Cominciamo il breve viaggio verso
Natale, scusandomi del giorno di ritardo sulla solita cadenza, ma anche il
vostro scrittore ogni tanto si concede una pausa rigenerante (e campagnola).
Riprendendo però subito il percorso che ci porterà a fine anno, e con alcune
uscite di gialli classici (nel senso di autori che ormai sono nel mio
repertorio da anni). Purtroppo, la svedese Marklund attraversa un brutto
periodo di forma, tanto che i suoi gialli con la (un tempo) simpatica Annika
stanno diventando poco leggibili. Così come poco leggibile l’ormai scolpito nel
tempo Arsenio Lupin. Meglio sicuramente l’Islanda di Indridason (anche se da
tempo orfano di Erlandur) o la Melbourne di Kerry Greewood (sperando di tornare
presto in entrambe le isole).
Liza Marklund “Linea di confine” Marsilio euro 12,50 (in realtà,
scontato a 10,63 euro)
[A: 01/08/2014– I: 13/05/2015 – T: 15/05/2015] - & e ½
[tit. or.: Du gamla, du fria; ling. or.: svedese; pagine: 461;
anno 2011]
Cominciamo dal titolo, di non
facile traduzione ammetto, ma che nella versione italiana mi ha lasciato
perplesso. Qualche conoscenza svedese, e qualche ricerca, mi suggerisce che
potrebbe significare. “Sei il passato, sei libero”. Che avrebbe un senso (forse
più nel futuro che in questo romanzo stesso). Laddove “Linea di confine”
potrebbe essere quella tra passato e futuro nella vita della nostra cara
giornalista Annika. Piuttosto che il confine tra Kenya e Somalia, dove si
impantana la vita di Thomas, il marito della nostra. Ma siamo andati già un po’
oltre, facciamo un passo indietro. Che questo è il 9° romanzo(anche se solo
otto pubblicati in Italia) della scrittrice svedese incentrato sulla
giornalista di nera, involontariamente investigatrice. Romanzi che cominciai a
leggere fin dall’inizio (era il ’98) con gusto per le novità di scrittura che
portava questa nuova scrittrice. Una delle prime ad aprire la strada del
“giallo svedese contemporaneo”. Purtroppo, con l’andare del tempo, le trame si
sono fatte sempre più inconsistenti. Fino a questo che ritengo essere il suo
peggior romanzo, cui do solo quel mezzo punto in più di stima storica e niente
di più. Abbaiamo seguito Annika nei primi passi come detective nel giornale cui
scriveva e scrive. L’amore con Thomas, i due figli, poi il progressivo
allontanamento dal marito che si rivela un seduttore di bassa lega. Un
divorzio, poi, a seguito di vicende complicate (un attentato ad Annika,
l’incendio della casa, un ritrovarsi con Thomas in Spagna) un riavvicinamento.
Qui poi, in flash, scopriamo che sono passati tre anni, trascorsi dalla
famiglia Bengtzon in America, lei come corrispondente, lui come diplomatico.
Ora però sono di nuovo a Stoccolma. Anzi lei è in Svezia, mentre lui è in
missione in Africa, dove capiamo che è andato anche per seguire qualche nuova
gonna da sedurre. E mentre aspettiamo che si possa svolgere la solita trama (un
morto, un’indagine, crisi familiari ed altro) ci troviamo in uno scenario poco
consono sia alla scrittrice che al giallo. Certo, ci sono delle donne che
vengono uccise a coltellate, ma delle indagini non si occupa Annika, se non
marginalmente. Lei sostiene, senza prove certe, essere colpa di mariti o
compagni violenti (e ci potrebbe stare). Ma sono altri al giornale che se ne
occupano. Fino all’arresto di un presumibile colpevole che, non si capisce
quanto volontariamente quanto per mitomania, confessa gli omicidi. Tutto però
velato da incredulità e poca partecipazione. Dato che tutta la storia è invece
incentrata su altro. Sul fatto che Thomas, in Africa, viene rapito, insieme ai
componenti di una missione della Comunità Europea, da un gruppo di banditi
somali. Rapimento che si barcamena su di un doppio registro: l’Europa vuole
chiudere le frontiere all’immigrazione (e questo è di certo un problema reale
ed attuale) mentre i banditi somali vorrebbero un’apertura delle stesse, e sul
riscatto che i banditi stessi chiedono per la liberazione dei rapiti. Viviamo
così, a corrente alterna, tra le descrizioni degli orrori in terra d’Africa ed
i tentativi di capire come rispondere al rapimento in terra europea. Con Jimmy,
il capo di Thomas, che si installa a casa di Annika per seguire da vicino il
rapimento e le trattative. In Africa, i rapiti vengono seviziati, ridotti alla
fame, a volte turpemente uccisi per un nonnulla, ed anche, alcuni, liberati
dopo pagamenti sotto banco. In Svezia assistiamo al progressivo avvicinamento
tra Jimmy ed Annika, ed a tutta una serie di palle megagalattiche su riscatti,
ricerca di soldi, ed altre amenità da rapimento. Finché, trovato un accordo con
i rapitori, Jimmy ed Annika portano i soldi in Somalia, i rapitori saltano in
aria per una bomba messa dagli americani, e Thomas si ritrova libero, anche se
menomato. Ma tutta la storia è di una pallosità unica. Si punta un po’ sugli
orrori africani, un po’ su disquisizioni sulle frontiere aperte o chiuse, molto
su i rapporti tra Thomas ed Annika (di una volta) e su quelli tra Jimmy ed
Annika (ora). Non ci sono componenti gialle o poliziesche. Non siamo coinvolti
dalle descrizione dei patimenti africani di Thomas. Insomma, non vedevo l’ora
di arrivare alla fine di questo lungo ed inutile libro. Che può essere saltato
da chi vuole leggere qualcosa anche di rilassante, ma di ben scritto. Qui,
niente trama avvincente, niente colpi i scena che non siano visti e rivisti,
una desolazione lunga quasi cinquecento pagine.
Arnaldur Indriðason “Cielo nero” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 16/03/2014– I: 29/05/2015
– T: 31/05/2015] - &&&+
[tit. or.: Svörtuloft; ling. or.: islandese; pagine: 341; anno 2009]
Premetto
che, da quando ne comprai il primo libro (e questo è l’ottavo che leggo),
l’islandese Arnaldur non mi è mai dispiaciuto. Forse alti e bassi, qualche
svirgolata verso il difficoltosamente letto. Pur tuttavia, interessante per
quello sguardo sull’isola del Nord sempre e comunque acuto. Comincio quindi
questa trama con una lunghissima tirata d’orecchi all’editore TEA. Che, sotto
il titolo “Cielo nero”, mette il sottotitolo “Un caso dell’agente Erlendur
Sveinsson”. Ora, se fossimo in regime di controllo di marketing per le
dichiarazioni mendaci TEA prenderebbe una multa salatissima. Che Erlendur non
compare in neanche una riga delle 341 pagine, se non evocato per poche righe da
una telefonata della figlia Eva Lind, e al centro di uno scambio di battute tra
Elíngbor e Sigurður Óli. Arnaldur, invece, continua con questo romanzo ad
allargare la sfera delle nostre conoscenze interne alla squadra di Erlendur.
Dopo il precedente, tutto dedicato a Elíngbor, questo è invece incentrato e
dedicato tutto a Sigurður Óli, detto Siggi (anche se a lui il soprannome non
piace). Essendo comunque un poliziotto, seguendone la vita, veniamo alle prese
con un intricato caso poliziesco. Il cognato di un amico di Siggi sta per
essere ricattato a causa di foto prese durante uno “swing party” (cioè un party
con scambi di coppie). Si chiede a Siggi di indagare amichevolmente, e lui
trova Lina, la ricattatrice, morta. Pur se parzialmente coinvolto, comincia ad
indagare, mostrando meglio le sue qualità che fino ad ora non erano risaltate
particolarmente (tanto che lo consideravo un personaggio minore). Scava tra le
macchine parcheggiate vicino alla casa della morta (ricordo sempre quanto sia
paesotto l’Islanda), e tra quelle fuori zona, ne trova una che non ci dovrebbe
essere. Presa in prestito da uno sbandato chiamato Toggi. Che sembra coinvolto,
tanto che sparisce. Tramite le sue conoscenze tra i dropout della capitale,
viene a sapere che Toggi è un piccolo trafficante di droga, con pochi amici.
Anzi uno solo, Höddi. Il nostro comincia a pedinarlo, e scopre quindi il
rifugio di Toggi, li arresta e vengono ben presto incriminati per l’uccisione.
Ma Siggi non è convinto che sia tutto lì. Indaga sulla vita di Lina e del suo
compagno Ebbi. Scopre una gita con allegri bancari cui facevano da guida i due.
E dove un bancario morì. Si convince che sono i bancari i mandanti della morte
di Lina, e comincia a scavare nelle loro vicende. Dando modo di mettere in luce
la bolla economica che stava vivendo l’Islanda. Non a caso, poco dopo, la Banca
Centrale dichiara bancarotta, e l’Islanda si trova molto peggio della Grecia
attuale. Qui si capisce anche il titolo, che la Banca è soprannominata
nell’ambiente “Aria nera” (in islandese “Svörtuloft”), nome che è anche dato
alla zona in cui i bancari organizzano la gita, dovuta alle spesso pessime
condizioni atmosferiche. Comunque è questa parte di politica economica uno dei
punti forti della trama, ben descritta in poche righe ed anticipatrice, per noi
che già lo sappiamo, delle future difficoltà del paese. Trova il nostro che i
quattro bancari stavano speculando sui “titoli derivati”, investendo montagne
di soldi derivanti da sporchi traffici pedopornografici guidati da un bancario
lussemburghese. Motivo per cui uno dei quattro si voleva ritirare e che guarda
caso muore in quella gita. Tuttavia poco sembra collegare i bancari a Lina.
Sarà l’analisi di tabulati telefonici di Höddi che invece poteranno al vero
mandante, insospettabilmente vicino a Siggi, che a quel punto lascia tutte le
indagini per conflitto d’interesse. Il tutto intrecciato dalla storia di Dreis,
un barbone che si era incontrato qualche libro fa, che si scopre essere stato
violentato dal patrigno in gioventù, di essersi dato all’alcool, ed ora di averlo
ritrovato, poi ucciso, per poi farsi morire al cimitero, unico posto in cui si
sentiva tranquillo. Siggi cercherà per tutto il libro di salvarlo, di
rincorrerlo, di aiutarlo, senza riuscirci. Anche perché siamo coinvolti nelle
vicende personali del nostro Sigurður Óli. Capiamo come e perché si sia
lasciato da BergÞóra. Conosciamo l’inflessibile madre, cinica ed opportunista,
ora revisore di conti in una grande industria. E conosciamo il padre di Siggi,
divorziato dalla stronza quando lui era piccolo, ed ora ricoverato per un
cancro alla prostata. Ma più che altro entriamo nella solitudine del nostro
agente, che sperava in una vita diversa, che aveva vissuto un anno in America,
innamorandosi degli sport americani. Che aveva fatto un paio d’anni di legge,
per poi iscriversi alla scuola di polizia, e farla diventare la sua vita. Anche
sotto la guida, silente ed essenziale, dell’agente Erlendur, quello che non ancora
torna. Ecco, poco approfondita sul lato giallo, molto intensa sul lato vita
vissuta e quotidianità islandese. Per questo do un voto sopra la sufficienza,
anche se di poco. Aspettando di capire se Erlendur, andato nei boschi per
liberarsi del peso del fratello morto in gioventù, si decida prima o poi a
tornare.
“Non era un lettore accanito. Era già un
buon risultato se riusciva a concludere a fatica un libro all’anno. Invece
ascolta molta musica, rock classico americano e country.” (102)
Kerry Greenwood “Morte di un marito” Repubblica MondoNoir 17 euro 7,90
[A: 27/10/2014– I: 31/05/2015
– T: 02/06/2015] - &&&
[tit. or.: Fly too high; ling. or.: inglese; pagine: 189; anno 1990]
Seguendo
il grande carosello delle mie letture casualmente distribuite, eccoci ritornati
alla collana di Repubblica dedicata al giallo intorno al mondo. Qui vorrei
spendere una parola pro ed una contro questa uscita. Interessante è la scelta
della “location” come direbbero quelli del cinema: l’ambiente è Melbourne ed il
mondo australiano. Anche se collocato temporalmente negli anni Venti, cosa che
tuttavia può suscitare interesse, in quanto poco se ne sa di cosa si facesse a
quell’epoca dall’altra parte del mondo. Meno condivisibile è la scelta, che
l’esimia signora Greenwood, che tra poco compirà 61 anni, ha scritto ben 20
libri con la protagonista di questo giallo, Miss Phryne Fisher. Ed allora
perché non pubblicarne il primo, invece che il secondo? Misteri editoriali. Il
secondo mistero, piccolo, è perché quel titolo? L’originale (ripreso poi
dall’ex ergo) si riferisce alla bellissima canzone di Cole Porter (“I get a
kick out of you”) e, perché no, al fatto che alcune azioni si svolgono su dei
piccoli aeroplani. E legati agli ambienti dell’aria sono le due vicende che si
intrecciano e sulle quali indaga la spigliata Phryne. La morte di un antipatico
signorotto locale, che tiranneggia la moglie, che maltratta la figlia Amelia
non riconoscendole le virtù artistiche, e che ingaggia liti feroci con il
figlio Bill che ha aperto una non molto proficua scuola di volo. Dall’altra il
rapimento della piccola Candida, figlia di un altro aviatore che pochi mesi
prima aveva vinto una cospicua somma in una lotteria. Tutta la storia è però
incentrata appunto sulla nostra investigatrice. Piena di soldi e da poco
trasferitasi dall’Europa nel nuovo mondo, vive in albergo, ha una super
macchina (per l’epoca, e precisamente una Hispano-Suiza che costava più di una
Rolls-Royce), sa guidare gli aerei, si compra una villa, con tanto di due
aiutanti ed una segretaria. Quest’ultima da mie ricerche proviene dalla prima
puntata della serie, così come Bert e Cec i due tuttofare che aiutano Phryne
nella ricerca delle prove alle sue intuizioni. Phryne è anche una libertina
niente male, per l’epoca, visto che va a letto con almeno due uomini in questa
puntata, e probabilmente continuerà a farlo nelle altre. Ma torniamo alla
trama. Ingaggiata dalla madre di Bill per aiutarlo, visto che questi viene
incolpato dell’uccisione del padre, si scontra presto con gli ottusi
poliziotti. E va alla ricerca delle prove, che il prepotente è stato ucciso con
un colpo di pietra alla testa, cosa che contrasterebbe con una morte in seguito
ad una accesa discussione. La polizia australiana non sembra particolarmente
attenta alla ricerca di prove, visto che pensa di avere il colpevole in mano.
Sarà lei che trova una corda insanguinata, ed altre piccole prove che
porteranno ad una ricostruzione dell’incidente occorso. Erano dei bimbi,
autorizzati da Amelia a giocare in giardino, che stavano costruendo una
piramide spinti dall’onda delle coeve scoperte egiziane della tomba di Tutankhamon.
Lui li rincorre urlando, e questi fanno cadere la pietra che stavano usando per
la piramide che casualmente spacca la testa al prepotente. Cosa che ovviamente
fa poi piacere a tutti, che se ne liberano. Bill per la sua scuola di volo.
Amelia per la sua pittura e per l’amore con uno scultore italiano. La moglie
che può rifarsi una vita con un suo segreto spasimante. Ma avevamo anche
lasciato Candida in balia dei rapitori. Qui c’è la parte movimentata. Dei tre,
uno è coinvolto suo malgrado dalla moglie e da uno pseudo-amico molto fuorilegge.
Al pagamento del riscatto, Phryne si sistema sul retro della Bentley dei
rapitori (si sa che a quel tempo le macchine hanno dei pianali assai lunghi),
lascia una scia fosforescente, che è seguita dalla sua amica aviatrice con un
piccolo Fokker. Si troveranno così faccia a faccia con i banditi. Il cattivo
uccide la fedifraga, e mentre sta per sparare anche a Candida, il buono la fa
scappare, ed interviene Phryne che con un colpo di pistola micidiale (è anche
un’ottima tiratrice) disarma il cattivo. E tutto finisce in gloria. C’è un po’
di giallo nella parte della morte del prepotente. Ma tutto è giocato sulle
atmosfere e sui rapporti umani. Senza scordare alcuni tocchi sulla vita
australiana dell’epoca, tanto per non scordarsi che anche l’autrice è australiana.
Scrittura scorrevole, veramente poco impegnativa. Insomma, un gradevole
divertissement.
Maurice Leblanc “Arsène Lupin, ladro gentiluomo” Corriere della Sera
euro 6,90
[A: 03/04/2015– I: 19/06/2015 – T: 23/06/2015] - &&+
[tit. or.: Arsène Lupin,
gentleman cambrioleur; ling. or.: francese; pagine: 207; anno 2005]
Da
anni inseguivo la prima uscita in volume delle gesta di Arsenio, sperando però,
visto che l’eroe è ben francese, di riuscire a leggerne in originale. Ora,
l’esimio Corriere aveva iniziato la pubblicazione dell’opera omnia di Leblanc,
così che mi son detto, beh, che se ne legga un po’. E bene ho fatto a
cominciare qui, e poi fermarmi. Che l’opera è datata, poco convincente, e
certamente leggibile solo in funzioni filologiche. Dato che poi, codesti
scritti, son datati più di cento anni addietro. Ma non hanno la freschezza che
ancora suscitano le gesta coeve di Sherlock Holmes. Inoltre, pensavo che si
trattasse di un romanzo, che illustrasse la nascita e lo svilupparsi del
personaggio. Invece sono nove racconti, il primo dei quali esce nel 1905 con un
buon successo di pubblico. Tanto che l’autore viene incoraggiato a scriverne
ancora. Così che nel 1907 i primi nove corti episodi sono raccolti in questo
agile volume. In cui tuttavia abbiamo dei piccoli assaggi del personaggio, che
in ogni raccontino fa aumentare in noi la conoscenza delle sue attività. Anche
se, in tutti e nove, non si riesce ancora a capire come e perché sia diventato
un “ladro gentiluomo”. Tornando agli inizi, il primo racconto su Arsenio
(“L’arresto di d'Arsène Lupin”) si svolge su di una nave di ritorno in Europa,
dove un cablo avverte della presenza del ladro. Presenza confermata da un furto
di gioielli. Seguiamo anche la seduzione del bel Bernard alla simpatica Miss
Nelly. All’arrivo in porto, però, sarà l’ispettore Ganimard, da sempre sulle
tracce di Lupin, ad arrestarlo sotto le spoglie di Bernard. Ma la refurtiva,
nascosta nella borsetta di Nelly, non viene trovata. Ci sono alcuni caratteri
del futuro “grande ladro”, soprattutto la capacità di camuffarsi, tanto che
nessuno, pare, lo abbia visto come è in realtà. Quando gli viene chiesto di
proseguire la saga, Leblanc è in difficoltà, essendo Lupin in prigione. Ma si
inventa un secondo gustoso episodio (“Arsène Lupin in prigione”) dove il nostro
ladro, dalla prigione, organizza il furto di alcuni quadri dalla casa del
barone Cahorn, usando una libera uscita dalla prigione stessa, e travestendosi
da… Ganimard. Il barone lascia l’ispettore (falso) a guardia del palazzo, e
Lupin effettua il furto e torna in prigione. Ma Leblanc non può proseguire su
questa falsariga, e nel terzo episodio (“L’evasione di Arsène Lupin”) Lupin
riesce a fuggire. Prima facendo finta e poi tornando in prigione, insieme al
barbone Désiré. Poi camuffandosi da Désiré durante il processo. Così che i
giudici lo liberano. Ma non è Désiré, è invece Lupin che quindi sfugge alla
giustizia con il beneplacito della stessa. Questa concatenazione dei primi tre
episodi è senz’altro la miglior riuscita delle novelle. Poi ne abbiamo altre in
ordine sparso. Ne “Il misterioso viaggiatore” Lupin è derubato durante un
viaggio in treno, ma aiuta la polizia a smascherare il colpevole. Ne “La
collana della Regina” si narra di un antico furto attributo a Lupin, che con
destrezza, appunto, sottrae la collana alla contessa di Dreux-Soubise; solo
anni dopo, ad un pranzo presso il conte, il gentiluomo Floriani spiega come avvenne
il furto. Ed è ovvio chi sia Floriani. Qui l’edizione italiana fa poi un
guazzabuglio mescolando le successive uscite, per cui ne parlo invece
nell’ordine originale. Il successivo racconto “La cassaforte della signora
Imbert” narra infatti del primo colpo di Lupin, che, prima mette in pericolo
poi finge di salvare il signor Imbert, per farsi assumere come segretario e
rubare i titoli presenti nella cassaforte. Che però erano stati già trafugati
dalla signora. E questo rimane l’unico smacco del nostro ladro. Anche il
successivo poteva essere uno smacco, ma solo per i molti guai che procurò a
Leblanc. Il quale che volle mettere a confronto il grande ladro con il grande
detective Sherlock Holmes, cosa che fece infuriare Conan Doyle. Per cui il
racconto uscì con il titolo “Herlock Sholmes arriva troppo tardi”, dove si
narra della ricerca di un passaggio segreto per arriva ad un tesoro in un
castello, con l’inglese che potrebbe fermare il tutto, ma arriva in ritardo (o
forse no?). Nel penultimo, “La perla nera”, sembra anche qui subire una
sconfitta: entra a rubare la perla del titolo nella stanza della contessa
Andillot. Ma la trova morta e senza perla. Anni dopo, seguendo le sue elevate
risorse, trova il vero colpevole, a cui finalmente ruba la perla. Infine,
l’ultimo racconto, anch’esso assai fragile, serve a giustificare la scrittura
di Leblanc. Costui, scrittore e legato a servizi segreti, ha nascosti nella sua
casa i piani di un sottomarino micidiale. Sembra che qualcuno li voglia
sottrarre, e Leblanc, aiutato dal suo amico Jean Despry, sventa i piani dei
cattivi. Peccato che poi scopra Despry essere Lupin, che comunque ha avuto il
suo tornaconto. Ma da questa avventura nasce un forte legame tra i due e
Leblanc diviene il biografo ufficiale del ladro. Non so di altri romanzi con il
grande Lupin protagonista, ma di questa scrittura se ne può fare a meno.
Rimangono solo alcuni ricordi e rimandi. Il fatto che Leblanc si basi sulle
avventure dell’anarchico Marius Jacob (ladro per riparare i torti, suicida a 75
anni lasciante il seguente biglietto ai suoi amici “Ho vissuto. Adesso posso
morire”). Il fatto che alle prime azioni di Jacob-Lupin si ispiri un altro
anarchico di inizio secolo, quel Jules Bonnot, capo della “Banda Bonnot”, che
inoltre per alcuni mesi fece da autista privato a Londra a … Conan Doyle! Le
azioni di Lupin riprese come “sentimento” nel bellissimo film di Hitchcock
“Caccia al ladro” con Cary Grant e la stupenda Grace Kelly. Nonché, per finire,
gli indimenticati fumetti giapponesi di Arsenio Lupin III, immaginario nipote
degno del grande nonno. Queste nascite e questi rimandi sono divertenti. Lo
scritto originale ormai ha fatto il suo tempo.
E
dopo le pause di Agosto, ecco che a Settembre si sono ripresi ritmi abituali,
coronati da ben tre libri decisamente sopra la media: innanzi tutto il
bellissimo libro di Brokken dedicato ai Paesi Baltici visitati in agosto,
l’altrettanto intenso libro “tutto sardo” di Salvatore Satta e l’Australia del
Nord con la storia intrecciata delle due famiglie di Tim Winton. Un solo libro,
per fortuna, è invece da dimenticare subito, quello di Pigozzi che credo sia
ormai al capolinea delle sue uscite poliziesche di anche piccolo interesse.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Agatha Christie
|
Il ritratto di Elsa Greer
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
2
|
Jan Brokken
|
Anime Baltiche
|
Iperborea
|
19,50
|
4
|
3
|
Manuela Costantini
|
Le immagini rubate
|
Mondadori
|
4,90
|
2
|
4
|
Agatha Christie
|
Il terrore viene per posta
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
5
|
Tim Winton
|
Cloudstreet
|
Fazi editore
|
11
|
4
|
6
|
Agatha Christie
|
Verso l’ora zero
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
7
|
Filippo Bologna
|
Come ho perso la guerra
|
Fandango
|
10
|
2
|
8
|
Anthony Cartwright
|
Heartland
|
Repubblica Pallone
|
6,90
|
3
|
9
|
Salvatore Satta
|
Il giorno del giudizio
|
Adelphi
|
12
|
4
|
10
|
Osvaldo Soriano
|
Pensare con i piedi
|
Repubblica – Pallone
|
6,90
|
2
|
11
|
Georges Simenon
|
I Maigret – 3
|
Adelphi
|
s.p.
|
3
|
12
|
Paolo Roversi
|
Milano criminale
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
13
|
Stefano Pigozzi
|
Non riuscirai a salvarle tutte
|
Mondadori
|
4,90
|
1
|
14
|
Carmine Abate
|
Gli anni veloci
|
Mondadori
|
9,50
|
3
|
15
|
Agatha Christie
|
Giorno dei morti
|
Mondadori
|
s.p.
|
2
|
16
|
Agatha Christie
|
Un delitto avrà luogo
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
17
|
Annamaria Fassio
|
L’oro di Sarah
|
Mondadori
|
4,90
|
3
|
18
|
Nadia Morbelli
|
Amin, che è volato giù di sotto
|
Giunti
|
5,90
|
2
|
19
|
Agatha Christie
|
Polvere negli occhi
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
Confermiamo
quindi che l’anno nuovo si aprirà con una bella parentesi cubana, allietata da
una compagnia che si prospetta di ordine eccellentissimo. Intanto, nelle more
delle letture, comincio a leggere e preparare anche il viaggio.
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