domenica 14 febbraio 2016

La Signora del Giallo 3 - 14 febbraio 2016

In questa giornata dedicata all'amore (e buon San Valentino a tutt*), torniamo ancora una volta a rivolgere la nostra attenzione alla Signora (e Maestra) del Giallo. Altri cinque romanzi, di cui ben tre dedicati a Poirot, con valutazioni superiori alla media, e due no, con valutazioni inferiori alla media. Sarà un caso? Ribadisco fino alla noia che, contrariamente alla nostra Agatha, preferisco Poirot al resto dei suoi scritti.
Agatha Christie “Il Natale di Poirot” Corriere della Sera 21 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I: 24/08/2015 – T: 25/08/2015] - &&& +
[tit. or.: Hercule Poirot’s Christmas; ling. or.: inglese; pagine: 273; anno 1938]
Se avete letto (o ricordate) quanto ho detto per “La domatrice”, qui non possiamo che ripeterci. È un periodo che Agatha scrive molto, e la forma “Orient-Express” ha ormai preso piede. Così che la ritroviamo, e con efficacia, anche qui. Qui la complicazione è dovuta alla difficoltà di spiegare le modalità della morte del personaggio centrale, di quel Simeon Lee, donnaiolo e miliardario, ex trafficanti di diamanti in Sudafrica, patriarca di una famiglia un po’ scombiccherata, e poi super ricco tornato in quel dell’Inghilterra. Ma la situazione inziale è di pura routine “agathesca”. Descrizione della famiglia Lee (oltre al patriarca insopportabile): i coniugi Alfred e Lydia, quelli che sono rimasti per proseguire la tradizione di famiglia; i coniugi George e Magdalena, lui deputato, lei “spendacciona”, fuori di casa, ma il vecchio li foraggia sempre; i coniugi David e Hilde, lui andato via di casa alla morte della madre, e fattosi una vita da pianista, lei molto empatica, ma non ha mai conosciuto il vecchio. Poi c’è Harry, la pecora nera, andato via di casa da giovane in seguito a qualche ruberia verso il padre, e mai tornato. E Jennifer, l’unica donna, fuggita con uno spagnolo e da poco morta, lasciando la ventenne Pilar unica nipote di famiglia. Sentendo che la fine si avvicina, Simeon convoca tutti per il Natale. E tutti arrivano, anche Pilar dalla Spagna, dopo un avventuroso viaggio attraversando le zone della guerra civile ancora alle ultime battute (siamo nel ’38). E dal Sudafrica arriva anche Stephen, figlio di Eb, vecchio amico e socio di Simeon ai tempi dei diamanti. La scrittrice spende una buona metà del libro per descrivere i caratteri dei presenti, incluso il losco maggiordomo Horbury. E la vigilia di Natale, quando sono tutti in casa, e tutti ad un tiro d’occhio o di voce dagli altri, con un gran fracasso ed un urlo belluino, muore il vecchio. Ovviamente la porta della stanza è chiusa dall'interno. Ovviamente, una volta aperta, tutte le finestre sono sbarrate, a parte un filo d’aria che viene dal balconcino, ma da dove non passerebbe neanche un gatto magro. Altrettanto ovviamente, Poirot è ospite del capo della polizia locale, e con lui si precipita sulla scena del delitto, dove il sovraintendente Sugden già coordina le indagini. Anche qui, Poirot tira fuori tutta la sua baldanza, sostenendo (come al solito per il suo modo di indagare) che parlando con gli ospiti della casa riuscirà ad arrivare alla verità. E all'artefice del delitto. Assistiamo così alle felici scaramucce verbali cui tanto ci ha abituato la nostra. Aumentate da un felice scambio di opinioni tra Poirot e Sugden, sui modi, sulle possibilità, sulla ricostruzione del delitto. Altro trucco della nostra signora del giallo, quello che all'inizio sembrava essere, viene a poco a poco smontato. Non l’alibi di Alfred e Harry, rimasti in salone a litigare sul tema del figliol prodigo. Né quello di Lydia, in sala grande e vista dal cameriere. Né infine quello di Horbury, che era al cinema. Resiste anche David, nella sala da ballo al pianoforte. Ma George finisce la telefonata 10 minuti prima dell’urlo. Magdalena mente dicendo che telefonava, invece era il marito al telefono. Pilar sosteneva di stare nella sua stanza da letto, ma da lì non si sarebbe sentito l’urlo. Hilda era nelle sue stanze, ma non sarebbe potuta arrivare per prima. Infine Stephen non è stato visto da nessuno. Inoltre spariscono i diamanti dalla cassaforte, così come Simeon avrebbe detto a Sugden, ultimo ad averlo visto in vita. Poi si scopre che Stephen è solo un amico del sudafricano, che in realtà è morto due anni prima. E la sua posizione si aggrava. E si scopre che Pilar in realtà è la sua amica Conchita, essendo Pilar morta in Spagna sotto le bombe. E perché Sugden ha i baffi finti? Pilar-Conchita dice di aver voluto visitare Simeon, ma che davanti alla porta c’era Hilda. Così si nasconde tra le statue, ma raccoglie un pezzo di plastica sul luogo del delitto. Viene però vista dal colpevole, che tenterà di ucciderla. Anche Magdalena non era dove doveva essere. Nel solito finale con tutti i presenti, Poirot spiega che il trambusto è stato provocato da una fune che, tirata dalla finestra socchiusa, ha fatto cadere i mobili. E l’urlo era provocato dallo scoppio guidato di un palloncino da fiera. Scoprendo così il vero colpevole nella persona di… Piccola suspense, che anche qui, nella trama che solca i binari collaudati, Agatha mette una piccola zeppa, sempre per rendere meno consueti i suoi finali. Ricorda, in minore, il famoso caso Akroyd. Tuttavia, pur nella ripetitività e nel solco di avventure similari, le sue storie hanno il fascino della complicazione degli elementi. Hanno la bellezza dello svelamento totale dei misteri. E fa piacere seguire, a distanza a volte di giorni, a volte di mesi, cosa faranno i protagonisti usciti indenni dalla vicenda. In questi primi romanzi c’è quasi sempre Poirot come abbiamo notato. Con una capacità di soluzione che ammiro. Pavento quando si tornerà a Miss Marple, che ancora non ho inquadrato bene. Vedremo.
“- Tesoro, quanta pazienza hai avuto in tutti questi anni. Sei stata così buona con me. – E sai perché? Perché ti amo!” (272)
Agatha Christie “È troppo facile” Corriere della Sera 17 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I: 26/08/2015 – T: 28/08/2015] - && e ½
[tit. or.: Murder is Easy; ling. or.: inglese; pagine: 234; anno 1939]
Concediamoci una pausa da Poirot (e sempre in attesa di attaccare Miss Marple), con un romanzo che viene definite della serie “Sovraintendente Battle”, perché costui compare, ad un certo punto. Ma proprio alla fine, per sancire un quasi scontato finale, e senza che intervenga in tutta la storia, dove l’investigazione è condotta dal poliziotto in pensione Luke Fitzwilliam (in pensione dopo un servizio in Oriente, ma evidentemente giovane se riesce ad imbastire una storia con… beh su questo ci torniamo dopo). La scrittura della nostra ormai però si è incanalata sul binario parallelo dei suoi due eroi, e quando ne esce, i risultati non sono più esaltanti come ad inizio carriera. Questo, ad esempio, né è una tipica dimostrazione. Che potrebbe benissimo essere condotta sul filo delle avventure (almeno quelle a me note) di Miss Marple. Avvengono delle morti in una cittadina di provincia che sembrano naturali. Qualcuno però s’insospettisce, indaga, si aggira. E palando accumula indizi. Che ovviamente, non essendo né Poirot né Miss Marple lo portano a puntare l’indice accusatore verso tutt'altra parte da quella che, e si capisce ben presto, è l’accusa giusta. Tant'è “marpleiana” la scrittura che ad un certo punto, a pagina 173, Luke afferma “Solo le zie capiscono che il Tale è un disonesto perché assomiglia a un cameriere disonesto che avevano avuto in casa, e non importa se la gente di buon senso garantisce che il Tale è un’ottima persona. Le vecchie zie non sbagliano mai.” Una frase che potrebbe essere presa tale e quale da uno dei racconti di “Miss Marple e i tredici problemi”. Comunque qui non abbiamo la signora, né tanto meno il baffuto belga, con il suo format di un cattivo che muore e molti che possono averlo ucciso. Abbiamo appunto il buon Luke che incontra la vecchia Lavinia (una “zia” di cui sopra) che gli dice dei suoi sospetti verso le morti in una cittadina di provincia. Luke non è convinto, ma quando Lavinia viene investita e muore, pensa che potrebbe esserci qualcosa. Con uno stratagemma si reca nella cittadina (si finge cugino della bella Bridget che sta per andare in sposa all’arricchito Lord Whitfield) e comincia ad indagare. Molto cautamente, perché le morti della signora Horton, di Carter, del piccolo Timmy, della bella signorina Abby e del medico dr. Humbleby sembrano tutte naturali. I sospetti di Luke si appuntano prima sul sostituto del dr. Humbleby, ma questi avrebbe avuto la possibilità solo in 2 casi su 5. Poi sul losco antiquario della zona. Ma a parte la poca rassicurabilità, anche lui è coinvolgibile solo in 2 casi. A lungo s’intrattiene con la signorina Waynflete, una che sa tutto di tutti. E che è stata in gioventù fidanzata con il futuro Lord. Ma il loro amore si ruppe con la rottura del collo di un canarino. Ovviamente, anche se come detto non ne sappiamo l’età, è comunque un pensionato, seppur giovane. Allora Luke s’innamora della ventottenne Bridget. E riesce a convincerla di lasciare il redditizio fidanzamento con il Lord, per coronare il loro sogno di amore da “due cuori e una capanna”. In tutto questo, finalmente, scopriamo un filo “nero” che collega tra loro tutte le persone decedute. Sono state tutte in conflitto con il Lord. Chi lo trattava da parvenu, chi ne faceva l’imitazione, chi ricordava i suoi modi arroganti, chi rompeva tazzine del servizio buono, chi infine si opponeva alle sue opere innovative ma redditizie solo per lui. Il Lord è un delirio di egotismo: nel suo mondo esiste solo lui, le sue azioni, e la presenza degli altri serve a riconoscere la bontà della sua vita. Solo la signorina Waynflete sembra resistere al suo carisma. Nel presumibilmente concitato finale, quello in cui Battle da Londra si presenta anche lui sul posto, quando Bridget ha detto al Lord che andava via con Luke, si assiste allo svelamento dei misteri, e chi ha commesso tutti i delitti, mentre cerca di uccidere l’impotente Bridget, svela come e perché questi sono stati commessi. Non vi dirò chi è (ovviamente), ma penso l’avete capito come si capisce dal testo. Comunque Bridget si salva, e convola a giuste nozze con il buon Luke. Come avete visto, non ho dato la sufficienza a questo pur godibile scritto. Troppo sotto tono i personaggi. Troppo scontata la fine, seppur tumultuosa. Sembra uno di quei romanzi che i francesi e gli inglesi dell’Ottocento scrivevano a puntate per i giornali, più sotto la spinta della necessità economica, che per avere qualcosa da mostrare all’inclito pubblico. Vedremo che succede al ritorno di Poirot. Ed all'avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale (siamo ormai al ’39).
“Le persone di una certa età non ricordano più di essere state giovani anche loro.” (85)
“Nessun essere umano può sapere l’intera verità di un altro essere umano.” (94)
Agatha Christie “Poirot non sbaglia” Corriere della Sera 15 euro 6,90
[A: 10/11/2014– I: 26/08/2015 – T: 30/08/2015] - &&& e ½
[tit. or.: One, two, buckle my shoe; ling. or.: inglese; pagine: 214; anno 1940]
Fortunatamente, siamo subito tornati a leggere di Poirot, con un romanzo che introduce, e con maestria, elementi nuovi. Si sente che stiamo avvicinandoci alla guerra, e, latentemente, ne vengono introdotti elementi. Qualche dose di spionaggio, inclusa una capatina nei Servizi Segreti. Qualche elemento nazionalista, come un attentato tentato (scusate il bisticcio) da un indù. Qualche critica, e molta propaganda, intorno ai temi economici. Ma questi sono soltanto alcuni elementi, molti dei quali più atti a gettare fumo negli occhi al disattento lettore. L’elemento innovativo che ci troviamo di fronte non ad uno ma a tre delitti. Apparentemente inspiegabili. Apparentemente non collegati tra loro. E non abbiamo un numero delimitato di sospettabili. All'inizio potrebbero essere tanti. Certo poi si restringono ad un numero gestibile nelle elucubrazioni del nostro investigatore, che qui, non avendo un alter-ego narrante, a volte è costretto ad intavolare disquisizioni anche con George, il suo cameriere personale. Tutta nasce da una seduta dal dentista, cui deve partecipare il magnate Blunt, spesso preso di mira per le sue idee conservatrici (leggete quanto sopra sull'avvicinarsi della guerra). Dentista dove si reca anche Poirot. E dove si ritrovano Ambrotis un faccendiere greco di ritorno dall'India, Mabelle, una signora di media borghesia, anch'essa reduce dall'India e dedita ad opere filantropiche, un impetuoso americano di idee finto-rivoluzionarie, un ex-funzionario del Ministero degli Esteri, un giovanotto scapestrato fidanzato della segretaria del dottore. Non ci si trova invece la fidanzata di cui sopra, allontanata con un falso telegramma. Poco dopo, in sequenza, muore il dentista per un colpo di pistola alla testa, poi muore Ambrotis per un eccesso di anestetico a lento rilascio. E Mabelle scompare. Indizi contrastanti, portano polizia e magistratura a chiudere la prima inchiesta, decretando che il dentista si è suicidato in seguito all'errore nel dosaggio dell’anestetico. Ovviamente, una soluzione che non convince Poirot. Che viene coinvolto dalla famiglia Blunt, vuoi per dritto vuoi per storto, a cercare la verità. Ed a cercare Mabelle che non si trova. La quale Mabelle, secondo la nipote di Blunt, li aveva avvicinati pochi giorni prima, sempre dal dentista, dicendo di aver conosciuto la moglie di Blunt. La quale era ricchissima, capitano d’industria, ed aveva trasmesso al più giovane marito Blunt la passione e le capacità. Tanto da farne un ricco banchiere e finanziere. Poirot è travolto anche lui da indizi contrastanti. E sempre più in difficoltà quando scopre che l’americano è in via di fidanzamento con la suddetta nipote, quando si ritrova una donna morta che si suppone sia Mabelle. Morta in casa di una certa signora Chapman, che il funzionario del Ministero di cui sempre alla seduta odontoiatrica, individua come moglie di un appartenente ai Servizi Segreti. A complicare il tutto arriva anche l’ostilità della cugina di Blunt, madre della giovane impulsiva, nonché quella dell’altra cugina di Blunt, la scozzese in disgrazia Helen. Solo grazie alla filastrocca del titolo (su cui torneremo) Poirot ha il primo elemento di agnizione. Prima si riconosce che la morta è la signora Chapman, grazie alle schede del dentista morto. Poi si cerca di incastrare il fidanzato della segretaria, coinvolgendolo in un ulteriore assurdo tentativo di far fuori Blunt. Tutto perché (ed è qui il fumo negli occhi che finalmente il belga ripulisce e punta nella direzione giusta) si vuol far passare il tutto come una vicenda politica. Poi però si scopre che Blunt avrebbe avuto una prima moglie, da lui sposata in gioventù, e con la quale aveva viaggiato in India. Dove questa aveva conosciuto Mabelle, la quale ne aveva parlato al truffaldino Ambrotis. Ma dov'è questa prima moglie? È possibile che le schede odontoiatriche delle due signore siano state scambiate? Com'è che il funzionario in pensione sa molto delle avventure dell’agente Chapman? Poirot tutto spiega, e tutto collega. Partendo dalla scarpa non allacciata della presunta Mabelle che lui incontra nelle prime pagine, per passare a quelle invece ben strette della morta. Un bel meccanismo, ed un finale che è stato parzialmente inaspettato (avevo solo avuto dei dubbi sulla cugina Helen, ma di diverso tipo). E veniamo alla filastrocca. Perché tutta la storia è basata su di una filastrocca infantile dei bambini inglesi, che serve per imparare i numeri. Noi abbiamo (almeno nei miei ricordi) quella che fa: “Uno e due, l’asino e il bue / Tre e quattro, cane e gatto / Cinque e sei, sono miei / Sette ed otto, c'è un tigrotto / Nove e dieci, pasta e ceci / Quanti siamo? Ricominciamo!” (voi la ricordate?). Gli inglesi invece usano la seguente (di cui metto accanto la traduzione) e che ritma i capitoli del romanzo:

One, two, buckle my shoe
Uno, due, allaccia la mia scarpa;
three, four, shut the door
tre, quattro, chiudi la porta;
five, six, pick up the sticks
cinque, sei, raccogli i bastoni;
seven, eight, lay them straight
sette, otto, mettili in ordine;
nine, ten, a big fat hen
nove, dieci, una grande gallina grassa;
eleven, twelve, dig and delve
undici, dodici, scava e svuota;
thirteen, fourteen, maids a-courting
tredici, quattordici, la ragazza corteggiata;
fifteen, sixteen, maids in the kitchen
quindici, sedici, la ragazza in cucina;
seventeen, eighteen, maids a-waiting
diciassette, diciotto, la ragazza in attesa;
nineteen, twenty, my plate's empty
diciannove, venti, il mio piatto è vuoto.

Non vi sto a ripercorrere i venti capitoli, ma se pensate al primo, ed al fatto che Poirot comincia ad avere sospetti vedendo la scarpa di Mabelle, potete apprezzare la maestria della nostra esimia scrittrice. Obietto solo che, seppur difficile la traduzione per il titolo, si sarebbe dovuto aver più cura nel titolare i capitoli correttamente, mentre a volte (non tante fortunatamente) la traduzione dell’intestazione del capitolo lascia un po’ a desiderare (come se il traduttore non conoscesse la filastrocca). Comunque, alla fine, un bel giallo di costruzione “oulipiana” (per chi riesce a decifrare quest’ultimo accenno; se no, chiedetemelo).
Agatha Christie “Il ritratto di Elsa Greer” Corriere della Sera 12 euro 6,90
[A: 20/10/2014 – I: 31/08/2015 – T: 01/09/2015] - &&&&
[tit. or.: Five Little Pigs; ling. or.: inglese; pagine: 203; anno 1942]
Sono sempre più convinto, leggendo e rileggendo della nostra maestra del giallo, che la sua capacità sia proprio quella di innamorarsi di un elemento, e poi cercare di sfruttarne a pieno le possibilità. Ora, che scrive in tempi di guerra, Agatha ha un amore sviscerato per le filastrocche infantili. E dopo aver utilizzato quella sui numeri, ora utilizza una dedicata ai più piccoli. Quella che serviva a contare le dita, che sono cinque, come i cinque porcellini (e per completezza ve la riporto in fondo). Ma questo è solo un elemento che serve a caratterizzare le cinque persone che potrebbero essere stati colpevoli di un omicidio. L’altro elemento, di molto effetto nella coreografia della Christie, è la richiesta che viene fatta a Poirot di indagare su di un delitto avvenuto 16 anni prima. Un famoso pittore, Amyas Crale, viene ucciso con una dose letale di cicuta, mentre terminava il ritratto del titolo italiano, che ritrae la sua amante Elsa Greer. Uccisione avvenuta nella loro tenuta di campagna, dopo giorni di litigi tra il pittore e la moglie Caroline, sia sull'educazione della sorellastra di lei, Arianne, sia sui rapporti tra Amyas ed Elsa. Caroline viene accusata del delitto, ritenuta colpevole, e con le attenuanti condannata all'ergastolo. Ma dopo poco muore in prigione. Ora si presenta sulla scena Mary, la figlia di Caroline e Amyas, e vuole sapere la verità. Anche se sono passati 16 anni. Qui si rivela la grande maestria della nostra attraverso il suo personaggio Poirot. Perché abbiamo appunto cinque possibili assassini reduci da quell’episodio. Ma l’episodio è lontano, non ci possono essere ricerche sul campo. Si tratta solo di usare le parole. E come dice Poirot, bisogna far parlare le persone, e saranno loro a fornire la soluzione. Abbiamo quindi i cinque porcellini. Philip Blake, il più grande amico del morto, in gioventù infatuato di Caroline, poi sempre presente nelle vicende familiari. Ora è un affermato agente di cambio (il porcellino che andò al mercato). Suo fratello Meredith, che vive di rendita, s’interessa di piante ed erbe varie. Fu lui a far conoscere alla combriccola le proprietà della cicuta, ed è dalla sua dispensa che ne scomparve il flacone, poi trovato nell’armadio di Caroline, e con il quale fu ucciso Amyas, mescolato alla birra. Lui è il porcellino che sta a casa. C’è ovviamente Elsa Greer, all'epoca dei fatti ventenne rampante, che s’innamora del pittore, che è abituata ad avere tutto. E lo vuole, e non solo, ma pensa di poterlo togliere alla moglie. Ora Amyas è un grande donnaiolo, che non sa resistere ad una sottana, ma è anche innamorato della moglie. Quindi, tante scopate, ma si torna sempre a casa. Cosa che Elsa non accetta, e gettando sul piatto il suo amore per Amyas, crea scompiglio nella casa. Scompiglio che porta sicuramente Caroline a rubare la cicuta. Lei sostiene per uccidersi. Poi nel processo, sostiene che Amyas, scoperta la cicuta, decide lui di uccidersi. Intanto Elsa è il porcellino che mangia l’arrosto, quello che ha il piatto migliore. E dopo il pittore, si consolerà con altri uomini, tanto da essere ora, dopo 16 anni, una rispettabile Lady, sposata con un premuroso Lord inglese. C’è la signorina Williams, la governante di Arianne, che adora Caroline, che ha visto questa ripulire le impronte sulla bottiglia di birra, senza dirlo alla polizia. Dopo la morte sarà licenziata, ma rimarrà integra nella sua povertà. Lei, è il porcellino che non ha niente. Infine c’è Arianne, la sorellastra, che Caroline, da giovane, sfigurò lanciandole un posacenere in faccia. E da quel giorno, Caroline è prona ai desideri di Arianne. Lei è l’ultimo porcellino, quello che fa “ahi, ahi, ahi”. Dopo alcune ricostruzioni dei fatti con gli avvocati del tempo, l’idea vincente e divertente della scrittrice è di far scrivere il resoconto dei fatti ad ognuno dei cinque porcellini. Dal loro raffronto, Poirot è convinto di riuscire a tirar fuori la verità. Verità che io, dalla seconda pagina, sono convinto di aver capito. Il colpevole è Arianne, e Caroline, per i sensi di colpa di cui sopra, la copre e subisce la condanna come espiazione. Colpevole forse preterintenzionale, che all'epoca dei fatti era poco più che quindicenne, e non aveva idea reale delle possibili conseguenze dei suoi gesti. Era arrabbiata perché Amyas voleva mandarla in collegio, cosa da lei odiata. E voleva fargli uno scherzo cattivo. Sbagliando però la dose del “veleno”. Molto interessanti sono comunque i cinque scritti, dove la maestria di Agatha si rivela con la capacità di variare i toni della scrittura ad ogni personaggio. Poirot, ovviamente, rivela le contraddizioni in ogni resoconto. Philip è innamorato ma respinto da Caroline, per cui ne mette in luce le qualità negative. Meredith, una volta anche lui preso da Caroline, è al momento dei fatti invaghito di Elsa, e fa di tutto, anche inconsciamente, per non rilevarne la sua grande dote (quella di arrampicatrice sociale). Elsa riporta spezzoni di discorsi sentiti durante il giorno fatale, magari omettendo qualche frase che potrebbe darne significati contrastanti. Arianne fa finta di ricordare poco (era giovane) con l’aggravante di vedere sempre più in pericolo la sua posizione. Solo la governante sembra essere immune da tutto ciò. Ma alla fine, con quel colpo di coda che mi aspettavo, ma che mi ha preso alla sprovvista, Poirot dimostra che Caroline pensava Arianne fosse colpevole, per questo non si era difesa, che Arianne non è il colpevole, che invece è … Beh, leggetelo no, è un vero esercizio di bravura e compostezza stilistica. Se Poirot, come dice lui stesso, è il miglior investigatore che ci sia, Agatha Christie è senz'altro una scrittrice di grande calibro. Ed ecco la filastrocca:

This little pig went to the market.
Questo maialino è andato al mercato.
This little pig stayed home.
Questo maialino è rimasto a casa.
This little pig had roast beef.
Questo maialino aveva l’arrosto.
This little pig had none.
Questo maialino non aveva niente.
This little pig cried "Wee, wee, wee, wee!"
Questo maialino gridò “Ahi, ahi, ahi!”
All the way home.
Per tutta la strada verso casa

Anche qui, comunque, se ci si riflette, tra scritti e porcellini si capisce di più. Sicuramente di più di quanto ne abbia capito io, prima che Poirot mi illuminasse.
Agatha Christie “Il terrore viene per posta” Corriere della Sera 28 euro 6,90
[A: 06/02/2015– I: 04/09/2015 – T: 06/09/2015] - && e ½
[tit. or.: The Moving Finger; ling. or.: inglese; pagine: 197; anno 1942]
Siamo al 48-esimo titolo sulle 130 pubblicazioni della nostra prolifica autrice. Negli anni Venti e Trenta ha dato molto spazio a Poirot, ma ora, in piena guerra, Miss Marple comincia a riguadagnare qualche posizione. Anche se sempre con quell'andamento defilato che non mi ha mai convinto sulle qualità dell’anziana investigatrice. Che più che investigatrice, come dice la stessa Agatha, è una conoscitrice dell’animo umano. Ed utilizza queste conoscenze per capire l’andamento della storia. Qui addirittura con un intervento che comincia solo a pagina 136 (cioè a 2/3 del libro), che si affaccia con due o tre frasi per un’altra quarantina di pagina, e che solo nelle ultime dà quel tocco finale che consente non tanto di dipanare la gialla matassa, ma di comprendere “i come ed i perché”, come diceva qualche poeta cantore. Infatti, per tutto il romanzo seguiamo la storia e le elucubrazioni del buon Jerry Burton, infortunato pilota, che sta passando la convalescenza, insieme alla sorella Joanna, nella piccola cittadina di Lymstock, probabilmente una quieta cittadina nel Devonshire in Cornovaglia (inferenza mia su notizie varie), a meno di 150 chilometri da St. Mary Meads nell’Hampshire (la città dove vive appunto Miss Marple). Per tutta una buona parte del romanzo si disquisisce su delle lettere anonime, che pervengono a diversi personaggi della cittadina stessa. Alla signorina Barton accusata di aver avvelenato la madre, a Owen Griffith, il medico locale per scarsa professionalità, a sua sorella Aimée, per altri futili motivi, all'avvocato Symmington, accusato di avere una storia con la segretaria, al signor Pye, grassoccio e gay, alla seconda signora Symmington, di aver avuto il secondo figlio non dall'avvocato (visti i di lui capelli rossi). Ed altre banalità e pettegolezzi cittadini. Ma come Jerry intuisce, anche se non lo esplicita mai (in fondo è simpatico ma un poco ottuso), tutto questo terrore che viene per posta non è altro che una cortina di fumo. Infatti, tutti nel paese pensano che ci sia qualcosa di vero negli scritti (non c’è fumo senza arrosto). Ma quel fumo serve a depistare dall'obiettivo reale. La morte della signora Symmington, che si suicida con una forte dose di veleno. Si cerca anche di coinvolgere nella trama “cattiva” la giovane Megan, figlia della morta ma in prime nozze, che è una irregolare del paese (si veste male, va in bicicletta, ed altre monellerie, pur avendo già venti anni e quindi dovendosi guadagnare un posto nella vita). Ben presto si arriva ad una seconda morte, quella di Agnes la cameriera, che probabilmente aveva visto qualcosa che poteva far modificare il giudizio sul suicidio. Anche se non lo focalizza, e viene uccisa prima di riuscire a comunicare i suoi sospetti. Finalmente, l’arrivo di Miss Marple consente di mettere in fila alcuni pensieri (il fumo di cui sopra, il fatto che la lettera indirizzata a Joanna Burton sia scritta per Barton, e poi modificata a penna). Tutto fa pensare, a Miss Marple ed a noi, ma non a Jerry, che appunto il vero obiettivo sia la morte della signora, che la morte della cameriera ne sia una conseguenza. Utilizzando allora Megan come esca, Miss Marple risolve il poco intricato bandolo, e tutto si avvia ad uno sdolcinato lieto fine, dove il nostro pilota, ormai guarito, decide di sposare Megan e rimanere a Lymstock. Insomma, una trama esile, un racconto che si tiene su alcuni bozzetti campagnoli, e che risente, appunto, del clima di guerra in cui viene scritto. Anche nelle vicende gialle c’è bisogno di un tocco di speranza e di sorriso. Cosa che la nostra Agatha riesce ad ottenere, scrivendo quasi 200 pagine su quasi nulla. Veniamo allora al secondo grande rimprovero da muovere al libro, questa volta, ed ancora, per la traduzione del titolo. Comprendo che non sia facile, ma intanto, dati gli ultimi libri scritti, sappiamo che Agatha s’interessa a poesie e rime varie. Prima erano filastrocche infantili. Qui, ricorda i suoi trascorsi in Medio Oriente, citando la quartina LI del Rubayyat di Omar Khayyam, che inizia appunto con “The Moving Finger writes, and having writ, moves on”. Una quartina dedicata alla non cancellabilità delle nostre azioni. Che anche se scritte sulla sabbia, e poi cancellate dall'acqua marina, rimangono da qualche parte. Quanto meno nella nostra memoria. Non esiste una traduzione esatta di questa quartina in italiano, ma io, almeno, ne avrei parlato in una nota finale. Ma si sa, io sono un inguaribile filologo. Speriamo che la guerra finisca e che la nostra scrittrice torni su temi più agili.
Come ormai ho abbondantemente scritto e sottolineato, la seconda trama del mese è dedicata, anche, a qualche malattia da curare con letture librarie mirate. A volte più che malattie, sono stati d’animo, o sensazioni che il libro (un libro) ci aiuta a superare. Come in questo caso che cerchiamo di aiutare i nostri conoscenti dalla fatica di essere genitori single.

Cominciata è la quaresima, tant'è che, benché promesse ed ipotesi, lontani sono viaggi ed altro caro ai nostri cuori. Rimangono vicino le musiche degli amici (con i concerti di Carlo e di Vito), e le nostre riunioni conviviali, speriamo sempre più ravvicinate. Per ora a tutti una buona giornata di festa.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

FEBBRAIO 2016
Questo mese passiamo non a curare uno stato di essere, che di certo non è una malattia. Un bel suggerimento per sostenere il peso di essere single e genitori.

GENITORE SINGLE, ESSERE UN

Helen Dewitt             “L’ultimo Samurai”
George Eliot              “La bella storia di Silas Marner”
Harper Lee               “Il buio oltre la siepe”
Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile. E a meno che non possiate permettervi di non lavorare, avere una tata che vive in casa con voi o una nonna sempre a portata di mano, cercare di essere presenti fisicamente ed emotivamente per la vostra prole, e in contemporanea guadagnarvi da vivere, mandare avanti la casa, e avere un minimo di vita sociale, è una sfida anche per l’essere umano più stoico. Alla letteratura piacciono tantissimo, anzi in maniera smodata i genitori single, e c’è molto da imparare da una vasta gamma di strategie genitoriali.
La nostra madre single preferita resta Sibylla ne “L’ultimo Samurai”. Madre del super-intelligente Ludo, non ha abbastanza soldi per riscaldare la casa e passa regolarmente intere giornate sulla Circle Line, da un capolinea all'altro, per tenere lei e il figlio al caldo. Sibylla non permette che la povertà interferisca tra lei e il successo. Sceglie di educare il figlio a casa e Ludo impara a leggere all'età di due anni; a tre è già in grado di affrontare Omero - in greco.
Sibylla condivide in parte la genialità del figlio e asseconda la passione di Ludo per le lingue – negli anni successivi, il bambino aggiunge al proprio curriculum ebraico, giapponese, norvegese antico e inuit.
L’unica cosa che la donna non farà mai e fargli conoscere il padre, preferendo ricorrere al classico di Kurosawa, I sette samurai, per dargli dei modelli maschili. Questo non impedisce a Ludo di mettersene in cerca - ma quale candidato potrebbe essere all'altezza di un samurai? Il romanzo è molto ingegnoso ed è scritto con l’amore per il linguaggio che potremmo aspettarci dalla scrittrice che ha concepito una simile coppia di poliglotti. Alla fine, ogni madre single che si affanna a crescere i figli in assenza di un padre applaudirà in silenzio.
Essere lasciati da soli col proprio bambino è un destino che riguarda più comunemente la donna - ma a volte anche gli uomini si trovano in questa situazione, ottima per rafforzare il carattere. Che siate uomini o donne, il commovente Silas Marner di George Eliot farà in modo che la consideriate una benedizione, se avete qualche dubbio. Amareggiato e solo, evitato dagli altri abitanti di Raveloe, Silas Marner non ha altra ragione per vivere che il proprio oro, che accumula e nasconde sotto le assi del pavimento. Un giorno trova un bambino misterioso addormentato davanti al focolare. A poco a poco, il piccolo Eppie lo intenerisce e gli insegna a volere bene e a superare la distanza che lo separa dagli abitanti del posto. Se non avevate progettato di essere genitori single, e fate un po’ fatica ad abituarvi, questo romanzo servirà a farvi coraggio.
Il miglior padre single in assoluto, comunque, è Atticus Finch ne “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee. Per sapere come trattare i vostri figli con rispetto, dare loro la libertà di giocare ed esplorare il mondo da soli, dimostrargli l’importanza di lottare per ciò che pensano sia giusto e contro quello che pensano sia sbagliato, non dovete cercare oltre. Costruitevi una casa con una veranda e metteteci una sedia a dondolo. Sedetevi e accendete la pipa. Leggete “Il buio oltre la siepe” una volta l’anno, prima a voi stessi e poi ai vostri figli, a voce alta. Siate forti, e siate presenti per loro. Il resto verrà da sé.

Bugiardino

Anche questo mese, non ho letto molto delle proposte fatte. Conosco il libro su Silas, non conosco affatto la Dewitt, mentre ho letto, e consiglio a tutti di leggere, il libro della Lee (e di vedere anche il bellissimo film).
Harper Lee “Il buio oltre la siepe” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6)
[ pubblicato il 14 settembre 2008]
Un libro pieno di sorpresa, o almeno tre: la prima è che Harper Lee è una donna, mi ero sempre fissato fosse un uomo. La seconda è la dura gradevolezza. La terza è che Atticus Finch anche nella scrittura ha sempre la faccia di Gregory Peck. Unico libro degno di nota della Harper, anche ora, a quasi 50 anni dall'uscita, mantiene la sua forza, la sua freschezza, la sua dolente attualità. Un libro in fondo pieno di diversi, con i quali fare i conti. E sarà proprio uno tra i più bistrattati a salvare da una sordida fine i “Finch brothers”. Vogliamo parlare del nero accusato solo perché nero? Dei benpensanti che vanno in giro a fare le ronde? Dei padri padroni? Forse sarebbe giusto, come sarebbe giusto proiettare nelle scuole lo stupendo film. A Maycomb, Jem e Scout (figli di Atticus Finch) un'estate conoscono un altro bambino, Dill, e fanno amicizia. I tre sono attirati da Arthur Radley detto Boo, considerato un uomo pericoloso e violento, rinchiuso nella casa accanto alla loro. Ma, col passare del tempo, si accorgono che Boo, senza farsi vedere, si preoccupa dei tre. Atticus spiega che è stato nominato d'ufficio per difendere un uomo nero, Tom Robinson, accusato di violenza carnale su una bianca, anche se sapeva che avrebbe perso. Al processo, Atticus dimostra, senza ombra di dubbi l’innocenza del nero e la colpevolezza di Bob il padre della violentata. Ma Tom viene condannato ugualmente da una giuria di bianchi. Durante una festa di Halloween Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la recita, quando vengono assaliti da un adulto. Nel luogo della lotta, alla fine viene ritrovato il corpo di Bob pugnalato al petto. Ho detto quasi tutto, ma lascio un po’ di buio, infondo alla siepe. Note di merito alla traduttrice (se è merito suo) che ha reso nel titolo molto dell’atmosfera. Infatti in italiano, il titolo è una metafora: il buio oltre la siepe è ciò che è sconosciuto pur essendo vicino. Nel romanzo, è la figura di Boo, il vicino di casa dei Finch che loro non hanno mai visto e che, per questo, non conoscono. E infatti anche Scout afferma che, col tempo, la casa di Boo non la spaventava più, ma non le appariva meno buia. Nel testo, invece, ci sono diversi riferimenti al titolo originale (“To kill a mockingbird” che significa: Uccidere un usignolo). L’usignolo è un uccello innocuo, che delizia con il suo cinguettio. Uccidere un passero è quindi un peccato doppiamente grave.

Conclusioni

Una volta tanto, sono d’accordo “in toto”. Come dicono Ella & Susan un libro da leggere, rileggere e raccontare ad alta voce ai propri figli e nipoti.

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