ed omicidi di donne
bionde. E se ne trovano in numero significativo, ogni volta in località che
ospitavano esibizioni circensi di vario tipo. Nella foga di trovare prove,
Harry scatena una rissa, dove Andrew per salvarlo, subisce una commozione cerebrale.
Con l’aborigeno fuori causa, però, Harry scopre molte elementi sospetti, come
se questi volesse non aiutarlo ma depistarlo. Si convince quindi che deve
essere un amico di Andrew il possibile colpevole, ed i suoi sospetti si
appuntano su Otto. Ma l’irruzione al circo per sorprenderlo va anch’essa male,
che Otto viene trovato massacrato. Non solo ma poco dopo, trovano Andrew
drogato ed impiccato. Gli australiani allora si convincono che sia Evans il colpevole.
Preparano quindi una trappola, inducendo Harry a convincere Brigitta a fare da
esca. Ovviamente anche questa mossa fallisce, scagionando Evans, ma con la
svedesina scomparsa. Harry, colpito da tutti questi avvenimenti, non può che
attaccarsi di nuovo alla bottiglia (così come lo vedremo fare spesso poi nelle
altre avventure della serie). Ma capisce che, se da un lato è vero che Andrew
proteggeva qualcuno, non poteva che essere il pugile. Si scatena allora una
lotta tra i due, dove, dopo che scopriamo i motivi delle morti (e non ve le
dico), in un finale tremendo avvengono altre morti inaspettate, fino alla scena
madre nell’acquario di Sydney, dove il colpevole verrà dilaniato da un
predatore dei mari. Devo dire che, come prima libro della serie, in realtà è
ancora debole su alcuni aspetti. Non si capisce come mai Harry ha sempre le
idee giuste, ma al momento sbagliato. Inoltre, porta iella a tutti quelli che
gli sono intorno, soprattutto alle donne (e sarà una costante). C’è azione, c’è
una giusta dosa di suspense, ma l’ho trovato un onesto prodotto, con qualche
elemento folkloristico interessante. In particolare sulle vicende dei nativi
australiani. E qualche elemento geografico che ho apprezzato (Sydney e le sue
bellezze come l’Opera House e l’Aquarium). Pur tuttavia, con questo solo libro,
né Nesbø né Hole avrebbero fatto molta strada.
John-Henri Holmberg (a cura di) “GialloSvezia” Marsilio s.p. (regalo di
Natale di Otto)
[A: 25/12/2014– I: 27/03/2015
– T: 31/03/2015] - &&
[tit. or.: A Darker Shade of Sweden; ling. or.: svedese; pagine: 375; anno 2014]
Lo
sapete, sono impietoso con le operazioni di un marketing drogato. Ringrazio
quindi Otto che mi da l’opportunità di stroncare un libro. Prima per il modo in
cui è presentato e poi per il contenuto. Allora, parliamo di una serie di
racconti di autori svedesi, con una antologia che non è mai uscita in Svezia,
ma che è stata preparata per il mondo anglosassone. Quindi i 17 racconti
presenti sono qui tradotti dall’inglese e non dallo svedese. È stato il
curatore che li ha tradotti dallo svedese in inglese per l’edizione originale.
Anche le scelte riflettono quindi la voglia di sfruttare l’onda lunga di Stieg
Larsson, dopo l’uscita dei suoi libri e dopo i film da loro tratti. Riporto
quindi i titoli presenti con il titolo con cui sono stati presentati
nell’edizione inglese.
Rimpatriata
|
Reunion
|
Tove Alsterdal
|
Gli piacevano i suoi capelli
|
He Liked His Hair
|
Rolf & Cilla Börjlind
|
Mai nella realtà
|
Never in Real Life
|
Åke Edwardson
|
Nella nostra casa buia
|
In Our Darkened House
|
Inger Frimansson
|
L’ultima estate di Paul
|
Paul’s Last Summer
|
Eva Gabrielsson
|
L’anello
|
The Ring
|
Anna Jansson
|
Il postale
|
The Mail Run
|
Åsa Larsson
|
Brain power
|
Brain Power
|
Stieg Larsson
|
Un incontro improbabile
|
An Unlikely Meeting
|
Henning Mankell & Håkan Nesser
|
Un alibi per il señor Banegas
|
An Alibi for Señor Benagas
|
Magnus Montelius
|
Qualcosa nei suoi occhi
|
Something in His Eyes
|
Dag Öhrlund
|
Illumina, custodisci, reggi e governa
me
|
Day and Night My Keeper Be
|
Malin Persson Giolito
|
Il multimilionario
|
The Multi-Millionaire
|
Sjöwall & Wahlöö
|
L’agenda Braun
|
Diary Braun
|
Sara Stridsberg
|
La vendetta della Vergine
|
Revenge of the Virgin
|
Johan Theorin
|
Maitreya
|
Maitreya
|
Veronica von Schenck
|
Troppo tardi si sveglierà il peccatore
|
Too Late Shall the Sinner Awaken
|
Katarina Wennstam
|
E
prima di entrare nel merito dei racconti, che sono anche loro miserelli nella
loro globalità, spenderei due parole sulla cosa forse migliore, anche se non è
niente di eclatante. La post-fazione di Holmberg dove cerca di fare una specie
di cronistoria del giallo svedese. Qui la cosa migliore non è tanto la storia
in sé, che forse potrebbe essere melio narrata, ma alcune direi spigolature.
Come la scoperta de “Il diario del dr. Smirnos” uscito nel 1917 per la penna di
Samuel August Duse che anticipa di dieci anni le tematiche del famoso Roger
Ackroyd (di cui non parlo per lasciare un po’ di … mistero). O la lesbo-killer
di Maria Lang in “L’assassino non è l’unico a mentire” del 1949. Meriterebbe
certo miglior spazio poi l’analisi del contesto da cui nascono negli anni
Sessanta le storie di critica sociale della coppia Maj Sjöwall e Per Wahlöö. Ed
altri fenomeni che portano al proliferare attuale della letteratura gialla
dalla Svezia verso il resto del mondo. Veniamo allora al testo, lasciando in
finale i tre esempi che fanno toccare il fondo a questo libro. Nel racconto di
Inger Frimansson sappiamo già che il protagonista deve morire, e seguiamo solo
il percorso che fa per arrivarci. In quello di Magnus Montelius cerchiamo di
cavarcela tra i colpi di casualità che incastrano un costruttore svedese in
cerca di una commessa in Sudamerica, un po’ turlupinato dal un politico
honduregno. La storia più strana è quella dei coniugi Börjlind dove seguiamo I
turbamenti di uno psicopatico e della sua inusuale arma per I suoi delitti. C’è
una strana inversione di prospettiva in quello di Malin Peterson Giolito, dove
più che il rapimento del figlio della protagonista (poi ritrovato) viene rimproverata
la madre che lo perde di vista nel centro commerciale. Rabbrividiamo al freddo
dei racconti di Åsa Larsson. Ma non vorrei ripercorrere tutti i racconti, ricordando
solo di passaggio che, purtroppo, Eva Gabrielsson è inserita solo in quanto
compagna di Stieg (ma forse è giusto visto il modo come i parenti ufficiali
dello scrittore l’hanno trattata). O il poco convincente racconto di Sara
Stridsberg, che si inventa il diario delle ultime ore di Eva Braun (penoso). Ma
quello che più mi ha imbestialito sono le tre prove di cui dicevo prima. Di
Stieg Larsson viene proposto un racconto che il nostro scrisse a 17 anni e che
inviò a Holmberg in quanto questi era un redattore di fanzine
fantascientifiche. Perché non si tratta di un giallo ma di una racconto di
fantascienza, genere che appassionò in gioventù Stieg ma che non ha molto a che
vedere con il giallo. Come non c’entra nulla il racconto di Sjöwall &
Wahlöö, che ci racconta la storia di un multimilionario incontrato in una
crociera. C’è la critica sociale, che caratterizzò i due, ma neanch un briciolo
di possibilità di suspense. Infine c’è l’ignominiosa farsa della scrittura a
quattro mani di Henning Mankell & Håkan Nesser, che fanno incontrare in una
sperduta località, alla viglia di Natale, i loro commissari (Wallander e Van
Veeteren, per chi non se li ricordasse). Che chiacchierano, che fanno una
partita a bridge con due scrittori di gialli (indovinate un po’ chi sono questi
due…) e che alla fine del racconto, vanno a dormire. Mi chiedo, e qui termino,
ma che senso ha inserire tali scritture in un libro che in Italia viene
lanciato come “Giallo-Svezia” o in America come “Una sfumatura più scura della
Svezia”? Leggete di autori svedesi, ce ne sono di buoni, ve lo garantisco.
Lasciate perdere questo libro.
Eccoci
qui, alla fine di un luglio bollente, cercando di mettere un po’ d’ordine tra
tutto quello che capita e che capiterà. Molti amici già in ferie, e molti
ancora no. Tutti alla ricerca di itinerari e cosa da fare e da vedere.