Termino questo intenso mese di
maggio con un ritorno alla scrittura del nostro amico belga. Sempre un livello
di interesse, con una serie di informazioni sull’intreccio di vita ed opere che
ho preferito inserire nelle trame.
Georges Simenon “I Maigret –
volume 4” Adelphi s.p. (regalo di mamma)
[A: 16/03/2014– I: 06/12/2015 –
T: 16/12/2015] - &&&&
[tit. or.: vedi
singoli libri; ling. or.: francese;
pagine: 675; anno 2013]
Siamo così arrivati al quarto volume, che ci
regala un piccolo brivido di suspense: tra il 19° ed il 20° romanzo, Simenon
sembra deciso nel disfarsi del commissario. Lo manda in pensione, lascia la
casa di boulevard Richard-Lenoir. Simenon sembra soffrire dell’ingombrante
personaggio che tuttavia gli dà sia una discreta notorietà, che molto da
mangiare (i libri del commissario hanno un discreto successo). Una serie di
coincidenti congiunture, di cui parlo più avanti, riusciranno tuttavia a
riportarci il nostro eroe sulla scena. E ben al centro.
Titolo
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Scritto
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Uscito
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Data
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Luogo
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Il pazzo di Bergerac
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Marzo 1932
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Scritto all’Hôtel de France
et d'Angleterre, La Rochelle (Charente-Maritime)
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Aprile 1932
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Liberty Bar
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Aprile - Maggio 1932
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Scritto alla tenuta La
Richardière, Marsilly (Charente-Maritime)
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Luglio 1932
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La chiusa n. 1
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Aprile 1933
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Scritto alla tenuta La
Richardière, Marsilly (Charente-Maritime)
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Giugno 1933
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Maigret
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Giugno 1933 – Gennaio 1934
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Iniziato alla villa Les
Roberts, sull'isola di Porquerolles (Var) e terminato alla tenuta La
Richardière, Marsilly (Charente-Maritime)
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Marzo 1934
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I sotterranei del Majestic
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Dicembre 1939
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Scritto a Nieul-sur-Mer
(Charente-Maritime)
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15/10/1942
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“Il
pazzo di Bergerac”
[tit. or.: Le
fou de Bergerac; ling. or.: francese;
pagine: 9 – 142 (134); anno 1932]
Come si sta evolvendo Simenon e la sua
scrittura! Abbandona Antibes ed i fasti mediterranei (ma su cui ritorneremo nel
prossimo romanzo) e si trasferisce verso il Nord, laddove la luce gli ricorda
quella dei suoi primi momenti di scrittura felice (l’Olanda e la navigazione
sui canali tra Francia e Belgio). E si ferma a La Rochelle, sull’oceano
Atlantico, tra Bordeaux e Nantes. Con lui sono la prima moglie Tigy e Boule, la
“femme de chambre” (nonché sua amante ufficiale). Sta trattando l’acquista di
una tenuta in campagna, ed intanto, qui nell’albergo dove trascorre i suoi
giorni atlantici butta di getto un nuovo Maigret. Dopo l’abbuffata dei tre anni
precedenti, ingolfati da 15 avventure del nostro commissario, ora ne rallenta
la scrittura, preso anche da romanzi “puri”, cui lui voleva affidare molto del
suo futuro da scrittore, ma che meno gli davano da mangiare dei solidi romanzi
del commissario. Visto che si trova in una situazione precaria, fa in modo che
anche la vicenda sia discretamente anomala. Maigret, oppresso dal caldo
parigino decide di andare a trovare il suo amico ex-commissario Leduc, ora in
pensione. Ma non riesce a dormire in cuccetta, si incuriosisce del
comportamento del suo vicino di letto. E quando questi, nottetempo, vicino a
Bergerac, approfittando di un rallentamento del treno, salta giù dal vagone,
Maigret lo segue. E nei boschi intorno, viene ferito gravemente da un colpo di
pistola alla spalla. Ricoverato all’ospedale, guarisce ma rimane convalescente.
E da qui si dipana la strana storia di una sua inchiesta in cui lui rimane
nella sua stanza d’albergo, curato e riverito, cercando di risolvere i misteri
della cittadina. Infatti, nei mesi precedenti almeno due morti misteriose sono
avvenute nei boschi di Bergerac. Due donne sono state aggredite, e poi uccise
con uno spillone al cuore. C’è un pazzo che si aggira per la campagna francese?
Il secondo elemento di novità (che non si ripeterà spesso) è la presenza della
signora Maigret, che il nostro commissario utilizza sia come spalla / infermiera,
sia come elemento indagatore (in mancanza del fido Lucas). Ovviamente Maigret
non è convinto della presenza di un pazzo, ma si accanisce ad indagare gli
strani rapporti che intercorrono nella cittadina di Bergerac. C’è il
procuratore che sembra deciso a chiudere in fretta il caso, con qualche mossa
sospetta. C’è il commissario locale che sembra navigare in alto mare. C’è lo
stesso Leduc che ha un affaire con una signorina di Bergerac. E c’è il medico,
dottor Rivaud, che conduce uno strano ménage con moglie trista e cognata
giovane e piacente. In mancanza di motilità, Maigret convoca a turno i vari
personaggi in albergo, utilizzando il suo modo d’indagine preferito: il
colloquio. Perché sempre sostiene che il cattivo di turno qualcosa si lascerà
sfuggire, coinvolgendo di volta in volta sia l’albergatore che la signora
Maigret nei suoi procedimenti indagatori. Ben presto nella sua mente, il
cerchio si stringe intorno al procuratore ed al medico. Ma inopinatamente viene
trovato un morto nei boschi, la cui descrizione coincide con quella del
feritore di Maigret. Tutto risolto allora? Maigret deve chiudere scusa? Non sia
mai. L’agente – signora Maigret scopre che il morto risulterebbe già morto anni
prima ad Algeri (era un truffatore ed assassino) e scopre che il dottore non
risulta essersi mai laureato. Possibile? Guarda caso, poi, viene anche lui da
Algeri. Come la moglie. Come la cognata. E come la suocera che Maigret con uno
stratagemma fa venire da Bordeaux a Bergerac. E qui, in un drammatico finale, si
scopre come per l’appunto sia il nostro commissario ad avere ragione. Il morto
era il padre del dottore, era certo un bandito ed un assassino. Motivo per cui
venne arrestato ad Algeri, ricoverato nella clinica del figlio, che la
incendia, ne scambia il corpo e lo fa fuggire in America. Nel frattempo sposa
la fragile Germaine, che però è cagionevole. E mentre attende nuovi documenti
in Spagna, si innamora della sorella Françoise, di sette anni più giovane e di
certo più bella. Sotto le nuove spoglie avvia la convivenza a tre in quel di
Bergerac. Peccato che il padre va fuori di testa anche in America ed uccide
delle donne con uno spillone nel cuore. Ritorna in Francia, riprendendo una
“onesta” carriera di truffatore, spesso foraggiato dal figlio. Traffici che il
procuratore scopre. Per tacitare il tutto, Rivaud convince Françoise a circuire
il procuratore, fargli credere di aver un figlio da lui (figlio che è in realtà
del dottore). Ma il padre “fuori di testa”, torna ancora a Bergerac ed anche
qui continua la sua carriera di assassino. Rivaud, nella famosa notte del
ferimento del commissario, fa in modo di seguire il padre ed ucciderlo lui
stesso. Tuttavia le confessioni della madre stanno mandando tutto all’aria, e,
vistosi perduti, Rivaud e l’amante si suicidano abbracciati, lasciando il
procuratore con un palmo di naso (e senza figli) e lasciando una famiglia
distrutta ma con alcune possibilità economiche (Rivaud era discretamente
agiato) in modo che nonna, moglie e nipote possano continuare la loro non più
tranquilla esistenza. Il romanzo è decisamente avvincente, si sente che Simenon
sta approfondendo la sua tecnica. Non disdegnando appunto di utilizzare
elementi nuovi: un’indagine da seduto (come farà vent’anni dopo Hitchcock in
“La finestra sul cortile”), la presenza attiva della signora Maigret, il
commissario che partecipa alle azioni e viene ferito. E nessuno ci toglie dalla
testa che utilizzi modi poco nascosti per ripercorrere i suoi momenti privati
(il dottore e le sue donne, come lui, Tigy e Belle?). Un buon punteggio per un
romanzo di ottanta anni fa.
“Liberty
Bar”
[tit. or.: Liberty
Bar; ling. or.: francese; pagine: 143
– 272 (130); anno 1932]
Finalmente la tenuta de “La Richardière” è
terminate, e la famiglia Maigret si installa nella grande casa. Georges ha il
suo studio, dove continua a scrivere a tamburo battente. Tigy ha un atelier
dove continua a dipingere. Belle tiene sotto controllo ed in ordine il resto
(compreso Simenon). È anche vero che il nostro scrittore si avvia alla soglia
dei trent’anni, e sente sempre più l’impulso di scrivere altri romanzi, più
“duri e puri” come scriverà nella sua autobiografia. Intanto Maigret gli dà da
vivere, consentendogli la tranquillità economica che gli permette di fare anche
altro: scrivere quello che vuole, viaggiare, fare il giornalista. Insomma
tranquillità, ovvio, ma in fondo rimane qualche irrequietezza. E questo 17°
romanzo ne esemplifica alla meglio i sentimenti. Primo elemento che notiamo,
l’ambientazione: da pochi mesi ha lasciato la Costa Azzurra, e qui Maigret
viene inviato in missione, al fine di chiarire un omicidio senza troppo muovere
le acque, proprio ad Antibes. E tutta la vicenda, in cui il nostro commissario
sembra non voler quasi mai prendere di petto le situazioni, si svolge lì, tra Antibes
e Cannes, su quei lunghi chilometri di belle ville, grandi alberghi, casinò, ma
anche piccoli porti e luoghi “derelitti”. Il secondo è la presenza, in due
situazioni speculari sebbene diverse, di una coppia di donne. Da un lato c’è
Gina Martini giovane ed un po’ troppo truccata con la madre appesantita dagli
anni ma ancora con velleità in spirito (se non in corpo). Dall’altro Jaja,
minata da una vita dissipata e dall’alcool, con la giovane Sophie, piccola
prostituta di altrettanto piccolo cabotaggio. In mezzo, il morto, William
Brown. Anzi, l’ucciso, visto che muore per un colpo di pugnale alle spalle.
Segno che, anche se si vogliono calmare le acque, è ben difficile farlo passare
pe un suicidio. Perché William è originario di una grande famiglia australiana
dedita al commercio della lana, ha lasciato da decenni la patria, in rotta con
la famiglia, ed ora da quindici anni vive lì, in Costa Azzurra. Ha anche fatto
(pare, ma poi il discorso sfugge) dei lavori per l’Intelligence francese
durante la Guerra (siamo nel ’32, quindi la Guerra è una sola). Ma ora la
famiglia gli ha tagliato i viveri, e lui si rintana, con Gina e la madre, nella
villa di Antibes. Salvo assentarsi una volta al mese, per qualche giorno,
tronando ubriaco ma con i soldi per tirare avanti un altro mese. Il sornione
Maigret, girando, guardando, annusando l’aria, trova il buon rifugio
dell’australiano. Una volta al mese va a Cannes, al Liberty Bar gestito da
Jaja. Dove ritrova la sua vecchia indole, quella di accumunarsi agli altri senza
domande e senza parlare. Quella di bere fino a stordirsi. Quella di passare
dalle rudi grazie di Gina a quelle di … E qui cominciano i dubbi, che Sylvie è
giovane, piacente, ma un po’ traviatella. E Jaja è materna ma molto poco
attraente. Comunque William lì si trova e si ritrova. E sa anche che prima o
poi morirà, e per tirare un ultimo colpo alla famiglia australiana, redige un
testamento in favore delle sue quattro donne. E lo fa al Liberty. Qui,
ovviamente, luogo comunque di malaffare, comincia a precipitare la situazione.
Sylvie ha un protettore, il losco Joseph, che si impadronisce del testamento e
tenta di venderlo ad Harry, il figlio di William, che una volta al mese passa
per Cap Ferrat dove mantiene una sua lussuriosa amante. Ma la vendita non basta,
che William potrebbe scriverne altri. E benché Harry tenti di assoldare Joseph
per l’assassinio, William viene ucciso prima. Perché le due donne del Liberty
si accorgono di averlo entrambe nella carne se non nel cuore. Ed una, più
gelosa dell’altra, lo pugnala mentre William trona versa Antibes, dove arriva e
muore sulle scale di casa. Qui, Simenon torna anche all’antico, ai primi
momenti in cui Maigret ha empatia per i suoi personaggi diseredati. E poiché
gli era stato detto di non sollevare troppa polvere, lascia andare tutto com’è.
Le donne Martini avranno la casa ed una piccola rendita. Jaja ha il fegato a
pezzi e pochi mesi di vita, che trascorrerà curata da Sylvie, entrambe alla
ricerca di una consolazione ed un reciproco perdono. Sylvie continuerà la sua
triste vita, magari senza Joseph che Maigret fa arrestare per il ricatto. Harry
pagherà a tutti qualcosa, ripulendosi la coscienza. Un romanzo tutto
d’atmosfera, ma dove la scrittura prende già un piglio diverso. Le frasi sono
un po’ spezzate. Non c’è il didascalismo del primo Maigret, quasi nel tentativo
appunto di utilizzare una letteratura colta. Il risultato è comunque
apprezzabile, di sicura e buona fattura.
“Quando
uno ne aveva visti di tutti i colori e sperimentato ogni sorta di vizio, non gli
restava, come estremo rifugio, che il Liberty Bar.” (185)
“La
chiusa n. 1”
[tit. or.: L’écluse
n° 1; ling. or.: francese; pagine: 273
– 406 (134); anno 1933]
Allora, sebbene installato nella campagna
della Charente come detto nella precedente trama, il nostro Georges è
irrequieto, e si regala un lungo giro in Africa, che dura quasi un anno. Quindi
inizia il ’33 con una nuova “gita” verso il Nord, passa in Germania, scrive
articoli, ovviamente sul nazismo che avanza. Ma soprattutto, sta trattando a
suon di franchi il passaggio dalla casa editrice Fayard a quella più
prestigiosa e letteraria di Gallimard. Inizia a buttar giù altri romanzi, senza
Maigret. E quando torna al suo commissario, sente quasi di volersene staccare.
Come fece, senza riuscirci, Conan Doyle con il suo Sherlock. Ecco allora che
impianta questo ottimo romanzo praticamente di scarso giallo e di mota umanità.
Dove tra l’altro Maigret annuncia che alla fine dell’inchiesta andrà in
pensione, e si ritirerà in campagna, con la moglie, lasciando, dopo tanti e
tanti anni, la casa di boulevard Richard-Lenoir. Ed è un’inchiesta che riporta
Maigret ai primi passi, quando veniva chiamato fuori Parigi, ad indagare nel
mondo dei marinai d’acqua dolce (andate a rileggervi “Il cavallante della
Provvidenza” ad esempio). Un’inchiesta dove ricompare anche il fido Lucas, in
un ruolo tuttavia ben marginale. Ora però, le chiatte e le chiuse (ed anche i
pedinamenti di Lucas) sono invece a Parigi. Siamo alla chiusa n.1, vicino al
Canal St. Martin, dove dalla Senna ci si allontana verso la Villette. E
scendendo per di là, si prendono i canali che portano al Nord, verso il Belgio,
l’Olanda ed il mare. Ma si può anche passeggiare sul lungosenna, arrivando in
un paio di chilometri (ma forse anche meno), all’Ile de la Citè, ed alla
Taverne Henry IV, foriera di buon tabacco, di buoni vini, e per chi ha voglia
di curiosità, scendendo i gradini verso il fiume, anche dell’originale della
Statua della Libertà. Ma questi sono i miei ricordi parigini. Perché Maigret è
chiamato ad indagare, almeno all’inizio, sul tentativo di uccidere Emile
Ducrau, ora armatore di una delle più grandi flotte di chiatte del posto, che
nasceva come battelliere, e che, con ingegno, sudore, e giusti investimenti, è
diventato una potenza nel ramo. E tutti lavorano per lui, anche Gassin che fu
compagno di chiatte agli inizi. Solo un “problema” ha il nostro Ducrau. È
attratto dalle, e non sa rinunciare alle, donne. Ha una moglie, affettuosa ma
scialbina, che lui tratta come serva, ma nelle cui braccia sa trovar rifugio.
Ha installato un’amante al piano di sopra della casa sul fiume, stancandosene
presto, quando questa, tolta dal mondo dorato di Chez Maxim, a casa diventa
anch’essa una donna che bada a stirare, cucinare e riposare. È anche andato a
letto con la moglie di Gassin, mettendola incinta della piccola Aline, che
sfortunatamente nasce un po’ ritardata. Ducrau non dice nulla, la signora
muore, e Gassin alleva la figlia, forse con sospetti, ma con tanto affetto.
Ducrau va e viene per i canali, va a trovare anche Aline, che nella sua
innocenza ne ha paura (e tutti pensano che lui ci vada per sesso e non per
amore). Ha anche due figli Ducrau: Berthe antipatica, con marito antipatico
anche di più, e Jean, fragile, forse gay, ammalato che passa messi nella
chiatta con Aline, senza mai toccarla (appunto, timidezza e gaiezza?). E quando
Jean pensa che il padre abbia violato Aline, che appunto partorisce e si prende
cura del suo piccolino, va fuori di testa. Ducrau viene spinto nel fiume con
una coltellata, e Jean si autoaccusa del fatto e si impicca. Ma Ducrau sa che
non era il figlio. Che aveva sorpreso un guardiano della chiusa più a monte
(quello che aveva anche messo in cinta la povera Aline) a spiare sua figlia da
un oblò. Nella prima colluttazione Ducrau ha la peggio. Ma si rifà, e pochi
giorni dopo, uccide il casellante. In tutto ciò, il pensionando Maigret si
aggira lungo il fiume. Guarda tutti negli occhi, parla nei bar e nelle taverne,
e ben presto si fa un’idea di cosa sia successo. Si fa anche l’idea che Gassin,
accumulando rabbia, tenti di uccidere Ducrau. Ma il nostro sciupafemmine ha una
personalità talmente forte che schiaccia anche il povero Gassin. In una
domenica di pranzo conviviale, l’ultima domenica del commissario Maigret,
Ducrau, stanco e deluso, confessa le sue malefatte a Gassin e Maigret. Il primo
si uccide anche lui. Il secondo chiude la sua carriera arrestando Ducrau. Siamo
al 14 aprile 1933. Se questa è la narrazione, tutta la storia è invece
d’atmosfera. Ci sono pagine in cui Simenon descrive. Parla del fiume. Parla
della vita dei bassifondi parigini. Alcuni brani sembrano a metà tra un
racconto ed un articolo di giornale. Uno stile che già fa pensare a “L’uomo che
guardava passare i treni”, ed altri romanzi che scriverà da lì a poco. E
ribadisco, la scrittura è potente ed in salita. Il nostro ormai ha 30 anni, e
sono anni che mette in fila righe su righe. Ovviamente, nella mania di non
discostarsi poi tanto da sé stesso, Ducrau, nell’ossessione verso le donne ha
molto della medesima ossessione di Simenon. E forse anche dalla medesima
assertività, per portare avanti un proprio io, una propria essenza che nulla
deve giustificare. Vi ho già detto che Simenon è un Acquario? E che è nato un
venerdì 13 febbraio?
“Maigret”
[tit. or.: Maigret;
ling. or.: francese; pagine: 407
– 533 (127); anno 1934]
È proprio un momento di difficoltà tra
Simenon ed il “suo” Maigret. Ormai sta andando in porto il contratto milionario
con Gallimard. E Simenon, dopo alcuni giri tra Africa e Nord Europa, torna nei
suoi “retiri” decentrati (rispetto a Parigi, ovvio). Verso l’estate del ’33, la
famiglia Simenon torna nuovamente al Sud, nell’isola di Porquerolles, poco
distante da Marsiglia. Un’isola che la coppia aveva scoperto nel ’26, quand’era
un buon paradiso, assolutamente poco frequentato. Anche il nostro,
probabilmente, si sente un po’ gentiluomo di mare e di campagna. Come vedremo
nel testo. Soprattutto, date le sue aspirazioni verso la letteratura non di
genere, pensa di abbandonare il nostro commissario. Già nel precedente, il 14
aprile 1933 aveva fatto andare in pensione Maigret, e questi si era trasferito
in campagna con la moglie. Ma Simenon deve ancora un romanzo nel contratto con
Fayard, ed allora ecco l’invenzione di una nuova discesa in campo per togliere
dai problemi il nipote Philippe. Inscenando una trama intima, dove compare il
nipote, che lui biasima a fondo per le scelte avventate, ed anche la cognata,
in un cammeo di vita parigina dove il nostro ex-commissario la porta a cena sui
Grands Boulevards, a teatro al Palais Royal finendo la serata in un locale
notturno. Tutto era cominciato giorni prima, quando si precipita in campagna
Philippe, lasciandoci straniti quando chiama il nostro Jules “zio”. Zio Jules
ha fatto entrare nella Squadra del Quai des Orfèvres il nipote, ma questi è
impulsivo ma anche timoroso, tanto che, durante, un pedinamento, si distrae.
L’uomo che seguiva viene ucciso. Lui preso dal panico prende in mano la pistola
fumante. Ovvio che in poco tempo sia lui ad essere accusato del delitto. E non
può far altro che chiedere all’illustre zio di dargli una mano. Qui Simenon
comincia a giocare su due registri. L’indolenza della situazione pensionistica
di Maigret che non può condurre interrogatori, che si aggira per le stanze che
per anni lo avevano visto protagonista senza poterlo di nuovo essere, con
alcuni ex-subalterni che non gli danno più retta come una volta. Solo il fido
Lucas, pur marginale nell'indagine, gli sta sempre vicino, facendolo in qualche
modo sentire ancora sulla cresta dell’onda. Questa parte è tutta giocata sul
filo della nostalgia, volendo convincere sé stesso ed i lettori che è giusto
così, che ormai il tempo di Maigret è passato. L’estate finisce, Simenon
ritorna nella tenuta de “La Richardière”, e qui termina il romanzo, dandogli un
po’ della vivacità che fino allora mancava. Anche se la storia diciamo
poliziesca non ha nulla di intrigante né c’è veramente nulla da scoprire. Siamo
nel mezzo di alcune lotte di quartiere tra malavitosi e piccoli capobanda locali.
Al centro il rampante benché oscuro Cageot, che a poco a poco sta mettendo su
un racket di night-club, con annesse prostituzione e droga. Cageot si contorna
di personaggi di piccolo cabotaggio, ma anche di alcuni che tentano di
allargarsi a sue spese. Poco prima viene ucciso Bernabé. Ora, è la volta di
Pepito, quello della cui morte è accusato Philippe. Accusato soprattutto da uno
scagnozzo di Cageot, che viene trovato morto anche lui. Maigret sa che Cageot è
al centro di tutto, ma non riesce a trovare le prove. Il pezzo di bravura
finale, dal punto di vista stilistico, è il lungo confronto tra Cageot e
Maigret, giocato in punta di fioretto e di fine psicologia. Dove Maigret ha la
sua svolta vincente quando capisce che Cageot, pur bramoso di emergere, ha comunque
terrore del sangue, e paura primordiale di commettere omicidi in prima persona.
Una volta capito il modo di vivere e di ragionare di Cageot, lo incalza e lo
induce alla confessione di essere il mandante. Confessione che non avrebbe
valore, visto che Maigret non è più un funzionario, ma che il nostro trova il
modo di far ascoltare al fido Lucas manomettendo un apparecchio telefonico.
Certo una modalità che ora sarebbe stigmatizzata come non accettabile, e che un
buon avvocato odierno smonterebbe in poco tempo. Ma siamo nel ’33, molto è
permesso. Cageot va in prigione, Philippe, riabilitato, si dimette dalla
polizia e torna in Alsazia, dove ben presto si sposerà. E Maigret con la fida
moglie, torna nella sua casetta sulla Loira, tra campagna e pesca sul fiume.
Con un finale in cui Simenon sembra volerci fare l’occhiolino e dire: qui
mettiamo la parola fine. Questa pervicacia nel voler dimissionare il suo
personaggio pervade tutto il romanzo, e lo rende poco avvincente. Ci sono
scatti di bravura, ma il tono complessivo è decisamente minore. Tanto che
Simenon decide di intitolare il libro solo con il nome del nostro, senza
appellativi, senza richiami, solo Maigret.
“I
sotterranei del Majestic”
[tit. or.: Les
caves du Majestic; ling. or.: francese;
pagine: 535 – 675 (141);
anno 1942]
Dopo aver “pensionato” Maigret ed essere
passato a Gallimard, Simenon e famiglia decidono di fare il giro del mondo: New
York, Panama, le Galapagos, Tahiti, l’Australia, l’Oceano Indiano e il Mar
Rosso. Questo serve a concentrarsi sui suoi nuovi personaggi. E dimenticare
l’ingombrante commissario. Al ritorno a Parigi, quindi, si getta sui “roman
dur”, come li chiama, s’immerge nel “Tout Paris”, s’incontra ed instaura un
sodalizio con André Gide. Passeranno così cinque lunghi anni di romanzi altri,
e di fatica. Che Simenon si accorge anche che è più difficile e più lungo
scrivere i romanzi “di letteratura”, come gli chiedeva Gallimard. Non c’era più
la fluidità dei quasi venti Maigret scritti nei primi cinque anni. La vita che
conduce la famiglia Simenon è tuttavia ben dispendiosa, tanto che si allontana
da Parigi, per tornare in riva all’Atlantico, a Neuily (solo a 3 km da La
Richardiére). E lì nasce il suo primo figlio, Marc. E sempre lì decide di
tornare al suo nonostante tutto amato Jules. Senza transizione, scrive di getto
una nuova opera, ricollocando indietro il commissario (che qui si dice abbia 25
anni di anzianità di servizio). E la scrittura altra di quegli anni gli serve
per confezionare un buon romanzo, pieno di caratteristi. Si direbbe anzi un
romanzo corale, in cui non c’è un centro altro rispetto a Maigret, che riesce a
prendersi il centro della scena, sostenendola per tutto il romanzo. Benché
Gallimard continui a pagargli regolari assegni (oltre alle royalty sui romanzi
usciti) è l’editore stesso che decide di non riprendere la pubblicazione di
Maigret. Aspetterà che il nostro ne scriva altri, pubblicando poi una trilogia
che uscirà solo il 15 ottobre 1942. Quasi a voler evocare una nemesi, dove il
suo personaggio si vendica dell’autore, quasi tutto il romanzo si svolge poi
nell’Hotel Majestic (e molto nei sotterranei del titolo). Lo stesso hotel che
fu teatro del primo romanzo di Maigret, il famigerato Pietro il Lettone (di cui
ho già parlato a lungo). Lì al Majestic lavora Prosper, il capo barista. Lì
lavora il contabile Jean Ramuel dall’oscuro passato. Lì lavora anche il
portiere di notte, Joseph Calleboeuf. Lì balla Eusebio “Zebio” Fualdés,
ballerino professionista di vero nome Edgar Fagonet. Lì, nei sotterranei viene
trovata morta una signora americana, la signora Clark, alloggiante al Majestic
con figlio, marito, segretaria del marito e governante del figlio. Prosper che
va al lavoro in bicicletta, facendosi ogni mattina 10 km da Saint Cloud agli
Champs Elysées. Prosper che vive con la grassa Charlotte, ex-entraineuse a
Cannes. Dove viveva anche Prosper. Maigret occupa subito il proscenio,
aggirandosi per l’albergo e cercando di capirne i meccanismi, quasi fosse un
essere vivente. Poi lo troviamo addirittura a fare una lunga passeggiata in
bicicletta con Prosper. Vediamo come istiga Charlotte, rivelando che la
suddetta signora Clark, in realtà è anche lei originaria di Cannes, ove
lavorava con il nome di Mimì. Utilizzando lo stesso trucco illegale del romanzo
precedente, scopre quindi l’esistenza di tal Gigi, con cui Mimì (questo il vero
nome della morta) e Charlotte facevano sodalizio. Lunga corsa a Cannes in
treno, dove trova Gigi fuori di testa per una dose un po’ forte di coca, ma che
gli rivela molti retroscena. Mimì era un’arrivista, che si divertì con Prosper,
per poi trovare l’americano Clark, ricco sfondato, e sufficientemente fesso da
essere incastrato con un figlio, che in realtà è di Prosper (ed è facilmente
dimostrabile, poiché il nostro barista ha una folta capigliatura rossa, e così
anche il piccolo). Mimì si fa sposare, e sparisce in America. Prosper ne trova
tracce, e scrive lettere d’amore. Mimì riceve anche lettere ricattatorie, come
se Prosper fosse una specie di Mr. Hyde. Ed altre amenità di contorno. Ma tutto
si va concentrando nell’albergo, dove prima o poi tutti passano. Con il
ballerino che esce di notte di nascosto. Con il contabile che aveva avuto
passati leggermente burrascosi. Con il signor Clarke che ha una tresca con la
segretaria. Con Calleboeuf che viene anche lui ucciso. Vi tralascio tutti i
passaggi intermedi, pe arrivare al grande epilogo, dove Maigret trionfa nella
sua pièce teatrale di ritorno sulle scene. Dimostra l’innocenza di Prosper e la
colpevolezza di un bravo falsificatore di firme. Fa capire a Prosper che è
innamorato di Charlotte. Convince il fesso a ridare il figlio “pel di carota”
al legittimo padre. Ed ha anche quel tocco di umanità che d’ora in poi sarà
sempre presente, quando dà una piccola dose di coca alla povera Gigi, che stava
andando in crisi d’astinenza. Insomma, Maigret è tornato, direi alla grande.
Anche se abbiamo dovuto aspettare anni (in retrospettiva, ovvio), il
commissario ha beneficiato di questa attesa, maturando lui, ed entrando meglio
tutti gli altri nei personaggi di contorno. La signora Maigret, innanzi tutto.
Ma anche Lucas, Torrence e Janvier, i suoi infaticabili moschettieri. Ci
aspetteranno altre e gustose avventure, anche se i prossimi anni non saranno
facili per il grande Georges.
Chiudiamo
il mese con queste buone letture, rimandando ad altri momenti le indicazioni di
tutti (saranno almeno 3) gli scrittori islandesi che è assolutamente d’obbligo
leggere. Io li lessi, e parto con la speranza di leggerne ancora.