domenica 26 luglio 2015

Skandinaviska Gul - 26 luglio 2015

E spero che le mie lettrici svedesi non mi tirino le orecchie per l’improvvida traduzione. Anche se poi parliamo di scandinavi e dintorni. Anzi abbiamo gli Hammer, i fratelli danesi, abbiamo il norvegese Jo Nesbø. L’unico svedese doc, è Bjorn Larsson, un’interessante scrittore, più famoso all’estero che in patria. E poi abbiamo la chicca negativa. Quell’orrendo compendio di finta scrittura svedese che è l’antologia inglese “Giallo Svezia”, curata dal pessimo John-Henri Holmberg.
Lotte & Søren Hammer “La bestia dentro” Feltrinelli euro 9
[A: 13/12/2013– I: 19/11/2014 – T: 23/11/2014] - &&
[tit. or.: Svinehunde; ling. or.: danese; pagine: 500; anno 2010]
Ovviamente non conosco il danese, ma il titolo assomiglio ad un insulto tedesco “Scwhinehund” tale da farmi ipotizzare una vicinanza. E l’insulto, a volerlo tradurre in modo eufemistico potremmo trasporlo con “Canaglia” (con un significato vicino a “Sporcaccione”). Il passaggio da canaglia a “Bestia dentro” è sempre nella mente delle persone di marketing editoriale, una delle categorie a me più invise al mondo. Fatta quindi questa prima tirata d’orecchie alla Feltrinelli, veniamo al romanzo dei fratelli Hammer, un sodalizio che unisce la carriera di scrittrice di Liselotte detta Lotte a quella di insegnante (soprattutto in materie scientifiche e lingue) di Søren. Un connubio che tuttavia non riesce ad essere particolarmente avvincente per tutte queste lunghe 500 pagine del romanzo. C’è un piccolo accenno dove si vede la mano di Søren, quando il commissario analizza la posizione dei cinque impiccati, come fossero un a struttura geometrica che magari potrebbe portare nel caso… Lascio molto vago, perché qui, ed in altre parti del libro, si spendono pagine e pagine su di un indizio, per poi lasciarlo cadere o liquidarlo in poche battute. Per tutto ilo libro, comunque, ci si aspetta che accada qualcosa, che ci sia un’accelerazione della vicenda, magari verso direzioni impreviste. Invece tutto scorre con una prevedibilità degna di altri scritti (che so, un saggio d’arte di Sgarbi potrebbe essere più avvincente). Vengono uccise, come detto sopra, cinque persone, cui si aggiunge poco dopo una sesta. Le prime impiccate nella palestra di una scuola. La sesta massacrata nella sua rivendita di salsicce. Sappiamo da subito chi è il colpevole (o i colpevoli) e perché sono avvenute queste “esecuzioni”. Il deus ex-machina è Clausing un ex-professore di fisica teorica, ora bidello in seguito alla dipendenza alcoolica seguita al suicidio della figlia. Suicidio avvenuto dopo che questa confessa di aver subito molestie sessuali da parte del secondo marito della moglie di Clausing. Il bidello, pur alla deriva, ha comunque una mente fina e riesce, con tempo e pazienza, a mettere su una vendetta. Non con l’abusatore della figlia, già da tempo morto di cancro, ma verso i pedofili in generale. Dove veniamo a sapere che in Danimarca la legislazione anti-pedofilia è ad uno dei punti più bassi della giustizia mondiale. Clausing si rivolge ad uno psichiatra che lo cura (o sembra che). Clausing fa in modo di sembrare normale, e di farsi inserire in un gruppo di self-help di ex-abusati. Qui costruisce il suo nucleo d’acciaio. Un infermiera per drogare i futuri giustiziati. Un agricoltore che serve per far sparire le tracce a valle. Un pubblicitario per lanciare una campagna sui media (e soprattutto su Internet). Un assassino “puro” (qualcuno deve fare il lavoro sporco, no?). Con l’inganno riesce a rubare l’indirizzario dello psicologo, pieno di nomi di pedofili (questo era poi il lavoro del tizio). Convincendolo poi a fare un’ascensione in Cile ad alta quota, dove, essendo il medico di pressione alta, questi ha un embolia e muore. Clausing quindi organizza lo show dell’impiccagione rituale. Peccato che l’assassino “infierisca” sui pedofili “tagliandolo loro il pisello”. E che poi uccida il sesto, che sarebbe fuori schema e che permetterà, passetto dopo passetto, al nostro esimio commissario Simonsen di risalire lungo il cammino dello svelamento dei misteri. Peccato che Clausing dopo una cinquantina di pagine decida di suicidarsi, e che per le restanti più di quattrocento aleggi come uno spirito, ma con molta debolezza: perché le sue marionette, senza di lui, andranno alla deriva, perdendosi una dopo l’altra. E tutto il libro quindi va sull’onda delle difficoltà della polizia di trovare prove e collegamenti, sia per la bravura di Clausing, sia per l’ostilità dell’opinione pubblica, giustamente inferocita più verso i pedofili che verso i loro assassini. Anche il buon Simonsen sbanda alquanto, se non fosse aiutato dall’ex-commissario Planck, che, da pensionato (e vediamo quanto siano utili i pensionati!) ricostruisce tutto come se fosse una partita a scacchi, mette in difficoltà la giornalista cattiva, emargina la poliziotta problematica, e mette il nostro sulle tracce giuste. Ma mentre per decine e decine di pagine assistiamo alla marea montate delle crociate anti-pedofilia, con giuste nuove iniziative legislative tese ad inasprire le pene alle “canaglie”, poi la fine svanisce come bolla di sapone. E Simonsen riconnette le poche cose che gli servono per mettere in prigione l’unico colpevole materiale (l’assassino appunto). Ma lungo la strada tante cose, come dicevo all’inizio, vengono buttate là e poi irrisolte. Come l’emarginazione del poliziotto Poul, che sembrerebbe poter essere connesso al caso, invece, colpito da raffreddore, si mette in disparte. Come la storia “irregolare” tra Arne e Pauline. Come la storia che potrebbe portare sviluppi tra il Commissario e la Contessa. E che rapporti ci sono tra Simonsen e la figlia Anna Mia? E come si svilupperà il lavoro della giornalista praticante Annette? Speravo sicuramente di meglio, anche perché da anni ormai viene sbandierata la ventata del giallo scandinavo come portatore di nuova linfa al genere. Ora, se è vero che alcuni autori (Manning, Nesbø e Nesser su tutti) hanno portato interesse, molti altri sono anche qui solo battaglie pubblicitarie. E la coppia danese mi sembra che appartenga decisamente a questa seconda schiera: quella dei poco utili da leggere. Un solo punto, per mezzo libricino in più, a favore: lo scoperchiare il finto perbenismo danese verso un lassismo nei confronti di pedofili e stupratori in genere, che va preso, ripreso e sostenuto. Per il resto, dimentichiamolo.
Björn Larsson “I poeti morti non scrivono gialli. Una specie di giallo” Iperborea euro 17 (in realtà, scontato a 12,92 euro)
[A: 06/12/2013– I: 02/01/2015 – T: 09/01/2015] - &&&&
[tit. or.: Döda poter skriver inte kriminalromaner. Ett slags kriminalroman; ling. or.: svedese; pagine: 353; anno 2010]
Cominciamo subito, per i non addetti ai lavori svedesi, col dire che il nostro Björn non è parente ma solo omonimo (o cognonimo?) del defunto Stieg. Il nostro inoltre è considerato in patria uno scrittore di punta, nonché un ottimo velista (vive gran parte dell’anno sul suo veliero, un Rustler 31 per chi sa di mare), e professore di francese all’Università. Da sempre nelle mie liste dei desideri per quando riuscirò a trovare la voglia di comprare l’intrigante vera storia del pirata Long John Silver, non potevo esimermi, durante un PiùlibriPiùliberi di un anno e mezzo fa, di prendere questo libro altrettanto interessante (e scontato, nel prezzo ovvio). Devo dire che non rimpiango la scelta: un meta-romanzo giallo, che di giallo ha poco ma pure tanto, scritto da un non-giallista. Ma anche un romanzo sulla letteratura, sulla scrittura, su cosa sia e cosa voglia dire scrivere. Ed un romanzo pieno anche di giochi letterari e di rimandi. Ad esempio, il commissario che indaga su tutta la vicenda si chiama Martin Barck, e noi riandiamo subito al commissario Martin Beck di Sjöwall & Wahlöö. Un ispettore che indaga su una morte sospetta avvenuta a Stoccolma ha lo svedesissimo nome di Sten e l’ottimo cognome di Dahl (!!). E poi ci sono i rimandi a Wallander (come cito sotto). Nonché una lunga tirata su Saviano e Gomorra (intrigante). La struttura di questa specie di giallo è lineare: un poeta di valore, ma povero, Jan Y. viene convinto dal suo editore a scrivere un romanzo giallo, che in Svezia sono di gran moda. Jan comincia a scrivere un giallo di denuncia sulle frodi bancarie, sul traffico dei soldi sporchi e sui manager corrotti. Non è tutto frutto della sua fantasia purtroppo, chiede molte informazioni in giro per non rischiare di mettere su carta in milioni di copie accuse infondate. Mancano una cinquantina di pagine al finale quando Jan viene trovato impiccato nella barca dove vive, ed il manoscritto scomparso. Al di là dell’iniziale disorientamento il commissario Barck non avrà dubbi: i poeti si uccidono, non vengono uccisi. Nonostante questa ferrea constatazione si scoprirà che molteplici sono i possibili motivi del delitto: il denaro che il poeta avrebbe incassato dalle informazioni scottanti relative al mondo della finanza, il supposto tradimento dei fedeli lettori, i rapporti contrastati con il padre, le molteplici relazioni amorose. Ma un solo esecutore. Il suo editore, Petersen è il solo a possederne una copia seppur parziale del libro e chiede allo scrittore e ghostwriter Anders Bergsten di completarlo. Questi si trasferisce allora nei luoghi di Jan Y., entra in contatto in più di un senso con la musa Tina, esecutrice testamentaria del poeta, nonché probabilmente segretamente innamorata. Mentre procede nel tentativo di scrittura, e mentre Barck va avanti nelle indagini, anche Petersen viene ucciso. E dagli indizi che si accumulano via via, Anders capisce e ricostruisce gli avvenimenti. Farà in tempo a comunicarli a Barck? Ma se questo è “la specie di giallo”, riempiono le oltre 300 pagine molte altre cose. Innanzi tutto una critica dura e spietata del mondo dell’editoria in generale, e di quello svedese in particolare. A fronte della decisione del poeta di scrivere un romanzo, i suoi amici più stretti affrontano un serrato dibattito se sia giusto “vendersi” per un pugno di corone, o mantenersi puro e duro sulla traccia delle poesie, di ottima fattura, ma di scarso rendimento economico. E tutto il libro è percorso da brani letterari, dalle poesie di Jan Y., che Larsson confessa nei ringraziamenti di aver copiato, lui consenziente, dal bretone poeta Yvon Le Men. Ma dato che anche Barck è appassionato di poesia (e dato che si discute di letteratura e vita), ecco che compaiono haiku di Bashō, versi di Rafael Alberti, nonché una poesia dell’allora ignoto Tomas Tranströmer, che l’anno seguente riceverà il Nobel della Letteratura. Insomma, un giallo che non è un giallo ma che è anche un giallo, tutto avvolto nella domanda: è giusto “abbassarsi” a scrivere un giallo, solo per sopravvivere, tralasciando la nobile arte della poesia? Un libro, ed una risposta, da scoprire. Ah, dimenticavo, Björn è nato nel 1953…
“È bene essere soli, poiché la solitudine è difficile; che una cosa sia difficile deve essere per noi un motivo in più per farla.” (18)
“Non esistono assassini, come diceva sempre il commissario Wallander della polizia di Ystad, ma solo persone che commettono omicidi.” (154)
Jo Nesbø “The Bat” Vintage Book euro 12
[A: 07/02/2014– I: 21/03/2015 – T: 26/03/2015] - &&&
[tit. or.: Flaggermusmannen; ling. or.: norvegese; pagine: 425; anno 1997]
Esattamente tre anni dopo aver letto il primo romanzo uscito in Italia del norvegese Nesbø, leggo anche il primo della serie (cui spesso si fa riferimento ne “Il pettirosso”, appunto il primo pubblicato). Avevo intanto aspettato anni che in Italia si decidessero a pubblicare i primi due capitoli della saga di Harry Hole, ma invano. Tanto che un anno fa, visto che comunque non riesco a leggere il norvegese (ah, ah) mi sono detto: “tradotto per tradotto, leggiamolo in inglese”. Ovviamente, due mesi dopo l’acquisto Einaudi ha deciso di pubblicarlo in italiano, così come ha deciso che quest’anno (2015) dovrà uscire anche il secondo della serie (“Scarafaggi”), che questa volta aspetteremo, data la non facile lettura in inglese, piena anche di puntate “slang”. Strano comunque il percorso fatto da Nesbø e da Hole. Sia in Italia che nei paesi anglosassoni hanno iniziato le pubblicazioni dal terzo libro, ambientato in Norvegia, tralasciando appunto i primi due episodi che invece si svolgono per la maggior parte lontano da Oslo: qui tutto in Australia, ed il secondo gran parte in Tailandia. Misteri del marketing. Qui il “personaggio” Hole è in costruzione, e Nesbø ha anche modo di raccontarcene squarci biografici che danno meglio lumi sul suo modo di comportarsi. Soprattutto il suo rapporto con gli alcolici, che in tutti i libri ho stigmatizzato come a me incomprensibile, qui viene in un certo senso illuminato da due fattori specifici: il fatto di aver ucciso indirettamente un collega guidando in stato di ebbrezza ed il suo rapporto intenso e finito male con tal Kristina. Proprio per redimerlo dalla difficile posizione dopo la morte di cui sopra, Harry viene inviato in Australia per indagare sulla morte di Inger, una stellina norvegese di B-movie. Al suo arrivo, viene preso a balia da un detective aborigeno Andrew Kensington, in modo che Nesbø riuscirà anche a parlarci dei problemi del razzismo in Australia. E di tutte le derive degli emarginati, lì e qui. Andando in giro con Andrew, Harry incontra Evans, il compagno di Inger, che si rivela essere un boss degli spacciatori di tutte le droghe (dalla coca alla morfina), una collega barista di Inger, la svedese Brigitta, con la quale incomincia una appassionata relazione, un clown omosessuale, Otto, specializzato in un numero di finta ghigliottina, il pugile aborigeno Toowoomba, dato che anche Andrew in gioventù era stato un boxeur. In tutto ciò, ci si mette il resto della squadra della omicidi australiana, divisa tra capi incapaci e sottoposti lunatici. L’idea vincente, come ovvio, viene a Harry, che chiede di indagare su stupri ed omicidi di donne bionde. E se ne trovano in numero significativo, ogni volta in località che ospitavano esibizioni circensi di vario tipo. Nella foga di trovare prove, Harry scatena una rissa, dove Andrew per salvarlo, subisce una commozione cerebrale. Con l’aborigeno fuori causa, però, Harry scopre molte elementi sospetti, come se questi volesse non aiutarlo ma depistarlo. Si convince quindi che deve essere un amico di Andrew il possibile colpevole, ed i suoi sospetti si appuntano su Otto. Ma l’irruzione al circo per sorprenderlo va anch’essa male, che Otto viene trovato massacrato. Non solo ma poco dopo, trovano Andrew drogato ed impiccato. Gli australiani allora si convincono che sia Evans il colpevole. Preparano quindi una trappola, inducendo Harry a convincere Brigitta a fare da esca. Ovviamente anche questa mossa fallisce, scagionando Evans, ma con la svedesina scomparsa. Harry, colpito da tutti questi avvenimenti, non può che attaccarsi di nuovo alla bottiglia (così come lo vedremo fare spesso poi nelle altre avventure della serie). Ma capisce che, se da un lato è vero che Andrew proteggeva qualcuno, non poteva che essere il pugile. Si scatena allora una lotta tra i due, dove, dopo che scopriamo i motivi delle morti (e non ve le dico), in un finale tremendo avvengono altre morti inaspettate, fino alla scena madre nell’acquario di Sydney, dove il colpevole verrà dilaniato da un predatore dei mari. Devo dire che, come prima libro della serie, in realtà è ancora debole su alcuni aspetti. Non si capisce come mai Harry ha sempre le idee giuste, ma al momento sbagliato. Inoltre, porta iella a tutti quelli che gli sono intorno, soprattutto alle donne (e sarà una costante). C’è azione, c’è una giusta dosa di suspense, ma l’ho trovato un onesto prodotto, con qualche elemento folkloristico interessante. In particolare sulle vicende dei nativi australiani. E qualche elemento geografico che ho apprezzato (Sydney e le sue bellezze come l’Opera House e l’Aquarium). Pur tuttavia, con questo solo libro, né Nesbø né Hole avrebbero fatto molta strada.
John-Henri Holmberg (a cura di) “GialloSvezia” Marsilio s.p. (regalo di Natale di Otto)
[A: 25/12/2014– I: 27/03/2015 – T: 31/03/2015] - &&
[tit. or.: A Darker Shade of Sweden; ling. or.: svedese; pagine: 375; anno 2014]
Lo sapete, sono impietoso con le operazioni di un marketing drogato. Ringrazio quindi Otto che mi da l’opportunità di stroncare un libro. Prima per il modo in cui è presentato e poi per il contenuto. Allora, parliamo di una serie di racconti di autori svedesi, con una antologia che non è mai uscita in Svezia, ma che è stata preparata per il mondo anglosassone. Quindi i 17 racconti presenti sono qui tradotti dall’inglese e non dallo svedese. È stato il curatore che li ha tradotti dallo svedese in inglese per l’edizione originale. Anche le scelte riflettono quindi la voglia di sfruttare l’onda lunga di Stieg Larsson, dopo l’uscita dei suoi libri e dopo i film da loro tratti. Riporto quindi i titoli presenti con il titolo con cui sono stati presentati nell’edizione inglese.

Rimpatriata
Reunion
Tove Alsterdal
Gli piacevano i suoi capelli
He Liked His Hair
Rolf & Cilla Börjlind
Mai nella realtà
Never in Real Life
Åke Edwardson
Nella nostra casa buia
In Our Darkened House
Inger Frimansson
L’ultima estate di Paul
Paul’s Last Summer
Eva Gabrielsson
L’anello
The Ring
Anna Jansson
Il postale
The Mail Run
Åsa Larsson
Brain power
Brain Power
Stieg Larsson
Un incontro improbabile
An Unlikely Meeting
Henning Mankell & Håkan Nesser
Un alibi per il señor Banegas
An Alibi for Señor Benagas
Magnus Montelius
Qualcosa nei suoi occhi
Something in His Eyes
Dag Öhrlund
Illumina, custodisci, reggi e governa me
Day and Night My Keeper Be
Malin Persson Giolito
Il multimilionario
The Multi-Millionaire
Sjöwall & Wahlöö
L’agenda Braun
Diary Braun
Sara Stridsberg
La vendetta della Vergine
Revenge of the Virgin
Johan Theorin
Maitreya
Maitreya
Veronica von Schenck
Troppo tardi si sveglierà il peccatore
Too Late Shall the Sinner Awaken
Katarina Wennstam

E prima di entrare nel merito dei racconti, che sono anche loro miserelli nella loro globalità, spenderei due parole sulla cosa forse migliore, anche se non è niente di eclatante. La post-fazione di Holmberg dove cerca di fare una specie di cronistoria del giallo svedese. Qui la cosa migliore non è tanto la storia in sé, che forse potrebbe essere melio narrata, ma alcune direi spigolature. Come la scoperta de “Il diario del dr. Smirnos” uscito nel 1917 per la penna di Samuel August Duse che anticipa di dieci anni le tematiche del famoso Roger Ackroyd (di cui non parlo per lasciare un po’ di … mistero). O la lesbo-killer di Maria Lang in “L’assassino non è l’unico a mentire” del 1949. Meriterebbe certo miglior spazio poi l’analisi del contesto da cui nascono negli anni Sessanta le storie di critica sociale della coppia Maj Sjöwall e Per Wahlöö. Ed altri fenomeni che portano al proliferare attuale della letteratura gialla dalla Svezia verso il resto del mondo. Veniamo allora al testo, lasciando in finale i tre esempi che fanno toccare il fondo a questo libro. Nel racconto di Inger Frimansson sappiamo già che il protagonista deve morire, e seguiamo solo il percorso che fa per arrivarci. In quello di Magnus Montelius cerchiamo di cavarcela tra i colpi di casualità che incastrano un costruttore svedese in cerca di una commessa in Sudamerica, un po’ turlupinato dal un politico honduregno. La storia più strana è quella dei coniugi Börjlind dove seguiamo I turbamenti di uno psicopatico e della sua inusuale arma per I suoi delitti. C’è una strana inversione di prospettiva in quello di Malin Peterson Giolito, dove più che il rapimento del figlio della protagonista (poi ritrovato) viene rimproverata la madre che lo perde di vista nel centro commerciale. Rabbrividiamo al freddo dei racconti di Åsa Larsson. Ma non vorrei ripercorrere tutti i racconti, ricordando solo di passaggio che, purtroppo, Eva Gabrielsson è inserita solo in quanto compagna di Stieg (ma forse è giusto visto il modo come i parenti ufficiali dello scrittore l’hanno trattata). O il poco convincente racconto di Sara Stridsberg, che si inventa il diario delle ultime ore di Eva Braun (penoso). Ma quello che più mi ha imbestialito sono le tre prove di cui dicevo prima. Di Stieg Larsson viene proposto un racconto che il nostro scrisse a 17 anni e che inviò a Holmberg in quanto questi era un redattore di fanzine fantascientifiche. Perché non si tratta di un giallo ma di una racconto di fantascienza, genere che appassionò in gioventù Stieg ma che non ha molto a che vedere con il giallo. Come non c’entra nulla il racconto di Sjöwall & Wahlöö, che ci racconta la storia di un multimilionario incontrato in una crociera. C’è la critica sociale, che caratterizzò i due, ma neanch un briciolo di possibilità di suspense. Infine c’è l’ignominiosa farsa della scrittura a quattro mani di Henning Mankell & Håkan Nesser, che fanno incontrare in una sperduta località, alla viglia di Natale, i loro commissari (Wallander e Van Veeteren, per chi non se li ricordasse). Che chiacchierano, che fanno una partita a bridge con due scrittori di gialli (indovinate un po’ chi sono questi due…) e che alla fine del racconto, vanno a dormire. Mi chiedo, e qui termino, ma che senso ha inserire tali scritture in un libro che in Italia viene lanciato come “Giallo-Svezia” o in America come “Una sfumatura più scura della Svezia”? Leggete di autori svedesi, ce ne sono di buoni, ve lo garantisco. Lasciate perdere questo libro.
Eccoci qui, alla fine di un luglio bollente, cercando di mettere un po’ d’ordine tra tutto quello che capita e che capiterà. Molti amici già in ferie, e molti ancora no. Tutti alla ricerca di itinerari e cosa da fare e da vedere.

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