Spero i miei assidui lettori, o
quelli che ancora restano ad attendere i miei piccoli elzeviri domenicali, non
siano troppo restii ad ammirare, come fa il sottoscritto, le belle scritture,
ovunque esse si trovino. Simenon, nella sua travolgente carriera omniletteraria,
ha scritto di tutto e su tutto. Io, tuttavia, fedele agli amori giovanili,
continuo a seguire l’evoluzione del nostro commissario, con questo terzo volume
dell’opera omnia pubblicata meritevolmente da Adelphi.
Georges Simenon “I Maigret –
volume 3” Adelphi s.p. (regalo di mamma)
[A: 13/04/2014– I: 08/09/2015 –
T: 20/09/2015] - &&&&---
[tit. or.: vedi
singoli libri; ling. or.: francese;
pagine: 719; anno 2013]
Dopo un altro congruo numero di mesi, eccoci
ora al terzo volume dell’opera omnia su Maigret, con ben cinque romanzi scritti
in cinque mesi. Notiamo che a scrittore prolifico risponde lettore prolifico. E
l’editore Fayard non è da meno, pubblicando i romanzi del commissario anche lui
con una cadenza pressoché mensile.
Titolo
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Scritto
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Uscito
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Data
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Luogo
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La balera da due soldi
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Ottobre 1931
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Scritto a bordo de
l'Ostrogoth, Ouistreham (Calvados)
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Dicembre 1931
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L’ombra cinese
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Dicembre 1931
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Scritto alla villa Les
Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
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Gennaio 1932
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Il caso Saint-Fiacre
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Gennaio 1932
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Scritto alla villa Les
Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
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Febbraio 1932
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La casa dei fiamminghi
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Gennaio – Febbraio 1932
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Scritto alla villa Les
Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
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Marzo 1932
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Il porto delle nebbie
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Ottobre 1931 – Febbraio
1932
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Iniziato a bordo de
l'Ostrogoth, Ouistreham (Calvados) e terminato alla villa Les Roches Grises,
Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
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Maggio 1932
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“La
balera da due soldi”
[tit.
or.: La guinguette à deux sous; ling. or.: francese;
pagine: 9-146 (138); anno 1931]
Dopo l’estate del 1931, Simenon, con il suo cutter,
si sposta nella regione del Calvados. Praticamente, dall’attracco sotto Parigi,
molla gli ormeggi, risale la Senna sino al mare, e si sposta poco sotto Caen. Questo,
ovviamente, non gli impedisce di continuare a scrivere con la solita velocità.
Anzi, sembra gli frutti qualche nuova idea, che mette subito in pratica per
caratterizzare meglio il suo commissario. I primi dieci scritti, infatti,
stanno delineando la figura di Maigret, che comincia ad avere alcune
caratteristiche che gli rimarranno nel tempo. Qui, ad esempio, ne vediamo
l’empatia con i criminali, ovviamente quelli che hanno seguito le vie del male
per una serie di circostanze avverse. Come il caso di Jean Lenoir, bandito ed
assassino, con un suo piccolo codice morale, ed una vita oltre le righe.
Inciso, notate la somiglianza del nome con quella del sottoscritto. Maigret va
a trovare Jean, che ha arrestato e fatto condannare, per comunicargli la
mancanza della grazia e la prossima esecuzione. Ed il bandito gli narra di un
crimine che ha seguito sei anni prima, e che è rimasto impunito. Da qui,
lasciato Lenoir al suo destino, si dipana una storia strana, che Maigret
dovrebbe andare in ferie e raggiungere la moglie in Alsazia. Invece, le parole di
Jean gli ronzano, come gli ronza la balera da due soldi dove Jean aveva
incontrato di nuovo l’assassino in libertà. Indizio vago, che casualmente si
collega ad un discorso che Maigret sente da un sarto. Segue allora l’ignaro
Marcel nella speranza di trovare la balera. Lo segue quando va con la sua
amante in un albergo. Lo segue a casa, dalla moglie e dal figlio. Lo segue
quando con loro, per il fine settimana, si sposta nella villetta in riva alla
Senna. Lo segue infine nella festa che colà si deve tenere, in una per
l’appunto balera. Che guarda caso è quella da due soldi. Qui, nelle villette in
riva alla Senna, tutti altri personaggi popolano la storia del commissario.
Borghesi, commercianti, grandi bevitori, mogli e amanti. Fa amicizia
casualmente con l’inglese James, da anni trasferitosi in Francia, e grande
bevitore di pernod. Conosce Madò, l’amante di Marcel. Conosce Feinstein, il
marito di Madò, commerciante sempre in ritardo con i pagamenti ed alla ricerca
di soldi. Maigret capisce che c’è qualcosa, ma non trova fili da qui dipanare
la matassa. Mette il fido Lucas alla ricerca di Victor, uno sbandato amico di
Jean che potrebbe sapere qualcosa. E continua a coltivare l’amicizia con James,
ed a tornare anche la settimana successiva tra le anse della Senna, dove la
vita scorre tra gite in barca, incontri di tennis e partite di bridge. Inciso,
Maigret si ritrova ad un certo punto anche a fare il quarto ad un tavolo di
bridge. Mitico! Ora però avviene il primo dramma. Si ode uno sparo, Feinstein
muore e Marcel si trova una pistola in mano. Assassinio per gelosia o altro?
Maigret comincia ad indagare, mentre Marcel fugge. E nelle indagini scopre
meglio la condotta sul filo del commerciante. E le sue frequentazioni con
Ulrich un usuraio scomparso 6 anni prima. Ulrich che si scopre era noto anche a
Marcel. Scopre anche che James aveva avuto anni prima una storia con Madò,
anche se ben presto troncata. James non era così ricco da poter mantenere
moglie ed amante, al contrario di Marcel. La storia procede molto sul filo
dell’ondivagare del commissario, che raccoglie prove a destra ed a manca, ma
l’unica cosa che realmente fa è continuare ad incontrarsi con James alle 6 del
pomeriggio e bere a lungo con lui. Comunque scopre che il morto citato da Jean
è proprio Ulrich. Ma chi era l’assassino? Le tracce convergono verso le
possibili soluzioni. Con l’abilità di Simenon di delineare meglio i caratteri.
Di James, durante le bevute. Di Feinstein, durante le indagini sui suoi ammanchi
finanziari, ripianati prima con i soldi di Ulrich, poi con delle donazioni,
grandi o piccole, degli amanti di Madò. Di Marcel, al fine ritrovato. Di
Victor, anche lui trovato ma restio a parlare. L’abilità di Maigret sarà quella
di condurre tutti ad un punto dalla crisi di nervi. Marcel ricostruisce la
morte del commerciante, dovuto in effetti ad un tragico incidente. La pistola,
in realtà, era proprio di Feinstein. Poi riunisce James, Marcel e Victor, per
trovare il modo di far uscir fuori l’assassino di Ulrich. È sicuramente uno dei
tre (cioè i due viventi ed il morto), Victor lo sa ma non lo dice. Maigret
esaspera tutti ed arriva alla verità. Quindi, finalmente, può prendere il treno
ed andare a riposarsi in Alsazia. Una storia ben congeniata. Ci sono alcuni
inseguimenti (siamo ancora negli anni Trenta), ma si sta ampliando la parte mi
verrebbe di dire psicologica delle storie, anche se per ora si tratta di
caratterizzare meglio i personaggi attori delle vicende, e trovare il modo di
far giocare a Maigret il suo ruolo di commissario attento ai dettagli. Ultimo
dato, è ancora discretamente solitario, senza i suoi fidi moschettieri a girare
per la città in cerca di prove. Come detto compare il solo Lucas, ma
marginalmente. Tuttavia, sicuramente una bella costruzione, ed una descrizione
di un mondo medio-borghese e corrotto che a Simenon ben riesce.
“L’ombra
cinese”
[tit.
or.: L’ombre chinoise; ling. or.: francese;
pagine: 147-281 (135); anno 1931]
Dopo tanto girovagare con la sua barca, dopo l’estate del ’31, Simenon
decide di recarsi nel Sud della Francia, dove trova ospitalità nella villa
detta “Les Roches Grises”, sulla corniche d’Antibes. La villa è di proprietà di
uno strano personaggio del mondo letterario francese, Henri Duvernois (il cui
vero nome era Henri-Simon Schwabacher), scrittore prolifico, anche se a detta
dei critici d’allora, un po’ superficiale. Ma di gran successo, e di grandi
conoscenze. Scriveva anche per il teatro, ha adattato cinque opere per il
cinema, era stato grande amico di Proust, poi di Apollinaire, ora di Sacha Guitry
e Mistinguett. E riceveva spesso nella sua villa di Antibes. Qui Simenon,
allora ventottenne, si trasferisce per alcuni mesi scrivendo almeno tre
romanzi. Il primo è appunta quest’ombra, che ha poco del giallo, se non per un
morto e la presenza del commissario Maigret. È in realtà un romanzo molto
d’atmosfera, cupa e triste. Una vicenda che si svolge in un palazzo che si
affaccia su Place des Vosges (ahi, quanti ricordi) e quindi neanche tanto
lontano dalla casa del commissario, che vi ricordo abita da sempre al 132 del
boulevard Richard-Lenoir (altro elemento quasi anagrammatico che me lo ha fatto
sempre sentire vicino). Un uomo, il signor Couchet viene ucciso con un colpo di
pistola. La portinaia chiama il commissario per indagare con discrezione, visto
che nel palazzo abita un diplomatico che ha appena avuto la prima figlia dalla
sua giovane moglie. Il morto è una specie di gaudente avventuriero dalla strana
vita, uno che si buttava in tutte le imprese più pazze, il più delle volte con
poco successo. Fino a rilevare una formula per la preparazione
dell’anti-emetico del dottor Riviére (io non lo conosco, ma esiste, l’ho
cercata, ed è una miscela di acido citrico e bicarbonato di potassio, se
qualcuno sa di cosa stiamo parlando). Che gli dà finalmente soldi a profusione.
Precedentemente era sposato con una signora, che, sempre in ristrettezze e con
sue manie di grandezza, vedendo Couchet perdere soldi ad ogni impresa, chiese
il divorzio per sposare l’impiegato all’Anagrafe, signor Martin. Il bello (o il
brutto, come volete) della situazione, è che i signori Martin rimangono ad
abitare nello stesso palazzo di Couchet, la signora costatando l’ascesa del
primo marito e la stasi del secondo. Una persona onesta, ma che non ha molta
spina dorsale, che preferisce fare il suo onesto percorso di vita. Ai margini
del dramma c’è l’attuale moglie di Couchet, Germaine, sposata per il suo
lignaggio ma poco presente nella vita del morto. Che si consolava con una
“signorina”, Nine Moinard, forse la più simpatica del trio. Complica il quadro
dei rapporti la presenza del figlio di primo letto di Couchet, tal Roger, uno
scapestrato capace solo di chiedere soldi al padre. Per tutto il romanzo
Maigret si aggira per il palazzo, parla con questo e con quello, dando agio a
Simenon di descrivere il modo di vivere parigino degli Anni Trenta, in quel
piccolo mondo borghese, pieno di ricordi antichi di modi di vivere, senza che
ci siano aperture verso il nuovo. Mondo che Simenon facilmente mette in mostra
in tutta la sua bruttezza. Ma l’indagine procede, e si scopre che la cassaforte
doveva contenere un’ingente somma di denaro. Che doveva essere stata rubata
prima della morte di Couchet, avendo il suo corpo bloccato la cassaforte. I
nodi vengono al pettine quando si scopre il testamento del morto che lascia
tutto alle sue tre donne, e nulla al figlio. La famiglia di Germaine, altera e
bizzosa, impugnerà lo scritto. Nine si accontenta di sapere che Couchet la
considerava (e sicuramente non avrà nulla). Roger, ricostruiti gli avvenimenti,
si getta dalla finestra dell’albergo. Era lui il ladro e assassino del padre?
Era lui che dalla casa dei Martin si poteva vedere aver commesso il fatto?
Quando a Maigret (che ovviamente ci fa capire aveva già compreso i fatti)
vengono portate banconote di migliaia di franchi trovate alla deriva della
Senna, il commissario decide di fare l’ultimo passo. Torna dai coniugi Martin,
dove la signora, rosa dall’invidia e da altre malattie, ormai ha dato fuori di
testa. Come tutti i gialli che si rispettino, sapremo tutto alla fine, che
Simenon nulla lascia al caso. Ma non è il giallo che ci ha avvinto in questa
prova scritta al sole della Costa Azzurra, ma la sua cupezza, la sua
descrizione dei tristi meccanismi intercorrenti tra persone avide e meschine.
Non un gran giallo, ma un discreto romanzo.
“Il
caso Saint-Fiacre”
[tit.
or.: L’affaire Saint-Fiacre; ling. or.: francese;
pagine: 283-422 (140); anno 1932]
Ci dev’essere qualcosa di cupo sulla Costa
Azzurra, che anche in questo secondo romanzo scritto ad Antibes, l’atmosfera
generale del romanzo è strana, così come l’ambientazione e le azioni di
Maigret. O forse, dopo 12 romanzi, Simenon aveva bisogna di far rifiatare un
poco il nostro commissario, ed anche di radicarlo meglio, di cominciare a
dargli maggior connotati. Nel precedente, infatti, ha cementato la residenza
parigina di Maigret. Qui, ci descrive brandelli dell’infanzia. Il tutto nasce
da una lettera anonima che, arrivata alla Polizia Giudiziaria, avverte di un
assassino che verrà commesso il giorno dei morti a Saint-Fiacre. Nessuno se ne
cura, se non Maigret. Perché lui, a Saint-Fiacre, c’è nato. Ora, com’è ovvio,
Saint-Fiacre è fittizio, ma ricalca la reale cittadina di Paray-le-Frésil. Dove
era un castello di proprietà della famiglia d’Estutt de Tracy, e dove Simenon,
tra i venti ed i ventuno anni, trascorse del tempo come segretario del marchese
locale. Maigret si reca quindi, solo, nella cittadina. E vi è ovviamente
sommerso di ricordi. Sono passati un bel po’ di anni (Maigret sarebbe nato nel
1887, ed ora sta sui 45, anche se Simenon non sarà mai preciso, collocandolo in
uno spazio atemporale tra i 40 ed i 60 anni), ma il nostro ritrova le
sensazioni giovanile, e ne è travolto. Il padre, Evariste, era stato intendente
del Conte di Saint-Fiacre, fino ai 17 anni del nostro, quando morì di pleurite.
La madre, Hernance, casalinga, era morta quando Jules aveva 8 anni per delle
cure maldestre del dottore locale, in seguito ad una minaccia d’aborto. E qui,
a Saint-Fiacre, Maigret ritrova altri punti del suo passato. La contessa,
trentenne all’epoca del giovane Maigret. La chiesa ove faceva il chierichetto.
La bruttina dagli occhi storti, che ora tiene l’unica locanda. E nella chiesa,
durante la messa del giorno dei morti, la contessa di Saint-Fiacre, ormai
sessantenne e dedita ad una strana vita per non lasciar passare una giovinezza
non più ritrovabile, muore. Di un colpo al cuore, decreta il medico locale. Che
Simenon, memore della giovinezza del commissario, dipinge poco attento ed un
po’ più dedito alla caccia che alla professione. Sembra tutto naturale, ed il
biglietto uno scherzo, ma Maigret non si tira indietro, annusa l’aria, scopre
la scomparsa del messale della contessa, riesce a ritrovarlo, e dentro c’è un
ritaglio di giornale, fittizio, in cui si annuncia il suicidio del giovane
marchese, del figlio Maurice. Il cuore della contessa, già malandato, non può
reggere il colpo. Un omicidio che non potrà portare a nessun arresto, a nessun
giudizio. Qualcuno ha fabbricato il ritaglio, ma si può sempre giustificare con
uno scherzo andato oltre il voluto. Tuttavia, i convenuti nel natio borgo sanno
bene che quel giornale è stato come una pistola che ha sparato un bel colpo al
cuore. Ed eccoli lì, i possibili assassini. Maurice de Saint-Fiacre, il figlio,
dissoluto e sempre a corto di denaro, aveva già spaventato mesi prima la madre
per aver dei soldi, ed ora è tornato nella cittadina bisognoso di quarantamila
franchi. Potrebbe volere la morte della madre prima che questa dissipi tutto il
patrimonio. Con Jean Métayer, prima segretario e poi amante della contessa. Un
trentenne che si diletta di linotipia (potrebbe ben aver stampato il falso
giornale) e che sta mangiandosi i soldi della vecchia. Potrebbe anche lui voler
la morte dell’anziana signora, prima che il figlio, tornado alla carica, riottenga
un ruolo in famiglia. Ci sono Gautier, l’intendente del castello, quello che ha
preso il posto del padre di Maigret, e suo figlio Emile. Il primo potrebbe
voler fermare lo scempio economico prima di perdere tutto, anche il lavoro. Ma
potrebbe anche voler nascondere il suo accaparramento dei tesori della
contessa, venduti all’asta e che potrebbe aver ricomperato a basso prezzo. In
questo coperto dal figlio Emile, sia in quanto questi è un funzionario della
banca locale, sia anche perché desideroso, lo stesso Emile, di vendicarsi di
Jean, essendo stato anche lui amante della contessa, e da Jean soppiantato
tempo prima. Infine, potrebbe essere stato il parroco stesso, integerrimo
difensore dell’onore locale, a voler fermare gli scandali che la contessa
continuare a perpetrare. La stranezza, ed anche il poco mordente che il libro
(anche se molti, invece, lo hanno col tempo rivalutato) è che appunto Maigret,
attanagliato dai ricordi, assiste un po’ impotente a tutta la vicenda. La cui
conclusione, in un’epica serata alla Maigret, viene invece guidata dal
marchese. Che invita tutti, commissario in testa, in una lugubre cena al
castello. Triste (pollo al tartufo ed insalata, veramente da mensa popolare),
ma bagnata da abbondanti vini e liquori. Maurice fa una scena madre, elencando
tutti i possibili colpevoli, lui compreso, ponendo una pistola al centro della
tavola, e scommettendo che si sarebbe trovato l’assassino della madre entro
mezzanotte. Allo scoccare dei dodici rintocchi, Emile prende la pistola e spara
a Maurice. Sembra, e forse lo è, tutto finito. manca solo un ultimo anello per
la descrizione della vicenda e la chiusura del cerchio. Far luce sulla vicenda
del messale, sul modo in cui è stato ritrovato, e sul perché. Questo sarà
l’unico apporto alla vicenda del nostro commissario, che alla fine, pensieroso
e carico di ricordi, tornerà alla sua vita tra Quai des Orfevres e boulevard
Richard-Lenoir. Come detto, il sole di Antibes non riesce a sciogliere Simenon,
che rimane legato in questi due romanzi, a temi tristi e cupi. Si spera torni
ad affiorare il Maigret più attivo, o quello, più vicino ai miei ricordi, di
Gino Cervi.
“La
casa dei fiamminghi”
[tit.
or.: Chez les flamandes; ling. or.: francese;
pagine: 423-552 (130); anno 1932]
Sono sempre più convinto che l’atmosfera di
Antibes lasci in Simenon qualche punto dolente, per cui questa terza prova, che
dovrebbe essere baciata dal sole del Sud francese, risulta più cupa e con un
problema di fondo neanche tanto piccolo. Sicuramente, la vicinanza con l’oscuro
Duvernier, cui il giovane belga guarda con ammirazione, lo porta ad imbastire
una trama che, pur nelle sue componenti gialle, lascia più spazio all’atmosfera
che al poliziesco. Intanto, la vicenda si svolge tutta nel Nord della Francia,
a Givet, cittadina delle Ardenne posta esattamente al confine tra Francia e
Belgio. In particolare, al confine con la Vallonia, e dove il vallone, insieme
al francese, è la lingua di base. In questo contesto, quindi, sono visti con
occhio storto i fiamminghi che vi abitano. E tutto ciò si cristallizza nei
fiamminghi Peeters, padre, madre e tre figli (due femmine ed un maschio) che
hanno l’ultima casa sul confine, che per di più è la drogheria meglio fornita
del paese stesso. E come tutte le drogherie che si rispettino, fornisce
acquavite a basso costo, soprattutto ai marinai che transitano con le loro
chiatte. La famiglia Peeters è amica di un cugino alsaziano della signora
Maigret, e per questo chiede aiuto al commissario al fine di sollevare lumi
sulla scomparsa e presunta morte di Germaine, una ragazza locale. Ragazza che
ha avuto un veloce flirt con il giovane Joseph Peeters, rimanendo
sfortunatamente incinta. Ragazza che scompare dopo una visita notturna alla
drogheria. Maigret, per amor di famiglia, si reca quindi sul posto, e comincia
ad annusare l’atmosfera e le situazioni. Senza prendere iniziative particolari,
visto che non ha incarichi ufficiali, lasciando nel bene e nel male, il filo
delle indagini ai poliziotti locali. Tuttavia, è lui che, passo dopo passo,
ricostruisce qualcosa. Abbiamo la signora Peeters che gestisce il negozio.
Abbiamo Anne, il suo principale aiuto. Abbiamo Maria, la sorella bruttina che
insegna e vuole farsi suora. Abbiamo Joseph che studia da avvocato. Abbiamo
Marguerite, cugina dei Peeters e petulante promessa sposa di Joseph. Abbiamo
infine Gerard, il fratello della scomparsa, che urla e strepita verso i
Peeters, anche per una vecchia storia da lui avuta con Anne, e subito finita.
Joseph appare fin da subito uno smidollato, che è combattuto tra la vita
regolare con Marguerite e l’avventura con la procace ma di poca sostanza
economica Germaine. Tutto è complicato dalla mancanza di un corpo per cui si va
avanti a suon di “maldicenze”. Questa è l’atmosfera che meglio riesce a
descrivere Simenon. Le piccole diatribe locali, gli amori fugaci, i grandi odi,
le bevute al bar del paese. Insomma, tutta quella vita di provincia che tanto
aveva avuto modo di vedere gironzolando per i canali navigabili con il suo
cutter, e che riversa mirabilmente nelle sue opere. Non ci facciamo mancare
neanche un battelliere, spesso ubriaco, che forse ha visto qualcosa, che forse
sa qualcosa, ma che non si apre con nessuno. L’astuzia di Maigret è quella di
stanare le persone con la sua aria sorniona, in special modo, fumando la sua
grossa pipa, facendo credere di sapere più di quanto sappia. Come direbbe
Poirot, fateli parlare e prima o poi vi condurranno alla verità. Frugando tra
le cose del battelliere, Maigret scopre un pesante martello. Ed in
contemporanea, nella Mosa viene ritrovato il corpo di Germaine con il cranio
sfondato. Mentre invita i poliziotti a fermare il battelliere, questi, sempre
squattrinato, trova il modo di fuggire in treno verso Bruxelles, pagandosi il
biglietto. E tutti si mettono sulle sue tracce. Non Maigret, che va dalla
famiglia Peeters, e costringe chi ha commesso il fatto ad una confessione.
Senza valore perché senza prove. Tant’è che Maigret alla fine lascia Givet e
torna a Parigi. Un anno dopo, fortuitamente, incontra Anna, ora segretaria in
un ufficio parigino. Che lo aggiorna: Joseph ha poi sposato Marguerite, ma non
riesce ad andare avanti nella professione ed anche l’unione traballa; Maria, si
è presto ammalata ed è morta di lì a poco. Il battelliere non è stato mai
ritrovato. Ecco, quello che mi ha lasciato perplesso è l’atteggiamento di
Maigret verso la giustizia. Sa chi è il colpevole, sa come si sono svolti i
fatti, ma lascia andare avanti tutti nelle loro misere vite. Certo, Simenon ci
mostra un ulteriore tratto caratteristico del commissario, la sua empatia verso
le situazioni molto borderline. Ma qui ritengo si sia passato un poco il segno.
L’assassinio non ha una reale giustificazione, e, seppur con vita grama, i
colpevoli (materiali e morali) altra punizione meritavano. Non so, non mi ha
convinto del tutto.
“Il
porto delle nebbie”
[tit. or.: Le
port des brumes; ling. or.: francese;
pagine: 553-726 (174); anno 1931-32]
Il bello di seguire l’evoluzione temporale
della scrittura che Simenon dedica al suo commissario è anche quello di vedere
un poco oltre il testo, di apprezzarne la genesi o, come in questo caso,
spiegarsi continuità e discontinuità. In effetti, Simenon comincia a scrivere
questo romanzo nell’ottobre del 1931, quando, ancora a bordo del suo cutter,
gira per i canali del Nord. E non è un caso che fa svolgere la trama nella
cittadina di Ouistreham, dove aveva ormeggiato l’Ostrogoth. Con un inizio
accattivante. Un uomo senza memoria e con un taglio in testa viene ritrovato a
Parigi. Dopo alcune ricerche si scopre essere il capitano Joris, direttore
marittimo della chiusa appunto di Ouistreham, dove vive accudito dalla ragazza
Julie. Maigret accompagna Julie ed il capitano nella cittadina, ma il giorno
dopo Joris viene trovato morto per avvelenamento. Benché Julie sia subito fuori
dai possibili colpevoli, emerge la presenza di un fratello di lei, Louis, un
po’ troppo dedito al bere, con un passato per motivi stolti in galera, e su cui
si appuntano dei possibili sospetti. Maigret rimane lì, tra il porto e la
chiusa, in un ambiente in cui Simenon ha vissuto a lungo in questi anni, e che
sa ben descrivere. I marinai, il tempo, le maree, il bar e le bevute,
soprattutto grog per scaldarsi, i ben pensanti, molti della vicina Caen (nota,
per chi non lo sapesse, per l’ottima trippa, piatto favoloso dove lo stomaco
bovino viene messo a bollire per dodici ore nel sidro), a cominciare dal
sindaco di Ouistreham e signora. Ma dopo la presentazione dei personaggi, la
descrizione dei luoghi e Maigret che si aggira pensoso, la vena si inaridisce.
Capita a tutti gli scrittori di non trovare il modo di andare avanti. Così
Simenon lascia da parte la storia, si dedica ad altro, e, come detto a più
riprese, si trasferisce ad Antibes. Pressato dalla necessità di dare romanzi al
suo editore, pensa allora di riprendere la storia di Joris, ma ecco che la cupa
atmosfera che contrasta il sole del Sud francese, porta anche qui al nostro
scrittore ad imbastire una storia molto legata a dinamiche di vita, ad interazioni
tra personaggi, specie se in qualche modo imparentati. Joris, oltre alla ferita
in testa, ha anche vestiti con residui di uova di merluzzo norvegese (tanto per
fare casino). Louis torna a Ouistreham con la sua nave, dove Maigret scopre la
presenza di un clandestino, che sicuramente ha qualcosa da nascondere, e che è
sicuramente ricco, visto che perde sul molo una stilografica d’oro. Secondo
Maigret il sindaco ha qualcosa da nascondere, anche perché sembra sia caduto
dalle scale, ma quando lo va a trovare fa il vago. Si scopre anche che la
moglie è andata improvvisamente a Parigi. Maigret riesce a parlare con il
misterioso tipo che confessa di essere norvegese. Poi, ecco una novità, Maigret
è anche coinvolto in azioni violente, viene preso, stordito, legato e lasciato
sul bagnasciuga. Non per ucciderlo, ma per permettere a Louis ed al norvegese
di allontanarsi. Ovviamente, tutto ciò fa imbufalire il nostro commissario, che
è buono e caro, ma non lasciatelo una notte al freddo. Capisce che il sindaco
ha qualcosa di strano da nascondere, scopre che Joris è più ricco di quanto
Julie pensasse, salta fuori un figlio del sindaco in collegio a Parigi, ma la
moglie è stranamente rimasta a Caen. Anzi è fuggita. Maigret sguinzaglia le
forze locali, chiama a soccorso il fido Lucas, che però trova il modo solo di
farsi sorprendere e legare al letto per una notte. Ma Maigret è uomo dalle
mille risorse. Segue in taxi la pista della moglie, che trova in una capanna
con il norvegese, che tutti chiamano Jean ma che lei chiama Raymond. E tutti
gli indizi sono su di lui: è ricco, è norvegese, è furtivo. Maigret lo arresta.
Poi torna a Caen con il sindaco e la moglie, per indagare nella sede della
compagnia marittima gestita dal sindaco. E qui, un vecchio contabile, gli svela
alcuni misteri. Jean è in effetti Raymond, un cugino del sindaco, scapestrato
in gioventù, artefice di un ammanco in base al quale il cugino gli impone di
non farsi più vedere in Francia. E mentre scopre tutto ciò, il sindaco si spara
un colpo di rivoltella alla testa. In questa cupa atmosfera, scopriamo quindi
che Raymond è il padre del figlio che il sindaco voleva suo, che il sindaco
voleva sposare la madre, per questo approfitta delle debolezze di Raymond,
ingigantendo il dolo. Raymond, in Norvegia, mette la testa a posto, e diventa
ricco. Tanto che vuole comprare una nave e tornare a Ouistreham. Il sindaco,
saputolo, lo aspetta con Joris, e nel parapiglia, parte un colpo che ferisce il
capitano. Raymond con Louis lo porta via, lo fa operare in Inghilterra, e lo fa
convalescente a Tromsø (ah, bei ricordi di capo Nord), poi tornano tutti alla
base. E quando il sindaco rivede Joris, per nascondere le sue poco pulite
azioni (ma in fondo, ed è questo il male che Antibes fa su Simenon, le
motivazioni sembrano ben misere), gli versa la stricnina nel bicchiere. Morto
il cattivello, si spera che gli altri vivano meglio. Ci sono anche alcuni altri
rivoli di storia (che non a caso è la più lunga di questo primo periodo), ma
non risollevano il porto dalle nebbie che lo hanno circondato. Una delle meno
riuscite storie di questi primi anni di Maigret, se non fosse, appunto, per lo
svelare una delle modalità di scrittura del nostro e pur sempre ottimo autore.
Siamo alla fine di un mese di febbraio dedito a
molti convivi, in cui si rinnovellano amicizie e legami, con la speranza che il
reciproco scambio continui a rinvigorire la linfa delle idee di ognuno.
Purtroppo, almeno per me, nessuna nuova sul fronte viaggi, che le Galapagos
sembrano veramente difficili da raggiungere, e le altre mete, tutte, assegnate
altrove. Noi no si demorde, e si procede, sorretti dal vostro affetto.