domenica 28 febbraio 2016

Maigret 3 - 28 febbraio 2016

Spero i miei assidui lettori, o quelli che ancora restano ad attendere i miei piccoli elzeviri domenicali, non siano troppo restii ad ammirare, come fa il sottoscritto, le belle scritture, ovunque esse si trovino. Simenon, nella sua travolgente carriera omniletteraria, ha scritto di tutto e su tutto. Io, tuttavia, fedele agli amori giovanili, continuo a seguire l’evoluzione del nostro commissario, con questo terzo volume dell’opera omnia pubblicata meritevolmente da Adelphi.
Georges Simenon “I Maigret – volume 3” Adelphi s.p. (regalo di mamma)
[A: 13/04/2014– I: 08/09/2015 – T: 20/09/2015] - &&&&---  
[tit. or.: vedi singoli libri; ling. or.: francese; pagine: 719; anno 2013]
Dopo un altro congruo numero di mesi, eccoci ora al terzo volume dell’opera omnia su Maigret, con ben cinque romanzi scritti in cinque mesi. Notiamo che a scrittore prolifico risponde lettore prolifico. E l’editore Fayard non è da meno, pubblicando i romanzi del commissario anche lui con una cadenza pressoché mensile.
Titolo
Scritto
Uscito
Data
Luogo
La balera da due soldi
Ottobre 1931
Scritto a bordo de l'Ostrogoth, Ouistreham (Calvados)
Dicembre 1931
L’ombra cinese
Dicembre 1931
Scritto alla villa Les Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
Gennaio 1932
Il caso Saint-Fiacre
Gennaio 1932
Scritto alla villa Les Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
Febbraio 1932
La casa dei fiamminghi
Gennaio – Febbraio 1932
Scritto alla villa Les Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
Marzo 1932
Il porto delle nebbie
Ottobre 1931 – Febbraio 1932
Iniziato a bordo de l'Ostrogoth, Ouistreham (Calvados) e terminato alla villa Les Roches Grises, Cap-d'Antibes (Alpes-Maritimes)
Maggio 1932
“La balera da due soldi”
[tit. or.: La guinguette à deux sous; ling. or.: francese; pagine: 9-146 (138); anno 1931]
Dopo l’estate del 1931, Simenon, con il suo cutter, si sposta nella regione del Calvados. Praticamente, dall’attracco sotto Parigi, molla gli ormeggi, risale la Senna sino al mare, e si sposta poco sotto Caen. Questo, ovviamente, non gli impedisce di continuare a scrivere con la solita velocità. Anzi, sembra gli frutti qualche nuova idea, che mette subito in pratica per caratterizzare meglio il suo commissario. I primi dieci scritti, infatti, stanno delineando la figura di Maigret, che comincia ad avere alcune caratteristiche che gli rimarranno nel tempo. Qui, ad esempio, ne vediamo l’empatia con i criminali, ovviamente quelli che hanno seguito le vie del male per una serie di circostanze avverse. Come il caso di Jean Lenoir, bandito ed assassino, con un suo piccolo codice morale, ed una vita oltre le righe. Inciso, notate la somiglianza del nome con quella del sottoscritto. Maigret va a trovare Jean, che ha arrestato e fatto condannare, per comunicargli la mancanza della grazia e la prossima esecuzione. Ed il bandito gli narra di un crimine che ha seguito sei anni prima, e che è rimasto impunito. Da qui, lasciato Lenoir al suo destino, si dipana una storia strana, che Maigret dovrebbe andare in ferie e raggiungere la moglie in Alsazia. Invece, le parole di Jean gli ronzano, come gli ronza la balera da due soldi dove Jean aveva incontrato di nuovo l’assassino in libertà. Indizio vago, che casualmente si collega ad un discorso che Maigret sente da un sarto. Segue allora l’ignaro Marcel nella speranza di trovare la balera. Lo segue quando va con la sua amante in un albergo. Lo segue a casa, dalla moglie e dal figlio. Lo segue quando con loro, per il fine settimana, si sposta nella villetta in riva alla Senna. Lo segue infine nella festa che colà si deve tenere, in una per l’appunto balera. Che guarda caso è quella da due soldi. Qui, nelle villette in riva alla Senna, tutti altri personaggi popolano la storia del commissario. Borghesi, commercianti, grandi bevitori, mogli e amanti. Fa amicizia casualmente con l’inglese James, da anni trasferitosi in Francia, e grande bevitore di pernod. Conosce Madò, l’amante di Marcel. Conosce Feinstein, il marito di Madò, commerciante sempre in ritardo con i pagamenti ed alla ricerca di soldi. Maigret capisce che c’è qualcosa, ma non trova fili da qui dipanare la matassa. Mette il fido Lucas alla ricerca di Victor, uno sbandato amico di Jean che potrebbe sapere qualcosa. E continua a coltivare l’amicizia con James, ed a tornare anche la settimana successiva tra le anse della Senna, dove la vita scorre tra gite in barca, incontri di tennis e partite di bridge. Inciso, Maigret si ritrova ad un certo punto anche a fare il quarto ad un tavolo di bridge. Mitico! Ora però avviene il primo dramma. Si ode uno sparo, Feinstein muore e Marcel si trova una pistola in mano. Assassinio per gelosia o altro? Maigret comincia ad indagare, mentre Marcel fugge. E nelle indagini scopre meglio la condotta sul filo del commerciante. E le sue frequentazioni con Ulrich un usuraio scomparso 6 anni prima. Ulrich che si scopre era noto anche a Marcel. Scopre anche che James aveva avuto anni prima una storia con Madò, anche se ben presto troncata. James non era così ricco da poter mantenere moglie ed amante, al contrario di Marcel. La storia procede molto sul filo dell’ondivagare del commissario, che raccoglie prove a destra ed a manca, ma l’unica cosa che realmente fa è continuare ad incontrarsi con James alle 6 del pomeriggio e bere a lungo con lui. Comunque scopre che il morto citato da Jean è proprio Ulrich. Ma chi era l’assassino? Le tracce convergono verso le possibili soluzioni. Con l’abilità di Simenon di delineare meglio i caratteri. Di James, durante le bevute. Di Feinstein, durante le indagini sui suoi ammanchi finanziari, ripianati prima con i soldi di Ulrich, poi con delle donazioni, grandi o piccole, degli amanti di Madò. Di Marcel, al fine ritrovato. Di Victor, anche lui trovato ma restio a parlare. L’abilità di Maigret sarà quella di condurre tutti ad un punto dalla crisi di nervi. Marcel ricostruisce la morte del commerciante, dovuto in effetti ad un tragico incidente. La pistola, in realtà, era proprio di Feinstein. Poi riunisce James, Marcel e Victor, per trovare il modo di far uscir fuori l’assassino di Ulrich. È sicuramente uno dei tre (cioè i due viventi ed il morto), Victor lo sa ma non lo dice. Maigret esaspera tutti ed arriva alla verità. Quindi, finalmente, può prendere il treno ed andare a riposarsi in Alsazia. Una storia ben congeniata. Ci sono alcuni inseguimenti (siamo ancora negli anni Trenta), ma si sta ampliando la parte mi verrebbe di dire psicologica delle storie, anche se per ora si tratta di caratterizzare meglio i personaggi attori delle vicende, e trovare il modo di far giocare a Maigret il suo ruolo di commissario attento ai dettagli. Ultimo dato, è ancora discretamente solitario, senza i suoi fidi moschettieri a girare per la città in cerca di prove. Come detto compare il solo Lucas, ma marginalmente. Tuttavia, sicuramente una bella costruzione, ed una descrizione di un mondo medio-borghese e corrotto che a Simenon ben riesce.
“L’ombra cinese”
[tit. or.: L’ombre chinoise; ling. or.: francese; pagine: 147-281 (135); anno 1931]
Dopo tanto girovagare con la sua barca, dopo l’estate del ’31, Simenon decide di recarsi nel Sud della Francia, dove trova ospitalità nella villa detta “Les Roches Grises”, sulla corniche d’Antibes. La villa è di proprietà di uno strano personaggio del mondo letterario francese, Henri Duvernois (il cui vero nome era Henri-Simon Schwabacher), scrittore prolifico, anche se a detta dei critici d’allora, un po’ superficiale. Ma di gran successo, e di grandi conoscenze. Scriveva anche per il teatro, ha adattato cinque opere per il cinema, era stato grande amico di Proust, poi di Apollinaire, ora di Sacha Guitry e Mistinguett. E riceveva spesso nella sua villa di Antibes. Qui Simenon, allora ventottenne, si trasferisce per alcuni mesi scrivendo almeno tre romanzi. Il primo è appunta quest’ombra, che ha poco del giallo, se non per un morto e la presenza del commissario Maigret. È in realtà un romanzo molto d’atmosfera, cupa e triste. Una vicenda che si svolge in un palazzo che si affaccia su Place des Vosges (ahi, quanti ricordi) e quindi neanche tanto lontano dalla casa del commissario, che vi ricordo abita da sempre al 132 del boulevard Richard-Lenoir (altro elemento quasi anagrammatico che me lo ha fatto sempre sentire vicino). Un uomo, il signor Couchet viene ucciso con un colpo di pistola. La portinaia chiama il commissario per indagare con discrezione, visto che nel palazzo abita un diplomatico che ha appena avuto la prima figlia dalla sua giovane moglie. Il morto è una specie di gaudente avventuriero dalla strana vita, uno che si buttava in tutte le imprese più pazze, il più delle volte con poco successo. Fino a rilevare una formula per la preparazione dell’anti-emetico del dottor Riviére (io non lo conosco, ma esiste, l’ho cercata, ed è una miscela di acido citrico e bicarbonato di potassio, se qualcuno sa di cosa stiamo parlando). Che gli dà finalmente soldi a profusione. Precedentemente era sposato con una signora, che, sempre in ristrettezze e con sue manie di grandezza, vedendo Couchet perdere soldi ad ogni impresa, chiese il divorzio per sposare l’impiegato all’Anagrafe, signor Martin. Il bello (o il brutto, come volete) della situazione, è che i signori Martin rimangono ad abitare nello stesso palazzo di Couchet, la signora costatando l’ascesa del primo marito e la stasi del secondo. Una persona onesta, ma che non ha molta spina dorsale, che preferisce fare il suo onesto percorso di vita. Ai margini del dramma c’è l’attuale moglie di Couchet, Germaine, sposata per il suo lignaggio ma poco presente nella vita del morto. Che si consolava con una “signorina”, Nine Moinard, forse la più simpatica del trio. Complica il quadro dei rapporti la presenza del figlio di primo letto di Couchet, tal Roger, uno scapestrato capace solo di chiedere soldi al padre. Per tutto il romanzo Maigret si aggira per il palazzo, parla con questo e con quello, dando agio a Simenon di descrivere il modo di vivere parigino degli Anni Trenta, in quel piccolo mondo borghese, pieno di ricordi antichi di modi di vivere, senza che ci siano aperture verso il nuovo. Mondo che Simenon facilmente mette in mostra in tutta la sua bruttezza. Ma l’indagine procede, e si scopre che la cassaforte doveva contenere un’ingente somma di denaro. Che doveva essere stata rubata prima della morte di Couchet, avendo il suo corpo bloccato la cassaforte. I nodi vengono al pettine quando si scopre il testamento del morto che lascia tutto alle sue tre donne, e nulla al figlio. La famiglia di Germaine, altera e bizzosa, impugnerà lo scritto. Nine si accontenta di sapere che Couchet la considerava (e sicuramente non avrà nulla). Roger, ricostruiti gli avvenimenti, si getta dalla finestra dell’albergo. Era lui il ladro e assassino del padre? Era lui che dalla casa dei Martin si poteva vedere aver commesso il fatto? Quando a Maigret (che ovviamente ci fa capire aveva già compreso i fatti) vengono portate banconote di migliaia di franchi trovate alla deriva della Senna, il commissario decide di fare l’ultimo passo. Torna dai coniugi Martin, dove la signora, rosa dall’invidia e da altre malattie, ormai ha dato fuori di testa. Come tutti i gialli che si rispettino, sapremo tutto alla fine, che Simenon nulla lascia al caso. Ma non è il giallo che ci ha avvinto in questa prova scritta al sole della Costa Azzurra, ma la sua cupezza, la sua descrizione dei tristi meccanismi intercorrenti tra persone avide e meschine. Non un gran giallo, ma un discreto romanzo.
“Il caso Saint-Fiacre”
[tit. or.: L’affaire Saint-Fiacre; ling. or.: francese; pagine: 283-422 (140); anno 1932]
Ci dev’essere qualcosa di cupo sulla Costa Azzurra, che anche in questo secondo romanzo scritto ad Antibes, l’atmosfera generale del romanzo è strana, così come l’ambientazione e le azioni di Maigret. O forse, dopo 12 romanzi, Simenon aveva bisogna di far rifiatare un poco il nostro commissario, ed anche di radicarlo meglio, di cominciare a dargli maggior connotati. Nel precedente, infatti, ha cementato la residenza parigina di Maigret. Qui, ci descrive brandelli dell’infanzia. Il tutto nasce da una lettera anonima che, arrivata alla Polizia Giudiziaria, avverte di un assassino che verrà commesso il giorno dei morti a Saint-Fiacre. Nessuno se ne cura, se non Maigret. Perché lui, a Saint-Fiacre, c’è nato. Ora, com’è ovvio, Saint-Fiacre è fittizio, ma ricalca la reale cittadina di Paray-le-Frésil. Dove era un castello di proprietà della famiglia d’Estutt de Tracy, e dove Simenon, tra i venti ed i ventuno anni, trascorse del tempo come segretario del marchese locale. Maigret si reca quindi, solo, nella cittadina. E vi è ovviamente sommerso di ricordi. Sono passati un bel po’ di anni (Maigret sarebbe nato nel 1887, ed ora sta sui 45, anche se Simenon non sarà mai preciso, collocandolo in uno spazio atemporale tra i 40 ed i 60 anni), ma il nostro ritrova le sensazioni giovanile, e ne è travolto. Il padre, Evariste, era stato intendente del Conte di Saint-Fiacre, fino ai 17 anni del nostro, quando morì di pleurite. La madre, Hernance, casalinga, era morta quando Jules aveva 8 anni per delle cure maldestre del dottore locale, in seguito ad una minaccia d’aborto. E qui, a Saint-Fiacre, Maigret ritrova altri punti del suo passato. La contessa, trentenne all’epoca del giovane Maigret. La chiesa ove faceva il chierichetto. La bruttina dagli occhi storti, che ora tiene l’unica locanda. E nella chiesa, durante la messa del giorno dei morti, la contessa di Saint-Fiacre, ormai sessantenne e dedita ad una strana vita per non lasciar passare una giovinezza non più ritrovabile, muore. Di un colpo al cuore, decreta il medico locale. Che Simenon, memore della giovinezza del commissario, dipinge poco attento ed un po’ più dedito alla caccia che alla professione. Sembra tutto naturale, ed il biglietto uno scherzo, ma Maigret non si tira indietro, annusa l’aria, scopre la scomparsa del messale della contessa, riesce a ritrovarlo, e dentro c’è un ritaglio di giornale, fittizio, in cui si annuncia il suicidio del giovane marchese, del figlio Maurice. Il cuore della contessa, già malandato, non può reggere il colpo. Un omicidio che non potrà portare a nessun arresto, a nessun giudizio. Qualcuno ha fabbricato il ritaglio, ma si può sempre giustificare con uno scherzo andato oltre il voluto. Tuttavia, i convenuti nel natio borgo sanno bene che quel giornale è stato come una pistola che ha sparato un bel colpo al cuore. Ed eccoli lì, i possibili assassini. Maurice de Saint-Fiacre, il figlio, dissoluto e sempre a corto di denaro, aveva già spaventato mesi prima la madre per aver dei soldi, ed ora è tornato nella cittadina bisognoso di quarantamila franchi. Potrebbe volere la morte della madre prima che questa dissipi tutto il patrimonio. Con Jean Métayer, prima segretario e poi amante della contessa. Un trentenne che si diletta di linotipia (potrebbe ben aver stampato il falso giornale) e che sta mangiandosi i soldi della vecchia. Potrebbe anche lui voler la morte dell’anziana signora, prima che il figlio, tornado alla carica, riottenga un ruolo in famiglia. Ci sono Gautier, l’intendente del castello, quello che ha preso il posto del padre di Maigret, e suo figlio Emile. Il primo potrebbe voler fermare lo scempio economico prima di perdere tutto, anche il lavoro. Ma potrebbe anche voler nascondere il suo accaparramento dei tesori della contessa, venduti all’asta e che potrebbe aver ricomperato a basso prezzo. In questo coperto dal figlio Emile, sia in quanto questi è un funzionario della banca locale, sia anche perché desideroso, lo stesso Emile, di vendicarsi di Jean, essendo stato anche lui amante della contessa, e da Jean soppiantato tempo prima. Infine, potrebbe essere stato il parroco stesso, integerrimo difensore dell’onore locale, a voler fermare gli scandali che la contessa continuare a perpetrare. La stranezza, ed anche il poco mordente che il libro (anche se molti, invece, lo hanno col tempo rivalutato) è che appunto Maigret, attanagliato dai ricordi, assiste un po’ impotente a tutta la vicenda. La cui conclusione, in un’epica serata alla Maigret, viene invece guidata dal marchese. Che invita tutti, commissario in testa, in una lugubre cena al castello. Triste (pollo al tartufo ed insalata, veramente da mensa popolare), ma bagnata da abbondanti vini e liquori. Maurice fa una scena madre, elencando tutti i possibili colpevoli, lui compreso, ponendo una pistola al centro della tavola, e scommettendo che si sarebbe trovato l’assassino della madre entro mezzanotte. Allo scoccare dei dodici rintocchi, Emile prende la pistola e spara a Maurice. Sembra, e forse lo è, tutto finito. manca solo un ultimo anello per la descrizione della vicenda e la chiusura del cerchio. Far luce sulla vicenda del messale, sul modo in cui è stato ritrovato, e sul perché. Questo sarà l’unico apporto alla vicenda del nostro commissario, che alla fine, pensieroso e carico di ricordi, tornerà alla sua vita tra Quai des Orfevres e boulevard Richard-Lenoir. Come detto, il sole di Antibes non riesce a sciogliere Simenon, che rimane legato in questi due romanzi, a temi tristi e cupi. Si spera torni ad affiorare il Maigret più attivo, o quello, più vicino ai miei ricordi, di Gino Cervi.
“La casa dei fiamminghi”
[tit. or.: Chez les flamandes; ling. or.: francese; pagine: 423-552 (130); anno 1932]
Sono sempre più convinto che l’atmosfera di Antibes lasci in Simenon qualche punto dolente, per cui questa terza prova, che dovrebbe essere baciata dal sole del Sud francese, risulta più cupa e con un problema di fondo neanche tanto piccolo. Sicuramente, la vicinanza con l’oscuro Duvernier, cui il giovane belga guarda con ammirazione, lo porta ad imbastire una trama che, pur nelle sue componenti gialle, lascia più spazio all’atmosfera che al poliziesco. Intanto, la vicenda si svolge tutta nel Nord della Francia, a Givet, cittadina delle Ardenne posta esattamente al confine tra Francia e Belgio. In particolare, al confine con la Vallonia, e dove il vallone, insieme al francese, è la lingua di base. In questo contesto, quindi, sono visti con occhio storto i fiamminghi che vi abitano. E tutto ciò si cristallizza nei fiamminghi Peeters, padre, madre e tre figli (due femmine ed un maschio) che hanno l’ultima casa sul confine, che per di più è la drogheria meglio fornita del paese stesso. E come tutte le drogherie che si rispettino, fornisce acquavite a basso costo, soprattutto ai marinai che transitano con le loro chiatte. La famiglia Peeters è amica di un cugino alsaziano della signora Maigret, e per questo chiede aiuto al commissario al fine di sollevare lumi sulla scomparsa e presunta morte di Germaine, una ragazza locale. Ragazza che ha avuto un veloce flirt con il giovane Joseph Peeters, rimanendo sfortunatamente incinta. Ragazza che scompare dopo una visita notturna alla drogheria. Maigret, per amor di famiglia, si reca quindi sul posto, e comincia ad annusare l’atmosfera e le situazioni. Senza prendere iniziative particolari, visto che non ha incarichi ufficiali, lasciando nel bene e nel male, il filo delle indagini ai poliziotti locali. Tuttavia, è lui che, passo dopo passo, ricostruisce qualcosa. Abbiamo la signora Peeters che gestisce il negozio. Abbiamo Anne, il suo principale aiuto. Abbiamo Maria, la sorella bruttina che insegna e vuole farsi suora. Abbiamo Joseph che studia da avvocato. Abbiamo Marguerite, cugina dei Peeters e petulante promessa sposa di Joseph. Abbiamo infine Gerard, il fratello della scomparsa, che urla e strepita verso i Peeters, anche per una vecchia storia da lui avuta con Anne, e subito finita. Joseph appare fin da subito uno smidollato, che è combattuto tra la vita regolare con Marguerite e l’avventura con la procace ma di poca sostanza economica Germaine. Tutto è complicato dalla mancanza di un corpo per cui si va avanti a suon di “maldicenze”. Questa è l’atmosfera che meglio riesce a descrivere Simenon. Le piccole diatribe locali, gli amori fugaci, i grandi odi, le bevute al bar del paese. Insomma, tutta quella vita di provincia che tanto aveva avuto modo di vedere gironzolando per i canali navigabili con il suo cutter, e che riversa mirabilmente nelle sue opere. Non ci facciamo mancare neanche un battelliere, spesso ubriaco, che forse ha visto qualcosa, che forse sa qualcosa, ma che non si apre con nessuno. L’astuzia di Maigret è quella di stanare le persone con la sua aria sorniona, in special modo, fumando la sua grossa pipa, facendo credere di sapere più di quanto sappia. Come direbbe Poirot, fateli parlare e prima o poi vi condurranno alla verità. Frugando tra le cose del battelliere, Maigret scopre un pesante martello. Ed in contemporanea, nella Mosa viene ritrovato il corpo di Germaine con il cranio sfondato. Mentre invita i poliziotti a fermare il battelliere, questi, sempre squattrinato, trova il modo di fuggire in treno verso Bruxelles, pagandosi il biglietto. E tutti si mettono sulle sue tracce. Non Maigret, che va dalla famiglia Peeters, e costringe chi ha commesso il fatto ad una confessione. Senza valore perché senza prove. Tant’è che Maigret alla fine lascia Givet e torna a Parigi. Un anno dopo, fortuitamente, incontra Anna, ora segretaria in un ufficio parigino. Che lo aggiorna: Joseph ha poi sposato Marguerite, ma non riesce ad andare avanti nella professione ed anche l’unione traballa; Maria, si è presto ammalata ed è morta di lì a poco. Il battelliere non è stato mai ritrovato. Ecco, quello che mi ha lasciato perplesso è l’atteggiamento di Maigret verso la giustizia. Sa chi è il colpevole, sa come si sono svolti i fatti, ma lascia andare avanti tutti nelle loro misere vite. Certo, Simenon ci mostra un ulteriore tratto caratteristico del commissario, la sua empatia verso le situazioni molto borderline. Ma qui ritengo si sia passato un poco il segno. L’assassinio non ha una reale giustificazione, e, seppur con vita grama, i colpevoli (materiali e morali) altra punizione meritavano. Non so, non mi ha convinto del tutto.
“Il porto delle nebbie”
[tit. or.: Le port des brumes; ling. or.: francese; pagine: 553-726 (174); anno 1931-32]

Il bello di seguire l’evoluzione temporale della scrittura che Simenon dedica al suo commissario è anche quello di vedere un poco oltre il testo, di apprezzarne la genesi o, come in questo caso, spiegarsi continuità e discontinuità. In effetti, Simenon comincia a scrivere questo romanzo nell’ottobre del 1931, quando, ancora a bordo del suo cutter, gira per i canali del Nord. E non è un caso che fa svolgere la trama nella cittadina di Ouistreham, dove aveva ormeggiato l’Ostrogoth. Con un inizio accattivante. Un uomo senza memoria e con un taglio in testa viene ritrovato a Parigi. Dopo alcune ricerche si scopre essere il capitano Joris, direttore marittimo della chiusa appunto di Ouistreham, dove vive accudito dalla ragazza Julie. Maigret accompagna Julie ed il capitano nella cittadina, ma il giorno dopo Joris viene trovato morto per avvelenamento. Benché Julie sia subito fuori dai possibili colpevoli, emerge la presenza di un fratello di lei, Louis, un po’ troppo dedito al bere, con un passato per motivi stolti in galera, e su cui si appuntano dei possibili sospetti. Maigret rimane lì, tra il porto e la chiusa, in un ambiente in cui Simenon ha vissuto a lungo in questi anni, e che sa ben descrivere. I marinai, il tempo, le maree, il bar e le bevute, soprattutto grog per scaldarsi, i ben pensanti, molti della vicina Caen (nota, per chi non lo sapesse, per l’ottima trippa, piatto favoloso dove lo stomaco bovino viene messo a bollire per dodici ore nel sidro), a cominciare dal sindaco di Ouistreham e signora. Ma dopo la presentazione dei personaggi, la descrizione dei luoghi e Maigret che si aggira pensoso, la vena si inaridisce. Capita a tutti gli scrittori di non trovare il modo di andare avanti. Così Simenon lascia da parte la storia, si dedica ad altro, e, come detto a più riprese, si trasferisce ad Antibes. Pressato dalla necessità di dare romanzi al suo editore, pensa allora di riprendere la storia di Joris, ma ecco che la cupa atmosfera che contrasta il sole del Sud francese, porta anche qui al nostro scrittore ad imbastire una storia molto legata a dinamiche di vita, ad interazioni tra personaggi, specie se in qualche modo imparentati. Joris, oltre alla ferita in testa, ha anche vestiti con residui di uova di merluzzo norvegese (tanto per fare casino). Louis torna a Ouistreham con la sua nave, dove Maigret scopre la presenza di un clandestino, che sicuramente ha qualcosa da nascondere, e che è sicuramente ricco, visto che perde sul molo una stilografica d’oro. Secondo Maigret il sindaco ha qualcosa da nascondere, anche perché sembra sia caduto dalle scale, ma quando lo va a trovare fa il vago. Si scopre anche che la moglie è andata improvvisamente a Parigi. Maigret riesce a parlare con il misterioso tipo che confessa di essere norvegese. Poi, ecco una novità, Maigret è anche coinvolto in azioni violente, viene preso, stordito, legato e lasciato sul bagnasciuga. Non per ucciderlo, ma per permettere a Louis ed al norvegese di allontanarsi. Ovviamente, tutto ciò fa imbufalire il nostro commissario, che è buono e caro, ma non lasciatelo una notte al freddo. Capisce che il sindaco ha qualcosa di strano da nascondere, scopre che Joris è più ricco di quanto Julie pensasse, salta fuori un figlio del sindaco in collegio a Parigi, ma la moglie è stranamente rimasta a Caen. Anzi è fuggita. Maigret sguinzaglia le forze locali, chiama a soccorso il fido Lucas, che però trova il modo solo di farsi sorprendere e legare al letto per una notte. Ma Maigret è uomo dalle mille risorse. Segue in taxi la pista della moglie, che trova in una capanna con il norvegese, che tutti chiamano Jean ma che lei chiama Raymond. E tutti gli indizi sono su di lui: è ricco, è norvegese, è furtivo. Maigret lo arresta. Poi torna a Caen con il sindaco e la moglie, per indagare nella sede della compagnia marittima gestita dal sindaco. E qui, un vecchio contabile, gli svela alcuni misteri. Jean è in effetti Raymond, un cugino del sindaco, scapestrato in gioventù, artefice di un ammanco in base al quale il cugino gli impone di non farsi più vedere in Francia. E mentre scopre tutto ciò, il sindaco si spara un colpo di rivoltella alla testa. In questa cupa atmosfera, scopriamo quindi che Raymond è il padre del figlio che il sindaco voleva suo, che il sindaco voleva sposare la madre, per questo approfitta delle debolezze di Raymond, ingigantendo il dolo. Raymond, in Norvegia, mette la testa a posto, e diventa ricco. Tanto che vuole comprare una nave e tornare a Ouistreham. Il sindaco, saputolo, lo aspetta con Joris, e nel parapiglia, parte un colpo che ferisce il capitano. Raymond con Louis lo porta via, lo fa operare in Inghilterra, e lo fa convalescente a Tromsø (ah, bei ricordi di capo Nord), poi tornano tutti alla base. E quando il sindaco rivede Joris, per nascondere le sue poco pulite azioni (ma in fondo, ed è questo il male che Antibes fa su Simenon, le motivazioni sembrano ben misere), gli versa la stricnina nel bicchiere. Morto il cattivello, si spera che gli altri vivano meglio. Ci sono anche alcuni altri rivoli di storia (che non a caso è la più lunga di questo primo periodo), ma non risollevano il porto dalle nebbie che lo hanno circondato. Una delle meno riuscite storie di questi primi anni di Maigret, se non fosse, appunto, per lo svelare una delle modalità di scrittura del nostro e pur sempre ottimo autore.
Siamo alla fine di un mese di febbraio dedito a molti convivi, in cui si rinnovellano amicizie e legami, con la speranza che il reciproco scambio continui a rinvigorire la linfa delle idee di ognuno. Purtroppo, almeno per me, nessuna nuova sul fronte viaggi, che le Galapagos sembrano veramente difficili da raggiungere, e le altre mete, tutte, assegnate altrove. Noi no si demorde, e si procede, sorretti dal vostro affetto.

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