Ed anche ultima trama dell’anno.
Vi lascio con l’ultima tornata di quattro letture della serie “Noir Italia” de “Il
Sole 24 Ore”, partito con belle premesse, arrivato alla fine un po’ zoppicando.
Anche solo una di queste ultime storie, la prima, è seriamente illeggibile. Le
altre si barcamenano tra l’ovvio ed il gradevole. Buona lettura e buona fine
del 2015.
Massimo Donati “Diario di spezie” Sole 24 ore – Noir Italia 35 euro
6,90
[A: 14/03/2014 – I: 10/06/2015 – T: 12/06/2015] - &
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 332;
anno 2013]
Una
delle ultime uscite dall’altrove ottima collana. Uno dei romanzi meno riusciti.
Anche perché, dall’assunto Noir Italia (e dalle premesse editoriali) ci si
aspetta un romanzo non solo di autore ma anche di ambientazione italiana. Qui
si mette invece in mezzo un ispettore Garrant, operante in Belgio, che entra
anche poco nelle operazioni clou della vicenda. Ed una vicenda che prende
l’abbrivio in Belgio e si aggira un po’ qua e là per l’Europa. Senza mai convincermi
troppo, né sulle ambientazioni né sui personaggi. La storia in sé poi è di una
linearità (oserei dire banalità, ma forse è troppo) disarmante. Da un lato
seguiamo le vicende di una strana coppia: Luca, un cuoco italiano, con vaghi
sogni di gloria per la sua professione, con un ristorante in Italia di alterno
successo, ed una moglie, amata, ma piena di idee altre, di benessere e rispettabilità
e tranquillità, che al cuoco vanno strette, e Andreas un restauratore d’opere
d’arte, ciccione, ricco e borioso. Che irretisce il cuoco in una sua personale
tela di ragno: prima lo fa invitare a Bruxelles per l’organizzazione di un
pranzo di gala, poi lo convince a seguirlo in una sua poco assennata (e forse
un po’ buttata là per fini diversi) gita attraverso l’Europa. Gli promette di
riportarlo a casa, ma la loro avventura terminerà su di una baita sperduta tra
le Alpi. Sul versante parallelo abbiamo una serie di atroci morti e/o
sparizioni infantili, principalmente avvenute in Belgio, ma poi disseminate un
po’ per tutta Europa. Una delicata inchiesta, affidata ad un team di esperti
(almeno sembrano tali) e guidata dall’ispettore Garrant. Certo, non è di grande
inventiva ambientare tali accadimenti nella terra di Marcinelle, ma tant’è. Ovviamente,
Garrant si avvicina spesso alla soluzione del problema, ma, per fretta, per
ostacoli altri (o alti) non riesce mai a portarsi verso l’ultimo passo, quello
che dovrebbe condurlo al colpevole (o ai colpevoli?). Così, dopo molti fiaschi,
viene una decisione dalle alte sfere di fermare il tutto. E qui il buon Donati
non ha altra idea che quella di ripercorrere il vecchio tema, così ben
delineato da Dürrenmatt, e spesso, maldestramente, ripreso. Garrant non si
arrende, e prosegue da solo. Perché lui sa chi sia la mente dietro tutto questo
macello. Ma non ha i mezzi per provarla. Il buon poliziotto di Dürrenmatt si
mette lì, ad aspettare che il cattivo faccia la sua mossa sbagliata. Garrant
prende la sua pistola d’ordinanza e si mette ad inseguire Luca ed Andreas,
convinto che lì sia la soluzione del grande rebus. Donati pastrocchia molto nel
suo girovagare verso una conclusione. Luca ha subito qualche trauma infantile,
Andreas è sicuramente gay, Garrant si muove decisamente male, si insinua la
giovane Juliette che avrà qualche momento di gloria nel finale. Dove si
scopriranno tutte le carte, si risolveranno tutti i misteri, i colpevoli
saranno puniti ed i buoni vinceranno. Ed invece no, si precipita verso la fine,
si spiegano brandelli di verità, e si cerca di finire il tutto in un gran
polverone e, nel peggior filone di chi vuole ma non può fino in fondo, si
infrange la regola numero 10 di S. S. Van Dine (alla fine, bisogna spiegare
tutto al lettore). Donati complica ulteriormente la vicenda inserendo un gioco
psicologico sulla mente di un personaggio, sugli abusi subiti, sul chiudere gli
occhi per non vedere. Ma tutto ciò non ha diminuito di un grammo la mia delusione
verso il romanzo, e verso la storia. Poiché si parla (anche) di cuochi e di
cucina, si dice ad un certo punto che le spezie, nella preparazione dei piatti,
se ben dosate, esaltano il sapore del cibo. Qui, al contrario, mi sembra che se
ne sia abusato un po’ troppo, tanto che il sapore ne viene ricoperto, e non rimane
molto altro piacere. Adieu, mon cher Donati.
Diana Lama “La sirena sotto le alghe” Sole 24 ore – Noir Italia 38 euro
6,90
[A: 28/03/2014 – I: 15/07/2015 – T: 17/07/2015] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 283;
anno 2008]
Con
questo, che è il terzultimo della serie, torniamo ai buoni livelli che avevano
caratterizzato l’esordio dell’esimia collana del Sole 24 ore. Dedicata ad una
delle mie passioni, il giallo – noir – thriller di autore italiano. Una trama
discretamente congeniata, con personaggi credibili, forse solo un po’ troppo
visti, ed un finale decente, anche se poteva essere migliorato. Per cui siamo
sopra la sufficienza, di certo, anche se non proprio di molto. D’altra parte,
le ultime prove erano sprofondate in abissi di illeggibilità. Certo poi non mi
sono meravigliato scoprendo che l’autrice è un’assidua frequentatrice del
genere, nonché fondatrice dell’associazione Napolinoir. Intanto siamo in una
bella zona italica, la costa sotto Vallo della Lucania, tra Acciaroli e Marina
di Casal Velino. Nella cittadina che in realtà si chiama Pioppi, e che viene
trasfigurata nella finzione in Pioppica. Cittadina di vacanze della borghesia e
della nobiltà napoletana, che sarà tra i protagonisti del romanzo. E dove c’è
la piccola stazione dei carabinieri, che vede presenti i “buoni”: il
maresciallo Simone Santomauro ed i due suoi aiutanti Pietro Gnarra e Totò Manfredi.
Diana Lama infarcisce un po’ la trama con qualche buon elemento laterale (il
rapimento del coniglio, le avventure erotiche di Pietro e qualche altro
elemento di colore) che sono gradevoli ma che lasciamo a chi vorrà dedicarsi
alla lettura. Lasciamo per tornare alla trama ed ai suoi elementi
caratterizzanti. Perché appunto c’è la massa dei morti e dei possibili colpevoli.
C’è Elena Mazzoleni, velenosa lingua locale, sempre pronta a mettere zizzania,
con il marito Pippo, architetto emergente e bello, da sempre innamorato della
Rocca di Pioppica e delle donne. C’è Regina Capece Bosco, la castellana, però
piena di debiti (soprattutto verso Elena) che mettono in pericolo la sua
proprietà e la di lei nipote, la bella e disinibita Valentina Forlenza. Quella
che si prende chi vuole, che fa l’ingegnere informatico, e che negli ultimi
tempi ha un debole per Pippo. C’è Bebè Polignani, ex-cameriera ora vedova del
notaio che l’ha lasciata ricca ma insoddisfatta. C’è Olimpia Casaburi, beghina
e bigotta, manovrata spesso da Elena per mettere zizzania laddove serve. E c’è
il suo protetto, il prete poco pretesco Lillo Lucarello. C’è Titta Sangiacomo,
pretesosi giornalista, ex scrittore di gialli con la Mazzoleni, sempre in mezzo
e sempre irritante. C’è Giorgio De Giorgio, anche lui tombeur de femme, ma che
s’innamora, realmente, della giovane Gaia D’Onofrio, minorenne, ed è per questo
messo alla gogna da Elena. C’è Gerry Buonocore, che sposa sempre delle giovani
signorine orientali, anche lui spesso colpito dagli strali della vipera
cittadina. C’è Leandro De Collis, il dottore patologo, disincantato ed antipatico,
ma che, in un momento di debolezza di Elena, ha avuto con lui una storia, breve
ma intensa. Insomma, c’è un bel mondo di cattiverie incrociate, che si comincia
a sfasciare al ritrovamento di un corpo, martoriato ed in disfacimento. Corpo riconosciuto
da Pippo come quello della moglie Elena. Da qui partono le indagini dei nostri,
che s’incartano ben presto di fronte ad un muro di difficoltà, laddove i
benpensanti fanno fronte comune. Anche quando viene ritrovato morto il bel
Samir, negro prestante che usa il proprio corpo per mettere da parte soldi per
una sua futura carriera cinematografica. Samir che aveva intuito qualcosa della
morte sotto le alghe e che lascia una bella cassetta in DVD con un reportage su
Valentina. Morirà anche Bebè, che scopre qualcosa nel tentativo di trovarsi un
sostituto al notaio morto. Finché si arriva alla catarsi finale, durante la
mitica festa paesana in onore del santo patrono (su cui ritorno sotto con una
spigolatura). I fuochi d’artificio innescano un incendio che rischia di far
bruciare la Rocca. Ma fa sì che ne venga liberata la prigioniera, che non è
Valentina, come ci si aspettava, ma Elena. Fuoco che fa morire il cattivo di
turno (e non vi dico chi è) e salva Regina dal fallimento (anche per l’aiuto
che le dà il maresciallo). Santomauro aveva, infatti, capito tutto, ma con quel
poco di ritardo che non gli consente di fermare il colpevole prima della
catarsi finale. Come detto, il finale è un po’ letto, e ce lo aspettavamo da un
po’. Anche per il vezzo, questo che le fa togliere qualche punto di gradimento,
dell’autrice che ogni tanto ci rifila frasi del tipo: se il commissario avesse
prestato attenzione a questo, avrebbe già risolto tutto. Un po’ troppo
scrittore onnisciente, se mi si consente una lettura analitica del testo. Che ovviamente
noi si era capito già quando, ad un furto di parrucche era seguita una
colluttazione in cui il maresciallo viene colpito a tradimento e riconosce solo
dei lunghi capelli neri. E non c’era bisogno di sottolineare di fare
attenzione. Ma tant’è, il libro scorre, i personaggi sono discretamente credibili,
i brigadieri simpatici. Solo il maresciallo alterna fasi positive, ad un lungo
finale inutile in cui continua a vedere e rivedere i DVD di Samir. Si poteva
tagliare. Venendo alla spigolatura che accennavo sopra per terminare la trama,
l’autrice s’inventa una rivalità tra le due frazioni di Pioppica, rispetto alle
feste patronali, vicine ed in competizione. Dedicando Pioppica Sopra a San
Cozio e Pioppica Sotto a Santa Atenaide. Purtroppo per Diana (ma era voluto spero),
la patronimica riporta che Cozio, nome di origine celtica, portato da due re
che dominarono sopra varie popolazioni "liguri", dei quali uno, il
padre, fu contemporaneo e amico di Augusto; l'altro, il figlio, morì poco prima
che Nerone riducesse il suo paese a provincia romana, e Atenaide, nome veniva
imposto in onore della dea Athena e portato nell'antichità da un’imperatrice di
Costantinopoli, non hanno nessun santo di riferimento, ed i loro onomastico si
celebra il 1° novembre. Comunque mi sono divertito anche in questa ricerca.
“Era un lettore onnivoro e bulimico, qualità
di famiglia dato che, della zia … , si favoleggiava che in mancanza di meglio
leggesse l’elenco telefonico.” (23)
Rosa Cerrato “La maman di Via del Campo” Sole 24 ore – Noir Italia 40
euro 6,90
[A: 13/04/2014 – I: 20/07/2015 – T: 22/07/2015] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 331;
anno 2007]
E
siamo al penultimo volume di questa (quasi) infinta collana. Siamo di nuovo a
Genova (e vorrei contare quanti di questi 40 volumi sono ambientati in Liguria,
grazie ai buoni uffici della Fratelli Frilli editrice). Un buon livello di
scrittura, dell’autrice, laureata in lingue e da sempre nell’ambito letterario
(e si vede). Soltanto, troppa carne a fuoco, con una ricerca di complicare
troppo la trama, di metterci elementi insoliti, e, purtroppo, di scarsa
spiegabilità. Per poi finire in un vortice di finali per oltre trenta pagine,
che non portano suspense, ma solo voglia di arrivare il prima possibile alla
fine. Che arriva, come detto, bruciando un po’ del buon arrosto fin ad allora cucinato.
L’arrosto migliore riguarda un po’ le atmosfere di Genova, la solita via del
Campo (anche se non è più quella di De André), qualche trattoria in riva al
mare, le passeggiate nei carruggi. E senz’altro la protagonista, il commissario
Nelly Rosso, con marito forse morto in circostanze dolorose, figlio di 18 anni
in attesa di maturità (siamo in luglio) e con un complicato (da gravidanze
possibili) rapporto con la sua compagna, ed un rapporto con tale Carlo di
stanza su qualche piattaforma nel mare del Nord, che si fa vivo a volte per
telefono. È simpatica, problematica, forse la figura meglio riuscita (d’altra
parte è la protagonista di altre storie della nostra scrittrice, quindi
sicuramente ci si è lavorato bene per delineare uno spazio consono). Con le sue
mise a volte ardite, a volte strampalate, le docce e l’empatia con i personaggi
ai margini. Anche con Claire, la signora del titolo, una senegalese che rimane
un po’ ai margini del racconto, ma che (questa parte è debolina) aiuta il nostro
commissario con un po’ di magia africana. La trama, invece, che ha un buon
inizio, come detto si dilunga troppo e s’incarta molto nel finale. Cominciamo
con delle prostitute (o simili) trovate morte e senza testa. Uccise a coppie,
in giorni vicini, al cambio della luna. Dati che servono a mettere un po’ di fumo
negli occhi. La squadra del commissario, con un po’ di fatica, riesce ad
identificare le vittime. Anche quando, dopo le prime signorine allegre, si
passa ad uccidere delle povere badanti sudamericane. Solo dopo un congruo
numero di pagine (quasi 200), tuttavia, si arriva a trovare un elemento comune.
Tutte le vittime, in qualche modo, hanno rapporti con un’associazione di tutela
delle persone in difficoltà, dal nome programmatico di “Mani Amiche”. Qui
troviamo un bel connubio di destini incrociati, tra il deus ex-machina
dell’associazione, don Silvano, l’avvocato della stessa, Luciano Manara, il suo
galoppino tuttofare, Giuliano Zanni, ed il profiler chiamato ad aiutare la
polizia, Alessandro Palmieri. Noi già si capisce che è là dentro che si dovrà
trovare il bandolo. E a poco a poco scopriamo che: don Silvano, Luciano ed Alessandro
erano compagni di liceo. Che Giuliano è figlio naturale non riconosciuto dello
zio di Luciano, persona volenterosa e molto problematica. Tanto da andare in
cura psicologica dall’amico del cuginastro il profiler – psicologo Alessandro.
Quest’ultimo poi ha una vagonata di problemi. Muore il padre padrone durante
una tempesta in barca. Quando se ne trova il corpo la giovane moglie (già fuori
di testa) capisce che il marito è stato ucciso, e si suicida, poco dopo aver partorito
una bambina. Alessandro è sicuramente coinvolto, anche perché potrebbe aver
avuto una relazione incestuosa con la madre e potrebbe essere il padre di
Giacinta. I due si rifugiano in America, dove muore una donna (Giacinta? La sua
amica Titta?), ed Alessandro e la sopravvissuta tornano in Europa, e vanno a
vivere in Svizzera (ah, ah). Dove hanno un figlio che muore poco dopo la
nascita per difficilmente diagnosticabili tare. Nel convulso finale, dove sta
per soccombere prima una delle assistenti del commissario, poi anche la nostra
Nelly rischia la pelle, i nodi vengono al pettine. Vengono uccisi anche don
Silvano e Luciano, restringendo sempre più i possibili colpevoli. Non vi svelo
altro delle ultime cinquanta pagine, che sono anch’esse un po’ troppo lunghe.
Con l’intervento decisivo anche della magia nera di Claire. Alla fine l’arrosto
si è un po’ bruciato, anche se io ho semplificato molto la trama, tralasciando
anche spunti interessanti (il bel Tano, la scomparsa di Flores, ed altre
marginalità), che altrimenti ci s’incartava tutti. Al fine, come detto, un
prodotto con delle potenzialità, e delle possibilità che altre storie del
commissario Rosso siano più lineari.
Marco Bettini “Polvere rossa” Sole 24 ore – Noir Italia 39 euro 6,90
[A: 04/04/2014 – I: 29/07/2015 – T: 31/07/2015] - &&&
- - -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 236;
anno 2011]
E
con questo abbiamo finito la lunghissima collana del Noir italiano edita da “Il
Sole 24 ore”. 40 volumi, con alti e bassi, molti interessanti, alcuni inutili.
Tuttavia un buon viatico per chi s’interessa al giallo, alle sue scritture, ed
anche al vagabondare di questi personaggi in giro per l’Italia. Sì, perché se
ben ricordate, non solo ci sono investigatori (pubblici o privati, poliziotti,
carabinieri, magistrati, criminologi, e chi più ne ha più ne metta) ma questi
si muovono in una serie di spaccati italiani di provincia. Come, in
quest’ultima fatica (e ci ritorneremo) in quel di Rimini. Ed è un giallo discretamente
avvincente, anche se gli do una serie di segni meno per un sotto finale non
particolarmente legato al resto. Certo, l’autore aveva l’idea di utilizzarlo
per una spiegazione più dettagliata della genesi degli avvenimenti. Ma risulta
appiccicato, quasi un corpo estraneo. Forse era meglio un colloquio a due tra il
magistrato ed il criminologo Andrea Germano, che avrebbe portato a spiegazioni
analoghe, ma all’interno dello stesso discorso. Era stato, infatti, il
magistrato che aveva chiamato il profiler per aiutare la polizia nelle indagini
sull’efferato omicidio di Isabella Sassoli, una giovane donna incinta uccisa
insieme al feto in modo truculento. Germano si cala in questa Rimini di fine
dicembre entrando presto in sintonia anche con il commissario Mazza. Dopo
alcuni momenti che servono ad introdurre l’ambiente generale, Germano comincia
a farsi un’idea del colpevole. Certo non il marito (troppo poco il tempo). Allora
si punta su di un giovane, intorno ai 35 anni, con traumi post-bellici e
conflitti con i genitori. Devo dire che l’analisi di Germano ci indovina quasi
al 70%. Indagando nei dintorni della vita di Isabella, i nostri si convincono
che l’omicidio può essere maturato nell’ambiente giudiziale. Trovano un losco
avvocato che non la racconta giusta. Ed un’altra avvocatessa in cinta. E si
mettono in allarme. Il tutto condito dalle frequentazioni di Germano con la casa
del magistrato. Dove conosciamo, oltre al magistrato, la moglie Gaia, amica di
entrambi in gioventù, il figlio Enrico un po' tenebroso e che non mi convince,
ma che è sempre fuori dai tempi dei possibili omicidi, e la figlia adottiva
Maria, salvata dalla coppia quando aveva 10 anni da un orfanotrofio in Guinea,
ed ora bella ragazza di colore (con tutti i problemi che può avere una colored
in un ambiente ristretto come Rimini. Mazza e Germano mettono sotto torchio
l’avvocato Travaso, che però si rivelerà essere soltanto un pervertito che mira
a ragazzine in giovane età e forse anche un assassino, dato che uno dei testi
chiave dell’indagine muore e pare proprio sia opera sua. Ma questo filone viene
ad un certo punto abbandonato, per seguire da vicino la seconda donna incinta.
In una sera di San Silvestro, tutti i nodi vengono al pettine. Germano, che
pedina la donna, entra in casa di lei mentre chi ha organizzato tutta la buriana
sta per commettere un nuovo omicidio. S’ingaggia una lotta furibonda, dove il
profiler sta per soccombere, ma arriva provvidenzialmente il commissario che
uccide chi deve morire, salvando Germano, l’avvocatessa, il nascituro ed il
marito di lei. E per grande cattiveria, non vi dirò chi muore, almeno questo
potete leggervelo. Ripeto soltanto la nota negativa di cui sopra. Nonché un
altro elemento che non mi ha convinto: la lunga tirata sul rapporto di Germano
con le donne, e la sua preferenza verso le escort, donne per un sesso facile,
ma di alto livello, che si possono portare a cena e con cui si parla forbito.
Non mi convince. E non aggiunge granché al personaggio, che forse preferivo solitario
ed un po' sfigato. Comunque, la scrittura prende, anche con tutte le sbavature
che ho sottolineato. Un buon prodotto, per chiudere in bellezza questa collana.
Anche con quei passaggi sulla vita di Rimini, sul mare d’inverno, sui locali ed
i ristoranti, sulle cittadine intorno o meglio sui borghi del tipo di Rivabella.
Alcuni bei ricordi di tanti anni fa che fa piacere aver ripercorso.
Vi
saluto, quindi, mentre preparo valige piene di maglioni pesanti e calzettoni di
lana, per la prossima breve trasferta udinese. Ci risentiremo il prossimo anno,
carichi al solito, di promesse, e possibilmente di tanto sole.