Torniamo ancora a gialli – neri e
thriller, oscillando tra i due americani, che hanno avuto diverse trasposizioni
cinematografiche, ed i due non anglofoni, parte della mia geografia intorno al
mondo. Sul cinema, devo dire che gli scalini mi hanno deluso come libro, mentre
ricordo il bellissimo film di Hitchcock, mentre Cain si riconferma maestro
delle sceneggiature, tanto è che invece non ho mai avuto voglia di vederne i
film. Anche sulla geografia siamo a fasi alterne. Il Mali, che tanto mi rimase,
ha un’espressione letteraria che non mi prende. La Svezia, pur nella non sempre
gradevole prosa dell’ottima Camilla, qui si rivela di un maggior livello di
leggibilità e gradevolezza.
John Buchan “The thirty-nine steps” Oxford s.p. (dalla biblioteca di
Tolemaide)
[A: 06/06/2015– I: 16/06/2015 – T: 18/06/2015] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 72;
anno 1915]
Avevo
messo questo libro tra i ricercabili, per gli accenni libropeutici e per un
vago ricordo del film di Hitchcock. Vago, che pensavo fosse un film giallo, ed
invece era d’azione. E quanta! Trovo poi il libro non in una biblioteca, bensì
negli scatoloni del trasloco della mia ampia e pur tuttavia sparsa collezione
di libri duranti i grandi lavori estivi di quest’anno che stanno portando a
traslochi e ricollocamenti di nipoti in quel di Prati. Fatta questa premessa,
il libro era presente in originale, e, girando per le strade americane, mi è
sembrato un giusto omaggio all’inglese (o all’americano). Stranezza poi scoprire
che John Buchan, I° barone di Tweedsmuir, è in realtà scozzese. Che, come ci
ricorda il titolo appena riportato, è stato un Lord inglese. Non solo, ma
questo traspare sicuramente dal testo, ha avuto un’attiva vita politica, tanto
da essere nominato nel 1935 Governatore Generale del Canada (cioè il facente
funzione del re inglese quando questo non è presente nel territorio canadese,
cioè per il 90% del tempo). E che in Canada muore accidentalmente, nel febbraio
del 1940, cadendo dalle scale a seguito di un piccolo ictus. All’ictus sarebbe
sopravvissuto, ma nella caduta batte ripetutamente la testa, e dopo 5 giorni
muore. Coincidenza strana, dal settembre precedente, cioè dall’invasione della
Cecoslovacchia da parte delle truppe naziste, Buchan stava lavorando febbrilmente
per un tentativo di soluzione della crisi, essendo un convinto pacifista, dopo
aver visto cosa successe durante la Prima Guerra Mondiale. Il romanzo è di una
complicazione incredibile, e sembra un prototipo di quelle che saranno le
avventure di James Bond, solo con meno tecnologia. E con un protagonista
capitato per caso negli avvenimenti, ma che vi si getta a capofitto come se
fossimo nel film “Tutto in una notte”. Siamo nel mese di maggio del 1914; la
guerra è alle porte in Europa, Richard Hannay il protagonista e narratore,
scozzese, torna nella sua nuova casa, un appartamento a Londra, dopo una lunga
permanenza in Rhodesia. Una notte, un suo vicino di casa, l'americano Frank
Scudder, lo ferma mentre sta tornando a casa e lo convince a farsi invitare in
casa. Una volta entrato gli racconta una strana storia su un complotto ai danni
del primo ministro greco, Karolidis che secondo Scudder, sarà ucciso di lì a
tre settimane, il 15 giugno, durante una riunione che si terrà a Londra.
Scudder gli racconta anche che, per sfuggire ai suoi nemici, ha portato nel suo
appartamento un cadavere che ha sfigurato per fare in modo che possa esser
scambiato per lui. Hannay nasconde Scudder nel proprio appartamento, ma quattro
giorni dopo Hannay torna a casa e trova Scudder morto con un coltello nel
cuore. Hannay teme che gli assassini verranno a cercarlo, ma non può chiedere
aiuto alla polizia perché è lui il più sospettabile dei due omicidi. Inoltre,
si sente in dovere di proseguire l’opera di Scudder e salvare Karolidis. La
mattina successiva Richard trova, per puro caso, il taccuino di Scudder, e si
prepara a sparire dalla circolazione: per cercare di farlo senza lasciare
tracce, convince il lattaio con una scusa a prestargli la sua divisa da lavoro
(e spesso si travestirà o convincerà qualcuno a nasconderlo). Nonostante lo
stratagemma si sente osservato, ma riesce ad arrivare in Scozia, dove la
mattina seguente legge sul giornale che la polizia lo sta cercando. Scappa, ma,
individuato, riesce a fuggire riparandosi in una locanda per la notte. Inventa
una storia per il locandiere che si convince ad aiutarlo. Durante la permanenza
presso la locanda, Hannay decritta il cifrario utilizzato nell’agenda
dell’americano. Il giorno dopo, due uomini arrivano alla locanda alla sua
ricerca, ma l'oste riesce ad ingannarli, consentendo ad Hannay di rubare la
loro auto e scappare. Sulla sua strada, Hannay riflette su ciò che ha appreso
dagli appunti di Scudder. Il vero mandante dell'omicidio è la Germania: gli
uomini che hanno ucciso Scudder, infatti, appartengono a un'organizzazione
chiamata "Pietra Nera", un gruppo di spie tedesche infiltrate in
Inghilterra con il preciso scopo di raccogliere segreti militari e di far
scoppiare la guerra. Pur avendo mezzi (automobili ed anche un aereo) e uomini
in abbondanza, sono un po’ ingenui e, benché varie volte lo scoprano, Richard,
con moltissima fortuna e un pizzico di astuzia, riesce sempre a fuggire.
Nell’ultimo inseguimento però, onde evitare una macchina, va a sbattere contro
un albero. Ma l'altro guidatore gli offre un passaggio: è Sir Harry, un onesto politico
locale, che, scoperte le esperienze di Hannay in Sudafrica, ne diventa amico e
scrive una lettera di presentazione per mettere in contatto Hannay con una
persona fidata al Ministero degli Esteri. Poco dopo, inseguito ancora dalla
polizia, finisce per rifugiarsi nel posto peggiore: un casolare occupato da un
uomo anziano. Purtroppo, l'uomo si rivela essere uno dei nemici, e con i suoi
complici blocca Hannay nella cantina. Per sua fortuna, la stanza in cui Hannay
è rinchiuso è piena di materiali per fabbricare bombe, che egli usa per uscire
dalla casa, pur tuttavia ferendosi. Dopo alcuni giorni, rimessosi dalle ferite,
Hannay riesce a tornare a Londra, dove finalmente incontra Sir Walter, il
conoscente di Sir Henry. Mentre discutono gli appunti di Scudder, Sir Walter
riceve una telefonata che lo avverte dell’assassinio di Karolidis. Sir Walter
svela ad Hannay alcuni segreti militari prima di lasciarlo tornare a casa. Ma
Hannay non sa tirarsene fuori, e, preso da un’idea improvvisa, torna di nuovo a
casa di Sir Walter, dove è in corso una riunione ad alto livello. Quando un
Ammiraglio della Marina lascia la riunione, Hannay lo riconosce come uno dei
suoi ex inseguitori in Scozia. Hannay avverte Sir Walter e gli altri funzionari
che l'uomo è un impostore e rivela il motivo del suo ritorno: la frase "i
trentanove scalini" potrebbe riferirsi al punto di sbarco in Inghilterra,
da cui la spia è in procinto di salpare. Per tutta la notte, Hannay e i capi
militari inglesi cercano di capire il significato della frase misteriosa,
ipotizzando al fine che sia una città costiera nel Kent. Dove trovano, in
effetti, una scogliera che con trentanove scalini scende in mare. Ed in mare
aperto vedono uno yacht. Fingendosi pescatori, alcuni poliziotti visitano lo
yacht e scoprono che almeno uno dei membri dell'equipaggio sembra essere
tedesco. Le altre persone ospiti della barca sono a terra impegnate in una
partita di tennis, e sembrano invece essere inglesi. Tuttavia corrispondono
alla descrizione fattagli da Scudder (un uomo senza una falange ad un dito).
Hannay, da solo, li affronta e dopo una lotta, due degli uomini vengono
catturati mentre il terzo cerca di fuggire verso lo yacht ma viene anche lui
arrestato dalla polizia. Il complotto è sventato. Il Regno Unito recupera le
carte con i segreti militari. Poche settimane dopo, l'attentato di Sarajevo
farà comunque scoppiare la prima guerra mondiale. Il tutto in meno di cento
pagine. Tanto che alla fine della lettura viene voglia di stendersi in un prato
e rifiatare. Come diceva un oscuro spettatore ad un film similare, caro Richard
guadagnerai due soldi, ma fai una vita… Comunque è stata una lettura
divertente, anche se non eccelsa, probabilmente troppo datata. Molto di più lo
fu il film del grande maestro, ancora nel suo periodo inglese, e poco dopo il
successo della prima versione de “L’uomo che sapeva troppo”.
Moussa Konaté “L’impronta della volpe” Repubblica MondoNoir 6 euro 7,90
[A: 20/08/2014– I:
22/07/2015 – T: 24/07/2015] - &+
[tit. or.: L’empreinte
du renard; ling. or.: francese; pagine: 202; anno 2006]
Si
sa che ho un’affezione ormai storica per i paesi africani e sahariani, con un
doppio battito cardiaco ogni volta che penso a Timbuctu, ed alla fortuna di
averla visitata. Ma seppur rispetto il Mali, non ho mai avuto sentimenti
positivi verso i maliani. Certo, sono i Peul quelli che mal sopporto, ma anche
i Dogon non vengono molto dopo nella mia classifica di incomprensione. Speravo
quindi che questo libro di un autore maliano mi facesse riavvicinare un poco.
Purtroppo così non è stato. E mi dispiace sia che l’autore, pur avendo scritto
diversi libri, non entri nelle mie corde, sia che lo stesso nel frattempo sia
deceduto. Era altresì una bella persona, che oltre a scrivere, era l’anima, con
Michel Le Bris del “Festival Etonnants voyageurs”. Eppur tuttavia questo libro
non riesce ad ingranare. Ci sono morti, c’è una parvenza d’inchiesta, si cerca
di rendere ad un pubblico diverso la complessità della vita in Mali. Ma il
libro scorre, senza purtroppo raggiungere i suoi obiettivi. Le tematiche sono,
quanto meno, fortemente locali. Si inizia con un duello: un giovane si “unisce”
alla fidanzata di un suo (ormai ex) amico. Per lavare l’onta, allora, anche se
contro voglia, i due devono lottare sul bordo di una falesia. Ed entrambi
perdono la vita. Il buono cascando dalla roccia. Il cattivo prima fratturandosi
anche lui delle ossa, e poi morendo inspiegabilmente nella notte. Così come
muore, allo stesso modo, un suo coetaneo, facente parte del cerchio dei giovani
Dogon rampanti: il sindaco ed i suoi 4 consiglieri più stretti. Dalla capitale
Bamako, viene inviato ad indagare il commissario Habid, eroe di altri libri
dello stesso Konaté (e forse per questo se ne da per scontato la conoscenza),
ed il suo aiutante Sosso. Ma Habid non è Dogon, bensì un Malinké, con una
cultura di stampo diverso (e più occidentalizzata, avendo il commissario
studiato in ambienti francesi). Così si rapporta con difficoltà alla cultura
locale, ne studia i contorni ma non entra (almeno inizialmente) in contatto con
i locali. Con l’andare delle pagine, anche gli altri consiglieri ed il sindaco
stesso perderanno la vita. E le analisi dei corpi troveranno le modalità di
queste morti: veleno di serpente. Dopo ripetuti scontri dialettici con i vari
anziani della cultura Dogon, e soprattutto con lo stregone locale
soprannominato il Gatto, il nostro Habid viene a capo del rebus. I giovani
rampanti avevano venduto un territorio Dogon ad una multinazionale che
intendeva costruirci un albergo di lusso. Ma gli anziani si erano opposti a
questa trattativa, in particolare perché il residence sarebbe sorto sul terreno
dell’hogon, il patriarca locale, tenutario della cultura orale dei Dogon. Crimine
da cui i giovani non potevano essere assolti. Così gli anziani riunitisi in
conclave, presenti i parenti stessi dei giovani, decidono che l’onore dei Dogon
non può essere venduto per un pugno di soldi, e danno mandato (genitori
consenzienti) al Gatto di procedere. E lui, che ammaestra i serpenti velenosi,
li utilizzerà per sterminare la banda dei venditori delle loro terre. Ma una
volta scoperta la trama, Habid, che tuttavia non ha prove materiali dei fatti,
non può far altro che un resoconto di denuncia alle autorità centrali. Le
quali, si capisce tra le righe, avevano delle connivenze proprio con i giovani,
sperando (con ragionevole certezza) di ottenere benefici dalla costruzione del
famoso albergo. Cosa farà allora la maggioranza maliana non-Dogon? Punirà i colpevoli,
o prenderà atto della volontà tribale e lascerà andare il tutto? Konaté non lo
dice, anche se noi lo intuiamo. E Konaté non dice molto neanche del duello che
aveva dato origine alla storia. Metterà soltanto in evidenza che dell’unica
ragazza che muore in tutta questa faida nessuno se ne cura. Né le autorità
centrali, né gli anziani Dogon. In tutto ciò, la volpe è la reincarnazione
dello spirito animistico verso cui hanno fede i Dogon, e che indicherà agli
anziani la strada da percorrere per ristabilire l’ordine nella falesia.
Seguendo appunto la sua impronta. Ma ripeto: non si capisce il nesso tra il
duello iniziale ed il resto, non si capisce la cultura Dogon (Konaté cerca di
spiegarne dei passi, ma non è facile, tanto che vi ricordo che l’etnologo francese
Marcel Griaule passò 15 anni presso i Dogon, prima di scrivere il fondamentale
testo “Maschere Dogon”, ponderoso e non facile libro che cerca di rendere
accessibile la cosmogonia locale), non si capiscono gli attriti tra le diverse
tribù maliane, non si capisce (bene) le modalità delle morti stesse. Insomma,
un libro che alla fine lascia l’amaro in bocca. Abbiamo visto scorrere una
trama, senza riuscire ad interagire in qualche modo, seppur solo
intellettivamente, con l’andamento del libro. Peccato.
James M. Cain “Il postino suona sempre due volte” Adelphi euro 9
[A: 03/04/2015– I: 11/08/2015
– T: 15/08/2015] - &&&+
[tit. or.: The Postman always rings twice; ling. or.: inglese; pagine: 122; anno 1934]
Confesso,
preliminarmente ed a scanso di equivoci, che non ho visto né il film con Lana
Turner e John Garfield del 1946 né quello del 1981 con Jessica Lang e Jack
Nicholson. Anche se, come tutti, se n’è sempre sentito parlare. Come si sente
parlare che questo libro avrebbe trasversalmente ispirato anche “Ossessione” di
Luchino Visconti (con Clara Calamai e Massimo Girotti). Ma io parlo di libri, e
di Cain ho letto con piacere quel bellissimo “Mildred Pierce”. Perciò, in
questa estate caliente, ho deciso di portarmelo appresso, principalmente per la
sua brevità, e quindi per la maneggevolezza dell’oggetto-libro. E nella tiepida
estate baltica mi sono immerso nella torrida vicenda di Frank e Cora. Frank,
sbandato giramondo, vivacchiando di qua e di là, si ritrova ad accettare un
lavoro da aiutante presso Nick Pappadakis, un immigrato greco che gestisce la
“taverna delle Due Querce”, insieme alla moglie Cora. Ovviamente, ed in poco
tempo. Frank e Cora diventano amanti, pensano di costruirsi una vita insieme. E
quale soluzione per avere un futuro libero davanti? Uccidere Nick senza esserne
accusati. Il tentativo però è goffo, come tutto in Cora e in Frank. Lui aspetta
in macchina che Cora dia una botta in testa a Nick che fa il bagno, così che
questo possa essere preso per annegamento dopo malore. Ma mentre si sta
svolgendo il misfatto, un poliziotto passa vicino alla Taverna guardando Frank
con aria interrogativa, e subito dopo un gatto salta sui fili della luce
scoperti, facendo saltare la corrente a tutta la zona. Cora è presa da rimorsi,
porta Nick all’ospedale, e Frank se ne va per la sua strada, tornando a fare il
vagabondo. Tuttavia a Frank manca la bella Cora. Torna, e la passione divampa
nuovamente. Ed allora, ecco che proviamo un nuovo incidente. Questa volta di
macchina, facendo ubriacare Nick, e simulando un’uscita di strada. Dove per
poco anche Frank non ci lascia le penne. Qualcuno ha visto qualcosa, ma un
astuto avvocato (ed è questa la parte migliore del libro), riesce ad imbastire
una sottile linea di difesa, che porta la corte ad assolvere i due amanti
dall’accusa di omicidio. Tuttavia, durante il processo, il loro rapporto è messo
gravemente in crisi, ci sono momenti in cui dubitano reciprocamente delle
rispettive correttezze e del rispettivo amore. Tornati alla taverna, Cora deve
andare dalla madre ammalata, e Frank (si sa che l’uomo è cacciatore, ma Frank
più che altro sembra succube della propria virilità) ha una storia con una
signorina locale. Al ritorno, pur nel continuo comportamento cane-gatto, Frank &Cora
sembrano ritrovare una prima dose di serenità. Minata però dai tentativi di
ricatto di un losco figuro. Anche questo riescono a superare. Finalmente si
sposano e Cora rimane incinta. Ci avviamo così a grandi passi verso l’epico
finale. Cora ha le doglie, Frank prende la macchina per portarla in ospedale e…
Ovviamente ha un incidente, ovviamente Cora muore, ovviamente Frank rimane
ferito. E si riaprono i giochi che sembravano chiusi. Qui, inoltre, c’è la
grande divaricazione tra libro e film, per cui non vi dirò come nel libro si evolverà
la parte finale, che è tutta da seguire. Un mega-polpettone in meno di 150
pagine. Pensavo potesse essere più lungo, come sosteneva il grande Raymond
Chandler, che, da Hollywood, aveva bollato il nostro Cain come un Proust dei
poveri. Ma, tornando al libro, quello che rimane sempre un mistero, nonostante
le spiegazioni che lo stesso Cain ha dato più volte (ed ogni volta diverse), è
il titolo. Dato che nessun postino compare mai in tutto il libro.
Personalmente, la versione cui do maggior credito è quella che fa riferimento
alla vicenda di Ruth Snyder, che nel 1927, aiutata controvoglia dall’amante
Judd, uccide il marito simulando un incidente. Ma la coppia viene smascherata,
accusata, condannata e giustiziata. Tuttavia non è questa parte cui mi riferisco,
anche se ci sono similitudini con il primo tentativo di uccidere Nick. Il
collegamento è con il postino: Ruth aveva convinto il marito a stipulare un’assicurazione
sulla vita, cambiandone poi le modalità, e convincendo altresì il postino che,
nel caso arrivasse posta per lei, doveva suonare due volte. Forse, se avesse
conosciuto il latino, poteva anche chiamarlo “Reptita non iuvant”, visto che a
forza di ripetere azioni e situazioni, invece di migliorare, le cose
peggiorano. Ripeto però che al fine, trovo leggibile e godibile lo scritto di
Cain. Trovo la sua modalità interessante, per quella fine che da un senso a
tutta la storia. E per quest’amore tra Frank e Cora, un’attrazione sessuale che
non si può frenare. Tipica dell’immagine che abbiamo dell’America degli Anni
Trenta.
Camilla Läckberg “Il bambino segreto” Marsilio euro 14 (in realtà,
scontato a 10,50 euro)
[A: 24/07/2014– I: 25/12/2015 – T: 28/12/2015] - &&&
+
[tit. or.: Tyskungen; ling. or.: svedese; pagine: 524;
anno 2007]
Anche
se non amo particolarmente Camilla, devo riconoscere che questa quinta prova
della saga di Fjällbacka mi ha convinto di più delle precedenti. Non tanto per
l’impianto giallo, che tutto sommato c’è ma non risulta centrale, quanto per la
costruzione generale della storia. Che avanza su due binari lontani ma con gli
stessi (o quasi) protagonisti. La vicenda attuale ed una storia che si svolge
sempre lì ma dal 1943 al 1945. La scrittrice riesce a padroneggiare
(discretamente, direi) le due parti narrative, riuscendo alla fine a darci una
visione svedese della seconda guerra mondiale ed uno sguardo sui rapporti umani
intercorrenti tra i freddi abitanti scandinavi (freddi almeno nella percezione
nostra da “sudisti”). Il filone principale si avvia quando la protagonista,
Erica, trova in soffitta i diari abbandonati della madre Elsy, un vestito da
neonato con del sangue ed una medaglia nazista. Porta la medaglia a Erik,
esperto del periodo e ricercatore di memorabilia dell’epoca e si mette a
leggere i diari. Poco dopo Erik viene ucciso, ma il suo corpo verrà trovato
mesi dopo: il fratello Axel, ricercatore di nazisti sfuggiti alla cattura, è in
giro per l’Europa a seguire la sua caccia alla Wiesenthal, e Erik, poco prima
di morire, aveva rotto con Viola, una sessantenne con cui si accompagnava.
Leggendo i diari della madre, Erica scopre che durante la guerra c’era stato un
profondo legame tra la madre, i due fratelli, e due altri personaggi, Frans e
Britta. Si mette a cercarli, scoprendo che Britta sta scivolando nell’Alzheimer,
accudita dall’innamoratissimo marito. Mentre Frans è rimasto l’uomo di destra
che è sempre stato, tanto da rompere con il figlio Kjell, di simpatie
democratiche. Questo sodalizio equilibrato si ruppe quando Axel viene catturato
dai nazisti norvegesi e tenuto per quasi due anni in campi di concentramento, e
quando alcuni mesi dopo compare Hans, un profugo norvegese che viene ospitato
nell’enclave di Fjällbacka. S’intrecciano rapporti, gelosie, amori palesi,
amori nascosti. Elsy s’innamora di Hans, ed alla fine della guerra fanno
l’amore. Ovviamente Elsy rimane incinta. Axel viene liberato e torna a casa,
scoprendo che Hans in realtà per alcuni mesi era stato il suo carceriere in
Norvegia. Hans che ha fatto un percorso verso la liberazione del suo passato
nazista, ma che non riesce ad esternarlo, rimane schiacciato dalla rivelazione.
Ed anche ucciso dalla furia di Erik, Axel, Britta e Frans. I quattro faranno un
patto di mutuo soccorso, ed Elsy avrà la vita sconvolta dal non ritorno di
Hans. Darà in adozione il bambino (appunto il “bambino tedesco” del titolo,
come sembra, a me che non so lo svedese, sia la traduzione di “Tyskungen”). Non
ritroverà mai più il sorriso, neanche sposandosi, ed avendo le due meravigliose
figlie: Erica, appunto, la nostra eroina, ed Anna (su cui tornerò tra poco). I
quattro sceglieranno diverse vie per dimenticare (o anche per sopravvivere con
la colpa). Erik nel ricordo, Axel nella ricerca di criminali, Frans
rivendicando la sua appartenenza al nazismo, Britta buttandosi nell’amore di
Herbert e nella vita familiare. Sarà la medaglia di Erica a fare da punto
focale. Erik cede e vuole confessare. Britta, nella demenza, lascia trapelare
qualcosa, tanto che viene uccisa. E Frans si uccide. Sapremo bene solo alla
fine tutta la storia, compreso il ritrovamento da parte di Erik del bimbo di
Elsy (che ovviamente ora è più grande di Erica), e del ricongiungimento
familiare tra tutti i discendenti di Elsy. La capacità, questa volta in buona
forma, di Camilla è anche quella di proseguire sul versante “odierno” della vicenda.
Gustiamo così i rapporti tra Erica ed il marito Patrik, poliziotto in congedo
parentale, com’è d’uso in Svezia, che riesce con difficoltà sia ad accudire la
piccola Maja, sia ad allontanarsi dall’ambiente investigativo. Vediamo l’arrivo
della bella Paula, figlia di immigrati e poliziotta, che si scopre essere sia
brava sia gay, con un rapporto di forte amore con Johanna, la quale è tra
l’altro incinta (anche qui, tanto di cappello alle leggi nordiche). Vediamo
Bertil, il capo poliziotto, inutile come detective ma finalmente umano,
innamorarsi della madre di Paula (ricambiato?) ed aiutare Johanna a partorire.
Vediamo crescere la stima e le capacità del capo in seconda Martin. Vediamo
crescere anche il rapporto di Anna, la sorella minore di Erica, con Dan,
nonostante i problemi sia con le sue due figlie sia con la figlia adolescente
di Dan. Insomma, un romanzone ben costruito, e ben maneggiato. Fa piacere,
questa volta, tornare a Fjällbacka, e magari avviarsi verso una nuova puntata
meno moscia delle precedenti. Notiamo infine di passaggio come in Svezia sia
sempre presente il timore della recrudescenza del nazismo e delle frange
estremiste (basti pensare, oltre a questo, alla saga di Stieg Larsson ed a “Il
ritorno del maestro di danza” del compianto Menkell). Un’ultima chicca finale,
ad un certo punto, per mostrare il suo assenso all’offerta di una ciambella
alla cannella, Bertil risponde “Dolly Parton dorme supina?”. Frase poco
comprensibile, se non si sapesse che Dolly Parton è una prosperosa cantante
country, che ovviamente, dato il seno, non può che dormire pancia all’aria. Ah,
ah, ah!
“Il lavoro di uno storico non si conclude
mai. Ci sono sempre … altri pezzi di realtà da scoprire.” (165)
Al solito, prima trama del mese,
e riporto delle letture del mese di novembre, non particolarmente vaste, data
la lunga “vacanza” indiana. Neanche particolarmente gustose, quasi tutte poco
sotto la media. Con l’unica eccezione (da leggere) dell’ottimo libro della
Adichie.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Pino Corrias
|
Dormiremo da vecchi
|
Chiarelettere
|
16,90
|
2
|
2
|
Ken Follett
|
Il mistero degli studi Kellerman
|
Repubblica Noir Junior
|
6,90
|
2
|
3
|
Nicola Lagioia
|
Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj
|
Minimumfax
|
8
|
3
|
4
|
Mary Frances Kennedy Fisher
|
Biografia sentimentale dell’ostrica
|
Corriere della Sera
|
7,90
|
2
|
5
|
Agatha Christie
|
Appuntamento con la paura
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
6
|
Elisabetta Bucciarelli
|
Ti voglio credere
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
7
|
Chimamanda Ngozi Adichie
|
L’ibisco viola
|
Einaudi
|
11
|
4
|
8
|
Kiran Desai
|
Hullabaloo
in the Guava Orchard
|
Faber & Faber
|
6
|
2
|
Siamo nel bel mezzo del
Carnevale, ma sembra nessuno se ne accorga. Siamo anche nel giorno genetliaco
del mio amico Emilio, di cui tutti si ricordano ed io anche qui omaggio. Si
parla di Galapagos pasquali, ma non ritengo ancora abbiano livelli congrui di
possibilità.
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