In questa giornata dedicata all'amore
(e buon San Valentino a tutt*), torniamo ancora una volta a rivolgere la nostra
attenzione alla Signora (e Maestra) del Giallo. Altri cinque romanzi, di cui
ben tre dedicati a Poirot, con valutazioni superiori alla media, e due no, con
valutazioni inferiori alla media. Sarà un caso? Ribadisco fino alla noia che,
contrariamente alla nostra Agatha, preferisco Poirot al resto dei suoi scritti.
Agatha Christie “Il Natale di Poirot” Corriere della Sera 21 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I:
24/08/2015 – T: 25/08/2015] - &&& +
[tit. or.: Hercule
Poirot’s Christmas; ling. or.: inglese; pagine: 273; anno 1938]
Se avete letto (o ricordate)
quanto ho detto per “La domatrice”, qui non possiamo che ripeterci. È un
periodo che Agatha scrive molto, e la forma “Orient-Express” ha ormai preso
piede. Così che la ritroviamo, e con efficacia, anche qui. Qui la complicazione
è dovuta alla difficoltà di spiegare le modalità della morte del personaggio
centrale, di quel Simeon Lee, donnaiolo e miliardario, ex trafficanti di
diamanti in Sudafrica, patriarca di una famiglia un po’ scombiccherata, e poi
super ricco tornato in quel dell’Inghilterra. Ma la situazione inziale è di
pura routine “agathesca”. Descrizione della famiglia Lee (oltre al patriarca
insopportabile): i coniugi Alfred e Lydia, quelli che sono rimasti per
proseguire la tradizione di famiglia; i coniugi George e Magdalena, lui
deputato, lei “spendacciona”, fuori di casa, ma il vecchio li foraggia sempre;
i coniugi David e Hilde, lui andato via di casa alla morte della madre, e
fattosi una vita da pianista, lei molto empatica, ma non ha mai conosciuto il
vecchio. Poi c’è Harry, la pecora nera, andato via di casa da giovane in
seguito a qualche ruberia verso il padre, e mai tornato. E Jennifer, l’unica
donna, fuggita con uno spagnolo e da poco morta, lasciando la ventenne Pilar
unica nipote di famiglia. Sentendo che la fine si avvicina, Simeon convoca
tutti per il Natale. E tutti arrivano, anche Pilar dalla Spagna, dopo un
avventuroso viaggio attraversando le zone della guerra civile ancora alle
ultime battute (siamo nel ’38). E dal Sudafrica arriva anche Stephen, figlio di
Eb, vecchio amico e socio di Simeon ai tempi dei diamanti. La scrittrice spende
una buona metà del libro per descrivere i caratteri dei presenti, incluso il
losco maggiordomo Horbury. E la vigilia di Natale, quando sono tutti in casa, e
tutti ad un tiro d’occhio o di voce dagli altri, con un gran fracasso ed un
urlo belluino, muore il vecchio. Ovviamente la porta della stanza è chiusa
dall'interno. Ovviamente, una volta aperta, tutte le finestre sono sbarrate, a
parte un filo d’aria che viene dal balconcino, ma da dove non passerebbe
neanche un gatto magro. Altrettanto ovviamente, Poirot è ospite del capo della
polizia locale, e con lui si precipita sulla scena del delitto, dove il
sovraintendente Sugden già coordina le indagini. Anche qui, Poirot tira fuori
tutta la sua baldanza, sostenendo (come al solito per il suo modo di indagare)
che parlando con gli ospiti della casa riuscirà ad arrivare alla verità. E
all'artefice del delitto. Assistiamo così alle felici scaramucce verbali cui
tanto ci ha abituato la nostra. Aumentate da un felice scambio di opinioni tra
Poirot e Sugden, sui modi, sulle possibilità, sulla ricostruzione del delitto.
Altro trucco della nostra signora del giallo, quello che all'inizio sembrava
essere, viene a poco a poco smontato. Non l’alibi di Alfred e Harry, rimasti in
salone a litigare sul tema del figliol prodigo. Né quello di Lydia, in sala
grande e vista dal cameriere. Né infine quello di Horbury, che era al cinema.
Resiste anche David, nella sala da ballo al pianoforte. Ma George finisce la
telefonata 10 minuti prima dell’urlo. Magdalena mente dicendo che telefonava, invece
era il marito al telefono. Pilar sosteneva di stare nella sua stanza da letto,
ma da lì non si sarebbe sentito l’urlo. Hilda era nelle sue stanze, ma non
sarebbe potuta arrivare per prima. Infine Stephen non è stato visto da nessuno.
Inoltre spariscono i diamanti dalla cassaforte, così come Simeon avrebbe detto
a Sugden, ultimo ad averlo visto in vita. Poi si scopre che Stephen è solo un
amico del sudafricano, che in realtà è morto due anni prima. E la sua posizione
si aggrava. E si scopre che Pilar in realtà è la sua amica Conchita, essendo
Pilar morta in Spagna sotto le bombe. E perché Sugden ha i baffi finti?
Pilar-Conchita dice di aver voluto visitare Simeon, ma che davanti alla porta
c’era Hilda. Così si nasconde tra le statue, ma raccoglie un pezzo di plastica
sul luogo del delitto. Viene però vista dal colpevole, che tenterà di
ucciderla. Anche Magdalena non era dove doveva essere. Nel solito finale con
tutti i presenti, Poirot spiega che il trambusto è stato provocato da una fune
che, tirata dalla finestra socchiusa, ha fatto cadere i mobili. E l’urlo era
provocato dallo scoppio guidato di un palloncino da fiera. Scoprendo così il
vero colpevole nella persona di… Piccola suspense, che anche qui, nella trama
che solca i binari collaudati, Agatha mette una piccola zeppa, sempre per
rendere meno consueti i suoi finali. Ricorda, in minore, il famoso caso Akroyd.
Tuttavia, pur nella ripetitività e nel solco di avventure similari, le sue
storie hanno il fascino della complicazione degli elementi. Hanno la bellezza
dello svelamento totale dei misteri. E fa piacere seguire, a distanza a volte
di giorni, a volte di mesi, cosa faranno i protagonisti usciti indenni dalla
vicenda. In questi primi romanzi c’è quasi sempre Poirot come abbiamo notato.
Con una capacità di soluzione che ammiro. Pavento quando si tornerà a Miss
Marple, che ancora non ho inquadrato bene. Vedremo.
“- Tesoro, quanta pazienza hai avuto in tutti questi anni. Sei stata
così buona con me. – E sai perché? Perché ti amo!” (272)
Agatha Christie “È troppo facile” Corriere della Sera 17 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I:
26/08/2015 – T: 28/08/2015] - && e ½
[tit. or.: Murder is
Easy; ling. or.: inglese; pagine: 234; anno 1939]
Concediamoci una pausa da Poirot
(e sempre in attesa di attaccare Miss Marple), con un romanzo che viene
definite della serie “Sovraintendente Battle”, perché costui compare, ad un
certo punto. Ma proprio alla fine, per sancire un quasi scontato finale, e
senza che intervenga in tutta la storia, dove l’investigazione è condotta dal
poliziotto in pensione Luke Fitzwilliam (in pensione dopo un servizio in
Oriente, ma evidentemente giovane se riesce ad imbastire una storia con… beh su
questo ci torniamo dopo). La scrittura della nostra ormai però si è incanalata
sul binario parallelo dei suoi due eroi, e quando ne esce, i risultati non sono
più esaltanti come ad inizio carriera. Questo, ad esempio, né è una tipica
dimostrazione. Che potrebbe benissimo essere condotta sul filo delle avventure
(almeno quelle a me note) di Miss Marple. Avvengono delle morti in una
cittadina di provincia che sembrano naturali. Qualcuno però s’insospettisce,
indaga, si aggira. E palando accumula indizi. Che ovviamente, non essendo né
Poirot né Miss Marple lo portano a puntare l’indice accusatore verso tutt'altra
parte da quella che, e si capisce ben presto, è l’accusa giusta. Tant'è
“marpleiana” la scrittura che ad un certo punto, a pagina 173, Luke afferma
“Solo le zie capiscono che il Tale è un disonesto perché assomiglia a un cameriere
disonesto che avevano avuto in casa, e non importa se la gente di buon senso
garantisce che il Tale è un’ottima persona. Le vecchie zie non sbagliano mai.”
Una frase che potrebbe essere presa tale e quale da uno dei racconti di “Miss
Marple e i tredici problemi”. Comunque qui non abbiamo la signora, né tanto
meno il baffuto belga, con il suo format di un cattivo che muore e molti che
possono averlo ucciso. Abbiamo appunto il buon Luke che incontra la vecchia
Lavinia (una “zia” di cui sopra) che gli dice dei suoi sospetti verso le morti
in una cittadina di provincia. Luke non è convinto, ma quando Lavinia viene
investita e muore, pensa che potrebbe esserci qualcosa. Con uno stratagemma si
reca nella cittadina (si finge cugino della bella Bridget che sta per andare in
sposa all’arricchito Lord Whitfield) e comincia ad indagare. Molto cautamente,
perché le morti della signora Horton, di Carter, del piccolo Timmy, della bella
signorina Abby e del medico dr. Humbleby sembrano tutte naturali. I sospetti di
Luke si appuntano prima sul sostituto del dr. Humbleby, ma questi avrebbe avuto
la possibilità solo in 2 casi su 5. Poi sul losco antiquario della zona. Ma a
parte la poca rassicurabilità, anche lui è coinvolgibile solo in 2 casi. A
lungo s’intrattiene con la signorina Waynflete, una che sa tutto di tutti. E
che è stata in gioventù fidanzata con il futuro Lord. Ma il loro amore si ruppe
con la rottura del collo di un canarino. Ovviamente, anche se come detto non ne
sappiamo l’età, è comunque un pensionato, seppur giovane. Allora Luke s’innamora
della ventottenne Bridget. E riesce a convincerla di lasciare il redditizio
fidanzamento con il Lord, per coronare il loro sogno di amore da “due cuori e
una capanna”. In tutto questo, finalmente, scopriamo un filo “nero” che collega
tra loro tutte le persone decedute. Sono state tutte in conflitto con il Lord.
Chi lo trattava da parvenu, chi ne faceva l’imitazione, chi ricordava i suoi
modi arroganti, chi rompeva tazzine del servizio buono, chi infine si opponeva
alle sue opere innovative ma redditizie solo per lui. Il Lord è un delirio di
egotismo: nel suo mondo esiste solo lui, le sue azioni, e la presenza degli
altri serve a riconoscere la bontà della sua vita. Solo la signorina Waynflete
sembra resistere al suo carisma. Nel presumibilmente concitato finale, quello
in cui Battle da Londra si presenta anche lui sul posto, quando Bridget ha
detto al Lord che andava via con Luke, si assiste allo svelamento dei misteri, e
chi ha commesso tutti i delitti, mentre cerca di uccidere l’impotente Bridget,
svela come e perché questi sono stati commessi. Non vi dirò chi è (ovviamente),
ma penso l’avete capito come si capisce dal testo. Comunque Bridget si salva, e
convola a giuste nozze con il buon Luke. Come avete visto, non ho dato la
sufficienza a questo pur godibile scritto. Troppo sotto tono i personaggi.
Troppo scontata la fine, seppur tumultuosa. Sembra uno di quei romanzi che i
francesi e gli inglesi dell’Ottocento scrivevano a puntate per i giornali, più
sotto la spinta della necessità economica, che per avere qualcosa da mostrare
all’inclito pubblico. Vedremo che succede al ritorno di Poirot. Ed
all'avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale (siamo ormai al ’39).
“Le persone di una certa età non ricordano più di essere state giovani
anche loro.” (85)
“Nessun essere umano può sapere l’intera verità di un altro essere
umano.” (94)
Agatha Christie “Poirot non sbaglia” Corriere della Sera 15 euro 6,90
[A: 10/11/2014– I: 26/08/2015 – T: 30/08/2015] - &&&
e ½
[tit. or.: One, two,
buckle my shoe; ling. or.: inglese; pagine: 214; anno 1940]
Fortunatamente, siamo subito
tornati a leggere di Poirot, con un romanzo che introduce, e con maestria,
elementi nuovi. Si sente che stiamo avvicinandoci alla guerra, e, latentemente,
ne vengono introdotti elementi. Qualche dose di spionaggio, inclusa una
capatina nei Servizi Segreti. Qualche elemento nazionalista, come un attentato
tentato (scusate il bisticcio) da un indù. Qualche critica, e molta propaganda,
intorno ai temi economici. Ma questi sono soltanto alcuni elementi, molti dei
quali più atti a gettare fumo negli occhi al disattento lettore. L’elemento
innovativo che ci troviamo di fronte non ad uno ma a tre delitti.
Apparentemente inspiegabili. Apparentemente non collegati tra loro. E non
abbiamo un numero delimitato di sospettabili. All'inizio potrebbero essere
tanti. Certo poi si restringono ad un numero gestibile nelle elucubrazioni del
nostro investigatore, che qui, non avendo un alter-ego narrante, a volte è
costretto ad intavolare disquisizioni anche con George, il suo cameriere
personale. Tutta nasce da una seduta dal dentista, cui deve partecipare il
magnate Blunt, spesso preso di mira per le sue idee conservatrici (leggete
quanto sopra sull'avvicinarsi della guerra). Dentista dove si reca anche
Poirot. E dove si ritrovano Ambrotis un faccendiere greco di ritorno
dall'India, Mabelle, una signora di media borghesia, anch'essa reduce
dall'India e dedita ad opere filantropiche, un impetuoso americano di idee
finto-rivoluzionarie, un ex-funzionario del Ministero degli Esteri, un
giovanotto scapestrato fidanzato della segretaria del dottore. Non ci si trova
invece la fidanzata di cui sopra, allontanata con un falso telegramma. Poco
dopo, in sequenza, muore il dentista per un colpo di pistola alla testa, poi
muore Ambrotis per un eccesso di anestetico a lento rilascio. E Mabelle
scompare. Indizi contrastanti, portano polizia e magistratura a chiudere la
prima inchiesta, decretando che il dentista si è suicidato in seguito
all'errore nel dosaggio dell’anestetico. Ovviamente, una soluzione che non
convince Poirot. Che viene coinvolto dalla famiglia Blunt, vuoi per dritto vuoi
per storto, a cercare la verità. Ed a cercare Mabelle che non si trova. La
quale Mabelle, secondo la nipote di Blunt, li aveva avvicinati pochi giorni
prima, sempre dal dentista, dicendo di aver conosciuto la moglie di Blunt. La
quale era ricchissima, capitano d’industria, ed aveva trasmesso al più giovane
marito Blunt la passione e le capacità. Tanto da farne un ricco banchiere e
finanziere. Poirot è travolto anche lui da indizi contrastanti. E sempre più in
difficoltà quando scopre che l’americano è in via di fidanzamento con la suddetta
nipote, quando si ritrova una donna morta che si suppone sia Mabelle. Morta in
casa di una certa signora Chapman, che il funzionario del Ministero di cui
sempre alla seduta odontoiatrica, individua come moglie di un appartenente ai
Servizi Segreti. A complicare il tutto arriva anche l’ostilità della cugina di
Blunt, madre della giovane impulsiva, nonché quella dell’altra cugina di Blunt,
la scozzese in disgrazia Helen. Solo grazie alla filastrocca del titolo (su cui
torneremo) Poirot ha il primo elemento di agnizione. Prima si riconosce che la
morta è la signora Chapman, grazie alle schede del dentista morto. Poi si cerca
di incastrare il fidanzato della segretaria, coinvolgendolo in un ulteriore
assurdo tentativo di far fuori Blunt. Tutto perché (ed è qui il fumo negli
occhi che finalmente il belga ripulisce e punta nella direzione giusta) si vuol
far passare il tutto come una vicenda politica. Poi però si scopre che Blunt
avrebbe avuto una prima moglie, da lui sposata in gioventù, e con la quale
aveva viaggiato in India. Dove questa aveva conosciuto Mabelle, la quale ne
aveva parlato al truffaldino Ambrotis. Ma dov'è questa prima moglie? È
possibile che le schede odontoiatriche delle due signore siano state scambiate?
Com'è che il funzionario in pensione sa molto delle avventure dell’agente Chapman?
Poirot tutto spiega, e tutto collega. Partendo dalla scarpa non allacciata
della presunta Mabelle che lui incontra nelle prime pagine, per passare a
quelle invece ben strette della morta. Un bel meccanismo, ed un finale che è
stato parzialmente inaspettato (avevo solo avuto dei dubbi sulla cugina Helen,
ma di diverso tipo). E veniamo alla filastrocca. Perché tutta la storia è
basata su di una filastrocca infantile dei bambini inglesi, che serve per
imparare i numeri. Noi abbiamo (almeno nei miei ricordi) quella che fa: “Uno e
due, l’asino e il bue / Tre e quattro, cane e gatto / Cinque e sei, sono miei /
Sette ed otto, c'è un tigrotto / Nove e dieci, pasta e ceci / Quanti siamo?
Ricominciamo!” (voi la ricordate?). Gli inglesi invece usano la seguente (di
cui metto accanto la traduzione) e che ritma i capitoli del romanzo:
One, two, buckle my shoe
|
Uno, due, allaccia la mia scarpa;
|
three, four, shut the door
|
tre, quattro, chiudi la porta;
|
five, six, pick up the sticks
|
cinque, sei, raccogli i bastoni;
|
seven, eight, lay them
straight
|
sette, otto, mettili in ordine;
|
nine, ten, a big fat hen
|
nove, dieci, una grande gallina grassa;
|
eleven, twelve, dig and delve
|
undici, dodici, scava e svuota;
|
thirteen, fourteen, maids
a-courting
|
tredici, quattordici, la ragazza
corteggiata;
|
fifteen, sixteen, maids in
the kitchen
|
quindici, sedici, la ragazza in cucina;
|
seventeen, eighteen, maids
a-waiting
|
diciassette, diciotto, la ragazza in
attesa;
|
nineteen, twenty, my plate's
empty
|
diciannove, venti, il mio piatto è vuoto.
|
Non vi sto a ripercorrere i venti
capitoli, ma se pensate al primo, ed al fatto che Poirot comincia ad avere
sospetti vedendo la scarpa di Mabelle, potete apprezzare la maestria della
nostra esimia scrittrice. Obietto solo che, seppur difficile la traduzione per
il titolo, si sarebbe dovuto aver più cura nel titolare i capitoli
correttamente, mentre a volte (non tante fortunatamente) la traduzione
dell’intestazione del capitolo lascia un po’ a desiderare (come se il
traduttore non conoscesse la filastrocca). Comunque, alla fine, un bel giallo
di costruzione “oulipiana” (per chi riesce a decifrare quest’ultimo accenno; se
no, chiedetemelo).
Agatha Christie “Il ritratto di
Elsa Greer” Corriere della Sera 12 euro 6,90
[A: 20/10/2014 – I:
31/08/2015 – T: 01/09/2015] - &&&&
[tit. or.: Five
Little Pigs; ling. or.: inglese; pagine: 203; anno 1942]
Sono
sempre più convinto, leggendo e rileggendo della nostra maestra del giallo, che
la sua capacità sia proprio quella di innamorarsi di un elemento, e poi cercare
di sfruttarne a pieno le possibilità. Ora, che scrive in tempi di guerra,
Agatha ha un amore sviscerato per le filastrocche infantili. E dopo aver
utilizzato quella sui numeri, ora utilizza una dedicata ai più piccoli. Quella
che serviva a contare le dita, che sono cinque, come i cinque porcellini (e per
completezza ve la riporto in fondo). Ma questo è solo un elemento che serve a
caratterizzare le cinque persone che potrebbero essere stati colpevoli di un
omicidio. L’altro elemento, di molto effetto nella coreografia della Christie,
è la richiesta che viene fatta a Poirot di indagare su di un delitto avvenuto
16 anni prima. Un famoso pittore, Amyas Crale, viene ucciso con una dose letale
di cicuta, mentre terminava il ritratto del titolo italiano, che ritrae la sua
amante Elsa Greer. Uccisione avvenuta nella loro tenuta di campagna, dopo
giorni di litigi tra il pittore e la moglie Caroline, sia sull'educazione della
sorellastra di lei, Arianne, sia sui rapporti tra Amyas ed Elsa. Caroline viene
accusata del delitto, ritenuta colpevole, e con le attenuanti condannata
all'ergastolo. Ma dopo poco muore in prigione. Ora si presenta sulla scena
Mary, la figlia di Caroline e Amyas, e vuole sapere la verità. Anche se sono
passati 16 anni. Qui si rivela la grande maestria della nostra attraverso il
suo personaggio Poirot. Perché abbiamo appunto cinque possibili assassini
reduci da quell’episodio. Ma l’episodio è lontano, non ci possono essere ricerche
sul campo. Si tratta solo di usare le parole. E come dice Poirot, bisogna far
parlare le persone, e saranno loro a fornire la soluzione. Abbiamo quindi i
cinque porcellini. Philip Blake, il più grande amico del morto, in gioventù
infatuato di Caroline, poi sempre presente nelle vicende familiari. Ora è un
affermato agente di cambio (il porcellino che andò al mercato). Suo fratello
Meredith, che vive di rendita, s’interessa di piante ed erbe varie. Fu lui a
far conoscere alla combriccola le proprietà della cicuta, ed è dalla sua
dispensa che ne scomparve il flacone, poi trovato nell’armadio di Caroline, e
con il quale fu ucciso Amyas, mescolato alla birra. Lui è il porcellino che sta
a casa. C’è ovviamente Elsa Greer, all'epoca dei fatti ventenne rampante, che s’innamora
del pittore, che è abituata ad avere tutto. E lo vuole, e non solo, ma pensa di
poterlo togliere alla moglie. Ora Amyas è un grande donnaiolo, che non sa
resistere ad una sottana, ma è anche innamorato della moglie. Quindi, tante
scopate, ma si torna sempre a casa. Cosa che Elsa non accetta, e gettando sul
piatto il suo amore per Amyas, crea scompiglio nella casa. Scompiglio che porta
sicuramente Caroline a rubare la cicuta. Lei sostiene per uccidersi. Poi nel
processo, sostiene che Amyas, scoperta la cicuta, decide lui di uccidersi.
Intanto Elsa è il porcellino che mangia l’arrosto, quello che ha il piatto
migliore. E dopo il pittore, si consolerà con altri uomini, tanto da essere
ora, dopo 16 anni, una rispettabile Lady, sposata con un premuroso Lord
inglese. C’è la signorina Williams, la governante di Arianne, che adora
Caroline, che ha visto questa ripulire le impronte sulla bottiglia di birra,
senza dirlo alla polizia. Dopo la morte sarà licenziata, ma rimarrà integra
nella sua povertà. Lei, è il porcellino che non ha niente. Infine c’è Arianne,
la sorellastra, che Caroline, da giovane, sfigurò lanciandole un posacenere in
faccia. E da quel giorno, Caroline è prona ai desideri di Arianne. Lei è
l’ultimo porcellino, quello che fa “ahi, ahi, ahi”. Dopo alcune ricostruzioni dei
fatti con gli avvocati del tempo, l’idea vincente e divertente della scrittrice
è di far scrivere il resoconto dei fatti ad ognuno dei cinque porcellini. Dal
loro raffronto, Poirot è convinto di riuscire a tirar fuori la verità. Verità
che io, dalla seconda pagina, sono convinto di aver capito. Il colpevole è
Arianne, e Caroline, per i sensi di colpa di cui sopra, la copre e subisce la
condanna come espiazione. Colpevole forse preterintenzionale, che all'epoca dei
fatti era poco più che quindicenne, e non aveva idea reale delle possibili
conseguenze dei suoi gesti. Era arrabbiata perché Amyas voleva mandarla in
collegio, cosa da lei odiata. E voleva fargli uno scherzo cattivo. Sbagliando
però la dose del “veleno”. Molto interessanti sono comunque i cinque scritti,
dove la maestria di Agatha si rivela con la capacità di variare i toni della
scrittura ad ogni personaggio. Poirot, ovviamente, rivela le contraddizioni in
ogni resoconto. Philip è innamorato ma respinto da Caroline, per cui ne mette
in luce le qualità negative. Meredith, una volta anche lui preso da Caroline, è
al momento dei fatti invaghito di Elsa, e fa di tutto, anche inconsciamente,
per non rilevarne la sua grande dote (quella di arrampicatrice sociale). Elsa
riporta spezzoni di discorsi sentiti durante il giorno fatale, magari omettendo
qualche frase che potrebbe darne significati contrastanti. Arianne fa finta di
ricordare poco (era giovane) con l’aggravante di vedere sempre più in pericolo
la sua posizione. Solo la governante sembra essere immune da tutto ciò. Ma alla
fine, con quel colpo di coda che mi aspettavo, ma che mi ha preso alla
sprovvista, Poirot dimostra che Caroline pensava Arianne fosse colpevole, per
questo non si era difesa, che Arianne non è il colpevole, che invece è … Beh, leggetelo
no, è un vero esercizio di bravura e compostezza stilistica. Se Poirot, come
dice lui stesso, è il miglior investigatore che ci sia, Agatha Christie è
senz'altro una scrittrice di grande calibro. Ed ecco la filastrocca:
This little pig went to the
market.
|
Questo maialino è andato al mercato.
|
This little pig stayed home.
|
Questo maialino è rimasto a casa.
|
This little pig had roast
beef.
|
Questo maialino aveva l’arrosto.
|
This little pig had none.
|
Questo maialino non aveva niente.
|
This little pig cried
"Wee, wee, wee, wee!"
|
Questo maialino gridò “Ahi, ahi, ahi!”
|
All the way home.
|
Per tutta la strada verso casa
|
Anche qui, comunque, se ci si
riflette, tra scritti e porcellini si capisce di più. Sicuramente di più di
quanto ne abbia capito io, prima che Poirot mi illuminasse.
Agatha Christie “Il terrore viene per posta” Corriere della Sera 28
euro 6,90
[A: 06/02/2015– I: 04/09/2015
– T: 06/09/2015] - && e ½
[tit. or.: The Moving
Finger; ling. or.: inglese; pagine: 197; anno 1942]
Siamo al 48-esimo titolo sulle
130 pubblicazioni della nostra prolifica autrice. Negli anni Venti e Trenta ha
dato molto spazio a Poirot, ma ora, in piena guerra, Miss Marple comincia a
riguadagnare qualche posizione. Anche se sempre con quell'andamento defilato
che non mi ha mai convinto sulle qualità dell’anziana investigatrice. Che più
che investigatrice, come dice la stessa Agatha, è una conoscitrice dell’animo
umano. Ed utilizza queste conoscenze per capire l’andamento della storia. Qui
addirittura con un intervento che comincia solo a pagina 136 (cioè a 2/3 del
libro), che si affaccia con due o tre frasi per un’altra quarantina di pagina,
e che solo nelle ultime dà quel tocco finale che consente non tanto di dipanare
la gialla matassa, ma di comprendere “i come ed i perché”, come diceva qualche
poeta cantore. Infatti, per tutto il romanzo seguiamo la storia e le
elucubrazioni del buon Jerry Burton, infortunato pilota, che sta passando la
convalescenza, insieme alla sorella Joanna, nella piccola cittadina di
Lymstock, probabilmente una quieta cittadina nel Devonshire in Cornovaglia
(inferenza mia su notizie varie), a meno di 150 chilometri da St. Mary Meads
nell’Hampshire (la città dove vive appunto Miss Marple). Per tutta una buona
parte del romanzo si disquisisce su delle lettere anonime, che pervengono a
diversi personaggi della cittadina stessa. Alla signorina Barton accusata di
aver avvelenato la madre, a Owen Griffith, il medico locale per scarsa
professionalità, a sua sorella Aimée, per altri futili motivi, all'avvocato
Symmington, accusato di avere una storia con la segretaria, al signor Pye,
grassoccio e gay, alla seconda signora Symmington, di aver avuto il secondo
figlio non dall'avvocato (visti i di lui capelli rossi). Ed altre banalità e
pettegolezzi cittadini. Ma come Jerry intuisce, anche se non lo esplicita mai
(in fondo è simpatico ma un poco ottuso), tutto questo terrore che viene per
posta non è altro che una cortina di fumo. Infatti, tutti nel paese pensano che
ci sia qualcosa di vero negli scritti (non c’è fumo senza arrosto). Ma quel
fumo serve a depistare dall'obiettivo reale. La morte della signora Symmington,
che si suicida con una forte dose di veleno. Si cerca anche di coinvolgere
nella trama “cattiva” la giovane Megan, figlia della morta ma in prime nozze,
che è una irregolare del paese (si veste male, va in bicicletta, ed altre
monellerie, pur avendo già venti anni e quindi dovendosi guadagnare un posto
nella vita). Ben presto si arriva ad una seconda morte, quella di Agnes la
cameriera, che probabilmente aveva visto qualcosa che poteva far modificare il
giudizio sul suicidio. Anche se non lo focalizza, e viene uccisa prima di
riuscire a comunicare i suoi sospetti. Finalmente, l’arrivo di Miss Marple
consente di mettere in fila alcuni pensieri (il fumo di cui sopra, il fatto che
la lettera indirizzata a Joanna Burton sia scritta per Barton, e poi modificata
a penna). Tutto fa pensare, a Miss Marple ed a noi, ma non a Jerry, che appunto
il vero obiettivo sia la morte della signora, che la morte della cameriera ne
sia una conseguenza. Utilizzando allora Megan come esca, Miss Marple risolve il
poco intricato bandolo, e tutto si avvia ad uno sdolcinato lieto fine, dove il
nostro pilota, ormai guarito, decide di sposare Megan e rimanere a Lymstock.
Insomma, una trama esile, un racconto che si tiene su alcuni bozzetti
campagnoli, e che risente, appunto, del clima di guerra in cui viene scritto.
Anche nelle vicende gialle c’è bisogno di un tocco di speranza e di sorriso.
Cosa che la nostra Agatha riesce ad ottenere, scrivendo quasi 200 pagine su
quasi nulla. Veniamo allora al secondo grande rimprovero da muovere al libro,
questa volta, ed ancora, per la traduzione del titolo. Comprendo che non sia
facile, ma intanto, dati gli ultimi libri scritti, sappiamo che Agatha s’interessa
a poesie e rime varie. Prima erano filastrocche infantili. Qui, ricorda i suoi
trascorsi in Medio Oriente, citando la quartina LI del Rubayyat di Omar
Khayyam, che inizia appunto con “The Moving Finger writes, and having writ,
moves on”. Una quartina dedicata alla non cancellabilità delle nostre azioni.
Che anche se scritte sulla sabbia, e poi cancellate dall'acqua marina,
rimangono da qualche parte. Quanto meno nella nostra memoria. Non esiste una
traduzione esatta di questa quartina in italiano, ma io, almeno, ne avrei
parlato in una nota finale. Ma si sa, io sono un inguaribile filologo. Speriamo
che la guerra finisca e che la nostra scrittrice torni su temi più agili.
Come
ormai ho abbondantemente scritto e sottolineato, la seconda trama del mese è
dedicata, anche, a qualche malattia da curare con letture librarie mirate. A
volte più che malattie, sono stati d’animo, o sensazioni che il libro (un
libro) ci aiuta a superare. Come in questo caso che cerchiamo di aiutare i
nostri conoscenti dalla fatica di essere genitori single.
Cominciata è la quaresima, tant'è
che, benché promesse ed ipotesi, lontani sono viaggi ed altro caro ai nostri
cuori. Rimangono vicino le musiche degli amici (con i concerti di Carlo e di Vito),
e le nostre riunioni conviviali, speriamo sempre più ravvicinate. Per ora a
tutti una buona giornata di festa.
CURARSI CON I LIBRI di
Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
FEBBRAIO 2016
Questo mese passiamo non a curare
uno stato di essere, che di certo non è una malattia. Un bel suggerimento per
sostenere il peso di essere single e genitori.
GENITORE SINGLE, ESSERE UN
Helen
Dewitt “L’ultimo Samurai”
George
Eliot “La bella storia di
Silas Marner”
Harper
Lee “Il buio oltre la siepe”
Nessuno
ha mai detto che sarebbe stato facile. E a meno che non possiate permettervi di
non lavorare, avere una tata che vive in casa con voi o una nonna sempre a
portata di mano, cercare di essere presenti fisicamente ed emotivamente per la
vostra prole, e in contemporanea guadagnarvi da vivere, mandare avanti la casa,
e avere un minimo di vita sociale, è una sfida anche per l’essere umano più
stoico. Alla letteratura piacciono tantissimo, anzi in maniera smodata i
genitori single, e c’è molto da imparare da una vasta gamma di strategie
genitoriali.
La
nostra madre single preferita resta Sibylla ne “L’ultimo Samurai”. Madre del
super-intelligente Ludo, non ha abbastanza soldi per riscaldare la casa e passa
regolarmente intere giornate sulla Circle Line, da un capolinea all'altro, per
tenere lei e il figlio al caldo. Sibylla non permette che la povertà
interferisca tra lei e il successo. Sceglie di educare il figlio a casa e Ludo
impara a leggere all'età di due anni; a tre è già in grado di affrontare Omero
- in greco.
Sibylla
condivide in parte la genialità del figlio e asseconda la passione di Ludo per
le lingue – negli anni successivi, il bambino aggiunge al proprio curriculum
ebraico, giapponese, norvegese antico e inuit.
L’unica
cosa che la donna non farà mai e fargli conoscere il padre, preferendo
ricorrere al classico di Kurosawa, I sette samurai, per dargli dei modelli maschili.
Questo non impedisce a Ludo di mettersene in cerca - ma quale candidato
potrebbe essere all'altezza di un samurai? Il romanzo è molto ingegnoso ed è
scritto con l’amore per il linguaggio che potremmo aspettarci dalla scrittrice
che ha concepito una simile coppia di poliglotti. Alla fine, ogni madre single
che si affanna a crescere i figli in assenza di un padre applaudirà in
silenzio.
Essere
lasciati da soli col proprio bambino è un destino che riguarda più comunemente
la donna - ma a volte anche gli uomini si trovano in questa situazione, ottima
per rafforzare il carattere. Che siate uomini o donne, il commovente Silas
Marner di George Eliot farà in modo che la consideriate una benedizione, se
avete qualche dubbio. Amareggiato e solo, evitato dagli altri abitanti di Raveloe,
Silas Marner non ha altra ragione per vivere che il proprio oro, che accumula e
nasconde sotto le assi del pavimento. Un giorno trova un bambino misterioso
addormentato davanti al focolare. A poco a poco, il piccolo Eppie lo intenerisce
e gli insegna a volere bene e a superare la distanza che lo separa dagli
abitanti del posto. Se non avevate progettato di essere genitori single, e fate
un po’ fatica ad abituarvi, questo romanzo servirà a farvi coraggio.
Il
miglior padre single in assoluto, comunque, è Atticus Finch ne “Il buio oltre
la siepe” di Harper Lee. Per sapere come trattare i vostri figli con rispetto,
dare loro la libertà di giocare ed esplorare il mondo da soli, dimostrargli
l’importanza di lottare per ciò che pensano sia giusto e contro quello che
pensano sia sbagliato, non dovete cercare oltre. Costruitevi una casa con una
veranda e metteteci una sedia a dondolo. Sedetevi e accendete la pipa. Leggete
“Il buio oltre la siepe” una volta l’anno, prima a voi stessi e poi ai vostri
figli, a voce alta. Siate forti, e siate presenti per loro. Il resto verrà da
sé.
Bugiardino
Anche questo mese, non ho letto
molto delle proposte fatte. Conosco il libro su Silas, non conosco affatto la
Dewitt, mentre ho letto, e consiglio a tutti di leggere, il libro della Lee (e
di vedere anche il bellissimo film).
Harper Lee “Il buio oltre la siepe”
Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6)
[
pubblicato il 14 settembre 2008]
Un
libro pieno di sorpresa, o almeno tre: la prima è che Harper Lee è una donna,
mi ero sempre fissato fosse un uomo. La seconda è la dura gradevolezza. La
terza è che Atticus Finch anche nella scrittura ha sempre la faccia di Gregory
Peck. Unico libro degno di nota della Harper, anche ora, a quasi 50 anni
dall'uscita, mantiene la sua forza, la sua freschezza, la sua dolente
attualità. Un libro in fondo pieno di diversi, con i quali fare i conti. E sarà
proprio uno tra i più bistrattati a salvare da una sordida fine i “Finch
brothers”. Vogliamo parlare del nero accusato solo perché nero? Dei benpensanti
che vanno in giro a fare le ronde? Dei padri padroni? Forse sarebbe giusto,
come sarebbe giusto proiettare nelle scuole lo stupendo film. A Maycomb, Jem e
Scout (figli di Atticus Finch) un'estate conoscono un altro bambino, Dill, e
fanno amicizia. I tre sono attirati da Arthur Radley detto Boo, considerato un
uomo pericoloso e violento, rinchiuso nella casa accanto alla loro. Ma, col
passare del tempo, si accorgono che Boo, senza farsi vedere, si preoccupa dei
tre. Atticus spiega che è stato nominato d'ufficio per difendere un uomo nero,
Tom Robinson, accusato di violenza carnale su una bianca, anche se sapeva che
avrebbe perso. Al processo, Atticus dimostra, senza ombra di dubbi l’innocenza
del nero e la colpevolezza di Bob il padre della violentata. Ma Tom viene
condannato ugualmente da una giuria di bianchi. Durante una festa di Halloween
Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la recita, quando vengono assaliti
da un adulto. Nel luogo della lotta, alla fine viene ritrovato il corpo di Bob
pugnalato al petto. Ho detto quasi tutto, ma lascio un po’ di buio, infondo
alla siepe. Note di merito alla traduttrice (se è merito suo) che ha reso nel
titolo molto dell’atmosfera. Infatti in italiano, il titolo è una metafora: il
buio oltre la siepe è ciò che è sconosciuto pur essendo vicino. Nel romanzo, è
la figura di Boo, il vicino di casa dei Finch che loro non hanno mai visto e
che, per questo, non conoscono. E infatti anche Scout afferma che, col tempo,
la casa di Boo non la spaventava più, ma non le appariva meno buia. Nel testo,
invece, ci sono diversi riferimenti al titolo originale (“To kill a
mockingbird” che significa: Uccidere un usignolo). L’usignolo è un uccello
innocuo, che delizia con il suo cinguettio. Uccidere un passero è quindi un
peccato doppiamente grave.
Conclusioni
Una volta tanto, sono d’accordo “in
toto”. Come dicono Ella & Susan un libro da leggere, rileggere e raccontare
ad alta voce ai propri figli e nipoti.
Nessun commento:
Posta un commento